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Autore: Paola Malfoy    07/12/2018    0 recensioni
Dal testo:
Vuoto.
Era questo ciò che lo circondava; e il vuoto era riempito dal buio, e dal silenzio.
Un silenzio agghiacciante ed opprimente.
Avrebbe voluto uscire, mischiarsi alle persone nelle strade, ma le persone non volevano lui.
Era solo.
Restaban si alzò dal letto nel quale stava praticamente facendo la muffa da settimane, e cercò di scacciare tutte quelle sensazioni che si mischiavano alla paura, camminando per la stanza, rimettendola a posto ed ascoltando musica.
La musica, lei si che era un’amica fidata. Alleggeriva il suo cuore e la sua anima, ed era sempre lì quando lui aveva bisogno, non si rifiutava mai d’aiutarlo.
[…]
Non si era più fatto la barba, i capelli erano cresciuti e spettinati.
E lui se ne stava lì, sdraiato sul letto, o girava per la stanza, ascoltava musica… ogni tanto leggeva. Faceva di tutto per non pensare.
Pensare avrebbe significato ricordare, e lui odiava ricordare.
Così rimaneva immobile, bloccando i pensieri e non facendo nulla.
Nessuno diceva nulla, perché non aveva nessuno. Era solo.
La sua vita si era bloccata, e lui non sembrava intenzionato a farla ripartire.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cos’è un ricordo? Esso non è nulla, non puoi vederlo, non puoi toccarlo, non puoi udirlo… Ma è così grande che non puoi distruggerlo.

Fabio Volo

 

 

Vuoto.

Era questo ciò che lo circondava; e il vuoto era riempito dal buio, e dal silenzio.

Un silenzio agghiacciante ed opprimente.

Avrebbe voluto uscire, mischiarsi alle persone nelle strade, ma le persone non volevano lui.

Era solo.

Restaban si alzò dal letto nel quale stava praticamente facendo la muffa da settimane, e cercò di scacciare tutte quelle sensazioni che si mischiavano alla paura, camminando per la stanza, rimettendola a posto ed ascoltando musica.

La musica, lei si che era un’amica fidata. Alleggeriva il suo cuore e la sua anima, ed era sempre lì quando lui aveva bisogno, non si rifiutava mai d’aiutarlo.

Suo padre era in prigione, e non era dispiaciuto di ciò, ma nemmeno felice. Sua madre si era ritirata in Cornovaglia, alla ricerca di se stessa ed aria pulita. Non era dispiaciuto nemmeno da questo; lui amava sua madre, e lei amava lui, ma non erano mai stati particolarmente attaccati. Lady Tomkins era pur sempre una sposa ricchissima, e lui nella sua infanzia aveva visto di più le tate e le balie che non la madre.

Si rigettò sul letto, mentre la musica lo avvolgeva, calmandolo.

Viveva così dalla fine dei processi dei Prodigi, da quando sua madre si era trasferita, nella sua camera, con i Maggiordomi che gli portavano i pasti e ogni tanto pulivano silenziosamente.

Non si era più fatto la barba, i capelli erano cresciuti e spettinati.

E lui se ne stava lì, sdraiato sul letto, o girava per la stanza, ascoltava musica… ogni tanto leggeva. Faceva di tutto per non pensare.

Pensare avrebbe significato ricordare, e lui odiava ricordare.

Così rimaneva immobile, bloccando i pensieri e non facendo nulla.

Nessuno diceva nulla, perché non aveva nessuno. Era solo.

La sua vita si era bloccata, e lui non sembrava intenzionato a farla ripartire.

Chiuse gli occhi premendo la faccia sul cuscino e si riaddormentò, nonostante fossero le undici della mattina e si fosse svegliato da meno di un’ora.

 

 

 

James Cohen era nervoso, molto nervoso.

Aveva accettato il tirocinio da Poliziotto. che gli aveva offerto il Direttore subito dopo la fine della guerra, e gli era sembrato di cavarsela bene… ma allora perché lo stesso Direttore aveva richiesto di vederlo nel suo ufficio? Aveva sbagliato qualcosa?  O forse era successo qualcosa di grave…

Bussò alla porta ed entrò subito dopo.

«Dinn » disse entrando. Era troppo in confidenza con lui da dopo la fine della guerra per poterlo chiamare Direttore.

