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Autore: Naco    09/12/2018    4 recensioni
[...]«Secondo me è arrivato il momento che tu faccia qualcosa!»
«Io?» Se possibile, il rossore sulle guance della sweeper si fece ancora più acceso. «Per carità, non saprei neanche da dove cominciare!».[...]
«Kaori, ti svelo un segreto: se aspettassimo che gli uomini si diano una mossa, noi donne staremmo ancora qui ad attendere. Guarda me: se non fossi venuta qui in Giappone a cercarlo, non avrei mai ritrovato Falcon. E se non avessi deciso di prendere io l’iniziativa, credi davvero che mi avrebbe sposata?»
Umibozu tossicchiò, imbarazzato nel ritrovarsi protagonista di una discussione tra donne, ma le altre due a mala pena ci fecero caso.
Kaori abbassò lo sguardo. Miki aveva ragione, ma… davvero ce l’avrebbe fatta?[...]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'After the finale'
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Premessa
Questa storia fa parte di una serie di fanfiction che rispondono a una domanda comune: cosa è accaduto tra Ryo e Kaori dopo la fine del manga? Le storie, infatti, sono tutte ambientate dopo il matrimonio di Miki e Umibozu e vedono l’evoluzione del rapporto tra i nostri due amici in modo diverso (più che altro a seconda dei film mentali dell’uno o dell’altro XD), con qualche piccolo elemento.
In ogni caso, le storie tra loro non hanno alcun legame, quindi sono leggibili separatamente.




A tutti i fan di City Hunter che ho conosciuto in questi mesi e a quelli che ho incontrato negli anni; a coloro che hanno sclerato con me su questo magnifico anime e manga e a chi mi ha regalato momenti meravigliosi con le proprie fanfiction; ai fanreader che commentano e a coloro che non amano esprimere le proprie opinioni; a a coloro che, insomma, amano questa serie come me.




La promessa


Prima parte

Il sole era già alto nel cielo quando il campanellino posto sulla porta d’ingresso del Cat’s Eye tintinnò e la prima cliente della giornata entrò.
Miki, seduta a uno degli sgabelli del bancone come fosse un semplice avventore invece che la proprietaria, si voltò verso la donna e, appena la riconobbe, la salutò raggiante.
«Ah, Kaori-san, benvenuta!»
L’espressione allegra stonava con il colorito ancora un po’ pallido, ma Kaori era contenta di vederla in piedi. Si era aspettata di trovarla a letto, visto che era trascorsa solo una settimana dal giorno in cui era stata ferita, e invece l’amica le sorrideva felice e pimpante.
Il professore l’aveva dimessa il giorno prima e le aveva proibito di lavorare, perciò Falcon si occupava delle incombenze del bar, aiutato da Kasumi quando questa poteva; tuttavia, a Miki non andava proprio di starsene a letto senza fare nulla, così aveva preferito restare nel bar con gli altri due, con la promessa di non stancarsi né strafare.
«Buon giorno, Umibozu-san. Miki-san, vedo che ti stai rimettendo in fretta!» la salutò l’altra.
La donna annuì, ma non parve molto interessata ai convenevoli perché, non appena la ragazza si sedette al suo solito posto, le fu subito accanto, fissandola con un sorriso a trentadue denti; Kaori la scrutò per un attimo, incerta: che cosa le era preso? Non era da lei comportarsi così.
«Allora, Kaori-san! Un uccellino mi ha detto che c’è stata finalmente una svolta tra te e Saeba-san!»
Kaori arrossì, ma non smentì né confermò le parole dell’altra, perciò lei decise di accogliere positivamente quella reazione.
«E quindi, cos’è successo?» volle sapere, allungandosi ancora di più verso di lei.
Kaori si ritrasse un po’ spaventata da quella reazione. «Successo? Niente, non è successo niente, perché?»
Miki la guardò in tralice. «Andiamo Kaori-san, non essere timida! Non mi dirai che non ci sono stati altri sviluppi dopo che tu e Saeba siete tornati a casa, vero?!»
Kaori scosse la testa con forza. «Assolutamente no».
Miki la fissò, incredula. «Mi stai prendendo in giro? Non ti ha neanche dato un bacio piccolo piccolo?»
«Miki…» tentò di intervenire Umibozu per proteggere la privacy della ragazza, ma la moglie lo ignorò. «Oh, finiscila! Dài, Kaori-san, non c’è bisogno di vergognarsi! Racconta, racconta!»
«È la verità, Miki-san, non è successo niente tra me e Ryo dopo quel giorno».
«Ma come? Ma si è dichiarato, no? Ti ha detto che ti ama, no?»
Kaori annuì, il volto sempre più in fiamme. «Sì. Ma dopo non è successo niente comunque».
«Come?! E perché? Non mi dirai che questa situazione ti va bene, spero! Perché non ci credo!»
