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Autore: Lila May    08/12/2018    0 recensioni
|VictorianAge!| |RosalyaxLeigh, LysanderxRosalya, LysanderxDolcetta, CastielxDebrah|
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Regno Unito, 1881.
Durante gli ultimi respiri della Victorian Age, il giovane Lysander Ainsworth, orfano e fratello minore di un ricco produttore di tessuti, sente il bisogno di liberarsi per sempre dall'oppressione di una società che non sembra averlo mai voluto accettare. Il suo sogno è quello di andare in America, dove la realtà sui giornali appare molto più diversa dalla miseria e le ingiustizie con cui convive da quando è nato. Tuttavia, un incidente invertirà la rotta del suo destino, incatenandolo ad una condizione che dovrà accettare per il bene comune; sarà solamente l'incontro con una ragazza, Alice, una come lui, a decidere quale sorte gli toccherà subire, per porre fine al grande supplizio che non smette di torturarlo da anni.

Storia terminata.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Leigh, Lysandro, Rosalya
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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xi.

La Ainsworth's fabrics, chiusa, sembrava una docile bocca appena sfamata. Niente gonne sedute su scomode sedie, niente macchine da cucire attive, nessuna schiena piegata, quel giorno. Il giorno più bello della vita di Lysander. Con la schiena appoggiata contro il tronco di una quercia e una stilografica intarsiata d'oro in mano, il giovane capo dell'azienda stava scrivendo una poesia.
Gli faceva strano poter tenere tra le dita cose, pezzi di esistenza che una volta era solito avere sempre tra i piedi, che quasi lo avevano annoiato. Mentre adesso gli capitava di buttarci su l'occhio e ricordarsi a malapena quando era stato l'ultimo giorno, l'ultima ora in cui le aveva utilizzate per davvero.
Quella penna, quei fogli. Quella fetta di torta rimasta sul piatto di una malinconia che quasi gli mancava, a ripensarci.
Riprese a scrivere, con una fretta da lasciare aperte le "o", le "a", le labbra strette contro i denti serrati. Alice era distesa sulle sue ginocchia, avvolta nel suo giacchetto verde, e sonnecchiava col viso protetto dall'ombra della quercia. Faceva piuttosto caldo, quel giorno, ma lei aveva sentito freddo lo stesso, e così lui si era adoperato per proteggerla dalla brezza autunnale che di autunnale possedeva solo il nome. Gli piaceva il fatto che si fosse accoccolata così.
Nei suoi indumenti, con la guancia schiacciata contro la sua coscia.
Si sarebbe portato un po' del suo odore a casa, almeno. Le passò una mano tra i capelli e tracciò la bozza di una poesia, un testo che non lo convinse per niente. Ma lo lasciò lì, perché gli erano passate le manie di perfezione di un tempo.
Aveva imparato che nulla era perfetto.
La sola idea era illusione.
Per cui non corresse nulla, non la rilesse. Tornò indietro con le pagine, con i mesi, con gli anni persino, e proprio mentre stava per accingersi alla lettura di vecchi ricordi Alice aprì un occhio giallo e lo guardò da sotto il taccuino, sorridente. Lysander abbassò il capo. -ben svegliata.
-Che ore sono?
-Non ti preoccupare, è ancora presto. Sono le due.
La mano di lei arrivò sulla sua guancia, per poi toccargli lo zigomo col pollice. Il sorriso le aveva abbandonato la bocca, cedendo il trono ad una smorfia un po' interdetta. -stai bene?
-Sì, ora sì.
Alice continuò a coccolarlo con amore, ripassando le ossa della mandibola, il collo grosso imbevuto nel verde dell'ascot tie che fuoriusciva dal panciotto come una foglia gonfia di pioggia. Prima avevano fatto l'amore tra le tombe. L'erba era stata il loro letto, il cielo la loro coperta. Nessuno li aveva visti, tranne forse uno scoiattolo a caccia di ghiande, perhé nessuno si ricordava dei dimenticati. Tranne loro. Ed era stato semplicemente bellissimo vedere il suo ragazzo così preso da lei, così dipendente, che la giovane si rese conto di volerne ancora. Ma il rischio di ammalarsi era alto, così esposti.
E in quel giaccone, poi, si stava molto bene. Si scambiarono un bacio pigro, da coppia sposata, perché questo si consideravano.
Sposati.
Non c'era bisogno di una fede a dimostrarlo. -Ti amo- disse lui, e le afferrò una ciocca, per farle il solletico sulle labbra.
Lei rise e spinse via la sua mano grande e macchiata di inchiostro.
