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Autore: pattydcm    09/12/2018    2 recensioni
“Quelle quattro scatole accuratamente nascoste sotto un mobile fanno da tomba al cuore di un uomo brillante e geniale. John le rimette al loro posto pensando a quanto gli sarebbe piaciuto scoprire una scatola che contenesse le prove del suo amore per lui”. Scopre, invece, che Sherlock ha collaborato con un team di giornalisti investigativi madrileni. Questi rivelano a John la verità sul ‘suicidio’ di Sherlock e lo invitano ad unirsi a loro per salvare il consulente investigativo dal pericolo nel quale si è cacciato. Verranno a galla verità sul passato di Sherlock, sui piani di Moriarty e sul rapporto tra i fratelli Holmes. Questa avventura vedrà crescere e consolidarsi il rapporto tra il dottore e il consulente investigativo, intenzionati a percorrere insieme il cammino che li porterà fino alla verità, sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Buongiorno e buon weekend di festa a tutti voi!
 
Ragazzi, il prossimo sarà l’ultimo capitolo. Domenica prossima si concluderà questa lunghissima avventura e io sono emozionata e allo stesso tempo dispiaciuta, come ogni volta che qualcosa di bello volge al termine.
Ai saluti e ai ringraziamenti, però, ci pensiamo la prossima volta. Oggi vi presento il penultimo capitolo che spero possa essere di vostro gradimento.
 
A presto
 
Patty
 
Capitolo 35
 
E amore mio grande, amore che mi credi,
vinceremo contro tutti e resteremo in piedi.
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai.
Ti difenderò da tutto, non temere mai![1]
 
Con un movimento fluido, James si porta sulla ringhiera, abbastanza larga da permettergli di stare su senza problemi. Proprio come lo era il cornicione del tetto del Bart’s. Solo che le parti erano invertite lassù. C’era Sherlock a un passo dal precipizio con Moriarty, il Napoleone del crimine, alle sue spalle. L’uno titubante sul saltare o meno, l’altro a incoraggiarlo.
James si volta verso di lui. Sono spaventati i suoi occhi. Gli ci vorrebbe così poco per cambiare idea. Tendergli la mano e dirgli ‘Ok, era uno scherzo. Scendi da lì, spero tu abbia imparato la lezione’.
<< Ancora un passo e ci siamo quasi >> gli dice, invece, ed è un sorriso quello che sente nascere sulle labbra.
Questa parte del piano non gli era del tutto chiara. Fino all’ultimo, Sherlock è rimasto sospeso tra il desiderio di fare a pezzi James con le sue mani e la scelta più sensata di consegnarlo alle autorità competenti, affinchè subisse un regolare processo che lo avrebbe visto accusato, questa volta, di essere colpevole di innumerevoli capi di imputazione. Jim avrebbe trascorso in carcere il resto dei suoi giorni. Come gli ha appena detto, però, quella non sarebbe stata una fine degna di lui. Non perché avrebbe subìto una prigionia lunga e squallida, ma perché sa bene, Sherlock, come sarebbe stato facile per un folle come il Napoleone del crimine continuare a dettar legge persino dalla galera. L’unica soluzione logica, quindi, sembra proprio essere quella di porre fine alla vita di Moriarty.
<< James è un ragazzo instabile che ha sofferto tanto, ma non devi fare mai eccezioni! Un’eccezione contraddice la regola. Ciò che Jim ha vissuto non giustifica le sue scelte e la sua condotta, ovviamente, e non deve farti desistere dal distruggerlo >>.
Persino sua madre lo ha incoraggiato in questo senso. Allora… perché adesso sente di non volere che accada?
<< Non avrai più un avversario degno come lo sono stato io, fratellino. Ti mancherò, lo so >>.
Gli dice con quell’aria da bambino saccente ed egocentrico. Perché, infondo, non è altro che questi, James. Un bambino che ha sofferto troppo. Proprio come Sherlock.
<< Mi mancherai, sì >> ribatte, rendendosi conto che è vero quel che gli dice. Sono stati avversari, grandi avversari. Lo sono da molto più di quanto lui non sappia. La cosa assurda è che non hanno creato loro gli estremi di questo conflitto, che è stato architettato ad hoc da altre persone.
“Saremmo stati davvero una bella famiglia” pensa e le lacrime prendono il sopravvento dinanzi alla consapevolezza di quanto è stato tolto a entrambi.
James si volta e con la teatralità che lo contraddistingue si prepara a compiere il salto.
“No… aspetta!” vorrebbe dirgli, ma non riesce a muoversi, non riesce a parlare. Può solo osservare le sue braccia ondeggiare in aria, il pugno levarsi verso il cielo e poi le ginocchia piegarsi a spiccare il balzo.
<< No! >>.
Solo quando Moriarty è ormai oltre la ringhiera Sherlock riesce a muoversi. Incespica sui suoi stessi piedi, cadendo contro la balconata. C’è solo il ruggito delle acque sotto di lui. Quei flutti fragorosi che si gettano nell’abisso nero.
<< Oh, no. No! >> ripete tremando da capo a piedi.
 
“Come si sta da questa parte della barricata?”.
 
Sherlock resta senza fiato. Quella voce chiara e forte alle sue spalle gli fa temere di voltarsi.
 
“Hai appena ucciso un uomo, William”.
 
Quell’ovvietà gli afferra i visceri e li strizza con forza. Conati di vomito salgono a soffocarlo. Rigetta quanto ha dovuto dire, quanto è stato costretto a fare.
 
“Hai abusato della mente instabile di un povero pazzo”.
 
<< No! >> grida portando le mani alla testa. << E’ stato necessario. Non c’era altro modo >>.
Una risata si leva alle sue spalle. Cinica, spietata, accompagna la sua disperazione. Sherlock si volta piano, spaventato e tremante, e lo vede lì, fermo a pochi metri da lui. Vestito del suo impeccabile doppiopetto, i capelli perfettamente impomatati e il portamento austero, severo.
 
“Troppo a fondo, William. Troppo a fondo” gli dice scuotendo il capo divertito.
 
<< Che cosa sei? >> gli domanda incredulo.
 
“Lo sai cosa sono. Sir Siger Holmes, l’uomo del quale hai avuto l’onore di portare il nome”.
 
<< Siger Holmes è morto! >> grida rimettendosi in piedi, aggrappato alla ringhiera. L’uomo ride di gusto scuotendo il capo in modo solenne.
 