No che non le andava bene, ovvio. O meglio, aveva preferito non pensarci troppo, in effetti. Da quando Ryo si era dichiarato, era passata una settimana. In quell’arco di tempo, le cose erano cambiate tra loro, questo non poteva negarlo: anche se continuava a fare il cascamorto con Saeko e le altre e non voleva accettare clienti uomini, aveva comunque smesso di andare per locali la sera e di mollarla per strada per mettersi a importunare qualche bella donna. In effetti, le volte in cui aveva usato il martello si erano drasticamente ridotte, anche se non poteva ancora abbassare la guardia: proprio la sera precedente l’aveva beccato che metteva le mani nella sua biancheria.
Da un punto di vista fisico, però, tra loro due non c’era stato nessun cambiamento. E se da una parte questo la impensieriva, dall’altro ne era contenta: lei non era mai stata con un uomo e non aveva idea di come ci si dovesse comportare in certe occasioni, quindi anche la sola idea di dover baciare Ryo l’atterriva. Certo, è vero che si erano già baciati, ma era accaduto su una nave che stava esplodendo e c’era un vetro di mezzo: non esattamente la situazione più romantica del mondo. E se avesse combinato qualche casino? Ryo l’avrebbe sicuramente presa in giro a vita. Dopotutto, quando si era finta Cenerentola, non aveva forse dovuto insegnarle che per baciare qualcuno bisogna chiudere gli occhi? E lui, allora, non sapeva chi aveva davanti; se ne fosse stato a conoscenza, di sicuro le avrebbe riso in faccia.
«No, ma…»
«Secondo me è arrivato il momento che tu faccia qualcosa!»
«Io?» Se possibile, il rossore sulle guance della sweeper si fece ancora più acceso. «Per carità, non saprei neanche da dove cominciare!».
«Kaori, ti svelo un segreto: se aspettassimo che gli uomini si diano una mossa, noi donne staremmo ancora qui ad attendere. Guarda me: se non fossi venuta qui in Giappone a cercarlo, non avrei mai ritrovato Falcon. E se non avessi deciso di prendere io l’iniziativa, credi davvero che mi avrebbe sposata?»
Umibozu tossicchiò, imbarazzato nel ritrovarsi protagonista di una discussione tra donne, ma le altre due a mala pena ci fecero caso.
Kaori abbassò lo sguardo. Miki aveva ragione, ma… davvero ce l’avrebbe fatta?
«Ma io… non credo di esserne capace. Ci ho provato una volta ed è stato un completo disastro».
In poche parole, le raccontò di Silver Fox e della sua folle idea che fosse la fidanzata di Ryo.
«Anche quella volta che Eriko mi costrinse a indossare persino una parrucca le cose non andarono certamente meglio».
«Ma io non intendo dire che devi fingere di essere qualcuna che non sei o che devi trasformarti in una femme fatale. Tu sei già una bella donna e hai tante qualità».
Kaori la guardò con un’espressione poco convinta: di quali qualità stava parlando? La ragazza comprese al volo le sue perplessità, ma non desistette.
«Per esempio, sei un’ottima cuoca e hai un bel fisico. Potresti preparare una cenetta a lume di candela e magari indossare un vestito carino, che metta in risalto i tuoi punti forti».
«Un vestito carino? Ryo non lo noterebbe nemmeno, ne sono certa».
«Tu dici? Io non ne sono affatto convinta. Anzi,» Miki balzò in piedi, allegra «ho un’idea: andiamo a fare shopping insieme! Ti troverò io un abito a cui Saeba non potrà restare indifferente!»
Kaori cercò di tirarsi indietro: lei era andata lì solo per accertarsi che Miki stesse bene, come erano arrivate a quel punto? «Ma Miki, tu sei ancora in convalescenza, non devi strafare!»
«Sciocchezze: stiamo andando a fare compere, mica in guerra! Per le donne fare gli acquisti è sempre un toccasana. Falcon, ti affido il locale, mi raccomando!» e trascinò una Kaori non proprio convinta fuori dal bar.
“Le donne, chi le capisce è bravo!” pensò il pover’uomo rimasto solo.


«Allora, che ne pensi di questo?» domandò Miki, passandole un altro abito.
Erano in quel negozio da almeno un’ora e non avevano ancora trovato nulla che soddisfacesse i gusti di entrambe, tanto che persino la commessa si era arresa e le aveva lasciate libere di servirsi da sole. Secondo Kaori, ormai aveva provato tutto quello che c’era lì dentro e avrebbe tanto voluto che Miki la lasciasse andare; ma la ragazza non pareva affatto d’accordo con lei.
«L’abito giusto esiste, fidati. E la mia missione di oggi è trovarlo».
Kaori sospirò e, senza prestarci veramente attenzione, prese il vestito che l’amica le aveva passato attraverso la tenda. “Questo è l’ultimo” si ripromise “Dopodiché dirò a Miki che si è fatto tardi”. Aveva anche dato appuntamento a Ryo al Cat’s Eye e già s’immaginava quante gliene avrebbe dette per averlo fatto aspettare.