«James, siediti» disse con la sua voce calda.

Lui si sedette, e non gli parve che Dinn fosse particolarmente preoccupato, quindi non era qualcosa di grave.

«Mi cercavi?» chiese James.

«Si» rispose il Direttore «Vorrei affidarti una piccola missione, te la senti?».

«Ma certo, dimmi pure!» esclamò subito James, onorato da tanta fiducia.

«Allora ti prego di ascoltare con attenzione ciò che sto per dirti» disse Dinn, James annuì. «Oggi è il cinque settembre e ieri, Restaban Tomkins era atteso ad Alchoart come tutti gli altri studenti, ma non si è presentato. È dalla fine dei processi che non si sa più nulla di lui. Nessuno che lo abbia contattato, nessuno che lo abbia visto… è come scomparso» spiegò Dinn e James non poté non pensare che, nonostante tutto, Restaban faceva bene a nascondersi. Erano molti quelli che non lo apprezzavano.

«Il punto, James, è che credo fermamente che sia rimasto a Tomkins Manor. Le nostri fonti lo confermano. Ma non sappiamo se vuole solo nascondersi per vergogna, depressione, quello che vuoi… o perché sta organizzando qualcosa, anche se non credo, comunque è sempre meglio controllare. Vorrei che tu andassi a vedere, non voglio mandare una squadre di Poliziotti perché rischiamo di spaventarlo, e a me quel ragazzo sembra già abbastanza spaventato».

«Vuoi che vada a Tomkins Manor?»

«Si, naturalmente una squadra ti seguirà a distanza, pronta per ogni evidenza, ma preferirei se andassi avanti tu. Ne capisci il motivo?»

«Certo, non spaventarlo. Capisco» disse James annuendo, per poi chiarire gli ultimi particolari prima di lasciare l’ufficio di Dinn.

Non era esattamente entusiasta dell’idea d’andare a Tomkins Manor, ma era una cosa che andava fatta. E di certo lui non avrebbe disobbedito al Direttore; inoltre doveva ammettere che era anche curioso di sapere che cosa stava combinando Restaban.

 

Restaban fu svegliato da un forte rumore.

Aprì gli occhi e mise a fuoco la camera.

«Mi scusi Padrone, io non voleva farli cadere!» si giustificò un Maggiordomo tremante, che era evidentemente inciampato in una pila di libri poggiata a terra.

Restaban non disse nulla, si limitò a fissare i libri sparsi a terra.

«Il Padrone doveva partire per Alchoart ieri» iniziò cauto il Maggiordomo. Restaban alzò lo sguardo su di lui.

«A fare cosa ad Alchoart?» borbottò deluso e annoiato.

«I-imparare» disse timidamente il Maggiordomo.

«Ho imparato abbastanza nell’anno passato» disse Restaban dopo qualche minuto. No, decisamente non sarebbe tornato ad Alchoart, non avrebbe fatto da punching-ball vivente per l’intera scuola, e non aveva intenzione di diventare nemmeno un bersaglio da colpire con frecce avvelenate e pungenti.

Sarebbe rimasto lì. Con un po’ di fortuna poteva anche morirci, così.

Il Maggiordomo uscì timidamente dalla stanza.

E Restaban rimase solo, circondato dal vuoto, e il buio riempì il vuoto.

 

Il ragazzo si svegliò verso le due di notte grazie ad un mal di testa che sembrava volerlo uccidere; gli capitava spesso quando dormiva troppo, il suo corpo reagiva così.

Eppure lui amava dormire, se dormiva non pensava, non faceva cose sbagliate, non faceva nulla… dormiva e basta.

Gli sarebbe piaciuto morire così, dormendo.

Infondo a chi importava? Nessuno era venuto a cercarlo, e nessuno sarebbe mai venuto. Avrebbe reso felici più persone morendo che non rimanendo in vita.

Non biasimava nemmeno lui quelli che lo volevano morto, se ne era accorto durante il processo, quando avevano elencato una per una tutte le atrocità fatte dalla Lady Oscura ed i suoi seguaci. Aveva sentito il senso di colpa farsi strada in lui quel giorno, con prepotenza, distruggendo tutto quello che incontrava, dandogli il colpo di grazia.

Era andato a pezzi e nessuno se ne era accorto.