Poi si voltò in direzione del sole, che si era spostato dal centro del cielo per calare lentamente verso i tetti dei condomini che si intravedevano in lontananza.
E fu così che vide un ragazzo piuttosto tozzo avanzare verso di loro, con i capelli raccolti in una sbadata coda corvina. -Lys? Mi sa che sta cercando te.
Lysander non le rispose, perché se n'era già accorto da solo. Le consegnò il taccuino e le chiese di alzarsi. Poi si sollevò pure lui, e si pulì il retro del pantalone con pacche decise. Alice li guardò con occhio critico, e capì che dovevano essere stati amici, un tempo. Diceva "un tempo", perché si stavano fissando con un certo distacco.
E un certo dolore.
Forse avevano litigato? Si fece da parte, ma Lysander le passò un braccio intorno alle spalle prima che potesse andarsene e lasciarli parlare. -non sei di troppo, Alice. Tranquilla.
-Chi è?
-Si chiama Castiel. Un vecchio amico.
Castiel si avvicinò, e solo in quel momento parve accorgersi di Alice. E del modo in cui la stava tenendo Lysander. -Dobbiamo parlare.- disse, e si cacciò le mani nella tasca del giubbotto bordeaux.
Lys era piuttosto stupito di trovarselo lì a quell'ora del pomeriggio, nel luogo che li aveva visti più volte insieme e che sembrava aver bruciato ogni possibilità di ritorno da parte del corvino. Lo guardò a iridi sgranate, e il senso di colpa gli attraversò la gola all'improvviso. No, non si era dimenticato di lui.
Ricordava Debrah sul suo corpo come se fosse accaduto ieri, maledizione. -Certo.
Castiel posò gli occhi su Alice, scettico. -E' la tua nuova signora? Sei passato da Debrah a...
Lysander lo prese per le spalle con una cattiveria che non era da lui, e lo condusse lontano dalle orecchie e dalla vista di Alice, dicendole di aspettarlo sotto la quercia. Non voleva che lei sentisse simili castronerie, bugie da parte di un idiota, perché questo Cass era diventato.
Un perfetto cretino.
Quella prostituta lo aveva rovinato. Perché sì, era vero, gli era completamente salita addosso, ma Lysander non l'aveva sfiorata, tranne che per cercare di levarsela dolcemente da sopra il corpo. Il fatto che Castiel avesse preferito credere a lei, piuttosto che al suo migliore amico di sempre, significava solo una cosa.
Che era stupido. Stupido e innamorato di un amore a senso unico, che lo avrebbe fatto soffrire. -Osa ancora dire una cosa del genere davanti alla mia donna e non sarò così gentile, la prossima volta.
Castiel si morse il labbro inferiore e aggrottò i sopraccigli su cui la cicatrice di un coltello gli aveva mangiato tre quarti di peluria. Durante una rissa aveva quasi rischiato di rimanere cieco. Sempre per Debrah. Quella ragazza non meritava Castiel, ma questo il corvino ancora non sembrava averlo compreso.
-Tra me e Debrah non c'era niente, non c'è mai stato niente. Non credevo di piacerle, non mi aveva nemmeno visto ancora. Castiel, ti ho già chiesto scusa.
-Lo so.
-E allora che ci fai qui? A parlare di Debrah davanti a lei, vuoi farmi passare per un uomo che non sono? Cosa ti rode, questa volta?
-Scusami Lys, sai che non sono bravo a parole. Mi rode me stesso.
-Che ci fai qui Castiel.
Castiel gli diede di spalle e tossì rumorosamente. Poi chiese scusa, incapace di guardare in faccia l'amico. -Perdonami Lysander. Per averti accusato di tradimento, ed averti calpestato senza pensare che... forse in questo momento hai più difficoltà di me.
Lysander sapeva che il corvino a chiedere scusa era pessimo. Ma apprezzò lo sforzo di sincerità, di onestà. Apprezzò il fatto che fosse venuto a cercarlo proprio in quel posto, sapendo di trovarlo – con una donna, quella era una novità –. Significava che era stato attento ai dettagli, alla loro amicizia.
Che a volte parlava troppo, o troppo poco, ma ci teneva al legame che avevano costruito insieme.
-Scusami.
-Sei perdonato.
Castiel mise su un mezzo broncio di gratitudine. -è... è finita con Debrah, comunque.
Lysander gli posò una mano sulla spalla. -credimi, è la miglior cosa.
-Avrò modo di rifarmi. Spero. Per adesso voglio dedicarmi a fare l'emarginato con te. E- il corvino puntò gli occhi sulla giovane ragazza castana che si era seduta sotto la quercia, a strappare l'erba in attesa che il suo cavaliere tornasse. Quindi sorrise, in un modo che a Lysander era mancato, e sapeva che sarebbe stato difficile tirare di nuovo fuori con la stessa semplicità di prima.
-e con lei, con voi. Se non disturbo.
-Figurati. Devo aggiornarti su un paio di cosette.
-Direi, tu che dici?

