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Autore: queenjane    09/12/2018    1 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Spain, late Summer  1919
 La mano  di Andres errava contro la mia coscia, una squisita tortura. Avevo sperimentato ore peccaminose, vagabonde e senza sentimento e lui mi spezzava sempre la carne e il fiato e viceversa.  Senza tempo o avere tempo.  Come sempre. Prima di noi era stata una  epoca ardua, aspra e difficile, senza stelle o sogni, ne avevamo passate tante ed eravamo diventati una squadra, attenta e lucida, il mio ultimo amore.  Ferite mai saldate, quando eravamo una sola carne avevamo tregua, un solo mondo, un’intera esistenza .  
Andres  era ancora bello, come e più nella prima età adulta, snello e muscoloso, un potente leone che ruggiva alla conquista dell’universo, io sua pari, compagna e amante, oltre che moglie.
Le stagioni erano ormai trascorse dalla Siberia, mi pareva un miracolo che fossimo ancora lì a raccontarcela e tanto pareva passato appena un battito di cuore.
Anastasia si era buttata a capofitto nell’assistenza ai malati  assistiti all’ospedale “Empetriz Alejandra”,  un presidio, all’avanguardia,  inaugurato nell’autunno del 1916, che offriva assistenza e cure  gratuite agli indigenti. Intitolato in onore e quindi in memoria della zarina defunta, all’epoca del nostro matrimonio, mio suocero Xavier aveva attinto ai consigli e all’esperienza di Alix, infermiera volontaria, e quindi ecco l’omaggio.  Imperversava la cosiddetta febbre spagnola, una nuova battaglia da vincere, era arretrare, era una infermiera volontaria eccezionale.. E il tempo con i miei figli, la pittura, sorrideva molto di rado, la sua allegria sullo sfondo, prima o poi sarebbe ritornata.. era diventata quieta, meditativa.  Snella e sottile, i suoi capelli, ormai ricresciuti, brillavano come oro scuro sotto il sole, come un’antica moneta.
Quelli di Alessio  (pardon, Xavier) erano di una calda tonalità castana, al pari dei miei, ora per guardarlo, quando era in piedi, dovevo rialzare la testa, mi superava, strano effetto e meno male.
Il due agosto 1914, giorno seguente alla dichiarazione di guerra della Russia alla Germania, dal Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo, Nicola II dichiarò guerra alla Germania. Migliaia di persone affollavano la piazza quando lo zar, con moglie e figlie, scese dal battello e percorse la banchina prima di scomparire nell’edificio, dentro la vasta sala di Nicola per un solenne Te Deum. Al centro era stato eretto un altare, su cui era l’icona della Vergine di Kazan, il simbolo più venerato dal credo ortodosso.
Tutti erano seri e tesi, raccontò poi Olga, molte donne o ragazze come me tormentavano fazzoletti, gli occhi arrossati, gli uomini nervosi, il viso di mamma pareva scolpito nel marmo, alla fine della cerimonia i presenti si inginocchiavano, baciavano le mani, quindi  uscimmo sul balcone che dava sulla Piazza, drappeggiato di rosso, sotto vi era una folla immensa.
Erano trascorsi meno di dieci anni dalla domenica di sangue occorsa  in quel luogo, ora la folla con i suoi boati acclamava lo zar e i suoi, dopo averlo maledetto come un tiranno e un distruttore.
Si levò l’inno nazionale. 
“Dio salvi lo zar/ Forte e potente/ Possa egli regnare per la nostra gloria/ Regnare affinché i nostri nemici possano tremare/ O zar ortodosso / Dio salvi lo zar”