Era andato a pezzi ed era rimasto solo.

Si sentiva come un edificio abbandonato, le cui pareti crollavano pian piano, ma nessuno veniva a restaurarlo, nessuno ricostruiva il muro caduto, l’incuria ed il tempo facevano il resto.

Una volta era sceso in cucina, aveva scacciato i Maggiordomi ed aveva preso un coltello dal cassetto. L’aveva tenuto in mano valutando i pro ed i contro di un possibile suicidio. Naturalmente i pro avevano vinto. Sapeva perfino come farlo in fretta, un taglio netto sul collo, all’altezza della carotide. Pochi secondi e sarebbe morto. Fine.

Ma era troppo codardo perfino per uccidersi, così lasciava fare il tutto a madre natura, che forse in qualche contorto meccanismo di giustizia divina sarebbe venuta a reclamare la sua anima.

Si alzò dal letto e mosse qualche passo per la stanza, aprì la finestra facendo entrare aria fresca. Era una bella notte di settembre, il cielo sgombro dalle nuvole lasciava ammirare le stelle e la luna.

Stava seriamente pensando di vendere tutto ed andarsene, lontano, dove nessuno sapeva chi era e cosa aveva fatto, riiniziare da lì. Sempre ammesso che potesse cambiare.

Non poteva pretendere che gli altri gli dessero fiducia incondizionata a caso, doveva prima cambiare se stesso.

Facile a parole.

Le idee sul sangue le aveva messe da parte. Non ci voleva un genio per capire che l’unica differenza di sangue tra le persone era definita dal gruppo sanguineo.

Provò a tornare a letto, ma con scarso successo. Aveva davvero dormito troppo.

Si lavò, ma non si tagliò né la barba né i capelli. Sembrava un’altra persona, e avrebbe pagato oro per essere un’altra persona.

Decise di fare un azzardo. Erano solo le due e mezza della mattina, chi diavolo poteva esserci in giro per Londra?

Si mise il mantello ed uscì di casa per poi smaterializzarsi in una delle piccole stradine parallele della via.

Si guardò attorno, controllando bene che non ci fosse nessuno, poi iniziò a camminare per la strada principale.

Era strano vedere Londra così, con le botteghe chiuse ed il buio che la avvolgeva. Non era però lo stesso buio che aveva infestato la via ai tempi della Lady Oscura, era un buio naturale e pacifico, che rispecchiava la quiete della notte.

Era bello camminare senza sentirsi giudicato ed osservato, ma non durò a lungo, quando arrivò vicino a un Bar fu costretto a tornare indietro. Non voleva essere visto.

Ritornò lentamente nel vicolo dal quale era venuto, e poi si Smolecolò.

Quando apparve nel giardino del Manor, il sole iniziava a sorgere sul Wiltshire.

Si tolse il mantello e si distese a terra. Rimase lì a guardare la natura risvegliarsi, pian piano, chiedendosi per quanto potesse andare avanti così prima di impazzire.

Forse era già diventato pazzo, o lo stava diventando. Ma un pazzo sa quando sta per impazzire? O sono questi pensieri a renderlo pazzo?

Decise di non darsi una risposta. Rimase lì, immobile. Spettatore silenzioso della vita che lo circondava senza toccarlo, spaventata d’essere appestata dal male che portava nel corpo e sul braccio.

 

 

 

«Vai oggi James, va bene?»

«Certo Dinn».

James salutò con un cenno del capo il Direttore ed uscì dall’ufficio, dove trovò cinque Poliziotti ad attenderlo.

Se tralasciava il fatto che stava andando a Tomkins Manor a vedere che combinava Restaban Tomkins, era alquanto deliziato dalla situazione.  Il Direttore si fidava di lui a tal punto di metterlo al comando di una squadra, anche se… lo faceva perché era veramente dotato e meritevole di fiducia? O lo faceva solo perché era James Cohen, colui che proviene da una famiglia ricca e sopravissuto alla guerra?

James non lo sapeva, sperava fosse la prima risposta però.

«Andiamo, io mi Smolecolo davanti al cancello ed entro, voi nel bosco vicino. Quando entro, se dopo venti minuti non vedete delle scintille verdi vuol dire che è successo qualcosa. Se lancio scintille verdi va tutto bene, e voi rimanete dove siete; se le scintille sono rosse entrate invece. Tutto chiaro?»