 

-Fa la brava.
-Certo, di che hai paura.
Alice e Lysander si stamparono un lungo bacio appassionato, poi la mano della ragazza sgusciò via dalla tasca della gonna ampia per poterlo salutare nella tipica freddezza pre-matrimoniale, al fine di illudere certi occhi di sua conoscenza che stavano spiando dalla finestra.
Lys le sorrise e fece retromarcia per uscire dallo spiazzo dinanzi all'abitazione, e di lui fu ricordo, mentre la mente della giovane già lo smaterializzava per ricomporre le sembianze del signor Canon. Bussò infreddolita dal vento serale, e la madre la accolse con un sorriso poco elegante. -Cara, non ti aspettavo per quest'ora!
Bugiarda.
-Entra!
L'aiutò a levarsi lo scialle e le carezzò i capelli ancora spettinati a causa delle carezze un po' selvagge di un Lysander in preda al piacere più folle. -com'è andata col signor Canon?
-Benissimo, è gentilissimo. Mi ha portato a vedere un po' di monumenti qui in città.- Alice rincarò la dose, tanto per far illudere la madre che la nuova situazione le stesse cominciando a passare per la laringe. -mi ha anche offerto dei canditi. E' davvero un brav'uomo.
-Alice, sono sinceramente contenta di vederti felice! Se te lo lavori, forse c'è il caso che tu riesca a farti la tua vita in America. Solo, con lui.
All'improvviso, l'impellente bisogno di rivelare la sua storia con Lysander premette sulla bocca, come un martello. Non sapeva perché, ma il solo sentir parlare di America le ricordò lui, la conversazione avuta a letto, la rinuncia di quel sogno che iniziava a sembrarle già un po' consunto di banalità.

Prese quella frase come avvertimento.
Se America significava il suo uomo, allora sarebbe rimasta con Canon.

Solo così, sarebbe riuscita a farsi una vita con Lysander.

 