E invece, nel momento in cui si guardò allo specchio del camerino, tutti i suoi propositi svanirono nel nulla.
Non era un abito elegante come quello che le aveva regalato Sayuri né professionale come il tailler di Keichi, ma capì che quello era proprio il vestito che faceva per lei.
Era color panna, una tonalità che raramente indossava, a maniche corte e con una scollatura a barca non troppo pronunciata, ma che comunque faceva indovinare le sue forme; dalla vita partiva un’ampia gonna svasata che le arriva sopra il ginocchio. Era comodo e, stranamente, indossarlo non la imbarazzava. Era a dir poco perfetto. Persino il prezzo rientrava nel budget. Tutto le urlava di non farsi problemi e comprarlo.
«Kaori, tutto bene?»
Uscì dallo spogliatoio e fece un piccolo giro su se stessa, lasciando che l’amica traesse le proprie conclusioni. Miki era a dir poco estasiata.
«Ti sta benissimo! Lo sapevo, lo sapevo! Un paio di scarpe combinate e Saeba non potrà resisterti!»
Kaori continuava ad essere piuttosto perplessa, ma Miki aveva ragione: quel vestito le stava benissimo e, cosa che non accadeva molto spesso, si sentiva davvero bella.

**

Dopo una ventina di minuti dacché Miki e Kaori erano uscite, il campanellino tintinnò nuovamente e stavolta fu Ryo ad affacciarsi.
«E Miki e Kasumi? Hanno davvero avuto il coraggio di lasciarti da solo ad occuparti dei clienti?» chiese raggiungendo l’amico al bancone.
«Tsè! Kasumi oggi aveva un impegno e Miki è appena andata a fare shopping con Kaori».
«Shopping con Kaori?» ripeté Ryo sorpreso.
«Perché ti stupisci? Alle donne piace andare in giro a fare acquisiti».
«Mah, i gusti di Kaori sono sempre pessimi». commentò accomodandosi «Sono sicuro che tornerà con qualche strano tutone che non attizzerebbe neanche l’uomo più ubriaco del mondo!»
Per tutta risposta, Umibozu gli diede una gomitata. «Ah sì? E dire che non mi parevi di questa opinione la settimana scorsa, in quella radura!»
Ryo incrociò le braccia al petto e guardò da tutt’altra parte. «Che c’entra? È una cosa diversa, quella».
Umibozu sogghignò riprendendo a pulire i piatti. «È inutile che continui con questa farsa, tanto ormai non ci casca più nessuno. Ma se proprio non puoi farne a meno, evita che anche Kaori ci creda».
Qualunque cosa Ryo stesse per replicare fu bloccato da un altro scampanellio che preannunciò l’entrata di alcuni clienti che assorbirono immediatamente l’attenzione di Umibozu.
Ryo rimase al proprio posto a guardare il via vai degli avventori che si avvicendavano nel bar e studiò la disinvoltura con cui ormai l’ex mercenario si muoveva tra il bancone e i tavolini nonostante la cecità: nessuno, a meno che non lo conoscesse, avrebbe potuto accorgersi che l’uomo non vedeva e questo lo rincuorò. Anche se erano passati anni e la ragione gli diceva che quel che era accaduto non era stata colpa sua ma della guerra, il senso di colpa se ne stava sempre lì, in agguato, e ogni tanto lo coglieva ancora. Ma avrebbe preferito tagliarsi la lingua piuttosto che dirglielo.
Guardò l’orario e iniziò a tamburellare le dita sul bancone: ma quanto ci mettevano quelle due a tornare? Fortuna che Kaori gli aveva detto che voleva andare a controllare il tabellone degli annunci!
Finalmente, dopo una mezz’oretta le due ragazze rientrarono con buste e sacchetti di varie dimensioni.
«Ce ne avete messo di tempo! Un altro po’ e me ne sarei andato!» brontolò all’indirizzo della socia.
«Che noioso che sei! Non siamo state via poi così tanto!»
«E che cosa avete comprato di tanto importante?» le domandò e, senza aspettare una risposta, si avvicinò al sacchetto più grande per sbirciare all’interno.
Kaori prontamente glielo tolse dalle mani, arrossendo. «Non sono affari tuoi! Su, muoviti, andiamo!»
«La solita autoritaria!» sbuffò, ma lo stesso la seguì fuori dal locale. «Per andare dove, poi? Tanto di sicuro nessuno avrà bisogno di noi».
«Sempre ottimista, tu!» replicò, ma purtroppo Ryo aveva avuto ragione, perché anche quel giorno la bacheca degli annunci era vuota.
«Visto, che ti dicevo?» non poté fare a meno di prenderla in giro. Diversamente da solito, però, Kaori non si offese, ma gli chiese: «Che ti va di mangiare per cena?»