«Tutto chiaro» risposero in coro i cinque Poliziotti.

Si avviarono dietro di lui fino alla zona di Smolecazione del Ministero, ricevendo più d’uno sguardo. James non vi fece caso, e una volta arrivato si smolecolò subito.

Apparve di fronte ai cancelli di Tomkins Manor, proprio come quando Elettra… no, non doveva pensarci. La sua morte gli faceva venire ancora i brividi.

Quando sentì nel bosco il suono di altre cinque smolecolazioni, premette la mano sul cancello, pronto a trovarvi una barriera magica invece, con sorpresa, lo trovò aperto.

Magari Restaban se ne era realmente andato.

Percorse il lungo viale che portava all’ingresso, e non la rimise via nemmeno quando dovette bussare al portone d’ingresso.

Attese per due minuti, poi qualcuno aprì il portone.

Un maggiordomo.

«P-posso aiutare signore?»

«Ehm… si» iniziò James sorpreso «cerco Restaban…Tomkins, ovviamente. Ehm, sono un Poliziotto. Puoi dire al tuo padrone di scendere, o farmi entrare?» chiese.

Il maggiordomo lo ascoltò e poi si contorse le mani.

«Io non sa… noi non aspettavamo visite, signore… noi non sappiamo. Lei entri, Poliziotto, io chiede al Padrone. Suo nome?» chiese il Maggiordomo confuso. Sembrava che davvero non sapesse come comportarsi, come se Tomkins non gli ordinasse che fare… e questo si che era strano.

«Sono James Cohen».

Lui annuì e lo fece entrare nell’ingresso, lo invitò a sedersi su una delle poltrone e poi scomparì.

James si sedette ed attese. La casa era in ordine, il giardino anche, e Tomkins era lì.

Doveva aggiungere che nessuno aveva ancora tentato di ucciderlo, e dubitava che Tomkins volesse provarci, non era da lui.

Che diavolo aveva quindi?

 

 

 

Restaban era tornato a letto dopo qualche ora passata sul prato, aveva letto qualche pagina di un libro a caso e ora stava per riaddormentarsi. O almeno ci sperava.

«P-padron Restaban?» chiese timidamente un Maggiordomo.

Restaban si alzò di poco dal letto e vide che il servo stava sulla soglia della porta, guardandosi i piedi e tirando la veste che indossava con le mani ossute.

«Che c’è?»

«Visitatori…»

«Visitatori?» chiese Restaban sorpreso, enormemente sorpreso. Chi mai poteva essere?

«Un Poliziotto» disse.

Ah, ecco, ora tutto tornava. Che avevano mandato un Poliziotto a fare? Volevano assicurarsi che fosse morto? Come minimo.

«Ora scendo. Vai in cucina o.. che ne so’… torna a fare quello che stavi facendo» ordinò al Maggiordomo alzandosi.

Aveva solo le mutande addosso, ma non aveva vogli di vestirsi per un Poliziotto. Si coprì tutto con il lenzuolo, ed iniziò a scendere le scale.

Arrivò in fondo, e un tipo con la divisa da Poliziotto si alzò da una delle poltroncine dell’ingresso guardandolo con la fronte aggrottata.

Capelli disastrati, cicatrice sulla guancia, sciatto.

Cohen.

Fanculo.

«Ah.. ehm… stai male? Bene, potevi… avvertire» disse Cohen guardandolo confuso.

«Di che diavolo parli? Io non sono malato, e da quando assumono Poliziotti così giovani?» disse Restaban scendendo l’ultimo gradino e sedendosi su una poltrona. James si mise difronte a lui.

«Dovresti essere a Alchoart. Quando la Preside non ti ha visto ha mandato un messaggio al Ministro. Mi hanno mandato a controllare che succedeva. E poi frequento il tirocinio per diventare Poliziotto».

«E che c’entra il fatto che sono malato? Io non sono malato» puntualizzò Restaban guardandolo con un sopracciglio alzato.

«Beh hai… il lenzuolo addosso e… non ti sei fatto la barba e i capelli…» disse James, che sembrava a disagio «Pensavo fossi stato male... che l’essere stato male ti abbia impedito di prendere il treno per Alchoart».

«Sbagliato. Non avevo voglia di vestirmi».