“Non nella tua mente. Non sarò mai morto lì” dice soddisfatto.
 
<< Cosa vuoi dire con questo? >>.
 
 “Chi pensi che abbia deciso la mia presenza qui adesso?
Di certo non io. Preferirei stare ovunque tranne che nella tua mente”.
 
<< Sono stato io? >> si domanda incredulo. << No, non posso essere io a tenerti in vita! Non dopo quello che hai fatto a mia sorella! >>. L’uomo ride ancora più forte sminuendo le sue parole. << Io ti ho sempre voluto morto e ho gioito quando Mycroft mi ha detto che un infarto ci aveva liberati della tua presenza! >> dice scostandosi dalla ringhiera contro la quale era addossato.
 
“Sei tu che hai definito il tuo cervello un disco rigido.
In questo disco io sono uno dei programmi principali,
quelli grazie ai quali tutto il sistema resta in piedi.
Uno di quelli che se disinstallati causano la fine dell’intero sistema.
Questa è la fine, per noi due.
Sempre qui.
Sempre insieme”
 
<< No! Io non ti voglio! Vai via da qui! Vai via da me! >> grida lanciandosi contro di lui. All’uomo che dice di essere suo padre basta una mano per spingerlo via. Continua a deriderlo per il suo continuare a cadere, rialzarsi e tentare di colpirlo.
 
“Credi di essere forte, William? Non per me!”.
 
Grida gettandolo contro la ringhiera. Sherlock tenta di difendersi, ma il timore che prova nei confronti di quest’uomo e il senso di impotenza che gli genera sono tali da bloccarlo.
 
“Io sono la tua debolezza”.
 
Sottolinea Siger Holmes, colpendolo con un pugno proprio sulla cicatrice ancora fresca del colpo che lo ha quasi ucciso.
 
“Io ti tengo a terra ogni volta che cadi”.
 
Insiste colpendolo ancora nello stesso punto.
 
“Ogni volta che fallisci. Quando sei debole, io sono qui!”.
 
 Continua, sferzando l’ennesimo colpo talmente forte da farlo sporgere pericolosamente oltre la balconata. Sherlock, spaventato dalla possibilità di cadere nel vuoto, tenta di allontanarsi dalla ringhiera.
 
“No, non cercare di lottare”.
 
Gli sussurra il padre, afferrandolo per il collo.
 
“Resta così e perdi”.
 
Ride, spingendolo oltre, al punto che Sherlock sente il terreno mancargli sotto i piedi.
 
“Vuoi che cadiamo insieme? Deve essere insieme, non è così?”.
 
Gli domanda sporgendosi a sua volta a guardare l’abisso sotto di loro.
 
“Alla fine siamo tu ed io, sempre!”.
 
<< No! >> grida Sherlock, sentendo di scivolare giù vinto dal suo peso. La risata di lui, cinica e spietata, gli rimbomba nelle orecchie. Aveva detto a James che non avrebbe mai voluto morire insieme a lui. Anche l’idea di soccombere a causa delle parole svalutanti e crudeli di suo padre non gli piace per nulla. Eppure la fine sembra essere arrivata.
Il peso di suo padre lo trascina giù verso l’abisso. Sente la pietra fredda della ringhiera scivolargli sotto la schiena. Tenta con la mano di trovare un appiglio, ma è talmente umida la superficie da poterla solo accarezzare.
“E’ finita!” pensa ed è il sorriso di John quello che vede davanti agli occhi della sua mente.
 
<< Sherlock! >>.
 
Gli sembra quasi di sentirlo gridare il suo nome, come quel triste giorno, poco prima del suo salto dal tetto del Bart’s. Il giorno in cui ha avuto inizio l’ultimo capitolo della sua storia.
Una mano forte gli afferra il polso sinistro. Sherlock volge lo sguardo verso l’alto e l’unica cosa che riesce a vedere è una sagoma nera.
<< Ti tengo! Dammi l’altra mano, forza! >>.
<< John! >> grida felice.
 
“No, lascialo! E’ così che deve finire. Io e te, per sempre insieme nelle acque profonde”.
 
Il padre lo strattona per il braccio destro e John fa fatica a tenerlo.
<< Lasciami andare o cadrai con me >> grida tra le lacrime.
<< Non dire idiozie! Porta su l’altra mano. Torna da me, Sherlock! >> lo implora John.
 
“Non ti libererai mai di me, William!”.
 
Volge lo sguardo a suo padre che con occhi folli lo guarda intenzionato ad ucciderlo.
<< Il mio nome è Sherlock! >> grida, assestandogli un calcio nello stomaco. << E ora ti mostro come mi libero di te! >>.
Gli da un altro calcio, ignorando John che lo implora di non agitarsi e di porgergli l’altra mano.
Finalmente Sherlock riesce a togliersi suo padre di dosso. Lo vede precipitare giù nell’abisso, gridando il nome che non gli appartiene.
<< Ce l’ho fatta, John! Mi sono liberato di lui! >>.
<< Ne sono felicissimo, ma ora dammi la mano. Ti prego, Sherlock, non ce la faccio più! >>.
Libero dalla stretta di suo padre, Sherlock porta la mano destra verso l’alto, permettendo a John di afferrarlo meglio e trascinarlo sulla parte sicura della terrazza. Scivolano a terra l’uno sull’altro.
<< Mai più! Non farmi mai più uno scherzo simile, intesi? >> gli ordina John ansante e stremato.
Il trucco, sicura opera di Mistica, si è in parte sciolto a causa dell’umidità della cascata e il parte staccato per lo sforzo. Sherlock gli passa le mani sul volto per liberarlo del tutto. Ride allegro quando rivede il viso bello che ama più di ogni altra cosa. Bacia le labbra del suo dottore più volte pronunciando il suo nome ad ogni bacio. Sente John ridere della sua euforia e a sua volta rispondere ai suoi baci, finche questi non si fondono in un unico bacio lento, disperato.
Un rumore diverso dal fragore della cascata li interrompe. Fasci di luce artificiale li avvolgono accecandoli. Un elicottero sta per atterrare nella piccola pista privata dell’hotel. Più si avvicina, più si rendono conto che si tratta di un elisoccorso chiamato evidentemente per soccorrere qualcuno.
<< Mycroft! >> esclama Sherlock. Scocca un’occhiata a John, che, però, non sembra saperne nulla. Si alzano su gambe instabili e piano tornano alla veranda sorreggendosi l’un l’altro. Quando il loro senso dell’equilibrio fa pace con la forza di gravità accelerano il passo fino a correre a perdifiato verso la sala congressi.
 
