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Autore: lady lina 77    09/12/2018    2 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Le avevano spiegato che una Lady non piange mai in pubblico, non deve mostrare le proprie emozioni e soprattutto le sue debolezze. Gliel'aveva detto Lord Falmouth nel suo studio, con la sua classica compostezza unita però a due sofferenti occhi lucidi di chi aveva pianto tanto e dormito poco, poco prima dell'inizio della cerimonia funebre in cui avrebbe dovuto dire addio a quell'uomo che era stato per lei marito, poeta, anima romantica e innamorata, elfo o principe azzurro delle fiabe e padre dei suoi figli.

Si era vestita di nero, aveva cercato di trovare in se la forza di affrontare quella giornata come ci si sarebbe aspettati dalla Lady di casa Boscawen, aveva scavato dentro di se alla ricerca di coraggio e orgoglio perché la sua nuova famiglia e Hugh fossero orgogliosi di lei ed era uscita a viso alto e col cuore a pezzi. Aveva pianto tanto la notte precedente, stringendo a se i suoi figli e avrebbe pianto di nuovo al suo ritorno ma ora doveva essere forte, questo ci si aspettava da lei e anche se non capiva cosa ci fosse di male ad esternare i propri sentimenti, se queste erano le regole, doveva adeguarsi.

Aveva affidati i gemellini e Clowance a delle tate, non se la sentiva di portarli al funerale, erano troppo piccoli per capire e avrebbero disturbato la funzione, solo Jeremy le sarebbe rimasto a fianco. Suo figlio era sprofondato in un profondo stato di tristezza quando gli aveva detto che Hugh era volato in cielo, si era chiuso in camera sua per un'intera giornata rifiutando di mangiare e parlare con chiunque e solo con infinita pazienza era riuscita a farlo sfogare e piangere, come era giusto che fosse. Se lo era tenuto nel lettone, assieme agli altri bambini, quella notte, accarezzandogli la schiena e asciugando le sue lacrime ma era annientata e non trovando consolazione in lei, non riusciva a trovarne per lui. Era terribile, si sentiva sola, spersa, fredda senza l'alone di calore che Hugh emanava ogni volta che le era accanto. Era morto, giovane, con una vita davanti, pieno di sogni e speranze, con tanti libri che avrebbe voluto leggere e mai avrebbe sfogliato e con la consapevolezza di non poter vedere crescere i suoi amatissimi figli, portarli al parco di notte perché non dormivano, scoprire se avrebbero conquistato davvero la Scozia o se Daisy sarebbe diventata sul serio una piratessa, Clowance una regina o Jeremy un letterato. Era morto quando chiedeva solo tempo per amare e scrivere in versi i suoi sentimenti, era morto nel fiore degli anni lasciando lei, una donna che credeva di non essere capace di provare ancora sentimenti, disperata e inconsolabile. Le aveva fatto scoprire il lato più delicato e puro dell'amore, quello che sa dare incondizionatamente cercando di non ferire mai, quello unico e vero che non si aspetta null'altro in cambio se non di vedere felice chi si ama, quello vero, quello che non cerca altrove e ferisce e uccide. Quello che ti fa sentire la principessa di una fiaba amata da un principe che arriva su un cavallo bianco, che promette di amarti per sempre e poi lo fa sul serio...

Prese Jeremy per mano, lui aveva insistito per essere presente al funerale e non poteva negargli nulla in proposito, era abbastanza grande per capire, adorava Hugh e aveva diritto a dirgli addio, per quanto straziante potesse essere... Quando Ross era scomparso dalla vita di suo figlio, Jeremy era piccolissimo e non aveva realizzato così violentemente il distacco e di fatto suo padre non era mai stato presente per lui, non lo aveva mai né voluto né amato, ma Hugh... Hugh era suo padre più di quanto non lo fosse mai stato Ross, aveva passato tanto tempo con lui, gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva, avevano riso e si erano confidati l'un l'altro e costruito insieme talmente tante cose che ora, per il bambino, si era aperto un baratro davanti a se. Ora davvero Jeremy si sentiva orfano, ora aveva davvero perso un padre.