Il caso volle che quella sera la camera della porta di Leigh fosse leggermente socchiusa. Lysander ci pensò bene prima di entrare, perché non aveva dimenticato il dolore di Rosalya, la segretezza con cui si stava trattando quella morte. Ma il fatto era che suo fratello gli mancava, così osò entrare. Si trovò la chioma di Rosalya immersa nel buio più cupo, in procinto di pregare sul corpo smagrito del fratello. Una ciotola di erbe rimaste a seccare sostava sopra il comodino, in attesa di una bocca che non avrebbe mai più visto, o sentito. Lysander sentì la bile scuotergli la lingua. Si avvicinò con cautela, quando Rosa e Leigh voltarono il capo in sua direzione, come due volpi scoperte a rubare.
Il giovane non riuscì a prestare attenzione alla rabbia della donna, che le attraversò gli occhi facendoglieli brillare nella semi oscurità della stanza.
Fu letteralmente catturato dall'espressione di Leigh. Bastò a fargli perdere ogni nota di buonumore. Il viso che un tempo era stato pieno sembrava essersi infossato su se stesso. Gli occhi neri erano circondati da pesanti occhiaie, le mani erano impallidite, facendo emergere da sotto la pelle pesanti vene blu.
Non sapeva cosa dire. Rimase impalato dinanzi alla porta, trafitto da un dolore talmente forte da cavargli il respiro. Non poteva credere che la figura scarna e ossuta coperta appena da un lenzuolo fosse la stessa del Leigh coraggioso di qualche settimana prima. Quello che gli aveva tirato uno schiaffo per farlo andare via, quello che aveva gestito un'azienda intera per anni, sulle leggi del rispetto reciproco e la dedizione al duro lavoro. L'uomo che aveva denunciato gli aggressori di Alice, che aveva tirato su quella famiglia con le sue stesse mani.
Rosalya lo fece emergere dal dolore, gridando il suo nome. Forse era stato un bene tenere nascosto Leigh.
Lysander si rese conto di non saper reggere quella visione.
Voleva uscire. E lo avrebbe volentieri fatto, le lacrime che pulsavano sugli occhi, perché era davvero troppo. Suo fratello, ridotto così per colpa di una malattia ancora incognita, era troppo. Ma fu proprio Leigh a fermarlo. Chiamò il suo nome, sussurrandolo flebile tra le labbra secche. Lysander lo captò benissimo.
Si voltò, e persino Rosa tacque, arrabbiata e terribilmente scossa.
-Leigh?
Leigh sollevò una mano magra e lo invitò ad avvicinarglisi. -Vieni qui Lys...
Rosalya si mise sulla difensiva. -No, Lysander, scordatelo. Vattene via.
-Rosalya, non puoi impedirmi di vedere mio fratello.
-Fa già abbastanza male così, Lysander!
Il corvino si tirò su, come un cadavere rianimato da un'energia improvvisa. -Rosalya, ti prego... per una volta, nella tua vita... fatti... da... parte...
Rosalya parve ferita da quelle parole. Fulminò Leigh con lo sguardo, raccolse la ciotola, accese con rabbia la lampadina e diede una spallata a Lysander, prima di sbattere la porta e levare i tacchi. Leigh si riaccasciò sul cuscino sudato. Per un po' a parlare tra i due fratelli fu solo il morbo che presto li avrebbe divisi. Poi il corvino voltò il capo verso il minore, e un timido sorriso di scuse gli increspò il volto fossilizzato in un'eterna paralisi di sonnolenza. -Lys, perdonala. Sta soffrendo...
-Leigh, non farti questo tipo di problemi, adesso.
-Ti chiedo solo di starle vicino quando... quando...
-Non dirlo, Leigh.- Lysander si avvicinò e gli passò una mano tra i capelli, dolcemente. La fronte del fratello era sporca di viola. Gli fece orrore quella visione, se avesse potuto prendersi la malattia, liberarlo da quel tormento, lo avrebbe fatto all'istante.  -non stai morendo.
-Sì, Lysander, sì.- Leigh tornò a fissare il soffitto buio. Respirava piano, il petto nascosto sotto una camicia dallo scollo a v stiracchiata pigramente sulle costole appuntite che graffiavano il lenzuolo. -Oggi, domani, dopodomani. Devi essere pronto.
Ancora una volta cadde il silenzio, ma Lysander non rimase zitto. Non avrebbe bruciato un solo minuto con Leigh. Voleva lasciarlo andare felice, soddisfatto. Voleva sforzarsi di non piangere, per lui. 