***
 
La sala d’attesa della clinica privata di Willigen, località vicina a Meiringen, dove l’elisoccorso ha portato Mycroft, è asettica, luminosa e lussuosissima. Molto diversa da qualunque altro luogo simile nel quale John si sia ritrovato. Siede, insieme agli altri, su una delle comodissime poltrone poste in ordine sparso nella stanza, quasi a dare più l’idea di essere in una sala da the che in quella nella quale parenti addolorati e nervosi attendono l’esito di un’operazione delicata.
Sherlock ha camminato avanti e indietro per molto tempo prima che riuscisse a convincerlo a sedersi. Ora sonnecchia appoggiato alla sua spalla, vinto dalla stanchezza. È esploso in tutta la sua disperazione quando ha visto il fratello legato alla barella pronto per essere portato via. Con un’energia, che, a vederlo adesso, è facile chiedersi da dove l’abbia tirata fuori, ha fatto di tutto per avvicinarsi a lui. John, Fox e Grey hanno fatto i salti mortali per impedirgli di scatenare la sua furia sui paramedici, che stavano agendo nel modo più rapido data la situazione delicata. Alla fine, tale è stato lo sforzo e lo shock da farlo svenire, cosa che ha portato i paramedici a caricare anche lui sull’elisoccorso, spaventati dalla possibilità che potesse essere stato colto da un infarto. Non bisognava avere l’occhio clinico di uno specialista per rendersi conto di quanto le sue condizioni non fossero delle migliori e un infarto, in un corpo così provato e colto da una tale furia, sarebbe stato più che plausibile. Ovviamente agli occhi di chi non sa con chi sta avendo a che fare.
John e i giornalisti hanno lasciato che Sherlock portasse avanti la sua recita. Il dottore ha fatto persino valere il suo titolo trovando, sebbene a denti stretti, un posto anche per lui sul velivolo. Una volta giunti in ospedale, come per magia, Sherlock si è ripreso e non ne ha voluto assolutamente sapere di essere confinato in una stanza, né di essere addormentato da uno dei calmanti che gli infermieri gli avrebbero sparato in vena molto volentieri. John si è trovato a doverli convincere ad affidarlo alle sue cure e loro hanno accettato, facendo firmare al consulente un foglio che li sollevava da qualunque responsabilità.
<< Lei che si prende la responsabilità è parente? >> gli ha chiesto l’infermiera con un inglese incerto.
<< Sono il compagno >> si è trovato a rispondere John per la prima volta. È stato strano. Piacevole, sebbene la situazione non fosse delle più rosee. E ancor più piacevole è stato vedere l’infermiera non fare una piega e indicargli il quadratino con la dicitura vicina alla quale doveva apporre una firma.
‘Gatte’ diceva questo punto. Ha controllato solo quando si è seduto il significato di questa parola. Il cuore ha mancato un colpo quando sul traduttore è comparsa la parola ‘coniuge’.
“Non è propriamente così” ha subito pensato il suo lato pignolo e precisino. ‘Convivente’ sarebbe stato più corretto oppure semplicemente ‘compagno’ o ‘partner’. Eppure si è ritrovato a sorridere allo schermo del cellulare come un idiota, mentre il suo uomo misurava a passi grandi e veloci la sala d’attesa avanti e indietro.
Posa un bacio tra i ricci arruffati più del solito di Sherlock, ora, e sorride nuovamente. L’idea che questa clinica lussuosa conserverà per un po’ di tempo un documento firmato dal suo uomo e controfirmato da lui in qualità di ‘coniuge’ gli fa provare una strana sensazione di ilarità, sorpresa e incredulità.
“Ne rideremo davanti ad una birra, insieme a Mycroft, Anthea e gli altri, quando tutto questo sarà finito” pensa affondando le dita nei capelli di Sherlock resi crespi dalla disidratazione generale nella quale verte. Qualche filo grigio che prima non aveva è comparso qua e là. Appena li scoprirà, John è sicuro che il suo uomo andrà in crisi. Gli ultimi pochi giorni trascorsi in quell’hotel non hanno avuto solo l’effetto di ingrigire qualche capello. È ulteriormente dimagrito, come se la presenza di Moriarty lo avesse prosciugato. Sotto la coperta che lo avvolge, e che ha dovuto lottare per convincerlo a tenere sulle spalle, indossa ancora l’abito elegante, sicuro regalo di lui. Non gli va che il corpo del suo uomo sia coperto da qualcosa che sia stato anche solo pensato da quel demonio.
Il pensiero di James riporta John a quella terrazza e insieme al brivido che gli percorre la schiena si fa vivo il dolore alle braccia e alla schiena. Si è procurato sicuramente una buona serie di strappi muscolari nel tentativo di portarlo in salvo. Non è stato, quello di Sherlock, il primo caso di allucinazione post traumatica che ha incontrato. Si potrebbe dire siano gli imprevisti del mestiere di un medico militare abituato agli ospedali da campo e all’agire in prima linea. Il suo compagno era in uno stato alterato di coscienza, del tutto convinto di stare lottando contro il padre e di essersi finalmente liberato della sua velenosa presenza.