«Oh».

«Bene. Sai dove è l’uscita, l’hai appena usata come entrata».

«No, a dire il vero… tu dovresti tornare ad Alchoart» disse Cohen guardando l’orologio.

«Io non ci torno» esclamò Restaban.

«Devi, il Direttore e la Preside..»

«Ho detto no, Cohen».

«Invece…»

«No» esclamò ancora Tomkins. James chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.

«Senti» riiniziò «capisco che tu non ci voglia tornare per motivi legati al fatto che sei stato un sost…»

«Tu invece non ci sei tornato perché ti sei lasciato con la Sirenetta» disse Restaban annoiato.

«Come fai a saperlo?» chiese James sorpreso «Solo Demi e Ryan lo sanno come..»

Restaban alzò annoiato gli occhi al soffitto.

«Hai gli occhiali sporchi, con macchie di gocce all’interno, si vede in controluce, o lacrime o pioggia; ma dato che non ha piovuto nell’ultima settimana devo desumere che sei sempre il solito sentimentale, quindi lacrime. In una tasca hai un fazzoletto, ne esce un bordo, e ci sono ricamate le iniziali della tua ex bella. Niente di raffinato, per carità, sempre un Sirena orrenda è. Inoltre hai un foglio stropicciato in tasca e le mani sporche di inchiostro, segno che hai tentato di scriverle qualcosa prima di venire qui; quindi o avete litigato o vi siete lasciati. Ho optato per la seconda visto che sembri uno che mangia male da due giorni. Ti senti troppo in colpa per presentarti alla loro… casa?» terminò Restaban annoiato. Cohen non era il suo esatto ideale di compagnia. E il suddetto Cohen sembrava anche piuttosto sorpreso mentre rimetteva bene in tasca il fazzoletto della sua ex ragazza.

«Io.. non so come fai a saperlo ma.. senza cambiare discorso, devi tornare ad Alchoart…»

«Noioso. Non ci voglio andare».

«Beh, devi!» esclamò James «E poi che ci stai a fare qui? Eh? Non fai nulla tutto il giorno, sai solo farti crescere la barba e i capelli, magari fare la muffa nel letto e girare in mutande!»

«Consolati, magari tra poco ci muoio tra la muffa del letto, ne saresti contento!»

«Per nulla» rispose James serio. «Hai solo diciannove anni, e so che questi diciannove anni non sono stati il massimo, nemmeno per me, se vuoi saperlo…»

«Non voglio saperlo infatti»

Cohen alzò gli occhi al cielo e continuò: « …ma ce ne sono ancora molti davanti. Puoi cambiare le cose Tomkins» disse serio.

«Perché?» chiese Restaban alzandosi dalla poltrona, stringendosi convulsivamente il lenzuolo «Perché dovrei cambiare? Chi ti dice che io non sia già cambiato? E poi la gente non perdona, Cohen. E ora smettila con i tuoi discorsi sentimentalisti sulla vita. Ad Alchoart tornerò quando nessuno saprà riconoscermi».

«Credimi, vedendoti così è difficile credere che tu sia Tomkins» disse il Poliziotto sarcastico. Restaban strinse gli occhi, le sue manie omicide si erano appena spostate da se stesso a James.

«E poi sarebbe noioso» aggiunse Restaban.

James rimase in silenzio per qualche secondo.

«Va bene. Fammi strada. Vuoi una nuova faccia? Basta che ti rasi, ti cambieremo aspetto e ti metteremo sotto falso nome. Penso che al Direttore la cosa andrà bene».

«Che diavolo importa al Direttore o a quella megera della Preside se torno ad Alchoart o no?» chiese Restaban scocciato. Non ci voleva andare.

«Era una delle condizioni di tua madre, ci ha rivelato molte cose durante il suo interrogatorio. A quanto pare i sostenitori di Lady Oscura non si facevano scrupoli a parlare di fronte a lei, non la consideravano in quanto donna».

«Quella bastarda!» esclamò Restaban voltandosi.

James lo guardò allibito.

Tomkins stava per risalire le scale quando Cohen, per fermarlo, mise un piede sul lenzuolo. Restaban riuscì a bloccarselo addosso all’altezza della vita prima di rimanere in mutande di fronte a Cohen. Non era il suo ideale di giornata quello, decisamente no.

