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Autore: JoiningJoice    09/12/2018    0 recensioni
Un dito si posa sulla sua schiena, pallido sostituto delle labbra di Jimin; traccia la linea invisibile dalla base della sua nuca al fondoschiena, e poi di nuovo su. Gli concilia il sonno meglio di qualunque ninnananna, nonostante quello non sia evidente essere l’obiettivo di Jimin – che si interrompe, lasciandolo sull’orlo dell’unico precipizio in cui Taehyung desidera crollare. La frase che pronuncia lo sveglia ancor più di prima.
« Stavi chiamando tua mamma, nel sonno. Per questo ti ho svegliato. »

VMin, background VMinKook. Parte della serie "RUN" (maggiori info all'inizio della storia)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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[Disclaimer]
Questa storia è parte di un Alternative Universe chiamato “Run” ideato da me ed Andrea (kumiho5); per far sì che comprendiate il contesto, vi lascio di seguito un riassunto veloce della trama. Buona lettura!
Jungkook e Taehyung non sono che il prodotto della società in cui sono cresciuti: poveri in canna, fin dalla più tenera età tentano disperatamente di sopravvivere tra piccoli furti e occasionali lavori per criminali più grandi di loro. È durante uno di questi lavori che conoscono Jimin, un prostituto che non esita a pugnalare alle spalle chiunque gli diventi scomodo avere attorno; una serie di sfortunate coincidenze fa sì che i tre si trovino costretti a dover rapinare assieme una banca. Inizia così un'improbabile collaborazione – e convivenza – tra Jimin, terrorizzato dai legami duraturi, Taehyung, innocente e dal cuore d'oro, e Jungkook, diviso tra l'amore e fiducia che prova per il suo migliore amico e la tesa ostilità nei confronti del nuovo arrivato.



And the arms of the ocean are carrying me

 

                Dallo spiraglio della porta socchiusa si dirama un raggio di luce dorata, un avvertimento che Taehyung sa benissimo corrispondere ad un silenzioso non aprire, non oltrepassare il confine. Il pavimento sotto la sua pancia, scoperta a causa della posizione, è nudo e freddo niente a che vedere col comodo tappeto della camera di sua madre, ma Taehyung non osa protestare. Ruota sulla schiena e si sistema la maglietta tirandola verso il basso, trascinando con sé il disegno che giace in mezzo ai pennarelli colorati coi tappi tutti sbagliati.

                Osserva con infantile orgoglio il prodotto del suo duro lavoro, la casa azzurra nel bel mezzo del prato verde, il sole che propaga le sue rettilinee perfette raggi solari, nella sua fantasia di bambino verso labitazione ed illumina i volti serenamente sorridenti delle due figure che aleggiano fantasmagoriche e sproporzionate nel prato accanto alla casa. Il bambino tende un braccio troppo corto verso la madre che ne allunga uno troppo lungo e tiene stretta, in un pasticcio di linee nere, la sua mano nella propria. La madre ha una gonna che è un triangolo rosso, lunica punta cremisi e innaturale in quelloceano di giallo e verde e azzurro.

                Sta ripensando a come la maestra dellasilo gli ha insegnato a disegnare gli uccellini in volo, due gobbette unite ripetute in uno stormo di parentesi poste in orizzontale, quando il confine invalicabile del raggio di luce diventa un vero e proprio fascio che lo investe. Si mette seduto e osserva luomo poggiato allo stipite della porta, abbastanza in controluce da impedire a Taehyung di distinguerne i lineamenti.

                « Ma che fai, lo tieni nello sgabuzzino? », domanda a qualcuno alle proprie spalle, sistemandosi la cravatta. « Ma mandalo fuori a giocare, no? »

                Taehyung aggrotta la fronte. Quello non è uno sgabuzzino, ma la sua stanza protettrice: è così che sua madre la definisce. È la stanza in cui deve fare silenzio, la stanza che lo protegge dai mostri. È già un enorme sacrilegio per quanto il concetto di sacrilegio non sia comprensibile ad un bambino di cinque anni che quelluomo abbia aperto la porta. Decide che gli morderà le caviglie nude se farà un passo in più; poco importa che mamma gli ripeta sempre, quasi ossessivamente, che devessere buono coi loro ospiti o meglio ancora, non farsi sentire da loro.