“Come mi auguro tu ti sia prima liberato di quella altrettanto scomoda di Moriarty” pensa stringendogli la mano che lui gli ha afferrato prima di sprofondare nel sonno. È stato così impegnato, John, prima a portarlo in salvo e poi a tentare di evitare che si gettasse sul fratello svenuto, da dimenticarsi del tutto di James e di dove fosse finito. “Ci sarà il tempo per porti tutte le domande del caso. Per il momento, posso solo sperare di poter dire che finalmente è tutto finito” sospira ed un’ondata di piacevole sollievo lo investe a questa prospettiva.
<< Mycroft è stato ferito >>.
Il ricordo della notizia data loro da Fox appena giunti alla sala congressi interrompe il suo idillio.
<< Che cosa? >> ha ribattuto Sherlock, incredulo, divenendo esangue.
<< Non ce ne siamo resi conto e lui è stato su fino alla fine senza darlo a vedere, maledizione >>.
<< E’ grave? >> gli ha chiesto lui, volgendo lo sguardo a Sherlock rimasto del tutto senza parole.
<< Parecchio >> ha sospirato il ragazzo ed è stato lì che Sherlock ha perso ogni controllo. Se uno come Fox, abituato a riconoscere la verità guardando anche solo per un istante il volto di uno sconosciuto, dice che la situazione non è solo grave ma anche parecchio grave, allora non può essere che così.
“Cazzo, Myc, non puoi farci questo, non adesso che tutto è finito!” sospira John muovendo la mano tra i ricci inariditi del suo uomo. “Dormi amore. Spero tu possa avere buone notizie quando ti sveglierai”.
Mycroft è stato operato d’urgenza e loro sono lì da quasi tre ore nell’attesa che qualcuno torni da loro a dare nuove notizie sulle sue condizioni.
<< La pallottola è entrata sotto la clavicola sinistra, ha bucato il polmone ed è uscita sbrecciando la scapola >> ha detto loro uno degli specializzandi mandato apposta per informarli su quanto accaduto.
<< E noi non ci siamo resi conto di nulla! >> non ha fatto altro che ripetere Greg, muovendosi avanti e indietro per la sala d’attesa insieme a Sherlock. << Non ha fatto una piega e io l’ho pure afferrato per le spalle in malo modo. Il suo respiro era solo un po’ affannato >>.
E’ toccato all’ex detective l’ingrato compito di dare la notizia ad Anthea, che continua a scrivergli e a chiamarlo per avere aggiornamenti, anche se le ha detto che per il momento non ne hanno. John lo vede adesso guardare il telefono al quale ha ricevuto un nuovo messaggio e scuotere il capo sospirando prima di rispondere con le stesse identiche parole.
John sa perché Mycroft ha taciuto sulle sue condizioni. Lo sa e non può fare a meno di ringraziarlo per questo. Se avesse manifestato apertamente di essere stato colpito lui lo avrebbe soccorso lasciando suo fratello al suo destino. John non sarebbe mai riuscito ad arrivare in tempo per afferrare la mano di Sherlock e ora il suo corpo sarebbe perso tra i flutti, sballottato dalla corrente tra una roccia e l’altra, privo di vita.
“Oddio, Myc. Alla fine hai trovato comunque il modo di sacrificarti per lui, maledetta prima donna” pensa asciugando subito una lacrima che sente nascere all’angolo dell’occhio. 
Lo specializzando di prima esce dalla sala operatoria. Sherlock si sveglia all’improvviso, come avesse oramai catalogato il suono dei passi del ragazzo e il suo cervello, che a quanto pare è sempre all’erta anche quando dorme profondamente, li abbia riconosciuti destandolo.
Il ragazzo rallenta il passo nel vedere tutti loro andargli incontro.
<< Come sta mio fratello? >> lo investe Sherlock, che tiene ancora stretta la mano di John nella sua.
<< L’operazione è andata bene >> dice il ragazzo abbozzando un sorriso. << Il primario sta dando disposizioni per la terapia intensiva. Mi ha mandato qui per rassicurarvi. La pallottola è stata estratta e per fortuna i danni, seppure ingenti, non sono stati pericolosi. Ha perso molto sangue. Tra poco potrete vederlo e parlare con il dottore >>.
Sebbene la spiegazione non fosse delle migliori, saperlo fuori pericolo basta già per permettere a tutti quanti di tirare un sospiro di sollievo. Sherlock si volta verso John con un sorriso incerto sulle labbra.
<< Ha detto che è salvo, ho capito bene? >> gli chiede incerto.
<< Sì, Sherlock. Ora anche Mycroft rientra nel club dei sopravvissuti a un colpo d’arma da fuoco >> dice facendolo ridere. Il suo uomo gli si avvicina stanco. Posa la fronte contro la sua spalla e gli cinge la vita con le braccia. Sebbene il dolore alla schiena e alle braccia si sia risvegliato, John lo sorregge, così pesantemente abbandonato contro di lui. Il corpo di Sherlock è scosso da singhiozzi dimessi e silenziosi. È più intima questa manifestazione di sollievo, questa tensione che finalmente può sciogliersi, trovando il sicuro sostegno e conforto delle sue braccia.
“E’ questo il mio posto” pensa John, che si rende appena conto di stare sorridendo. “Io e te, amore, contro il resto del mondo” aggiunge posandogli un bacio tra i capelli, mentre ravviva la sua stretta.
 