 

Alzò gli occhi al cielo ed espirò profondamente.

«Lascia il mio lenzuolo» disse dando uno strattone.

«No, tu torni ad Alchoart».

«Ho. Detto. Lascia» ripeté Restaban.

«Se no che fai?»

«Vado via senza, sei sicuro di voler assistere allo spettacolo, Cohen?»

«E tu sei sicuro di volere che io ti costringa? Posso passare alle maniere pesanti, sai? Ho cinque Poliziotti qui fuori».

«Naturalmente» rispose Restaban «Dimmi, vi siete già fatti il segnale? Gli hai già avvertiti che il piccolo assassino non ha tentato di ucciderti?»

«Sono… precauzioni standard»

«Come la misura alla quale non arriverà mai il tuo cervello, suppongo».

«Vedo che la depressione non ti ha contagiato la lingua».

«Dimmi Cohen, il tuo sedere è mai geloso di tutte le stronzate che escono dalla tua bocca?».

James chiese gli occhi, resistendo alla tentazione di ucciderlo, o dargli un pugno in faccia. Bello forte.

«Sempre Tomkins, ora mi fai strada?» chiese togliendo il piede dal lenzuolo. Restaban se lo rimise addosso per bene ed iniziò a salire le scale.

«Vai a fanculo Cohen».

«Anche tu Tomkins».

Salirono le scale ed entrarono nella camera di quest’ultimo. James andò alla finestra e la aprì, lanciando scintille verdi. Vide un piccolo luccichio dal bosco e capì che avevano ricevuto.

«Allora Tomkins… tu vai a farti una doccia e ti rasi mentre io ti aspetto qui, tiro giù una lista di nomi che potrai usare e mi preparo per… cambiarti aspetto».

«Come?» chiese Restaban sospettoso.

«Tu intanto fai quello che ti ho detto».

«Non ci vado perché me lo hai ordinato tu, ma perché voglio».

«Naturalmente» disse James mentre Tomkins si chiudeva in bagno.

Prese un pezzo di pergamena dalla scrivania di padrone di casa, e tirò fuori una penna dalla sua tasca. Scrisse una rapida lista di nomi, poi si sedette sul letto.

Restaban doveva tornare ad Hogwarts. Lui e il Direttore, soprattutto lui, lo dovevano a Lady Tomkins, che aveva chiesto a loro solo questo: permettere al figlio di finire la scuola, dargli la possibilità di rifarsi una vita.

Se il prezzo per fare questo era far cambiare aspetto a Restaban, allora lo avrebbe fatto. Demi gli aveva dato una pozione per i capelli, fargli cambiare colore e forma, in modo da non essere riconosciuto ovunque andasse.

Dopo dieci minuti, il braccio di Restaban uscì dalla porta del bagno.

«Vestiti» disse solo indicando l’armadio.

James lo aprì e tirò fuori una camicia ed un paio di pantaloni, per poi passarglieli; dopo altri due minuti il ragazzo uscì dal bagno vestito, sbarbato e con i capelli messi a posto, con il ciuffo che arrivava a metà collo. Biondi, troppo biondi. Erano praticamente una lampadina. Aveva gli occhi gonfi di chi ha dormito troppo, e puzzava di depressione.

«Non hai tentato di affogarti?» chiese sarcastico James.

«Ci ho provato una volta, ma non ha funzionato. Gli Maggiordomi sembrano avere un sesto senso per questo genere di cose» rivelò Restaban con voce neutra, facendo rabbrividire Cohen.

Restaban Tomkins. Un ragazzo della sua età, gli aveva appena detto che aveva provato a suicidarsi, e ci sarebbe quasi riuscito se non fosse intervenuto un Maggiordomo.

Certo, per tutti era stato difficile da dopo la fine della guerra, ma non aveva mai sento di nessuno che avesse tentato di… aveva provato a farlo altre volte?

«Ci hai provato altre volte?» chiese James serio mentre Restaban leggeva con un sopracciglio alzato la sua lista di nomi.

«E questi sono nomi.. interessante, davvero. Fanno schifo».

«Non hai risposto alla mia domanda».

«Si, un’altra volta, con un coltello. Ma lo ho messo giù io quella volta» disse voltandogli le spalle e continuando a leggere la sua lista.