«Eh? Da quand’è che mi chiedi consigli su cosa cucinare?»
«È solo che non ho idee e speravo che tu potessi darmene una…»
L’uomo ci pensò su. «Non saprei, a me va bene tutto. Sai che non sono un tipo schizzinoso».
Per tutta risposta, lei lo guardò male. «Direi più che altro che sei una fogna».
«Meglio, no? Altrimenti chi avrebbe il coraggio di mangiare quello che prepari?»
Stavolta, Kaori non si trattenne e lo colpì con un martello. «Scusa se non sono una chef a cinque stelle! Trovati una cuoca se non ti soddisfa quello che cucino io, ingrato! Va bene, ho capito, ci penso io. Ma poi non ti lamentare!» disse allontanandosi a passo di marcia.
“Ma che le è preso? Perché mi dovrei lamentare?” si chiese perplesso, mentre cercava di liberarsi dall’ingombrante peso.


Kaori era ai fornelli, quando Ryo si affacciò in cucina e annusò l’aria.
«Uh, che profumino! Che stai cucinando di bello?»
La ragazza gli lanciò un’occhiataccia che lo gelò sul posto. «Niente che ti riguardi!»
Ryo comprese l’aria che tirava e si dileguò all’istante.
Alla fine, ancora arrabbiata per la sua battuta sulle proprie abilità culinarie, Kaori l’aveva costretto ad accompagnarla a fare la spesa e l’uomo si era dovuto sobbarcare il peso di tutto il ben di Dio che aveva acquistato.
«Ma quanta roba hai comprato?» le aveva domandato infatti, zigzagando per non perdere l’equilibro. «Sembra che dobbiamo sfamare un esercito!»
«Sta’ zitto e cammina!» era stata la sua gelida replica e non aveva aggiunto altro, perciò lo sweeper aveva fatto come gli era stato ordinato, borbottando tra sé cose che lei aveva preferito far finta di non sentire.
Stupido deficiente. Kaori si chiese se, forse, non sarebbe stato meglio lasciar perdere e rinunciare finché era ancora in tempo: avrebbe potuto cucinare benissimo qualcosa di meno complicato e rinchiuso quel vestito nell’armadio, in attesa di un’occasione per indossarlo senza sentirsi così sciocca. Del resto, anche se quella cena avesse avuto l’effetto sperato, non era detto che poi tra loro sarebbe successo qualcosa. Ma poi, lo voleva davvero? Non era meglio che le cose procedessero con calma, senza scossoni? Aveva aspettato tanti anni che Ryo si dichiarasse, perché ora aveva tutta questa fretta di portare anche la loro conoscenza fisica su un altro piano?
Però… Ricordò quella sera al molo, quando aveva finto di essere una donna che non era: Ryo, così vicino a lei che aveva potuto avvertire il calore che emanava avvolgerla completamente, i suoi occhi scuri fissi nei propri, il cuore che le batteva forte. Nella sua mente aveva immaginato spesso che la mezzanotte non fosse giunta così presto e che lui l’avesse davvero baciata. E adesso, forse, aveva davvero l’occasione di far avverare quel sogno ad occhi aperti. Voleva sentire le proprie labbra su quelle dell’uomo che amava, i loro respiri che si intrecciavano, le mani di lui sul proprio corpo. Chissà come doveva essere accarezzare le spalle di Ryo e posare le proprie mani sul suo ampio petto…
«Io esco».
Il volto di Ryo, a due centimetri dal suo, la spaventò talmente tanto che gettò un urlo e il coltello che aveva in mano fece un piccolo volo. Lo sweeper lo recuperò prima che cadendo potesse fare danni e glielo porse dal manico.
«Si può sapere dove hai la testa? È la decima volta che ti chiamo!»
Kaori sapeva che Ryo non poteva leggere i suoi pensieri, ma nonostante tutto sentì le guance diventare più calde e pregò tutti i kami che conosceva che non se ne accorgesse. «Scusa, ero soprappensiero. Che mi volevi dire?»
Lo sweeper, però, parve non notare nulla. «Ha telefonato il professore e mi ha chiesto se posso passare da lui»
«Ah» Kaori cercò di nascondere la propria delusione, ma forse non ci riuscì così bene, perché Ryo si affrettò ad aggiungere: «Ma non ci metterò molto. Tornerò per cena, promesso».
Kaori annuì e lui le sorrise prima di uscire dalla cucina.
Voleva davvero che tra loro le cose cambiassero per sempre? Sì, lo voleva. Anche se non aveva idea di cosa avrebbe fatto se Ryo avesse voluto andare oltre, lei voleva ancora provare quelle sensazioni. Stavolta, senza vetri di mezzo e campane che suonavano la mezzanotte nel momento sbagliato.