Alessio ancora non camminava, reduce da una brutta storta di alcuni giorni avanti,  ed era rimasto a Peter Hof, dispiaciuto. Come al solito, lui non poteva fare nulla, non era come gli altri, pensava ed era il ritratto della desolazione “… hai voglia di stare con me, invece?”
  “Catherine, perché non sei a Piter..”stupito, contento
“Mi perdo un bagno nella folla, ore in piedi..” presi posto sul divanetto accanto a lui, nel piccolo padiglione vicino a una delle tante fontane, lontano il rombo del mare, il golfo di Finlandia recava brezze e sale, odore di rose, era abbronzato, e tanto magro. Nagorny, il suo marinaio/balia,  mi fece un cenno, si rilassò, valeva sempre l’ordine inespresso, dello zar, che se ero nelle vicinanze potevamo allentare il controllo “No davvero, Alessio, mi fa piacere stare con te, posso?”
“ E me lo chiedi, mi sei mancata tanto..” Anche tu, non lo dissi.  E tanto mi toccava il braccio, la spalla, come se non credesse che fossimo sempre lì.  Mi imposi di scherzare, amarlo come sempre.  O al mio meglio, meno peggio rispetto al passato, comunque.
Accolsi il suo cenno, abbracciandolo, a quel giro come apriva le mani lo stringevo, era in credito, di strette e abbracci, anzi lo era per pezzo, me lo issai in grembo, era leggero come un sacchetto di piume, badando alla caviglia, che non prendesse urti “Diventerai alto, sai,come lo zar Alessandro III, tuo nonno, o giù di lì, guarderai tutti dall’alto in basso, la mia è una facile previsione, guarda che ossa lunghe tieni, sicuro segno di altezza ” Le mie scemenze vennero accolte da una risata di gioia, insieme eravamo due chiacchieroni senza misura. “Per essere una  donna sono alta, 1 e 72, giusto Tata è più alta di me..e con le sue proporzioni perfette non ci badi..E tanto mi supererai, Alessio” Eri il mio bambino, zarevic, fine. Eri mio e basta. “Non vedo l’ora che mi superi di peso e altezza, verrà la volta che parrà impossibile che eravamo così” mi fece il solletico “Ma forse la magia funzionerà ancora “ tirai fuori un copeco da dietro una delle sue orecchie, le aveva buffe, fin da quando era nato.
“Dove è il trucco, dimmelo! Dai”
“Tutto può essere se credi”
“DAI!!” ridendo”Dimmelo!”
“Che ne so..” e apparve un altro copeco 
“Non è nella maniche” valutò, osservando che mi toccavano il gomito, non vi erano nascondigli
“Ottima ed esaustiva osservazione..”
“Sempre in giro mi prendi, uffa..” ancora “Dimmelo..”
“No .. Si .. Forse” lo scrutai sorridendo,imprimendo il momento.
“Figuriamoci!”

“Dai Catherine, dai!!”
“Zarevic, ora basta solletico sei una peste!!” Poi “E una delizia”
“LO SO” fiero e buffo, lo strinsi tra le braccia
“Ti voglio tanto bene Alessio” arrossì leggermente “Sempre”
“LO SO”