«Questo sembra il più decente» mormorò Tomkins.

«Quindi torni ad Alchoart?» chiese James soddisfatto.

«Non cantare vittoria Cohen. Devi ancora mostrarmi se sei veramente in grado di cambiare il mio aspetto, e poi penso ancora che mi annoierei».

«Ad Alchoart? Annoiarsi? Impossibile!» esclamò James facendo segno a Restaban di sedersi su una sedia che aveva posizionato di fronte allo specchio che c’era in camera.

Il ragazzo guardò la sedia e poi Cohen, poi ancora le sedia e di nuovo Cohen. Poteva fidarsi?

Ma si, infondo anche se lo uccideva, non gliene importava granché.

Restaban si sedette e  prese la pozione, fece un debole respiro e la ingoiò. A poco a poco, i capelli di Tomkins si scurirono, diventarono neri come la pece e ricci, un riccio ordinato però, non devastato come Daphne.

Sembrava perfino avesse i capelli più corti. E mancava il ciuffo. Che pizza.

«Bisogna ammettere che non sembro nemmeno io Cohen. Mi si brucerà la lingua per questo, ma sei stato bravo» disse Restaban toccandosi i capelli.

«Bene Jacob Lewis, fai i bagagli, sei già in ritardo di tre giorni. Io vado di sotto, devo avvertire un paio di persone a proposito di questa cosa.

Uscì dalla stanza e lo lasciò solo.

Restaban si guardò allo specchio. Non sembrava nemmeno lui. Era completamente diverso, un’altra persona. Ma caratterialmente? No, da come litigava con James sembrava sempre lo stesso… anche se si sentiva diverso. Era la sua seconda possibilità, ma aveva comunque paura. Avrebbe mandato a puttane tutto anche questa volta?

No, doveva cambiare. Doveva smettere di essere Restaban, lui era Jacob Lewis, poteva anche spacciarsi per orfano anzi, meglio se si spacciava per orfano.

Si tolse la camicia e i pantaloni di fretta, gli sembravano troppo sfarzosi in quel momento. Prese dall’armadio una delle poche magliette che aveva, insieme ad un paio di pantaloni normali. Vestiti normali insomma, che si mise addosso, poi ne cercò altri e li ficcò nel baule che aveva sotto il letto, riempendolo anche con i libri di scuola, le ampolle e dei quaderni… tutto quello che serviva. In dieci minuti finì.

Poi prima di uscire mise sotto sopra l’armadio, ma alla fine trovò una giacca nera, doppio petto, e una sciarpa per tenerlo caldo. Se li mise addosso.

Ah! La divisa! Ecco che stava dimenticando!

Ne mise tre nel baule e poi scese.

«Sarò sempre a Mormegil, vero?» chiese a Cohen, che lo squadrò a metà tra il soddisfatto e lo sorpreso.

«Si, naturalmente».

«Bene».

«Bene, andiamo?».

«Avviati fuori dal cancello, io do le direttive ai Maggiordomi» disse Restaban, che parlò velocemente a loro e poi uscì raggiungendo James, che lo aspettava fuori i cancelli del Manor, che si richiusero dietro di loro.

Cohen gli porse un aggeggio rettangolare nero.

«Che cos’è?»

«Un telefono Restaban ».

«Ah, me ne ero dimenticato, bene».

« Tieni. Ti mostro come funziona, si sono un po’ evoluti, io posso chiamare te e tu puoi chiamare me».

«E perché mai dovrei desiderare chiamarti e sentire la tua odiosa voce?» chiese Restaban.

«Già… perché nel caso…»

«Ah, lascia perdere, ho capito. Tu chiamerai me per sentire se sto tentando il suicidio, o peggio, la fuga, giusto?» disse Restaban.

Jmaes respirò profondamente. Come faceva a parlare così… spensieratamente della sua morte? Aveva davvero perso tutto?

 Gli mostrò in fretta come funzionava, e Tomkins imparò altrettanto velocemente per essere uno che non vede un telefono da anni.

Poco dopo si trovarono di fronte ai cancelli della scuola, entrarono nel confine ed iniziarono a risalire verso il castello.

«Non pensavo sarei mai tornato, figurati con te a farmi da balia, Cohen».

«Lo stesso vale per me, Tomkins».