Si diede un paio di schiaffetti per tornare con i piedi per terra e si concentrò sulla cena. Forse, il fatto che Ryo fosse uscito non era poi così male: avrebbe potuto prepararsi con tutta calma e fargli una sorpresa.

**

Ryo partì alla volta del commissariato di polizia sentendosi così in colpa che per un attimo pensò di telefonare a Saeko per disdire l’appuntamento e tornare indietro.
Non gli ci era voluto molto per capire che Kaori stava combinando qualcosa - anche se non era riuscito a capire bene cosa - per questo non aveva avuto cuore di dirle che stava uscendo con la bella poliziotta. Sicuramente, lei si sarebbe arrabbiata e gli avrebbe impedito di andare da solo, perché sarebbe stata sicurissima che la donna gli avrebbe chiesto un favore e lui avrebbe accettato senza pensarci neanche un secondo.
E infatti era andata proprio così.
«Ryo, ho bisogno del tuo aiuto» aveva esordito lei quando aveva risposto al telefono «e se mi darai una mano, prometto di saldare tutti i debiti che ho con te. Anche stanotte».
Il suo amichetto avrebbe reagito immediatamente a una simile proposta, con o senza la possibilità che Kaori potesse entrare da un momento all’altro, se nella voce di Saeko non avesse sentito una seria richiesta di aiuto: non era da lei promettere folli notti di passione con quel tono, e questo gli aveva fatto prendere subito quella decisione di cui si era pentito dieci secondi dopo.
«Dimmi dove sei e arrivo».
E così eccolo lì, a correre verso la centrale di polizia, mentre il sole lentamente scivolava dietro i grattacieli di Shinjuku. Aveva assicurato a Kaori che sarebbe tornato in tempo per la cena e si augurava di riuscire a mantenere la sua promessa. Non era sicuro che lei lo avrebbe perdonato facilmente se non l’avesse fatto.
Raggiunse la poliziotta alla solita panchina, nel giardino a fianco del commissariato; lei era già lì che lo attendeva con aria assorta. Non si avvide neanche del suo arrivo, finché non le si sedette accanto.
«Il fatto che tu non mi abbia neanche sentito arrivare significa che la questione è davvero grave» le disse a mo’ di saluto.
«Hai fretta di essere pagato, vedo» rispose lei sorridendogli mesta.
«Diciamo che il tuo XYZ non è passato inosservato al mio mokkori. Allora, cosa è successo?»
Per tutta risposta, Saeko gli mostrò le foto di tre uomini.
A quella, Ryo si alzò: «Mi spiace, non posso aiutarti. Sai bene che non accetto clienti uomini. Sono già in ritardo per un appuntamento».
«Questi tre sono i miei potenziali mariti» spiegò.
«Cosa?»
Ryo sapeva che suo padre, il commissario capo della polizia di Tokyo, la pressava perché finalmente si sposasse e mettesse su famiglia, ma era anche noto che Saeko li aveva rifiutati tutti con la scusa che nessuno di loro era stato alla sua altezza ed era riuscito a batterla.
«Mio padre è stato in gamba, stavolta. Ha scovato tre pretendenti che hanno indiscusse capacità: il primo» indicò un uomo sui trentacinque anni, piuttosto avvenente «è cintura nera di karate, terzo dan; il secondo» passò a un altro tizio dall’aria antipatica «è commissario di polizia a Okinawa, mentre il terzo» indicò un uomo biondo, probabilmente straniero «è uno dei migliori agenti della CIA che ha dovuto abbandonare il servizio per una ferita alla gamba».
Ryo fischiò di approvazione: il caro paparino si era davvero dato da fare.
«Non sembrano male. E io cosa c’entro in questa storia?»
«Beh, ho detto a tutti e tre che non ero intenzionata a sposare nessuno di loro, perché avevo già trovato un altro uomo. E che avrei detto di sì a colui che fosse riuscito a batterlo».
A Ryo ci vollero solo un paio di nanosecondi per capire di chi stesse parlando.
«Stai scherzando, spero!» urlò «Tuo padre già mi odia, dopo questo mi darà la caccia a vita!»
«Non ti preoccupare, lui non sa niente. Ho contattato i tre per conto mio. Dovrebbero essere qui fra pochi minuti».
«Lo sai che non potrai continuare così per sempre, vero? Che prima o poi dovrai prendere una decisione, che sia affrontare tuo padre o sposarti?»
Saeko lo guardò, triste. «Lo so. Ma non sono ancora pronta. Allora, mi darai una mano?»
Ryo sospirò: Kaori gli avrebbe detto che era solo colpa sua se si trovava in quella situazione, visto che non era capace di dire di no a Saeko. E avrebbe avuto ragione.


Kaori guardò ancora una volta l’orologio, sebbene l’avesse già fatto pochi minuti prima. Le 22.40.
Ryo le aveva promesso che sarebbe tornato in tempo per cena. Che fine aveva fatto?
