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Autore: MadAka    09/12/2018    1 recensioni
Tutto ha inizio con un disegno. Perché è proprio un disegno quello che si trova Ewan, cantante degli Shards, nella tasca dei pantaloni al termine di un concerto. Due figure ben rappresentate su carta, lui e una ragazza e nessun indizio per risalire all'autrice.
Contro ogni previsione, il pensiero di individuare chiunque gli abbia dedicato quel piccolo bozzetto si appropria di lui, portandolo a incontrare una persona che sentiva già di conoscere.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“I am leaving, this is starting to feel like | It’s right before my eyes | And I can taste it, it’s my sweet beginning

Two Door Cinema Club. What You Know

 

 

 

St. Petersburgh Pl, Londra, 8 settembre

Ore 8:03 PM

 

Ewan fu puntualissimo quella sera. Quando Amelia arrivò sul marciapiede davanti a casa, il ragazzo era già lì, fermo in piedi con lo zaino su una spalla, una borsa di carta in una mano e la  bicicletta nell’alta. Non sembrava essere arrivato in tutta fretta per recuperare il tempo. Era Amelia a essere in ritardo.

Raggiunse il cantante e lo salutò. Dopo i convenevoli il ragazzo andò a legare il mezzo allo stesso palo del cartello stradale in cui l’aveva lasciato la volta precedente, chiaro segnale che anche quella sera sarebbero rientrati insieme. Mentre Ewan chiudeva il lucchetto intorno al telaio della bicicletta, la ragazza ne approfittò per accennare un’occhiata in direzione della borsa di carta, provando a intuirne il contenuto. «Che c’è lì?» chiese poi.

«La nostra cena» rispose subito lui. «O, meglio, la mia se tu vuoi qualcosa di più sostanzioso. O salutare» concluse, stringendosi nelle spalle.

Amelia aprì la borsa, ormai troppo incuriosita. C’erano patatine, birra e dell’acqua. Ne osservò il contenuto per un po’ chiedendosi cosa avesse in mente di fare il cantante. «Beh, in effetti» disse dopo un po’ di silenzio, «temo ci sia troppa acqua per me. Dovremo fermarci a prendere della birra per strada.»

La sua affermazione strappò una risata sincera a Ewan. Gli piaceva il senso dell’umorismo di Amelia, ogni giorno più del precedente. 

«Che cosa vorresti fare, Hill?» continuò lei, con fare circospetto.

«È una sorpresa» replicò lui con tono ovvio. «Se te la senti di provare.»

Aveva quasi la parvenza di una provocazione, ma molto più velata, uno stuzzicarla per la precisione, e Amelia si lasciò coinvolgere del tutto nella cosa. «Va bene, allora. E da dove si comincia?»

«Dalla Tube.»

Ewan afferrò zaino e borsa e si incamminò insieme alla ragazza, la quale non era affatto sicura di ciò che si sarebbe dovuta aspettare, sebbene ne fosse parecchio incuriosita. Amelia lo seguì fino alla metropolitana, poi sul mezzo, fuori dalla Tube una volta arrivati, e continuò a seguirlo lungo le vie, fino a che raggiunsero il Tamigi. Per tutto quel tempo i due avevano continuato a parlare, di musica per lo più, dalle band che ispiravano il lavoro del cantante a quelle che Amelia ascoltava quando nei suoi auricolari non c’erano gli Shards.

«Siamo quasi arrivati» annunciò Ewan a un certo punto. Camminarono per qualche altro metro, finché lui, d’improvviso, non si fermò. La ragazza se ne accorse diversi passi dopo, per via del fatto che aveva smesso di sentire il piacevole suono della sua voce. Si voltò, trovandolo fermo davanti a una pizzeria al taglio.

«Credo di aver trovato qualcosa di meglio delle patatine» annunciò lui, un sorriso contagioso in volto.

Anche lei sorrise. «Stai davvero aspettando che io sia favorevole alla tua idea?» domandò retorica, sollevando un sopracciglio. 