Salirono sulla carrozza, attesi da Lord Falmouth e Lady Alexandra, anche lei vestita a lutto, in nero, col viso celato dalla retina di un cappello. La guardò, provò pietà per lei perché conosceva bene il suo dolore e sapeva che non era paragonabile al dolore di nessun altro fra loro. Lady Alexandra aveva perso suo figlio, il suo unico e adorato figlio, la luce dei suoi occhi e il suo orgoglio più grande... Come lei, quando aveva perso Julia... D'istinto allungò la mano, accarezzò quella della suocera e la strinse nella sua.

Lady Alexandra alzò a malapena lo sguardo, annuì e ricambiò la stretta, impercettibilmente.

La Chiesa era gremita e al loro arrivo, Demelza sentì tutti gli occhi puntati su di se. Strinse la manina di Jeremy che tremava e mordendosi il labbro per cercare di non piangere, prese posto nella prima fila, riservata ai Boscawen.

C'erano tutti, tutta l'alta società londinese, rappresentanti della nobiltà, volti amici e volti meno noti ma comunque tutte persone della Londra alto-locata che avevano riverenza e rispetto per il casato o che avevano a che fare con Lord Falmouth, affari in comune o carriere politiche affini. Hugh non era molto conosciuto in quell'ambiete, era sempre vissuto ai margini di quella società ma la sua famiglia era fra le più antiche e nobili della capitale e godeva del rispetto di tutti coloro che contavano a Westminster e a corte. C'erano rappresentanti del Parlamento, notai, duchi e conti, principi e poi Lord Bassett, amico-nemico di Falmouth, sua moglie, la dolcissima Margarita che, fregandosene delle occhiatacce di sua madre e delle regole dell'etichetta, singhiozzava seduta sulla sua panca e tante altre persone che in quell'ultimo anno aveva incrociato nella sua nuova casa e di cui non riusciva, in quel momento, a ricordare i nomi.

Era confusa, annientata, l'unica sua certezza, l'unico dono bello della sua vita se n'era andato. Era suo destino rimanere sola ed era destino dei suoi piccoli crescere senza padre... Guardò Jeremy che aveva perso la sua guida, pensò a Clowance che di Hugh avrebbe avuto un ricordo sbiadito e poi gli si strinse il cuore nel realizzare che per i gemellini lui sarebbe stato solo un'idea vaga, una figura da immaginare ma che mai avrebbero potuto conoscere.

Guardò la bara in mezzo alla navata e immaginò il corpo giovane, dai lineamenti delicati e dal sorriso gentile che vi riposava dentro, al buio, senza più nessuna possibilità di assaporare la vita. Provò la voglia di piangere, una lacrima le scivolò dal viso e non riuscì a fermarla. Giuda, che male c'era a piangere per la morte del suo uomo?

Avrebbe voluto avere vicino Dwight e Caroline ma loro erano impegnati, in un'altra Chiesa, a dire addio alla loro piccola Sarah e in quei giorni durissimi ognuno di loro aveva dovuto far fronte al proprio dolore da solo, senza l'aiuto di altri... Demelza avrebbe voluto star vicino ad entrambi, il loro dolore, come quello di Lady Alexandra, era anche il suo, ma non poteva. Non ci riusciva... Ed era certa che anche Dwight e Caroline avrebbero voluto starle accanto ma non avevano potuto esserci per i medesimi motivi. Ci sarebbero stati, gli uni per gli altri, dal giorno dopo ma ora, adesso, ognuno sarebbe rimasto rintanato nel proprio mondo, a sopportare da solo il peso delle scelte che il destino aveva compiuto sulle loro vite.