E gli volevo sempre bene. Ora stava in piedi, dicevamo, sorrideva, camminava, qualche volta gli era riuscito a cavalcare, combatteva la notte e i suoi demoni, la buia cantina di casa Ipatiev, si ricordava, ora, di essere Xavier dei Fuentes, il figlio di Andres, un sopravissuto, la sua identità un balsamo, uno scudo ed un baluardo.
Affondando ancora nel passato.
Era  (stato) un bambino malato e viziato, spesso capriccioso e petulante,  e tanto era capace di squisite gentilezze.  Cercava e cercavo di capire i suoi umori, un eco lontano dei miei da bambina, lui aveva pazienza con le mie segrete insicurezze, da un lato era un bambino, dall’altro aveva mille anni di sapienza, disilluso, la voce soffusa di silenzi “Guarda i miei aeroplanini”
“E le navi” tutta una risma di modellini che occupavano le sue stanze, come le icone e i libri illustrati, giocattoli su giocattoli, tracce e umori di un bambino amato e capriccioso, da capo e di nuovo.
“E questa è una pietra magica” un frammento di ossidiana, la pietra vetrosa di origine vulcanica comparve tra le sue dita sottili, i suoi desideri erano ordini, inespressi o meno, era il principe ereditario e traeva ogni conseguenza da lì, gli occhi fieri e la postura imperiale, lo sguardo di chi combatte e vuole vincere sempre.
“E’ bellissima”
“Vero Catherine” tendendomi le mani, lo presi in braccio, il solito armonioso movimento, un bambino e una adolescente piena di antiche paure e nuovi ardimenti, giusto, entrambi eravamo fragili, ognuno a suo modo, insieme invincibili, gli scaldai i palmi freddi, strato su strato combattevamo.
“Come questa, sai, me la hanno regalata le tue sorelle per un Natale, quello del 1905” indicando una piccola perla, rotonda e perfetta, montata su una catenina d’oro bianco e sottile, che portavo quasi sempre, un presente di Olga e delle sue sorelle. E tanto, annotavo tra me, lei era felice che fossi ritornata dai viaggi di quell’anno, era un dono di Pasqua, Natale, onomastico e compleanno complessivo.
 Dai quaderni di Olga Romanov” Ho ancora il segnalibro, quello ove è dipinta “La ragazza con il turbante”, ovvero “La ragazza con l’orecchino di perla” , di Vermeer, che mi avevi riportato dal viaggio con i tuoi genitori. Porta un orecchino di perla,appunto, è girata di tre quarti, seduta, in attesa, gli occhi spalancati, tesa verso qualcosa o qualcuno che non sapremo mai. In un certo senso, sono quella ragazza, che aspetta, o si è rassegnata. È tutta luce e desiderio, nella mia personale idea, rassegnazione e attesa, l’attenzione che converge sul piccolo e rotondo globo. Mia madre adorava le perle, i gioiellieri Fabergè, Bolin e Hahn le sottoponevano le loro creazioni e la sua preferenza era per quella gemme, come le ametiste e i diamanti. Uno dei pochi punti di contatto che mai avete avuto in comune, le perle, ti hanno sempre incantato, parevano racchiudere mondi ed universi. Le tue storie incantate, ne inventavi sulle rose e le fenici, raccontavi di draghi e principesse, ardite, ben di rado su principi e maghi. Ammiravi Felipe de Moguer, il tuo grande antenato, che si era inventato una nuova vita nonostante la nascita incertaUno che non mollava mai .. Ed eri stata contenta di essere stata in Spagna, nella favolosa rocca di Ahumada. Io ero felice che fossi tornata.. Davvero e sul serio".
Nei giorni del natale 1911 e del successivo anno nuovo, portavo dei vestiti nelle gradazioni del  color rosa, che si coniugava ai miei capelli castani e dava una tinta di miele scuro  ai miei occhi, avevo imitato Olga, il suo vestirsi per il  ballo a Livadia del novembre precedente, che celebrava i suoi 16 anni. Dopo poco, la famiglia imperiale era rientrata al Palazzo di Alessandro, a Carskoe Selo, loro usuale dimora a prescindere dalle vacanze, i soggiorni all’estero e nella capitale, dove continuavo a venire in visita ed essere ospitata, la camera dove dormivo era detta “la stanza di Catherine”, familiare come quella del palazzo della mia infanzia.
 
Quando Alessio stava bene, era la gioia del palazzo, il centro della vita familiare, il gioiello del tesoro, il più prezioso di tutti.
 Era uno splendido bambino, alto per la sua età, magro, con lineamenti fini e regolari, i capelli si erano scuriti, dall’infanzia, fino a diventare castano chiaro con riflessi ramati. Aveva gli occhi azzurri, zaffiro e indaco, che viravano al grigio quando aveva qualche pensiero.
Avrebbe voluto andare a cavallo, giocare a tennis, pattinare, ma quelle attività gli erano precluse erano troppo pericolose.
“Posso giocare a tennis con le mie sorelle?”
“No caro, sai che non puoi”
“Posso pattinare?”
“No, Alessio, è troppo pericoloso”
“Montare a cavallo?”intendendo un cavallo “vero”, come diceva lui, ovvero uno grande, che non fosse un pony di docili e garbate maniere o un placido mulo.
“NO. Gli urti potrebbero farti male”
“Perché gli altri ragazzi possono fare tutto e io niente?.”
Quello era un dialogo tipico, con minime variazioni che aveva con sua madre, entrambi non recedevano dalle rispettive posizioni, i suoi pianti e capricci scaturivano dalla rabbia, dalla frustrazione, un ragazzino povero era un re in confronto a lui, avendo la salute.