Il cantante rise. Entrarono nella piccola pizzeria, dove What You Know dei Two Door Cinema Club suonava a volumi abbastanza alti alla radio, e ordinarono una margherita da portare via. Mentre aspettavano che fosse pronta la loro conversazione finì inevitabilmente sul cibo, nello specifico proprio sulla pizza. 

«Penso che sia l’unica cosa che mangerei a qualsiasi ora del giorno» esordì Ewan, tenendo gli occhi fissi sul pizzaiolo.

Amelia acconsentì con un cenno del capo, per poi chiedere: «L’hai provata in Italia?»

Il cantante la guardò con fare ovvio. «Che domande. Mai mangiato niente di tanto buono.»

«Oh, Dio, grazie. Qualcuno che sa cosa significa» esclamò lei. «I miei amici non ci credono.»

«Beh, c’è solo un modo, allora: Italia e pizza italiana» concluse con ovvietà il ragazzo, divertito da quella strana e improvvisata conversazione. Il discorso andò avanti ancora, almeno finché il pizzaiolo non avvisò i due che la margherita era pronta. Più di dieci minuti a parlare della pizza italiana, ad Amelia venne spontaneo chiedersi se sarebbe riuscita a fare una cosa del genere anche con altre persone. Le riusciva così semplice parlare con Ewan. Non giudicava i pareri altrui e ascoltava veramente, dimostrando di prestare attenzione. E quando parlava lui, poi, Amelia lo avrebbe ascoltato per ore. La sua voce gli piaceva moltissimo, calda, piena, eppure leggera e vitale al tempo stesso. Perfetta per un cantante, ma anche per un ragazzo con cui si voleva trascorrere del tempo insieme.

Ad Amelia spettò il compito di condurre la pizza fino al punto in cui Ewan si stava dirigendo – ancora sconosciuto per lei. 

«Ti dispiace se me ne prendo una fetta? Quando è ancora bollente mi fa impazzire.» Il cantante alludeva alla pizza, chiaro, ma la ragazza impiegò qualche istante di smarrimento per capire con esattezza a cosa si riferiva. 

«Oh, certo. L’hai pagata tu» rispose, aprendo il cartone perché lui potesse servirsi.

Il ragazzo ne afferrò una fetta, osservando la mozzarella filare. «Ne vuoi?»

«Con il formaggio a temperatura lavica? No grazie» rise lei. 

Ewan, invece, diede un morso alla punta della fetta, divertito.

«Si può sapere dove stiamo andando?» chiese poi Amelia, ormai troppo incuriosita per riuscire a trattenersi. 

Il cantante finì di masticare prima di rispondere. «Ci siamo quasi, credimi.»

Ed era vero. Prima che lui potesse finire la sua fetta di pizza annunciò che erano arrivati. Scese un paio di gradini in muratura, per poi posare i piedi su una larga distesa di sabbia. Erano arrivati su uno degli argini del Tamigi, uno di quelli su cui le persone potevano scendere per osservare da vicino il fiume che fendeva in due Londra. L’acqua scorreva nera per via della sera, impetuosa e, oltre  essa, si stagliava uno dei molti profili della città. Da lì si poteva vedere un pezzo del London Eye, le mille luci della metropoli a brillare come lucciole nella notte. Era una prospettiva diversa, insolita, e toglieva il fiato. Amelia si sentì piccola davanti a quello spettacolo, con i piedi sulla sabbia e la brezza che le sfiorava le spalle scoperte, scoprendosi più affascinata che mai da quella città. Trovò che Ewan avesse la capacità di scovare sempre qualcosa di nuovo, di offrire una prospettiva diversa anche su cose abituali, come ascoltare la musica o osservare la città.

Mentre lei era impegnata a sciogliere lo sguardo nella città colorata e maestosa, non si accorse che il ragazzo aveva tirato fuori dallo zaino un grosso telo e lo stava posando in terra, in un punto in cui la sabbia non era troppo umida. «Ehi, qui» la chiamò.