La cerimonia scivolò via, fra parti rituali e ricordi e aneddoti sulla vita di questo giovane uomo, poeta e navigatore, che se n'era andato troppo presto. Jeremy si strinse a lei, affondò il viso contro il suo fianco e Demelza lo cinse con le braccia. Non gliene importava niente dell'etichetta e se Jeremy voleva piangere suo padre, aveva tutto il diritto di farlo e lei non glielo avrebbe impedito. E non lo impedì nemmeno a se stessa, quando calarono la bara nella terra. Lasciò scivolare silenziosamente le lacrime sul suo viso e lo ricordò vivo, che la portava a conoscere un cucciolo di tigre, che le lasciava poesie con un petalo di fiore ogni volta diverso nella busta, che si devastava le dita a martellate per costruire a Jeremy la casetta sull'albero, che insegnava ai suoi figli a scrivere per lei una letterina di Natale. Ed era così che lo avrebbe sempre portato nel suo cuore, vivo, gentile, sorridente... Non nella terra fredda, MAI! Hugh sarebbe stato per sempre il suo elfo magico nascosto nella nebbia, pronto ad accarezzare il suo cuore ogni volta che lei ne avesse avuto bisogno.


...


Quando rientrarono a casa, a sera tardi, Lady Alexandra si rifugiò nelle sue stanze e Lord Falmouth nel suo ufficio, non prima di averle detto che voleva parlarle quanto prima.

Lo rassicurò che sarebbe andata da lui appena sistemati i bambini e, dopo essere andata da Prudie ad abbracciare i gemelli e Clowance e avergli affidato Jeremy, silenzioso e cupo, li baciò e si recò da lui.

Percorse quei lunghi corridoi che ormai erano diventati famigliari ma che senza Hugh erano diventati come freddi e impersonali, come se non fossero più casa...

E mentre camminava, da sola, si concesse un lungo pianto. Si accasciò in terra, era in un corridoio buio e deserto e nessuno avrebbe visto che piangeva come sanno piangere le figlie dei minatori e non le Lady. E non le importava, lei voleva piangere, voleva lasciar andare il suo dolore e sentiva di averne il diritto. Aveva perso l'unica persona al mondo che l'avesse davvero amata, suo marito e il padre dei suoi bambini ed ora era sola, di nuovo... E doveva essere forte, per lui e ciò che gli aveva promesso e per i suoi figli. Soprattutto per loro!

E quando si riprese, quando finì quel suo sfogo solitario, andò da Lord Falmouth. Bussò alla porta e la voce sommessa dell'uomo la invitò ad entrare.

Era seduto alla sua scrivania, il volto scavato dal dolore e i capelli sempre perfettamente pettinati ed ordinati erano in disordine come se ci avesse passato istericamente le dita fra una ciocca e l'altra. Aveva gli occhi arrossati, come lei... E forse anche lui, da solo, aveva pianto poco signoribilmente quel nipote ormai perso che per lui era stato come un figlio. "Demelza, siediti" – chiese, con aria stanca.

Lei annuì, andò alla scrivania e si sedette davanti a lui, sfinita. E Lord Falmouth le avvicinò dei fogli, scritti in bella grafia, firmati da Hugh e da qualcun altro che lei non conosceva. "Cosa sono?" - chiese, confusa e incerta sul perché fosse lì quando avrebbe voluto solo andare dai suoi bambini, chiudersi in camera e trovare in loro la forza di vivere.

Lord Falmouth le sorrise, gentilmente. "Le volontà di Hugh, che ha redatto tre mesi fa con me e un notaio. Non voleva che te ne parlassi prima di... prima..." - si interruppe, con voce rotta, poi si ricompose – "Prima che se ne andasse... Non voleva turbarti prima del dovuto e ha pensato a ogni cosa per tutelare te e i bambini senza darti disturbo".

"Cosa?". Lo guardò, non ci capiva un accidenti di quel fiume di parole dal dubbio significato e non aveva idea di cosa Lord Falmouth stesse parlando.

L'uomo sospirò, prendendole una mano nella sua e stringendola gentilmente. "All'inizio, Demelza, tu non mi convincevi. Ti ho guardata, soppesata e studiata in silenzio con occhi attenti e clinici, come Hugh non poteva fare perché guidato dai sentimentalismi che da sempre hanno spinto il suo agire. Lo sai bene pure tu, pensavo fossi una piccola arrivista in cerca di ricchezza e di un nobile dal ricco patrimonio, ma...".

Lo sguardo di Demelza si indurì. "Ma?".