«Chi saprà che io sono io?» chiese Restaban.

«La Preside e tutti i professori, e Demi».

«La Hale? Perché?»

«Perché, regola numero uno: mai nascondere nulla a Demi, lo verrà comunque a sapere…»

«Era lì anche lei quando hai parlato con la Preside, vero?»

«Già.. aspetta, ma come…?»

«Sei davvero il massimo della riservatezza, complimenti. Hai della cenere sulla giacca comunque, ti sei smolecolato vicino al suo ufficio, che è tutto polveroso. Spero tu non mi le abbia rovinato il tappeto».

«No, tranquillo, Tomkins».

 

*

 

«Ormai lo sai Hale, tanto vale che mi sorreggi mentre vedrò la… sua trasformazione» disse la Preside Zabini con un piccolo sorriso. Lei ed Demi erano fuori dal portone della scuola, ed aspettavano di veder apparire James Cohen con un’irriconoscibile Restaban Tomkins.

«Conoscendo James, spero non abbia combinato un disastro».

«Dovresti avere più fiducia in lui Hale» la ammonì la Preside, ma poi entrambe alzarono un sopracciglio, pensando che James e i cambi di stile… no, aveva sicuramente sbagliato qualcosa.

«Penso abbia fatto bene però, almeno avrà un anno tranquillo. Non lo avrebbero mai lasciato in pace» aggiunse la Preside.

«Questo è vero. Sono tutti così pieni di rabbia che non riescono nemmeno a vedersi il naso, soprattutto a Gayers. Ne fanno una per colore ai pochi Mormegil rimasti. Provo ad ammonirli ma… disonorano la nostra scuola, e non avrei pensato di dirlo» convenne Demi amaramente.

«Gli sarai amica? Lo ha perdonato dopo anni di…?» chiese la Preside riferendosi a Restaban.

«Vediamo che ha intenzione di fare, mi comporterò di conseguenza. Credo nelle seconde possibilità».

«Saggia decisione».

«Grazie».

Rimasero in silenzio per qualche minuto, godendosi il tiepido sole di mezzogiorno che le scaldava. Erano tutti a pranzo, e nessuno li avrebbe mai visti arrivare.

«Eccoli» disse insieme.

James arrivò di fronte a loro, seguito da un ragazzo che trasportava una valigia. La posò a terra e affiancò Jmaes.

Demi e la Preside rimasero sconvolte.

Un ragazzo alto, pallido, dai capelli neri e ricci, vestito normalmente, con addosso una giacca a doppio petto nera e una sciarpa blu.

Quello che colpì di più Demi furono gli occhi, non erano per nulla cambiati. Erano sempre gli stessi, grigi come il Tamigi d’inverno, intrisi di tristezza. Era quasi doloroso guardarli.

Stava davvero così male Restaban Tomkins? James aveva accennato al fatto che bisognava tenerlo d’occhio, che aveva provato ad uccidersi…  distolse lo sguardo a fatica. Se erano così solo gli occhi, non immaginò come potesse essere dentro l’anima del ragazzo, quale tempesta si scatenasse in lui.

«Buongiorno» disse Restaban educatamente. Aveva una voce più bassa, meno acuta di come se la ricordasse, come se non avesse parlato per molto tempo, e forse era così.

Demi guardò James.

«Ho fatto un buon lavoro?» chiese quest’ultimo.

«Direi proprio di si» esclamò la Preside con un sorriso «Nessuno ti riconoscerà Tom… Jacob Lewis, Mormegil… ultimo anno».

«Bene, devo parlarle di alcune cose, Preside» disse James.

«Ma certo. Signor T.. Lewis, penso conosca la strada per i dormitori. Per evitare domande inopportune, e dato che del suo anno a Mormegil c’è solo lei…»

«Magnifico…» mormorò Restaban con una piccola smorfia.

«Le ho dato la camera 7, vada pure».

Restaban fece un cenno del capo, con un movimento prese la valigia  e sparì dentro il castello.

«Ma… è davvero lui?» chiese Demi, ancora stupita.

«Abbiamo molto di cui discutere. Andiamo nell’ufficio della Preside, sta arrivando anche il Direttore» disse Cohen.

«Meglio muoverci allora» aggiunse la Preside facendo strada ai due ragazzi.

 

 

 

 

 

 

   
 
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