Aveva spento tutte le luci e aveva acceso un paio di candele al centro della tavola per creare l’atmosfera. Sul piano, in quel momento troneggiavano tante di quelle leccornie che avrebbero davvero potuto sfamare un esercito, dall’antipasto al dolce. Aveva cucinato tutti i piatti preferiti di Ryo - non che ne avesse davvero qualcuno, ma in tanti anni di convivenza si era accorta di cosa gradisse di più ed era andata a colpo sicuro.
Ci aveva messo due ore a preparare tutto, ma alla fine, soddisfatta del proprio lavoro, era andata a farsi una doccia veloce e aveva indossato l’abito che lei e Miki avevano acquistato quella mattina. Adesso che lo vedeva meglio, le piaceva ancora di più: il tessuto morbido le scendeva sinuoso sui fianchi e le scarpe che l’amica aveva voluto per forza regalarle - “Consideralo un portafortuna!” le aveva detto facendole l’occhiolino - mettevano in risalto le sue gambe sottili. Per l’occasione, aveva rovistato nei cassetti e aveva ritrovato una trousse che qualcuno le aveva regalato per un compleanno di alcuni anni prima. Non era una donna abituata a truccarsi, perciò ci aveva messo un po’ prima di riuscire a prendere la mano, ma il risultato alla fine l’aveva soddisfatta.
Alla fine si era guardata allo specchio e per una volta era stata fiera di se stessa. Miki aveva avuto ragione: era splendida.
«Anche se dubito che servirà davvero a qualcosa», borbottò triste a se stessa guardando ancora una volta l’ora.
Dove diavolo era finito Ryo? Che gli fosse successo qualcosa? No, era da escludere. Se gli fosse capitata qualche disgrazia, qualcuno - Saeko, Falcon, il professore - l’avrebbe di sicuro avvisata. E poi, quando se ne era andato, non aveva dato a intendere che sarebbe stato un lavoro pericoloso, altrimenti sarebbe andata con lui. Per un attimo, fu colta dalla tentazione di telefonare al professore per chiedergli se andasse tutto bene e se Ryo fosse ancora lì, ma poi aveva desistito. Da un lato, non voleva comportarsi come una donna troppo apprensiva, che voleva sapere a tutti i costi dove fosse l’altro - anche se, a ben vedere, era stato lui a prometterle che sarebbe rientrato presto, quindi aveva tutto il diritto di fare domande, no? - ma dall’altro era terrorizzata dall’idea che Doc le dicesse che il suo partner non era lì con lui e che, anzi, non l’avesse proprio visto.
Kaori si passò le mani tra i capelli. Aveva davvero così poca fiducia nell’uomo che amava, tanto da continuare a temere che le mentisse per andarsene in giro per night club? Non che non avesse motivo di dubitare delle sue parole, ma se c’era una cosa che Ryo non faceva mai era promettere qualcosa che non avrebbe mantenuto.
Questo, però, non risolveva il suo dilemma, anzi acuiva la sua preoccupazione: che doveva fare? Chiamare e accertarsi che andasse tutto bene o rimanere lì, a immaginare scenari comunque apocalittici?
«Dove sei, Ryo? Che stai facendo? E, soprattutto, con chi
Aveva fantasticato tanto su quella serata, ma mai si sarebbe immaginata che sarebbe terminata in un modo così deprimente.
Incrociò le braccia sul tavolo, vi appoggiò sopra la testa, e si mise a fissare la fiamma della candela che, inesorabilmente, continuava a consumarsi. Si sentiva sola e stupida come non le accadeva da tanto, tantissimo tempo.


Ryo rientrò che era ormai l’una passata.
A dispetto di quel che aveva pensato all’inizio, quei tre tizi si erano rivelati degli ossi davvero duri e in qualche occasione aveva temuto davvero di essere sconfitto. Non gli era chiaro se si fossero impegnati tanto per una questione di mero onore oppure perché seriamente intenzionati alla mano di Saeko, ma non gli interessava: il suo compito era sconfiggerli; se poi uno di loro avesse desiderato comunque provarci con lei per altre vie o se la stessa poliziotta avesse deciso di dare a uno di quei tre una chance, non erano affari suoi.
Il primo a volersi battere era stato il membro della CIA che, a causa della ferita riportata, gli aveva proposto una sfida piuttosto semplice: chi fosse riuscito a far cadere una mela dal ramo più alto di un albero senza spaventare gli uccelli che erano posati sulle altre ramaglie avrebbe vinto. Inutile specificare che lui non solo aveva centrato la mela ma, durante la caduta, l’aveva divisa in quattro parti perfettamente uguali.
Il secondo a scontrarsi con lui era stato il campione di karate, ovviamente nella propria disciplina. Era stato un incontro lungo e anche divertente, ma se dalla sua l’uomo aveva la tecnica, Ryo lo batteva per esperienza e inventiva.