"Ma aveva ragione lui, Hugh..." - ammise infine Falmouth, sorridendole di nuovo. "Sei entrata in questa casa e in questa famiglia e noi ti amiamo. Hai portato una nuova luce in questa casa, hai dato gioia non solo a Hugh ma anche a me ed Alexandra, hai reso la nostra vita più famigliare e intima, hai portato a noi due bambini deliziosi e ci hai resi più ricchi con la nascita inaspettata e incredibile di due sani gemelli. Hugh ti ha scelta e ha scelto bene... Il suo cuore lo ha guidato nella giusta direzione e io sono felice che tu sia quì e mi sarei preso cura di voi in qualunque caso... Ma Hugh ha voluto mettere per iscritto ciò che desiderava e ora ti devo rendere partecipe delle sue scelte".

Rimase senza fiato, commossa da quelle parole tanto simili a quelle che le aveva rivolto Francis anni prima, il giorno in cui era morto alla Wheal Grace. E quella casa che le era apparsa poco prima fredda e priva di calore, tornò improvvisamente a battere di calore e amore nelle sue vene. Era a casa e quella era la sua famiglia... "Scelte?".

Falmouth annuì. "Ero intenzionato a gestire da me la parte di patrimonio spettante a Hugh, in attesa che i bambini fossero abbastanza grandi per farlo da soli. Avrei provveduto a te dandoti, come faccio con Alexandra, un generoso appannaggio mensile e avrei disposto del denaro di Hugh per la gestione dei bambini. Jeremy e Clowance, in quanto figliastri, entrano nell'asse ereditario ma in maniera minore rispetto a Daisy e Demian. Beh, così dice la legge, quanto meno... Ma Hugh non era d'accordo, ha dato il suo cognome ai tuoi primi figli e li ha amati come ha amato i suoi gemelli e in base a questo ha fatto scelte precise a loro riguardo".

"State parlando di denaro?". Demelza scosse la testa, i soldi non le erano mai interessati e non aveva voglia di parlarne proprio ora, dopo aver seppellito suo marito.

Falmouth parve capire le sue titubanze e si affrettò a spiegare. "Dobbiamo parlarne ora perché Hugh me lo ha chiesto. Ora e poi non affronteremo mai più l'argomento. Puoi sopportarlo?".

"Se Hugh voleva questo, lo sopporterò" – rispose, pensando a quanto avesse riflettuto Hugh su faccende come denaro e testamento che tanto distanti erano dal suo essere.

Falmouth srotolò il documento che teneva in mano. "Hugh desidera che sia tu a entrare in possesso dell'intera parte di patrimonio di sua proprietà. Denaro, titoli, diversi cottage fuori Londra e altre proprietà sparse per l'Inghilterra, la parte di questa casa che era di sua proprietà, da oggi sono tuoi e a te spetta la loro amministrazione. Ho piena fiducia in te e ne aveva anche Hugh e...".

Demelza scattò sulla sedia, incredula. "COSA?". Giuda, come poteva essere, come poteva fare a gestire un qualcosa di tanto grande? Come aveva potuto Hugh fare una scelta tanto folle? Era la figlia di un minatore lei, lui lo sapeva che non poteva esserne capace! Era impazzito?

Falmouth sorrise a quella sua reazione. "Hugh mi disse che nessuno avrebbe saputo amministrare meglio di una madre il patrimonio che poi passerà in eredità ai suoi figli. Sei una donna intelligente, piena di volontà, che apprende in fretta e che ama i suoi bambini e benché avrei preferito essere io a gestire tutto, sono d'accordo con la scelta di Hugh perché in te vedo le capacità per farcela. Hai carisma e un occhio più attento e lungimirante di mio nipote per gli affari, sono certo che farai bene e di fatto, se ne avrai bisogno, io sarò quì ad aiutarti. Per quanto riguarda i bambini... Hugh ha disposto che il patrimonio che gestirai venga diviso in quattro parti uguali fra i tuoi figli, equiparando i diritti di Jeremy e Clowance a quelli dei gemelli. Entreranno in possesso della loro parte al compimento della maggiore età e sarai tu, nel frattempo, a gestire il patrimonio che Hugh ti ha affidato. In più avrai per te stessa il tuo appannaggio mensile, della somma doppia rispetto a quella che do a mia sorella Alexandra perché tu rappresenterai assieme a me i Boscawen, parteciperai con me a eventi e feste e le spese per essere impeccabile e ammirata sono superiori di quelle di tua suocera. Sei la punta di diamante di questo casato, la Lady dei Boscawen, Hugh ha deciso di darti piena fiducia e di predisporre perché tu e i piccoli abbiate davanti un futuro radioso e sereno. Per il resto, io continuerò ad occuparmi degli affari di famiglia e di politica, gestirò l'immagine del casato e continuerò ad essere lo zio presente che sono sempre stato per i bambini. Le abitudini della cena insieme, delle chiacchiere estive in giardino, delle passeggiate con Jeremy e quant'altro, che tu hai portato con Hugh in questa casa, devono proseguire. Ora e per sempre. Hugh desiderava anche questo!".