***
 
Yes, too much love will kill you,
it’ll make your life a lie.
Yes, too much love will kill you
and you won’t understand why.
You’d give your life, you’d sell your soul,
but here il comes again.
Too much love will kill you,
in the end.[2]
 
L’ascensore scende piano. Un fastidioso ronzare di cavi e pulegge ne accompagna la discesa. Mycroft è fermo e in piedi al centro esatto del cubo d’acciaio, lo sguardo fisso sulla fessura tra le due porte. Da lì vede i piani scorrere uno dopo l’altro. Con un contraccolpo giunge al piano designato.
Le porte si aprono su un corridoio asettico dalle pareti dipinte di bianco e grigio-azzurro. I suoi passi rimbombano sul linoleum chiaro. Supera la prima porta scorrevole e si ritrova nella sala d’attesa dell’obitorio. Infelice ossimoro questo. Cosa mai ci sarà da attendere in un luogo dove c’è solo morte?
Alla sua sinistra, da un’altra porta scorrevole si giunge alle celle, freddi loculi temporanei che ospitano corpi in attesa di giudizio. Si avvicina e la fotocellula fa spalancare le porte. Il freddo di questo luogo lo colpisce accapponandogli la pelle. C’è un catafalco spoglio al centro esatto della stanza. Un lenzuolo di cotone grezzo è diligentemente piegato ad un’estremità.
Mycroft tira un sospiro di sollievo. Temeva di ritrovare lì il corpicino senza vita di sua sorella o, peggio, quello di suo fratello.
<< Non è per quei due Holmes che è stato preparato quest’ultimo giaciglio >>.
La sua voce teatrale e canzonatoria. Quel retro suono di risate che vi è sempre presente, come se non prendesse mai nulla troppo sul serio.
<< Devo pensare, allora, sia qui per te, James >> ribatte Mycroft voltandosi verso di lui.
<< No, non avrò questo piacere >> dice facendo spallucce, senza togliere le mani dalle tasche. << Il mio corpo non verrà mai ritrovato. La mia tomba saranno i flutti burrascosi delle Reichenbach >>.
<< Degna fine dell’antagonista di un romanzo >>.
<< Ogni fiaba ha bisogno di un cattivo affascinante vecchio stile >> ridacchia lui avvicinandosi di un passo. Mycroft resiste all’impulso di arretrare a sua volta di uno. << Siamo giunti alla fine di questa storia. Il cattivo è stato ucciso e il principe azzurro ha salvato la sua bella. Ora è tempo di gioire e lasciare che l’amore trionfi. Ed è anche tempo di piangere coloro che sono morti >> dice e il suo sguardo si fa più intenso. Mycroft tossicchia, tende la schiena e alza il mento, gesti collaudati con i quali rincalza la sua armatura fatta di gelo.
<< È bello morire, Mycroft. Nessuno viene a seccarti >> constata James, inclinando la testa di lato. << Persino tu avrai qualcuno che piangerà la tua gloriosa dipartita. La tua bella segretaria piangerà, il buon detective piangerà, il dottore piangerà e Sherlock piangerà a secchiate. È lui che mi preoccupa di più >> annuisce serio fissando un punto lontano. << Lo stai abbandonando, Mycroft >> aggiunge puntando gli occhi su di lui.
<< Quel che dici non è corretto, James >> ribatte perentorio, cercando di non badare al peso che sente opprimergli il petto. << Mio fratello non è solo, adesso. C’è John con lui >>.
<< Il dottor John Hamish Watson >>.
Mycroft volge la testa alla sua destra, là dove ha sentito provenire quest’altra voce capace di raggelarlo. Dall’ombra, annunciata dalla risata divertita di James, sua sorella Sebastiana Moran fa il suo ingresso in scena. Un sorriso dolce le curva le labbra mentre avanza, fermandosi a un metro dal catafalco. Mycroft si rende conto di essere indietreggiato così tanto da ritrovarsi vicino a quel tetro giaciglio.
<< Tu sei davvero convinto che un uomo che ha avuto il coraggio di uccidermi sapendomi incinta di un figlio suo resterà al fianco del tuo amato fratellino? >> gli domanda ridendo di lui.
<< Ha fatto solo un favore a quella creatura, ponendo fine alla sua esistenza ancora prima che nascesse. Solo un folle accetterebbe di crescere un figlio con una come te >> ribatte, intimamente intimorito da questa donna.
<< Ti dirò io come andrà a finire, mio caro uomo di ghiaccio >> continua lei con la stessa risata svalutante del fratello nella voce. << Il nostro John si divertirà con tuo fratellino. Un uomo ormai maturo come lui non può che gioire della possibilità di avere per sé un ragazzino quasi del tutto privo di esperienza. Perché, come anche tu ben sai, nonostante abbia più di trent’anni è questo che è il nostro consulente >>.
<< Una timida verginella >> ride di gusto Moriarty, dandogli il voltastomaco.
<< Quando gli andrà a noia, aiutato anche dal suo carattere impossibile, lo lascerà per cercare qualcosa di più fresco, divertente e soprattutto semplice e il tuo fratellino non avrà nessuno. Resterà solo, indifeso. Respinto da tutti, perché reputato troppo strano. Accolto solo da chi è pronto ad approfittare di lui, delle sue fragilità, della sua bellezza. Cadrà preda delle droghe e questa volta ci morirà davvero con un ago in un braccio, su un cumulo di immondizie in un vicolo dimenticato da dio. Sarà questa la fine del grande Sherlock Holmes, unico consulente investigativo che ci sia al mondo. A cosa sarà servito tutto questo allora, sai dirmelo? La nostra morte? Il tuo sacrificio? Il lottare per permettere a questi due di stare insieme? L’amore non è eterno, Mycroft, e tu, benchè non lo abbia mai provato, lo sai, perché sei abbastanza intelligente da sapere che nulla è eterno e solo poche cose sono durevoli[3] >>.
<< Questa potrebbe essere una di quelle poche cose >> tenta Mycroft, facendo ridere di gusto i due fratelli.
<< L’unica cosa durevole di John Watson è la sua tendenza a saltare di fiore in fiore, mio caro Myc. Fiori maschi, fiori femmine… non è certo un problema per lui >> ride ancor più forte James.
<< Tale è la tua assoluta ignoranza in merito alle relazioni umane da credere che la storiella tra tuo fratello e il suo dottore possa essere seria al punto da durare per tutto il resto della loro stupida vita. È fantastico scoprire come, grattando un po’ la superficie di ghiaccio, si scopra tu abbia un cuore romantico, Mycroft >>.
<< Potrai anche avere ragione, Sebastiana, e la loro relazione potrà finire prima o poi, ma almeno sarà stata data loro la possibilità di viverla >>.
<< E a te quale possibilità è stata data? >> lo incalza lei.
<< Quella di averli aiutati a realizzarla >>.
<< E’ di poche pretese l’uomo più potente d’Inghilterra, sorellina >> lo canzona James. << Tutti i tuoi sforzi potrebbero essere stati vani e tu la prendi con filosofia. Andiamo, Myc non ci credi neppure tu >> ride lui e le ginocchia di Mycroft si piegano facendolo cadere seduto sul catafalco.
<< Te ne stai rendendo conto, non è così? >> insiste Moran. << Hai fatto di tutto per lui, hai persino commesso un omicidio per salvarlo >>.
<< E non un omicidio qualunque >>.
<< Lo rifarei ancora altre mille volte se fosse necessario >> ribatte lui che all’improvviso si ritrova senza fiato.
 
<< Myc!! Non è possibile! No! Mycroft! >>.
 
La voce di Sherlock, disperata, sovrasta tutto quanto. Gli sembra di vederlo. Sconvolto dal pianto. La mano protesa verso di lui. Il volto scavato, pallido, provato dalle troppe cose accadute in questi ultimi mesi.
“Sherlock. Allora mi vuoi bene, fratellino”.
Una lacrima solitaria nasce dalle sue ciglia. Percorre la guancia ben rasata e muore sulle sue labbra impercettibilmente curvate in un sorriso.
Tutto diventa buio.
Silenzio.
Neppure il battito del suo cuore o il ritmico espandersi e contrarsi del corpo causato dal respiro.
Solo una grande sensazione di pace. Il corpo è rilassato, pervaso da questa immensa beatitudine.
 
Io sono persa, oh, chi mi troverà?
in profondità sotto il vecchio faggio.
Aiutami a soccorrermi, ora soffiano i venti da est.
Sedici per sei, fratello, e andiamo giù!
 