                Sua mamma fa capolino da dietro luomo e lo scansa di lato senza troppa gentilezza, mentre il cuore di Taehyung si rilassa e riprende a battere al proprio normale ritmo. « Taehyungie, Taehyungie », sorride, sollevandolo da terra con un gesto tanto rapido quanto forte. Gli tira un buffetto sulla guancia e lo rimette a terra, posandosi un dito sulle labbra: un gesto che Taehyung conosce, e ripete come segno di complicità totale ed assoluta. Con un ultimo sguardo al disegno ed un sorriso pallido sua madre si rialza, sistemando il laccio della vestaglia.

                « Vieni via. », mormora, il tono duro e rigido lontano anni luce da quello che riserva per lui. Preme con la mano sottile sulla spalla delluomo e lo spinge fuori, più forte del previsto per lui ma non per Taehyung, che ridacchia sottovoce. La porta si richiude alle sue spalle, recidendo dalla sua vista anche linvalicabile raggio che viene sostituito, nel giro di un istante, dalla luce sintetica della lampadina penzolante dal soffitto.

                Taehyung chiude gli occhi, premendo la schiena contro la parete più vicina. Non ama quella soluzione, anche se temporanea: preferisce quando la porta rimane aperta, anche se poco, e le voci si allontanano in unaltra stanza. Ne ha parlato a sua mamma, con non poca vergogna daltronde perché dovrebbe avere paura di alcune voci, soprattutto chiuso nella sua stanza protettrice? ma lei, magnanima, invece che rimproverarlo ha trovato una soluzione immediata.

                Le manine tozze di Taehyung cercano a tentoni le cuffie attaccate alla radiolina portatile, le cuffie troppo grandi che deve stringere sulle orecchie perché i suoni esterni scompaiano del tutto; un tasto, la pressione di un dito, e la voce delluomo che rimprovera sua madre dicendole quanto sia stato stupida la sua decisione di tenere quel peso inutile non sa di cosa parli, non vuole saperlo scompare, sostituita dalle note forti e decise di uno strumento che ha scoperto chiamarsi sassofono, una delle parole più difficili che conosce.

                John Coltrane suona il suo sassofono, le voci si spengono, la lampadina trema la propria luce pallida sullo sgabuzzino e il bambino chiamato Taehyung fissa con forza quasi folle il disegno della casa azzurra, sperando che il suo sguardo basti a renderla reale.

*

                « Taehyungie, Taehyungie »

                Taehyung annaspa, madido di sudore. Non c’è mai stata una volta, da che ha ricordi, che si sia svegliato di soprassalto, gettando per esempio di lato le coperte o urlando nel mettersi seduto. Per quanto brusco sia il risveglio, il suo primo istinto è sempre quello di irrigidirsi, rimanere paralizzato in qualunque posizione si trovi. Non muoverti; non fare rumore.

                Il suo volto affonda nel cuscino morbido, quasi azzurro nella luce della luna filtrata dalle tende. « Taehyungie », sente ripetere una terza volta; la voce è morbida quasi quanto le labbra che sfiorano la sua schiena per lasciarvi sopra uninfinità di baci non sa quando ne inizi uno, o dove finisca laltro. Chiude gli occhi e si rilassa sotto quellumido tocco amorevole, lasciandosi cullare dal suono rauco e dolce della litania di Jimin che ripete il suo nome.

                « Che ore sono? », domanda, la voce appesantita dal sonno.

                « Quasi le quattro. »

                Taehyung annuisce, come se quellaffermazione necessiti la sua approvazione. « Jungkook? », domanda; nessuna specifica.

                « È uscito a prendere da mangiare. »

                Taehyung emette una risata breve. « Jimin, sono le quattro del mattino. »

                « Avevamo fame. », si giustifica lui; Taehyung sente il suo sorriso contro la propria pelle. « Dovrebbe essere già di ritorno. »

                Un dito si posa sulla sua schiena, pallido sostituto delle labbra di Jimin; traccia la linea invisibile dalla base della sua nuca al fondoschiena, e poi di nuovo su. Gli concilia il sonno meglio di qualunque ninnananna, nonostante quello non sia evidente essere lobiettivo di Jimin che si interrompe, lasciandolo sullorlo dellunico precipizio in cui Taehyung desidera crollare. La frase che pronuncia lo sveglia ancor più di prima.

                « Stavi chiamando tua mamma, nel sonno. Per questo ti ho svegliato. »

                Taehyung apre gli occhi, ora completamente privato del dolce rifugio del sonno. Non ha paura, né sente il panico attanagliargli il petto solo un sordo, lento intercedere del peso della realtà, di un segreto più che intuibile, di un passato di cui non parla e a cui non pensa. Da sdraiato su un fianco com’è, Jimin ricade dolcemente contro di lui, una nuvola di soffice conforto. Io sono qui, sembra dirgli. Taehyung lo sa già, ma è dolce ricordarlo.