Tremò, spaventata da quel fiume di parole e dalla vastità del dono fattale da Hugh e dal carico di responsabilità annesso. Lei... Lei, Demelza Carne, figlia di un minatore e moglie ripudiata di un nobile di campagna, giunta a Londra pochi anni prima senza un soldo e con due figli piccoli da mantenere, era ora una delle donne più facoltose e ricche di Londra. Avrebbe avuto mille impegni, mille responsabilità, un nuovo stile di vita e il dovere di gestire non solo i suoi figli e il loro futuro ma anche quello della casata di cui era entrata a far parte e di cui i suoi bimbi erano di fatto eredi. Tutti, allo stesso modo... Hugh aveva dimostrato e desiderato mettere nero su bianco quanto li amasse, senza fare distinzioni. Avrebbe voluto picchiarlo per la grande responsabilità che le aveva lasciato sulle spalle e baciarlo per quella grande prova d'amore che le aveva dato. "Non so che dire...".

Falmouth si alzò dalla sedia, invitandola a fare altrettanto. "Stasera non devi dire nulla, è il momento del lutto, questo. Ora devi solo andare dai tuoi figli, abbracciarli e piangere con loro mio nipote, tuo marito e loro padre. E da domani penseremo a iniziare una nuova vita, Lady Armitage. O Lady Boscawen... Ti chiameranno in entrambi i modi, cerca di abituarti".

"Va bene... Ma mi aiuterete?".

"Sono quì per questo, Demelza. Costruiamo un futuro brillante per i quattro piccoli eredi di questo casato. In memoria di Hugh...".

Sorrise, dolcemente. "Per Hugh". Gli strinse la mano ma poi cedette al desiderio di abbracciarlo. Stava soffrendo, quanto lei. Aveva perso suo nipote e tante idee che lo avevano sorretto negli anni erano crollate col suo arrivo e aveva dovuto reinventarsi a un'età non più giovane. E ci era riuscito, dimostrando una grande forza ed intelligenza. Voleva bene a Lord Falmouth, lo ammirava ed era grata della sua presenza nella vita dei suoi figli soprattutto ora che Hugh non c'era più.

Lo salutò con affetto, col cuore un pò più leggero e poi tornò nelle sue stanze.

Quando arrivò, c'era Mary in camera da letto coi bambini. Era la domestica privata di Lord Falmouth e spesso aveva curato i piccoli, dando il cambio a Prudie. Clowance dormiva sul lettone e stranamente lo stava facendo anche Demian, fra le braccia della sorellina. Daisy invece dormiva nella culla, da sola come sempre, mentre Jeremy era seduto sul davanzale della finestra, intento a guardare il giardino sottostante ormai avvolto dal buio della sera.

Congedò Mary e si avvicinò a suo figlio, al suo piccolo ometto che stava soffrendo quanto lei e che era quello che più capiva l'immensità della tragedia che li aveva colpiti. Era fiera di lui, era stato un figlio bravo sia durante la vita di Hugh sia durante il suo funerale, dimostrando una maturità superiore ai suoi sei anni. Era ancora tanto piccolo e aveva già così sofferto... "Cosa guardi?" - gli chiese, sedendosi sul davanzale davanti a lui.

"Niente... Pensavo".

"A cosa?".