Quello che si era rivelato l’incontro peggiore, e che gli aveva fatto perdere un sacco di tempo, era stato il terzo. Già dalla foto che gli aveva mostrato Saeko quel tizio non gli era piaciuto per niente, e come spesso accade la prima impressione è la più corretta. Dopo aver visto le sue capacità, aveva preteso un vero e proprio duello e si erano dovuti persino spostare in una zona più appartata per non spaventare mezza città. Durante lo scontro aveva dovuto ammettere che la sua arroganza non era immotivata e che sapeva il fatto suo. C’era stato addirittura un momento - causato da un attimo di distrazione dovuto al suono di una campana lontana che gli aveva ricordato la promessa che aveva fatto a Kaori e che stava consapevolmente disattendendo - in cui aveva temuto di non farcela e l’unica cosa che l’aveva spinto a continuare, oltre al proprio orgoglio e al desiderio di farla finita con quella storia una volta per tutte, era stato il pensiero che non si sarebbe mai perdonato se avesse lasciato che Saeko sposasse un tipo del genere.
«Ti sarò debitrice a vita, Ryo» gli aveva sorriso la donna quando era tornato vittorioso dallo scontro. «Come promesso, puoi chiedermi tutto quello che vuoi».
L’unica cosa che desiderava in quel momento era tornarsene a casa e capire come mantenere quella promessa che lui, invece, non era stato capace di adempiere, perciò l’aveva liquidata con un “Vedrai, tutti i mokkori che mi devi non saranno nulla in confronto!” un po’ scherzoso e un po’ irritato, era salito in auto ed era sfrecciato via, lasciandola con i suoi tre pretendenti.
Di sicuro Kaori se ne era andata già a letto, si disse quando, dopo aver parcheggiato l’auto nel garage ed essere salito al piano superiore, aveva constato che in casa tutte le luci erano spente e il silenzio regnava sovrano.
Per un attimo, prima di aprire la porta, lo aveva colto il dubbio che Kaori potesse essere ancora sveglia ad attenderlo, con un martello in mano e l’espressione furiosa, ma non aveva avvertito alcuna aura minacciosa che lo aspettasse al varco perciò, con un sospiro di sollievo, si era convinto che, almeno per quella sera, l’aveva scampata.
Avrebbe voluto seguire anche lui il suo esempio e andarsene a dormire per dimenticare quella brutta giornata - e magari trovare una scusa decente da usare con Kaori il giorno dopo - ma non aveva cenato e lo stomaco reclamava la propria reazione quotidiana di carburante, perciò si diresse in cucina. Chissà se Kaori gli aveva lasciato qualcosa di buono o se, per ripicca, aveva buttato tutto nella spazzatura. Non che l’avrebbe biasimata per questo.
Fu quando varcò la soglia che la vide.
Kaori era ancora lì che lo aspettava per la cena, la testa abbandonata sulle braccia, gli occhi chiusi, le candele ridotte a un mozzicone inutilizzabile, le leccornie che aveva preparato ormai fredde.
Si avvicinò alla propria partner indeciso su cosa fare e solo allora si rese conto che indossava un abito nuovo, quello che probabilmente aveva acquistato quella mattina con Miki.
Il senso di colpa che aveva relegato in un angolino del suo cuore quando aveva dovuto concentrarsi sulla sfida con quei tre ritornò a farsi strada prepotente.
«Sono passati tanti anni, e io ancora mi chiedo che cosa ci trovi in un tipo come me», le bisbigliò, anche se lei non poteva sentirlo.
Con estrema delicatezza, la prese in braccio, la portò in camera sua e l’adagiò sul letto. Il bagliore del traffico che filtrava dalla finestra proiettava strani giochi di luce sul suo corpo addormentato e il vestito color panna quasi risplendeva nel buio. Ad un certo punto, forse a causa di un sogno, forse per trovare inconsciamente una posizione più comoda per dormire, Kaori si voltò verso di lui e, nel movimento, la parte inferiore dell’abito le salì di qualche centimetro, scoprendole parte della coscia.
Ryo ingoiò a vuoto. Se avesse cercato di essere così seducente da sveglia, probabilmente non ci sarebbe mai riuscita. E, invece, in quel momento, stava distruggendo il suo autocontrollo senza neanche saperlo.
Da quando era diventata così bella? Forse lo era sempre stata, ma lui aveva fatto finta di non accorgersene, continuando a immaginarsela come la ragazzina vestita da maschio che aveva conosciuto quel giorno di tanti anni prima. E invece, a quanto pareva, di quello Sugar Boy non era rimasto nulla, almeno dal punto di vista fisico.