La canzone composta per lui da Eurus entra piano piano a rompere il silenzio. Non è cantata, però, dalla voce argentina e allegra della sua sorellina. È più adulta, più dolce e solenne questa voce.
Avverte un movimento sulla sua fronte, tra i suoi capelli e un profumo. Sandalo e gelsomino.
<< Mamma? >> sussurra scuotendosi appena da quella dolce beatitudine.
<< Sono qui, Mycroft >> risponde lei con dolcezza. Mycroft apre appena gli occhi che sente pesanti. Non riesce a capire dove si trovi, ma sa di essere tra le sue braccia. Questo gli basta.
“E’ questo che si prova, allora?” pensa beandosi delle sue carezze.
<< Dove siamo? >> le chiede, nonostante, a conti fatti, non gli importi saperlo.
<< In momenti come questi, di solito, ci si ritrova in quello che è il luogo più bello per sé >>.
Mycroft apre gli occhi e si guarda attorno. È tutto bianco. Non c’è un sopra né un sotto. Non c’è nulla, se non questo non colore che li avvolge. Ricorda allora di quella volta in cui non era stato bene e Eurus aveva condotto sua madre da lui tenendola per mano. Lei si era accovacciata al suo fianco e lo aveva coccolato finchè non si era addormentato. Ha sempre conservato memoria del suo profumo buono, della morbidezza del seno sul quale la sua testa poggiava, del suo tocco leggero e piacevole.
<< Sì. E’ questo il luogo più bello per me >> concorda. << Perché siamo qui? >>.
<< Ho risposto ad una preghiera fatta per te da una persona che ti ama molto >>.
<< Anthea >> sussurra e il suo sorriso si rafforza.
<< Sì, lei >> conferma sorridendo a sua volta.
<< E perché pregava per me? >>.
<< Non voleva fossi da solo. Eurus se n’è andata e così sono venuta io qui ad accompagnarti >>.
<< Dove? >> le chiede tentando di guardare il suo volto, ma le palpebre sono così pesanti da aprire.
<< Non so dove >> risponde scuotendo il capo. << Non sono neppure sicura che andare sia il verbo giusto. Potrebbe essere anche tornare o forse sparire >>.
<< Sparire. Tante volte avrei voluto poterlo fare >> dice e con piacere scopre di non provare alcun dolore nel parlare di quei momenti. << Sono morto, mamma, non è così? >>.
<< Non proprio. Non ancora. Puoi ancora scegliere >>.
<< Davvero posso? >>.
<< Sì, figlio mio >> sorride lei .
<< Io… io voglio restare qui >> dice accomodandosi meglio tra le sue braccia, sentendo di essere piccolo come mai è stato.
<< In questo abbraccio? >>.
<< Sì. Ti ho avuta così poco. Ho pensato tante volte che tu non mi volessi bene >>
<< Mi dispiace tanto, Mycroft >> sussurra lei con un eco di pianto nella voce. << Non sono stata capace di dimostrartelo e mi son persa qualcosa di bellissimo. Ho voluto bene anche a te e sono orgogliosa dell’uomo che sei diventato. Non tanto per la tua carriera, quanto per il tuo amore per tuo fratello. Hai davvero fatto tutto per lui, anche arrivare ad uccidere >>.
<< Io non avrei mai voluto togliere la vita a mio padre >>.
<< Lo so, Mycroft. A volte situazioni estreme richiedono soluzioni estreme >> sospira affranta. << Togliere la vita. Interessante espressione, non trovi? >> gli fa notare. << Toglierla a chi? Non sarà al morto che mancherà. La nostra morte è qualcosa che capita a chi resta >>.
<< Pensi che… che Sherlock ne soffrirà tanto? >>.
<< Sì, è inevitabile. Sei sempre stato tutto il suo mondo. Ci sei sempre stato. Anche quando ti diceva cose bruttissime e continuava a cacciarti tu sei rimasto. Sei un punto fermo per lui >>.
<< Quel che hanno detto James e sua sorella su John… io temo possa accadere davvero. La loro relazione potrebbe finire e Sherlock resterebbe solo. Nonostante mi sia affidato a lui, ho sempre temuto che John potesse essere deleterio per mio fratello e mi rendo conto di temerlo ancora >>.
<< Quella è la loro storia, la loro vita. Quel che deve accadere loro accadrà, indipendentemente da te. Non puoi controllare tutto, Mycroft, è bene tu lo capisca questo. Ora, figlio mio, ci sei solo tu >>.
<< Ci sono sempre stato solo io, mamma >>.
<< No, Mycroft. Hai sempre avuto i tuoi fratelli a cui pensare. Avevo provato a sollevarti da quest’onere portandoli via da Musgrave, ma ho fallito e Eurus ci ha rimesso la vita, portando via con sé anche parte di quella di Sherlock. Da allora, tutte le scelte che hai fatto sono derivate da lui, dalla sua incolumità, dal desiderio che avevi che restasse in vita. Quell’unica volta in cui hai tentato di pensare a te, tuo fratello ha scoperto la droga e tu te ne sei dato la colpa. Non hai colpa di nulla, però, figlio mio. Puoi decidere, adesso, cosa è meglio per te >>.
<< Cosa è meglio per me? Io… io non lo so. Sto bene qui, adesso >> dice stringendosi ancora di più a lei.
<< Ti svelo un segreto >> gli dice carezzandogli il viso. << La piacevolezza di questo abbraccio la puoi trovare anche tra le braccia di chi ti ama. Non sarà lo stesso, certo, ma ci sarà sempre un po’ di me >>.
Le parole di suo madre gli riportano alla mente gli abbracci ricevuti da Gregory Lestrade. Sono stati inattesi e bellissimi, è vero. Non ha provato questa stessa beatitudine, ma il senso di sollievo e piacevolezza lo ricorda bene. Basterebbe, forse, smetterla di vedere gli altri come pesci rossi e iniziare a considerarli degni di fiducia. Non tutti, ovviamente, solo coloro che si mostrano sinceramente interessati a lui. Che non si nascondono dietro il giudizio affrettato e negativo che il suo apparire genera. Lui stesso usa in modo spudorato questi pregiudizi. Con tutti, ma soprattutto con suo fratello.
<< Non ho mai abbracciato Sherlock >> ricorda a voce alta. << Mi ero ripromesso che lo avrei fatto >> .
<< Sei ancora in tempo, se lo vuoi >>.
<< Io… sì. Lo voglio, sì >>.
<< Molto bene, figlio mio. Ti riporto indietro, allora >>.
La mano di lei gli accarezza il viso dolcemente. La sente prendere un profondo respiro e poi soffiare sul suo viso. Un vento caldo, insistente. Lo sente entrare nelle narici. Nella bocca. Bruciare dentro i polmoni, farli gonfiare ed espandere. Solleva le palpebre pesanti un’ultima volta e scorge il suo sorriso, le onde morbide dei suoi ricci scuri, il contrasto della pelle pallida e delle labbra rosse.
<< Su, tesoro mio. È arrivato il momento di svegliarsi >> gli sussurra dolcemente soffiando nuovamente sul suo viso.
 