Jeremy abbassò lo sguardo. "Papà mi ha chiesto di leggere le fiabe ai miei fratelli. Ma io voglio lui quì a leggerle, anche a me! Voglio il mio papà!".

Gli accarezzò il visino nuovamente rigato di lacrime, lo strinse a se e cercò le parole giuste per consolarlo. "Hugh non è stato per troppo tempo il tuo papà ma è stato un genitore talmente bravo che resterà sempre nel tuo cuore e tu, per farlo contento, dovresti fare quello che lui ti ha chiesto".

Jeremy singhiozzò. "Poco tempo, troppo poco! Non è giusto...".

Gli sorrise, se lo prese sulle ginocchia e lo strinse a se. "Vuoi saperla una storia?".

"Quale?".

"La mia, di quando ero piccola come te...".

"Sì".

Demelza sospirò, chiuse gli occhi e con la mente tornò ad Illugan, nella povera casa dov'era nata e cresciuta. "Sai, il mio papà... tuo nonno... Non era buono con me. E' stato mio padre a lungo, per quattordici anni. E io per quattordici anni ho ricevuto solo botte, cinghiate sulla schiena, pugni e brutte parole. Non avevo cibo, non avevo vestiti e non ho mai ricevuto un gesto gentile da lui... E quindi vedi, non è importante per quanto tempo un bambino abbia un padre, la cosa importante è COME si passa il tempo insieme. Tu e papà siete stati insieme solo tre anni ma sono stati tanto belli, felici e preziosi, che valgono una vita. E sei stato un bambino fortunato a vivere questi anni con lui... Ti ha amato tanto, come pochi padri sanno amare un bambino, eri il suo preferito e stravedeva per te e quindi Jeremy, tre anni sono pochi ma nel tuo caso valgono una vita e ne dovrai sempre fare tesoro".

Jeremy si voltò a guardarla, pensando a quanto le aveva appena detto. "Sì, io ho avuto un bravo papà. Non tutti i bambini ce l'hanno... Tu non lo avevi, nemmeno io una volta, ne avevo uno cattivo ma poi ho trovato un papà bravissimo! Tu no?".

Demelza sussultò per quel vago accenno – voluto o casuale – di Jeremy a Ross. Ma decise per il momento di ignorarlo. "No, ma poi son stata ripagata in un altro modo".

"Come?".

Si chinò a baciarlo sulla punta del nasino. "Con quattro bellissimi bambini, i migliori del mondo".

Jeremy arrossì, imbarazzato. "Mamma?".

"Sì".

"Il mio primo papà, quello cattivo, mi picchiava come faceva il tuo?".

Demelza spalancò gli occhi, presa alla sprovvista da quella domanda che non si aspettava. "No... Certo che no! Non era il tipo e io non glielo avrei comunque permesso".

Jeremy si rannicchiò fra le sue braccia. "Ma era cattivo lo stesso, io non gli piacevo, non mi voleva e voleva buttarmi via... Per fortuna poi ho avuto un papà nuovo bravo. Hai ragione, sono stato fortunato".

Era felice che Jeremy avesse trovato una consolazione ma quelle parole dette verso Ross... Un papà cattivo... Ricordava quando, durante la gravidanza dei gemelli, si era lasciata andare a uno sfogo con lui che forse avrebbe dovuto evitare e che evidentemente aveva lasciato il segno ma come poteva mentirgli? Come poteva dirgli che anche Ross lo aveva amato quando era palesemente una bugia? Ross non aveva mai voluto Jeremy, non gli era mai importato nulla di lui, né se avesse cibo, né se avesse freddo, per lui era importante solo Jeoffrey Charles e avrebbe tolto volentieri a Jeremy anche il poco che aveva, se fosse servito a far contento suo nipote ed Elizabeth. Ross non aveva mai degnato di uno sguardo Jeremy, mai lo aveva visto guardarlo con amore, affetto o semplice desiderio di fare qualcosa insieme a lui... Ross voleva solo prendersi cura di Elizabeth e appena ne aveva avuto l'occasione, era fuggito da lei abbandonando tutti loro. "Fortunato, sì..." - rispose, con quel nuovo peso nel cuore.