Amelia si ridestò; osservò il cantante, poi il telo, infine sorrise, capendo la sua idea. Lo raggiunse, si sistemò accanto a lui e mise la pizza da condividere al centro. Le sembrava tutto perfetto, al punto da desiderare che quel momento non finisse mai; lei, che era sempre stata spaventata dall’eternità per via del bagaglio che costringeva a portarsi appresso.

«Tu non ci vai mai nei ristoranti?» domandò poi Amelia, afferrando una fetta di pizza, che aveva raggiunto la temperatura giusta. 

Ewan stava stappando una birra quando gli venne posto il quesito. Bloccò per un momento la sua azione, ma poi riprese a fare leva sul tappo di alluminio. «Non è andando nei ristoranti che si conosce bene una città» sentenziò con un’alzata di spalle. Allungò la birra alla ragazza. «Anche a Glasgow, dopotutto, eravamo andati in quel pub perché te lo avevo chiesto io, ma poi mi hai portato in giro» proseguì. Prese anche lui una fetta di margherita. «Però se vuoi la prossima volta ti porto in un bel ristorante» concluse, con fare amichevole.

Di tutto quel discorso le parole che rimasero più impresse ad Amelia furono le ultime: ci sarebbe stata una “prossima volta”. Cercò di non farsi distrarre da quel pensiero, perché era abbastanza sicura che altrimenti si sarebbe tradita in qualche modo. Rigirò la bottiglia di birra in mano, pensando che nessuna cena in un ristorante, anche in compagnia di Ewan, avrebbe mai potuto eguagliare quella sera. I posti inusuali, i tagli più insoliti e intimi, era quello il modo in cui lei amava trascorrere il suo tempo, parlando davanti a una birra e una pizza, senza dover per forza dimostrare qualcosa a qualcuno. Su quello il cantante degli Shards sembrava essere sulla sua stessa lunghezza d’onda e la cosa avrebbe potuto arrivare a rappresentare un problema. Amelia provava già qualcosa per il cantante, da prima ancora di conoscerlo, ma quelli non erano reali sentimenti, solo sensazioni. Ora che aveva avuto modo di scoprire la sua personalità, invece, sentiva dentro di sé che qualcosa stava nascendo e cominciava a esserne preoccupata. Cercò di ignorare quel pensiero.

«Non sono una da ristoranti» disse infine, in risposta alla precedente osservazione di Ewan.

Lui le sorrise. «Lo avevo immaginato. In questo ci assomigliamo.»

Per poco lo stomaco di Amelia non si chiuse con un tonfo secco. Anche il cantante pensava che sotto certi punti di vista si assomigliassero e questo l’agitava dall’interno. Avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse con quelle parole, chiedergli chiarimenti su ciò che era successo fra loro ormai due sere prima, ma le mancavano le forze. Temeva di sapere la verità, perché aveva paura di rimanerne ferita. Valeva la pena passare quei minuti in compagnia di Ewan parlando d’altro, sulla riva del Tamigi, davanti a una Londra notturna che sembrava uscita da una scenografia. Forse quella conversazione sarebbe arrivata da sé, prima o poi, in qualche modo sarebbe stata tirata in ballo. Si concesse un nuovo morso di pizza, ritrovando l’appetito, decidendo di fare il possibile per ignorare la sua mente e ogni possibile pensiero in grado di distrarla da quel momento. Alzò gli occhi sulla città, senza accorgersi del ragazzo, intento a osservare il suo profilo. Lui trovava che la notte donasse ad Amelia, come se, insieme al rossetto e all’eyeliner, facesse risaltare i tratti del suo viso. Ewan ne aveva conosciute molte di ragazze con la mente artistica e aperta, ma dovette ammettere a se stesso che verso Amelia provava un’attrazione unica. Pensò che fosse in gran parte dovuto al modo in cui si erano conosciuti, a come lei gli fosse entrata nella testa solo lasciando che trovasse un piccolo disegno che avrebbe voluto farsi autografare. Dopo aver fatto amicizia con lei lì, nella sua Londra, il cantante si era convinto che qualcosa lo legasse ad Amelia.