Alice gli aveva insegnato che il tempo ha un prezzo ed un valore incancellabili. Bisogna stare attenti a come lo si usa. La posta in gioco è sempre troppo alta, anche per coloro a cui piace sfidare il limite dell'impossibile.
Bene, ora in gioco c'era la felicità del fratello. E lui non lo vedeva in pace da un tempo immemorabile. -Non preoccuparti per Rosa. La porterò a fare pic nic insieme ai miei nipoti, la costringerò a leggere almeno Jane Austen, che è femmina come lei, così non si sentirà discriminata.
-Sai che odia leggere.
-Non importa. Altrimenti chi le leggerà le storie ai bambini? Non ho mica una voce bella come la tua, Leigh. Rischio di annoiarli.
A Leigh brillarono gli occhi. -Trattali bene, Lys. Sono un po' casinisti, ma sono bravi bambini.
-Lo so, Leigh. Sarò anche più dolce di te.- rispose Lysander, e lo accarezzò ancora, sorridendo soave. Poi gli strinse una mano fredda, con un amore che superava ogni barriera. Si sarebbe preso cura della sua famiglia. Anche Alice avrebbe dato una mano. Si sarebbero adoperati tutti insieme per la felicità. E non ci sarebbero stati più cieli grigi, più morte e disperazione. Non a casa Ainsworth. -Ti faccio una promessa, Leigh.
-Lys... ti prego, hai già fatto tanto per...
-Non ci saranno più lacrime.- si chinò in ginocchio, e si portò la sua mano alle labbra per riscaldarla col fiato caldo e pieno di un'insana gioia. Proveniva dal cuore. Si chiamava forza. E in quel momento, Leigh ne aveva proprio bisogno. Anche per morire serve la forza. -niente più cose tristi. Vivranno benissimo, io starò benissimo. Porteremo il sole sulle strade di Liverpool. Quando mi sposerò con Rosalya, voglio usare le vostre fedi. La voglio vedere con lo stesso vestito con cui è diventata tua, Leigh.- lo baciò sulle nocche, e sentì qualcosa smuoversi nel cuore del fratello, che non smetteva di fissarlo pieno di doloroso orgoglio. -impedirò a chiunque di turbarci ancora. Perché tu possa andartene in pace, sapendo di aver fatto la scelta giusta. ... Leigh. Ti voglio un bene dell'anima. Questo, non dimenticarlo mai.
Leigh scoppiò a piangere come un bambino, anche se non era un comportamento da capo famiglia, anche se non si era mai visto un Ainsworth collassare in modo tanto vistoso e debole. Ma non nascose il suo dolore, la sua paura di morire, la sua disperazione nel lasciare al fratellino tutto il peso di quella vita dolorosa quanto un pugno in faccia. Allungò una mano e lo accarezzò sulla guancia forte. Avrebbe voluto proteggerlo da tutto. Ma era arrivato al punto di fine, e sentirsi dire così gli cavò una gigantesca pietra dal cuore già troppo flebile. -Lysander...- tirò su dal naso, e sorrise storto, deviando la traiettoria delle lacrime sulle lievi fossette che si formarono ai lati delle guance cadaveriche. -ti voglio bene, Lys.



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nda

vi era mancato Castiel? :D dai, ammettetelo che un po' si sentiva la sua mancanza in questa storia. (?)
Siccome questo è il penultimo capitolo, ho cercato di risolvere un po' di situazioni; prima tra tutte, la litigata tra Cass e Lys per Debrah, o meglio, A CAUSA, di Debrah. Scusate se ho fatto passare di mezzo tante altre questioni, però comprendete bene che Lysander ha altre cose per la testa. CEH, PARLIAMO DI LEIGH-- no scherzo, anche in questo capitolo ho sottolineato abbastanza la situazione di casa Ainsworth.
Qualcuno di voi ha capito perché "Afterlife"?
Piccolo annuncio e poi vado: oggi dovrò dare il pc in manutenzione. Il che vuol dire che l'ultimo capitolo, ovvero il 12, verrà postato quando il mio computer sarà di nuovo sulla mia scrivania. Chiedo scusa per il disguido, ma il pad non funziona più e siccome presto dovrò preparare la tesi per l'esame di quinta, mi fa ansia tenere un computer mezzo bloccato, non sia mai che in futuro perda ancora qualche pezzo D: abbiate pazienza!

Bacii
Lila
   
 
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