"Il mio primo papà non mi voleva bene?" - chiese Jeremy, insistendo.

"No".

"E a te?".

"No".

"E a Clowance? Clowance piace a tutti, mamma".

Scosse la testa. "No, nemmeno a Clowance...". Lo abbracciò, forte. "Nella vita Jeremy, dobbiamo fare delle scelte. E io ho scelto Hugh come vostro padre, l'UNICO padre. Non pensare a nessun altro, ricorda lui e quanto ti ha amato. E dimentica tutto il resto, non ha senso pensarci, non ha senso pensare a chi non ha voluto aver cura di noi. Questa è la nostra casa, questa è la nostra famiglia e noi dobbiamo viver quì, con chi ci ama e ha piacere ad averci vicini. Il resto...".

"Non conta..." - concluse, il bambino.

"No, non conta. Dobbiamo ricordare chi ci ha fatto del bene, non chi ci ha fatto del male".

Jeremy fece per rispondere, ma i vagiti di Daisy dalla culla, fecero voltare entrambi. "Fra un pò strilla!" - esclamò il bambino.

Demelza si avvicinò alla culla, prendendo in braccio la piccola che si era svegliata e si tormentava le manine mordendosele. "Amore mio...". Le davano fastidio le gengive, fra un pò avrebbe iniziato a piangere sul serio, svegliando i due bambini che ancora dormivano. "Jeremy, vado a farle un biberon con della camomilla. Potresti dare un occhio a Clowance e Demian mentre sono via?".

"Sì!".

Gli sorrise, era un bravissimo bambino. Strinse a se Daisy e uscì dalla stanza giusto in tempo prima che la piccola iniziasse a piangere disperata. "Shh amore, ora passa" – le sussurrò, pensando a quanto si sarebbe preoccupato Hugh per quei piccoli e normali malesseri infantili.

Prudie uscì nel corridoio, destata dal rumore del pianto della piccola. In camicia da notte, con la cuffia sulla testa, le si avvicinò per aiutarla. "Tutto bene?".

"Vado a farle una camomilla, piange per i denti...".

Prudie guardò storto la piccola. "Prima le coliche, ora i denti... Questa marmocchia trova sempre scuse per piangere".

"Forse le manca anche il suo papà... Hugh se la cullava sempre la sera, per farla addormentare" – sussurrò Demelza, con voce rotta.

Prudie abbassò il capo, sospirando. "Vengo io ad aiutarti con la camomilla, ragazza. Tu occupati della piccolina mentre la preparo".

"Grazie" – sussurrò Demelza, prendendola sotto braccio.

Scesero fino alle cucine, deserte, e Demelza si sedette su una sedia con Daisy sulle gambe mentre Prudie scaldava dell'acqua. "Sai, Hugh ha fatto testamento alcuni mesi fa... Me lo ha comunicato prima Lord Falmouth".

Prudie si voltò, sorpresa. "Ed è una cosa bella?".

"E' una cosa che fa paura, ora avrò tante responsabilità. Mi ha nominata tutore assoluto dei suoi beni, compresa l'eredità che andrà ai bambini. Ha disposto che loro quattro abbiamo la stessa eredità, tutto sarà diviso in parti uguali".

Prudie sbiancò. "Clowance e Jeremy avranno le stesse cose dei gemelli?".

"Sì... Hugh amava i miei figli, per lui erano suoi come lo sono Daisy e Demian. Non ha voluto fare distinzioni fra loro e così facendo ha evitato gelosie future, garantendo a tutti e quattro un rapporto sereno fra fratelli. E tutto il resto è in mano mia, mi ha sempre dato massima fiducia e ha preferito me a Lord Falmouth per amministrare i suoi beni e io...".

"E tu?".