Un rumore acuto, cadenzato e regolare gli giunge all’orecchio. Prima lieve poi sempre più forte. Le palpebre faticano ad aprirsi e il corpo è pesante, dolcemente privo di forze. Prova a muovere una mano. La destra gli pare. La sente come bloccata, ma prova lo stesso a muovere le dita. Fa la stessa cosa con il collo e sente in gola una presenza fastidiosa. Prova a deglutire, ma questa resta lì. Strizza gli occhi, allora, deciso ad aprirli,
 
 << Mycroft! >>
 
ma sono così pesanti le palpebre. Per quanto ci provi riesce appena a intravedere una luce debole. Qualcosa gli stringe la mano destra e lui meccanicamente tenta di rispondere.
 
 << Ehi, Myc mi senti? >>.
 
Apre le palpebre e scorge una sagoma. Sfocato vede un volto pallido circondato da folti capelli neri. Poi qualcosa si posa sulla sua fronte. È fredda, alterna zone lisce ad altre ruvide, ma è piacevole. Si rende conto che sono carezze quelle che sta ricevendo. Carezze leggere, incerte, portate da questa mano grande e fredda.
 
<< Fratello >>.
 
Una voce rotta dal pianto. La sente mescolarsi al rumore cadenzato e sinceramente fastidioso. Diventa un sommesso singhiozzare e più volte sembra voler dire qualcosa ma non riuscirci. Mycroft tenta di aprire nuovamente gli occhi ed è il volto sfocato ora ad occupare interamente il suo campo visivo.
 
<< Sono qui. Ci sono io qui con te, non sei solo >>.
 
Tenta di rassicurarlo, portando carezze un po’ più pressanti, sebbene la mano gli tremi. Nonostante tutto è piacevole il suo tocco. È freddo e incerto, ma piacevole. Tenta di prendere un profondo respiro e si rende conto di come ciò che avverte nella gola lo impicci.
 
<< Mycroft non ti agitare. Sei intubato. Hai subito un intervento importante. Pazienta qualche istante, abbiamo avvisato il medico del tuo risveglio >>.
 
Una voce più professionale, come la stretta che avverte alla sua mano sinistra. Sembra sollevata al vederlo reagire. Prova a volgere lo sguardo nella sua direzione, ma è ancora la sagoma sfocata di prima quella che vede dinanzi a sé.
Muove la mano destra che sente stretta troppo forte. La stretta si allenta all’improvviso, ma lo afferra nuovamente, portandogli su il braccio. La mano gli viene aperta e la sente posarsi su qualcosa di ispido, caldo e umido. Sente una pressione nell’incavo del palmo. Un soffio scaldarla.
Apre nuovamente gli occhi e scorge quel volto premere contro la sua mano. Sono baci quelli che sta posando sul suo palmo. Lacrime, l’umido che sente sotto le dita. Muove piano il pollice, sfiorando il naso di questo volto sfocato.
 
<< Mi dispiace. Per tutte le volte in cui ti sei trovato qui al mio posto. Fa male. Terribilmente male. E fa paura. Tanta paura >>.
 
Altre lacrime gli scorrono sotto le dita. Sbatte le palpebre e ciò che vede inizia a divenire più nitido.
“Sherlock” pensa accarezzandogli il volto smagrito. Intravede fili argentati tra i suoi capelli scuri, occhiaie profonde sotto gli occhi di un azzurro pallidissimo. Gli sorride. Una risatina nasce da quelle labbra screpolate.
Con un movimento improvvisamente troppo rapido, il ragazzo avvicina il viso a quello di lui. Gli posa un bacio umido sulla guancia. Può sentire le ossa dure e sporgenti del suo corpo troppo magro premere contro il suo. Il braccio destro di lui stringerlo in vita. Posa la fronte scossa dai singhiozzi nell’incavo della sua spalla. Hanno un profumo buono i suoi capelli.
<< Ti voglio bene >> gli sussurra all’orecchio, posandogli poi un altro bacio sulla guancia.
Mycroft cinge quelle spalle magre con il braccio destro, che ora risponde un po’ di più ai suoi comandi. Lo stringe con tutta la forza che ha in questo momento e sente lui fare altrettanto.
La piacevolezza di questo abbraccio la puoi trovare anche tra le braccia di chi ti ama”.
Le parole di sua madre gli ritornano alla mente, chiare come fosse lì con loro adesso. Mycroft sorride e ruota il viso verso la chioma folta e arida che è i capelli di suo fratello.
“Ti voglio bene anche io, fratellino” pensa beandosi di questo abbraccio, che lo avvolge come una coperta soffice nella quale potersi abbandonare del tutto.
 
***
 
<< Sì, si è svegliato! Lo hanno staccato dal respiratore e se la cava abbastanza bene a respirare da sé. Sherlock è con lui. Non lo molla un attimo. Fa quasi impressione vederlo così attento e preoccupato per il fratello >>.
Greg ridacchia stropicciando distrattamente gli occhi. Dall’altra parte sente Anthea ridere allegra tra singhiozzi di sollievo e gioia.
<< Oddio, grazie Greg! Grazie per averlo salvato! >> continua a dirgli e lui vorrebbe ribattere che se davvero lo avesse salvato ora non sarebbero lì. Si è limitato a causare un male minore di quello che sarebbe potuto essere.
 
<< Il colpo sarebbe arrivato dritto al cuore >> aveva detto Sherlock quando lo specializzando aveva comunicato loro l’entità del danno. << Se tu non fossi intervenuto, ora sarebbe morto >> aveva aggiunto per poi stringerlo in un abbraccio soffocante. << Hai convinto me a smetterla con le droghe e ora hai salvato mio fratello. Pare proprio che se il mondo può vantarsi ancora di avere gli Holmes lo debba solo a te, detective Gregory Lestrade >>.
 