Aveva tanta voglia di toccarla, di constatare di persona se la sua pelle era davvero così vellutata come sembrava alla vista, se le sue labbra erano davvero così morbide, se…
Ryo scacciò quelle immagini dalla testa: doveva uscire da quella stanza, subito, prima di commettere qualche sciocchezza. Da quando si era dichiarato in quella radura, nonostante il suo corpo bruciasse dal desiderio di poterla stringere, aveva cercato di procedere a piccoli passi: Kaori era la persona a cui teneva di più al mondo e non gli andava certo di saltarle addosso così, come se fosse stata una delle tante - e non solo perché sicuramente lei l’avrebbe steso con uno dei suoi migliori martelli. Però, cavolo, ritrovarsi in una situazione simile non aiutava per niente.
«Ryo, sei tu?» la voce impastata di Kaori lo chiamò prima che riuscisse a mantenere il proprio proposito. Si voltò verso di lei e le sorrise, pregando che non si accorgesse del suo turbamento.
«Sì, sono io. Non volevo svegliarti, torna a dormire».
La ragazza si guardò intorno come se non capisse dove fosse. «Cosa… dove…?»
«Ti eri addormentata in cucina e ti ho portata in camera, sta’ tranquilla».
Ma lei si era già sollevata e lo stava fissando preoccupata. «È successo qualcosa? Hai la giacca strappata».
Ryo seguì il suo indice e notò che l’orlo si era rovinato, forse quando era stato colpito di striscio da quell’idiota di Okinawa.
Avrebbe tanto voluto gettare la maschera e dirle la verità, ma sapeva che, se l’avesse fatto, l’avrebbe fatta solo soffrire inutilmente, perciò si sedette sul materasso e cercò di rassicurarla. «È tutto ok. Alcuni gatti randagi sono entrati nel laboratorio e il professore aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a cacciarli» inventò sul momento, appuntandosi di chiamare Doc e di chiedergli di confermare quella storia, se mai un giorno Kaori avesse fatto domande. «Ci abbiamo messo più tempo del previsto. Mi dispiace per la cena».
La donna gli sorrise, visibilmente rincuorata. «Non fa niente. L’importante è che tu stia bene».
Ryo ebbe un tuffo al cuore. Perché? Perché lo trattava con tanta dolcezza? Sarebbe stato molto più semplice se gli avesse urlato contro e lo avesse riempito di martellate come faceva di solito. Perché Kaori lo amava così tanto? Cosa faceva lui per meritarsi tutto quell’amore? Non riusciva a capirlo.
«Sei sicuro che vada tutto bene? Hai un’espressione così triste…» gli chiese d’un tratto, avvicinandosi a lui per guardarlo meglio.
Il viso di Kaori era a pochi centimetri dal suo, adesso. Il suo profumo - ma quanto ne aveva messo, quella sera? - quasi lo stava stordendo e la mente dello sweeper non riusciva a scacciare la visione del suo corpo addormentato.
Doveva andarsene di lì, accidenti. Il suo autocontrollo era ormai agli sgoccioli e sarebbe bastato pochissimo per perderlo completamente.
«Ryo?» lo chiamo ancora, stavolta con un tono più preoccupato, allungando una mano verso la sua fronte, forse per sincerarsi che non avesse qualche linea di febbre.
«Va tutto bene, non ti preoccupare. Adesso dormi, è tardi» le disse scostandosi con gentilezza e scompigliandole dolcemente i capelli
Kaori annuì e tornò a distendersi. Non era ancora arrivato alla porta che sentì il suo respiro farsi regolare, segno inequivocabile che fosse di nuovo nel mondo dei sogni.


Deliri dell’autrice
Salve! * agita manina *
Ed eccomi qui con una nuova avventura dei nostri sweeper preferiti. *_*
In realtà questa fanfiction era stata concepita come una oneshot, ma mi sono resa conto che era un po’ lunga, perciò ho deciso di dividerla in due (e, visto come si sviluppa la vicenda, penso che sia la soluzione migliore).
Come avete potuto notare, questa storia è molto diversa dalle due che ho postato in precedenza, e per tanti motivi. In primis, qui non ci sono né omicidi né donne da proteggere (a parte una piccola richiesta di Saeko per la quale mi sta ancora guardando male XD); in secondo luogo, perché anche le basi da cui parte sono completamente differenti: se nelle prime due, infatti, seguendo un po’ lo schema classico delle fanfiction, il rapporto tra Ryo e Kaori, dopo la scena nella radura, torna ad essere il solito a cui siamo abituati, qui ho deciso che è ora che la situazione tra i due inizi a cambiare (cosa che sarebbe logica, no?). Certo, dubito che Ryo smetterebbe mai di prendere in giro Kaori e di allungare le mani su Saeko e Miki, (altrimenti non sarebbe più lui, no?), ma sono più che certa che il primo passo che farebbe sarebbe almeno quello di non saltare addosso alla prima bella donna incontrata per strada (oddio, almeno lo spero. .__.)
Che dire, ancora? Spero che questa prima parte vi sia piaciuta. Alla prossima settimana con la seconda!
   
 
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