«Vengo spesso qui. Dopo che ho scovato questo posto non sono più riuscito ad abbandonarlo» esordì poi, così da avviare una conversazione.

Amelia si voltò a guardarlo e per un momento, nella sua testa, balenò il pensiero di quanto fosse bello trovarsi davanti gli occhi blu del ragazzo, ora così scuri per colpa della sera. «Ah sì?» chiese, capendo che la frase di Ewan doveva essere più un pretesto che altro.

Lui annuì con la testa.

«E come lo avresti trovato?» proseguì lei.

«Ragazzo della pizza» disse semplicemente il cantante, afferrando la terza fetta di margherita. Lì per lì Amelia non capì cosa intendesse dire con quelle parole, ma proprio quando si convinse di esserci arrivata, lui riprese a parlare: «C’era un tipo che ordinava sempre la stessa pizza; con i carciofi, non lo dimenticherò mai.» Fece una smorfia nel nominare il condimento – i carciofi non erano di suo gradimento. «Lui era un tipo abbastanza simpatico e dava anche delle buone mance. Una sera, però, non era in casa e, beh, ti ho detto cosa facevo quando il destinatario della pizza non si faceva trovare» ammiccò, ricevendo un cenno affermativo da parte della ragazza. «E sono venuto qui. Ho tolto tutti i carciofi dalla pizza, mi sono seduto e poi è venuto a piovere e addio cena tranquilla» concluse, con un’alzata di spalle.

Amelia si mise a ridere. Gli aneddoti di Ewan erano un’altra delle cose che gli piaceva di lui. Era un ragazzo che sperimentava, domandava, viveva. Sapeva che non avrebbe mai potuto stancarsi della sua compagnia perché aveva sempre qualcosa di nuovo di sé da svelare. Trovava davvero triste il fatto che a giorni sarebbe dovuta rientrare a Glasgow, ma, come si era imposta poco prima, scacciò quel pensiero dicendosi di concentrarsi solo su quello che stava avvenendo. Iniziarono a parlare. Amelia chiese a Ewan di raccontarle di più di Londra, di com’era viverci e di cosa potesse offrire al resto dell’umanità. Da quando era arrivata la capitale l’aveva conquistata, al punto che, un paio di volte, l’idea di trasferircisi l’aveva sfiorata. Tuttavia sentiva anche la mancanza di Glasgow e sapeva che se non fosse stato per gli Shards, lei sarebbe di certo tornata nella sua Scozia. Dopotutto era scozzese da generazioni e sentiva un legame viscerale con la sua terra natia. Dopo Londra parlarono di viaggi, dei posti che avevano visto e di quelli che avrebbero voluto visitare – e qui la lista di Amelia era drasticamente più lunga di quella di Ewan, che per via della musica viaggiava di continuo. La ragazza non poté fare a meno di invidiare le possibilità che la sua professione di cantante gli offriva a riguardo, ma trovava bellissimo poterlo ascoltare mentre parlava di quei luoghi, descrivendo le persone, gli ambienti e i colori con un tale trasporto da permettere ad Amelia di vederli alla perfezione davanti a sé. Ewan aveva il dono della parola, che, unita alla sua fantasia e alla sua visione del mondo, gli consentivano di scrivere alcune delle canzoni più belle che lei avesse sentito.

Erano già passate almeno un paio di ore quando la brezza che saliva dal Tamigi, divenne più fresca e intensa. L’odore dell’acqua si mescolava a quello della città, che continuava a brillare nella notte come una fiamma. Amelia strinse le braccia al petto e iniziò a sfregarsi le mani sulle spalle, nella speranza di scaldarsi un po’. Cominciava ad avere freddo; abituata al clima scozzese, quella sera non aveva pensato a portarsi un golfino o la sua giacca di pelle leggera e se ne stava pentendo, soprattutto perché era in canottiera. 

Ewan si accorse del suo gesto. Afferrò lo zaino e lo svuotò dal resto del suo contenuto: una delle sue felpe. Era una delle sue preferite, oltretutto, la letterman nera e bianca. La tese ad Amelia. «Se hai freddo metti questa.»