Sherlock aveva riso, una risata nervosa che gli aveva scosso il corpo da capo a piedi. Tra le braccia a Greg era sembrato di stringere uno scheletro, talmente tanto si facevano sentire le sue ossa contro di lui. Era stato strano ritrovarsi lì. Strano sentirlo ridere e piangere e gioire e ringraziarlo, chiamandolo persino correttamente con il suo nome.
Non sapeva cosa provare e ancora adesso, dinanzi ai ringraziamenti di Anthea, non sa cosa provare. Ha portato a termine un’operazione antiterrorismo per la quale non aveva neppure l’autorizzazione. Questo gesto potrebbe costargli caro, nonostante abbia contribuito al mantenimento della sicurezza mondiale. Ha rischiato la vita e lo ha fatto per salvare principalmente un solo uomo e ora che gli stanno riconoscendo questo merito sente di non meritare le loro parole.
“E’ comunque ferito. Ha rischiato comunque la vita” continua a ripetersi.
 
<< Non sei mai contento, Greg! >> la voce scocciata della sua ex moglie irrompe tra i suoi pensieri. << Sempre lì a pensare a come le cose potessero andare meglio di come sono andate, anche se quanto si è ottenuto è stato già un successo! >>.
 
Ha ragione Maggie. Gregory Lestrade non si ferma mai a darsi pacche sulle spalle dicendosi di aver fatto un ottimo lavoro. No, c’è sempre qualcosa di più che poteva essere fatto.
<< Smettila di tormentarti per il fatto che sia stato comunque ferito, Greg! >>. Come gli avesse letto la mente, Anthea lo riporta alla realtà, toccando proprio il suo nervo scoperto. << Prenditi i meriti delle tue azioni. L’obiettivo è evitare che accada il peggio e tu lo hai raggiunto e io sono fiera di te e immensamente grata. Appena ti sarà possibile vederlo dagli un bacio da parte mia, ti prego >>.
Questa richiesta lo lascia senza fiato. Le guance gli si infiammano di rosso in modo del tutto insolito .
<< Va bene >> borbotta imbarazzato sentendola ridere divertita.
Ripone il telefono in tasca e si avvicina alla porta della stanza di Mycroft. Dalla piccola finestrella, che permette di osservare con discrezione le condizioni del paziente, scorge i due fratelli addormentati entrambi su quell’unico letto. Stretti in un abbraccio ancora più commovente, se si pensa quanto difficile sia sempre manifestare i reciproci sentimenti per questi due uomini.
John si accorge della sua presenza e si alza dalla poltrona sulla quale siede per raggiungerlo alla porta.
<< Quel letto non sembra essere fatto per ospitare due persone >> gli fa notare sorridendo.
<< E’ vero, ma a Sherlock non sembra importare e sai com’è quando si mette una cosa in testa >> sorride a sua volta John, passando la mano sul viso stanco .
<< E’ finita davvero? >> gli domanda, lo sguardo fisso su Mycroft tranquillamente addormentato.
<< Sì >> sospira John. << James si è buttato spontaneamente dal terrazzo >> .
<< Spontaneamente? >> sottolinea incredulo Greg.
<< Questa è la versione che daremo al pubblico >> interviente Grey. Greg non si era neppure accorto che i due giornalisti si fossero avvicinati a loro volta alla porta.
<< I vostri articoli. Anthea mi ha detto che stanno sollevando un vero e proprio casino >>.
<< E’ il loro compito >> ridacchia Fox. << L’opinione pubblica è stata messa lentamente a conoscenza dei fatti e ora sta esprimendo il proprio parere. Nomi illustri sono stati strategicamente influenzati ad esprimere opinioni positive in merito e in breve tempo coloro che continuano a vedere in Sherlock una frode e in Moriarty il frutto del suo delirio saranno sempre meno >>.
<< Avete fatto un ottimo lavoro >>.
<< No, John. Abbiamo fatto un ottimo lavoro >> specifica Grey. << Tutti noi. Nessuno escluso >> sottolinea, volgendo lo sguardo a Greg che lo distoglie imbarazzato. << Voi due dovreste fare un bel lavoro sull’autostima >> sentenzia rivolgendosi al detective e al dottore. << Oosso darvi il nome di ottimi colleghi, se volete >>.
<< Sicuramente nessuno di questi ti consiglierebbe di scrivere un blog per uscire dalla depressione, John >> aggiunge Fox sghignazzando.
<< Già. Questa volta lo riaprirai perché avrai voglia di farlo >>.
<< Non sapevo volessi riportare in vita il blog >> domanda Greg, stupito delle parole di Grey.
<< Io… ancora non lo so. Ha portato solo a notevoli casini >> dice impacciato il dottore.
<< Il tuo pubblico vorrà sentire anche il tuo parere, John >> lo incalza Grey. << E tu, soprattutto, vorrai dire la tua >> gli strizza l’occhio.
<< Giusto per dirne quattro a chi se n’è uscito con quei commenti poco carini ai tuoi ultimi post >> sottolinea Fox. John ridacchia annuendo .
<< Siete quasi peggio di lui, sapete? >> dice loro. << Siamo sicuri che non siate in grado di leggere nel pensiero? >>.
<< Sicurissimi >> rispondono all’unisono i due giornalisti.
Greg si unisce alla risata, felice di come la tensione si sia alquanto sciolta. Persino Molly gli è sembrata più tranquilla, ora che sa che il peggio è passato.
<< Sbrigati a tornare da me, allora, detective >> gli ha sussurrato maliziosa, portandolo a mordere il labbro inferiore, pregustando già il ritorno tra le sue braccia.
 
<< Dagli un bacio da parte mia >>.
 
La richiesta di Anthea lo scuote nuovamente. Volge lo sguardo ai due addormentanti sul letto. Alle labbra di Mycroft appena curvate in un sorriso capace di rendere così dolce il suo viso.
Si era detto di aver voluto a tutti i costi essere lì per ritrovare se stesso, ottenere nuovamente il suo incarico e tornare a dare un senso alla sua vita. Si era detto, però, di essere lì anche per Mycroft Holmes. O forse, sarebbe meglio dire solo per Mycroft Holmes…
 
 
[1] ‘Guerriero’ – Marco Mengoni
[2] Too much love will kill you - Queen
[3] Seneca
   
 
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