“Perché Catherine? Perché non posso fare nulla?”successe anche quella volta, era piombato come una furia nel salottino privato di Olga e Tanik, Nagorny dietro, che non sbattesse da qualche parte, Alix stava piangendo nel suo salotto malva.
Poche settimane prima,eravamo nel febbraio 1912, quando l’imperatrice madre l’aveva pregata di allontanare Rasputin, per non rovinare la dinastia, l’aveva difeso, enunciando che erano solo pettegolezzi esagerati e, alla fine, glielo aveva rivelato, che Aleksey era malato e Rasputin pregava per lui. Se pensava che la mossa potesse attirarle simpatia o comprensione, aveva scatenato l’effetto opposto e si era depressa ancora di più. E Alessio era cresciuto, diventava sempre più insofferente, voleva essere come tutti e non poteva.
“Zarevic, mi farete prendere un collasso, non potete scappare così” povero Nagorny, di pazienza ne aveva a iosa e .. con lui ne serviva a carrettate. E anche io sarei stata l’insofferenza personificata.
“Perché?” lo lasciai sfogare, con il tempo mi si era attaccato ancora di più e viceversa, mi nascose il viso contro la spalla, il braccio dietro il mio collo, lo strinsi, il mento appoggiato contro i suoi capelli. “Perché, avanti rispondi” arrabbiato e non con me.
“Olga, come sta Natalia?” quando era a quel modo era inutile stargli addosso, si sarebbe agitato ancora di più, lo sapevamo e con me si tranquillizzava.
“Meglio..” era una ragazzina che aveva problemi di zoppia, Olga le aveva pagato le cure, attingendo dal suo patrimonio privato. Elencammo altri malati che assisteva, Alessio diventò color brace, poi si rattristò, c’era chi faceva meno ancora di lui. “Non è giusto..”


Ben di rado la vita lo era, io ne sapevo qualcosa, per diretta e personale esperienza, la scuola del principe Raulov era stata un consistente apprendistato. Sospirai, guardando fuori dalla finestra, i grandi prati del parco imperiale erano pieni di neve, si spingevano fino al lago ghiacciato, dove pattinavamo, circondato dai sempreverdi che creavano un verde arazzo nella dolce luce pomeridiana.
“Non è giusto” mi si strinse addosso, gli asciugai le guance, tra le mie braccia si sentiva sempre al sicuro “Hai ragione, non è giusto” un piccolo sussurro. Mi alzai in piedi, tenendolo sempre in braccio, si raccolse contro il mio fianco “E non ridire che a volte le cose succedono e basta, che non è colpa di nessuno”citandomi con esatta precisione, come se a furia di insistere la realtà mutasse.
“Non è una grande spiegazione e di meglio non ne ho. Alessio, balle in genere non ne dico”
“Lo so” si era calmato “E per sicurezza ..sei il solo erede al trono, zarevic, le donne non ereditano la corona, quindi ..” ti sorvegliano tutti, gli baciai la mano, il polso, gli volevo bene, ma come potevo aiutarlo?

“Quindi uffa.. ma non sto mai in pace, Catherine, ho tutti addosso” incollerito
“Se hai questi scatti, sicuro..” disse quella che era stata la regina delle collere improvvise, sempre arrabbiata e sulla difensiva, glissando sul retorico lo sai.
“Se mi tranquillizzo, forse andrà meglio” valutò
“Ottima strategia” sperando che l’applicasse " Sai che..".
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine “ ..eravate due terremoti ambulanti, ti eri calmata solo in apparenza, e lo sapevi prendere, lasciandolo sfogare, senza opprimerlo di premure, strategia che dava sui nervi a chiunque, a lui in particolare. Lo facesti ridere, alla fine si addormentò in braccio a te, esausto per la tensione, te lo eri accostato contro con una naturalezza incredibile (…)..tempo un quarto d’ora era a giocare nella nursery e si era calmato, noi continuammo con la nostra lista del comitato caritativo. E qualcosa ti bolliva in mente, facemmo una lista delle cose che poteva fare, era inutile opprimerlo con i divieti.. Non che fosse un granché, ma sempre meglio di nulla.”
La lista riguardava fare le bolle di sapone, correre e sorridere, tra le tante. Alessio la approvò, salvo riservarsi altro, come in effetti era e fu.
La storia siamo noi.
   
 
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