"E io non so se me lo merito. Sono Lady Armitage ma in fondo al cuore non ho mai smesso del tutto di sentirmi Demelza Poldark. Non è giusto, non verso Hugh. Ross mi ha tradita, mi ha lasciata, ha abbandonato i suoi figli lasciandoli senza nulla e io, nonostante abbia trovato un uomo meraviglioso che ha preso il suo posto e ha fatto ciò che lui non ha mai voluto fare, non ho mai lasciato andare completamente quel ricordo di lui. Ma ora basta... Ora voglio essere una donna degna di lui, una donna di cui Hugh possa essere orgoglioso assieme alla sua famiglia. Voglio fare bene per chi mi ha fatto del bene e cancellare ogni traccia dentro di me di chi mi ha solo umiliata e tradita. Ross nemmeno ricorda che sia mai esistita, vive felice con la famiglia che ha sempre desiderato e sarà un padre e un marito meraviglioso e io... io vivrò la mia di vita. Quì, con queste persone che mi amano, che amano i miei figli e che mi hanno accolto dando a tutti noi una famiglia. Demelza Poldark non esiste più, da oggi. Sarò Lady Armitage, la Lady di questa famiglia e lotterò per rappresentarla al meglio in attesa che i miei figli crescano".

Prudie si avvicinò, accarezzandole la guancia e dando il biberon con la camomilla a Daisy. "Ci riuscirai? Riuscirai a dimenticare?".

"Dimenticherò Ross e il male che mi ha fatto. Non chi sono, quello mai e tu devi aiutarmi a rimanere me stessa in questo nuovo mondo dove sono capitata".

Prudie sorrise. "Dimenticherai Ross? Davvero?".

"Lo farò, come lui ha fatto con noi del resto".

Prudie sospirò. "Io non credo che lui abbia dimenticato... Credo che abbia fatto errori enormi ma dimenticare, mai. Lui non dimentica, soprattutto le sue colpe...".

"Lui non considera una colpa ciò che ci ha fatto. Non valevamo nulla ai suoi occhi. Prima di tutto veniva Elizabeth con Jeoffrey Charles, poi Trenwith, poi i minatori e le loro famiglie e in fondo alla lista, se gli rimaneva del tempo e ne aveva voglia... arrivavamo noi. Tu c'eri, tu hai visto... E hai visto anche Hugh e come dovrebbe essere l'amore".

Prudie le scompigliò i capelli. "Sì, c'ero e ci sarò per aiutarti. E ora su, porta questa monella a letto, è tardi e le orecchie della vecchia Prudie sono esauste per i suoi strilli...".

Demelza annuì, baciò la testolina della piccola che si era calmata e si scolava la sua camomilla e tornò in camera accompagnata da Prudie che poi si congedò nella sua stanza. Camminando, guardò le pareti, i corridoi, i grandi saloni e il giardino fuori dalle finestre. Era suo, tutto suo. E lei era la moglie di Hugh Armitage, la Lady di quella casa e la madre dei suoi quattro eredi. Era ora di mantenere fede al suo ruolo e ricambiare l'amore e la fiducia immensa che le aveva conferito Hugh...

Entrò in camera, trovando i bambini svegli. Jeremy, seduto sul letto, cercava di calmare il pianto di Demian e Clowance faceva le linguacce al fratellino nel tentativo di farlo ridere.

Demelza si avvicinò, sedendosi sul letto. "Demian, Demian... Vieni dalla mamma, su" – disse, prendendo il bimbo fra le braccia.

Demian la guardò, si strinse al suo collo e si calmò all'istante, facendo ridere Clowance. "Mammone!".

"Temo di sì".

"Posso dare io il biberon a Daisy?" - chiese la piccola.

"Certo, dobbiamo aiutarci fra noi, da ora" – rispose Demelza. "Tu darai il biberon e Jeremy la terrà in braccio mentre io mi occupo di Demian il mammone!".

Jeremy, entusiasta, prese Daisy e Clowance sorresse il biberon per aiutare la sorellina a bere.

E Demelza li guardò, sentendosi infinitamente triste per la perdita di Hugh che avrebbe saputo amare infinitamente quel momento tutti insieme, ma anche infinitamente ricca per ciò che la vita le aveva dato.

Avrebbe lottato per i suoi figli e per il futuro che li attendeva, avrebbe pensato solo a loro e al bello che la circondava, dimenticando le cose brutte del passato. Sarebbe sempre stata Demelza Carne, nel cuore. Ma mai più una Poldark...

E quella notte nacque definitivamente Lady Armitage. Ora era sul serio una Boscawen.

  
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