Lei guardò prima la felpa, poi il ragazzo. «No, beh, non preoccuparti. L’hai portata per te.»

«Sì ma io sto bene. Se la vuoi mettere, tieni.»

Di nuovo la ragazza fece scorrere lo sguardo dall’indumento al viso del cantante. La metteva un po’ in imbarazzo quella situazione, ma non poteva negare che coprirsi le spalle con qualcosa di caldo le avrebbe procurato non poco sollievo. Accettò l’offerta del cantante, aprì la morbida felpa, fece scorrere la cerniera fino in fondo e la infilò, divertita dal fatto che le stesse larga come aveva immaginato. Sembrava di essere avvolti in un caldo abbraccio. La stoffa aveva lo stesso profumo di Ewan, fresco, che le ricordò vagamente quello dell’erba appena tagliata in primavera. 

Il ragazzo si puntellò sul braccio sinistro, avvicinandosi di conseguenza ad Amelia. «Ti sta bene» le disse.

Lei sorrise. Sollevò il colletto con un gesto in perfetto stile Arthur Fonzarelli, per poi arricciare le labbra, fingendosi sovrappensiero. Al ragazzo piaceva quando compiva quel gesto. Trovava avesse labbra troppo belle per non scatenare in lui qualcosa. 

«Potrei tenermela, sai?» chiese retorica Amelia, alludendo alla felpa che indossava. Ewan sorrise, senza aggiungere altro. Nessuno dei due parlò e, mentre si guardavano, il silenzio scese tutto intorno a loro. La ragazza avrebbe voluto distogliere lo sguardo per impedire all’imbarazzo di prendere il sopravvento, ma non riusciva a staccarsi dalle iridi del cantante. E, piano, il suo viso si fece sempre più vicino.

Ewan la baciò per la seconda volta proprio lì, sulla sponda del Tamigi e Amelia non poté fare a meno di sentirsi alle prese con un sogno. Quel bacio fu più intenso del primo ed era chiaro fosse desiderato da entrambi. Amelia avrebbe voluto stringersi a Ewan, ma per via della loro posizione le fu impossibile. Rimase ferma come si trovava, intenzionata a vivere fino in fondo quel momento. Il cantante fece lo stesso; si concentrò sulle sue labbra, morbide come le ricordava, il cui sapore era lievemente alterato da quello della birra. I capelli della ragazza continuavano e venire smossi dal vento e lui glieli scostò con la mano libera, sfiorandole la guancia e provocando in lei un fremito interiore che la percosse da capo a piedi. 

Quando si separarono nessuno dei due seppe cosa dire. La ragazza abbassò lo sguardo sulle sue mani, pensando. Si morse appena il labbro inferiore, il sapore di Ewan ancora presente. Si fece forza, decidendo di chiedergli ciò che la perseguitava da giorni. «Sai volevo...volevo giusto chiederti se l’altra volta mi avessi baciata con intenzione o se lo avessi fatto solo...»

Prese fiato, gesto che diede tempo a Ewan di completare la frase al suo posto: «Solo perché avevo bevuto?»

Amelia sussultò al suono di quelle parole; non si aspettava di sentirle pronunciare proprio da lui. «Non lo avrei detto in modo così diretto» disse, quasi a giustificarsi.

«Oh, non lo metto in dubbio. Avresti usato un elegante giro di parole, ne sono certo» replicò lui con fare amichevole. Non era turbato dalla cosa, né sorpreso. Era solo questione di tempo prima che quell’argomento venisse tirato in ballo. E dopo quello che aveva appena fatto si sarebbe sorpreso se il loro primo bacio non fosse stato nominato. «La tua è una curiosità più che legittima» proseguì. Prese fiato. «Non...non pensare che lo abbia fatto perché avevo bevuto. L’ho fatto perché volevo farlo.

«C’è qualcosa in te, Amelia...che mi piace. Che mi è sempre piaciuto, ancora prima di conoscerti.»

Al suono di quelle parole alla ragazza morì il respiro in gola. Si voltò di scatto per vedere il cantante in volto e lo trovò lì, tranquillo, quasi avesse detto una cosa da tutti i giorni. Aveva il cuore che le batteva a ritmi sfrenati e cercò nella testa qualcosa di sensato da pronunciare per non rimanere ferma imbambolata davanti a lui. Distolse di nuovo lo sguardo, le era difficile mantenere il contatto visivo con tutte quelle emozioni che l’assalivano.

«Non so che dire» mormorò infine.

«Beh, non devi per forza dire qualcosa» la rassicurò lui, con dolcezza. «Ci tenevo solo a fartelo sapere, perché l’altra volta non ho avuto modo di dirtelo.»

«Se penso che è iniziato tutto con quello scarabocchio di Claire» si lasciò sfuggire Amelia, insieme a una risata sommessa.

«Non si può mai sapere, vedi?» Ewan ridacchiò al pensiero di come tutto era cominciato. Avrebbe voluto raccontate ad Amelia il fatto che, in un certo senso, aveva forzato un po’ il destino cercandola sul web, perché era per quel suo volere se lei ora era lì. Tuttavia, sì, tutto era iniziato da quel piccolo disegno, quello “scarabocchio” come la ragazza lo aveva definito, che si era trasformato quasi in un’ossessione per lui, qualcosa di cui voleva assolutamente scoprire l’origine. Ora sentiva di avere fatto bene. Amelia era come l’aveva immaginata prima ancora di incontrarla, anzi, era perfino meglio. Era la sua Penelope, proprio come recitavano i versi della canzone che aveva scritto ispirato dal piccolo disegno di Claire e da quanto successo quella prima volta a Glasgow. Avrebbe voluto dire tutto ciò alla ragazza, ma non lo fece. Quando si voltò verso di lei, Amelia teneva gli occhi fissi su Londra, lo sguardo che rifletteva il baluginare delle luci degli edifici.

«È bellissima, no?» le chiese, accorgendosi con un fremito che non si riferiva solo alla città. Lei annuì, sorridendogli.

Parlarono ancora, mentre i minuti scivolavano via. Quando passarono le due di notte, però, capirono entrambi che era ora di rientrare. Raccolsero le cose, buttarono via le bottiglie vuote e il cartone di pizza, dopodiché chiamarono un taxi perché li riaccompagnasse a casa. Una volta arrivati all’appartamento di Amelia, Ewan l’accompagnò fino all’ingresso, come la volta precedente.  Lì davanti la ragazza fece per togliersi la felpa del cantante, ma quest’ultimo la fermò. «No, tienila. Me la ridai un’altra volta. Non è la mia unica felpa.»

«Non lo metto in dubbio, ma–» Si interruppe al gesto del ragazzo. «Ok, allora. Beh, grazie» balbettò.

«Domani pomeriggio, se ti va, potremmo trovarci allo Starbucks davanti alla sala prove con i ragazzi. Ti portiamo in un posto, se può incuriosirti la cosa» propose.

Amelia sollevò un sopracciglio. «Immagino che non riceverò più informazioni di così» disse. Aveva ormai capito che con gli Shards si sarebbe dovuta aspettare di tutto e, soprattutto, che ogni uscita sarebbe stata una sorpresa. Ewan, infatti, non la deluse. «Lo scoprirai domani» sorrise, eccitato. 

Sorrise anche lei davanti a quel gesto e accettò la misteriosa uscita. «Allora a domani» disse poi, augurando la buonanotte al cantante. Lui fece lo stesso, dopodiché si avvicinò, lasciandole un bacio sulla fronte. Amelia si sentì scaldata da quel gesto delicato, che riuscì a chiuderle del tutto lo stomaco. Si salutarono un’ultima volta e quando la ragazza rientrò e si chiuse la porta alle spalle si portò una mano sul cuore, sconvolta da quanto si sentisse leggera. Accarezzò la stoffa della felpa di Ewan; non voleva sfilarsi quell’indumento, le sembrava di avere il cantante ancora lì, accanto a sé.

 

 

  
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