                « Scusami. »

                « Non devi scusarti. Non mi stavi spiando. »

                « Mi dispiace di avertene parlato. »

                « A me dispiace di non avertene parlato prima. »

                « Non devi farlo, se non vuoi. »

                Taehyung si muove per la prima volta da quando ha ripreso conoscenza, voltandosi sulla schiena per poter guardare Jimin negli occhi. Le sue braccia muscolose sono ben piantate ai lati del suo corpo, uno scudo dal mondo esterno che non rappresenta un pericolo non più di quanto lo rappresenti la sua espressione affranta, in quel momento. Taehyung sorride dolcemente e solleva una mano per posarla contro il suo viso, coprendo unintera guancia.

                « Non c’è nulla da dire. », ammette con un sospiro. « Prima era lì e poi non cera più. Vorrei poter dire che è stato veloce o indolore ma la verità è che non lo è stato affatto. »

                Jimin indulge nel tocco; abbassa le palpebre e stringe le labbra per un momento, una mano che sale ad afferrare quella di Taehyung, a stringere le dita con familiare forza sovrumana.

                « Non è nemmeno una storia così originale. », prosegue, ridacchiando. « Di bambini con una madre costretta a prostituirsi per sopravvivere ne ho conosciuti a decine, nel mio quartiere. I genitori di Jungkook fingevano che non esistesse neppure, ci siamo incontrati in un negozio mentre entrambi cercavamo di rubare da mangiare. Non è la fine del mondo, Jiminie. »

                « Ma le volevi bene. », mormora, un sussurro dolce; per un attimo Taehyung lo guarda e basta, stordito dal radicale cambiamento è sorprendente, quasi magico, scoprire quanta gentilezza ed altruismo si nascondano sotto il manto di spine di cui Jimin si ricopre per difendersi. La mano sulla sua guancia scivola dietro la nuca, Taehyung lo abbassa verso sé e lascia che le sue labbra morbide trovino, per istinto e congiunzione, le sue. Inerme, lascia che Jimin lo baci e che quella forma astrale di empatia e conforto passi da unanima allaltra sotto la volgare forma fisica delle labbra che premono una contro laltra, delle lingue che cercano rifugio nella bocca altrui.

                Non vuole più parlarne, ma nellaria aleggia qualcosa di non detto che rende laria soffocante; attende che il bacio termini e Jimin sia soddisfatto prima di proseguire. « Da bambino mi faceva nascondere nello sgabuzzino quando cerano dei clienti in casa. Mi faceva disegnare e ascoltare John Coltrane e spesso mi addormentavo, e mi svegliavo solo quando tutto era finito ed era lei a prendermi in braccio e a portarmi con sé. »

                Lo sconforto negli occhi di Jimin si manifesta sotto forma di un piccolo, personale sfogo: tira un pugno debole contro il suo petto, soffocandovi contro il viso in un tentativo debole di mascherare quel sentimento improvviso. Taehyung non vuole che sia triste, ma vuole anche che lo sappia carezza la sua schiena nuda, affonda le dita nei capelli neri. Vuole che Jimin sappia di come ha brancolato nel buio per anni dopo la morte di sua madre, aggrappato alla mano di Jungkook per non perdersi del tutto, e di come abbia ritrovato il calore dellabbraccio che lo sollevava da terra e lo portava a letto, carezzandolo per tutto il tragitto, solo una volta che lui si è unito a loro.

                « Jiminie. »

                « Sì? »

                Taehyung sorride. « Domani dipingiamo lesterno del camper di azzurro? »

                Jimin ridacchia. « Non si è mai vista una banda di ladri con un camper azzurro. Sarebbe come dipingerci un bersaglio sulla schiena, Taehyungie. »

                Taehyung chiude gli occhi. Ha un sorriso sulle labbra che non vuole saperne di andarsene. « No. », mormora. « No, non ci troveranno mai. »

                Da qualche parte, suonato al massimo nellaltoparlante di qualche bar, John Coltrane suona ancora il suo sassofono. Le voci si spengono, la luna trema la propria luce pallida sul camper che presto sarà dipinto di azzurro. Il suono della macchina di Jungkook si fa sempre più forte e vicino, le braccia di Jimin si stringono attorno a lui, e il ragazzo chiamato Taehyung sorride, al sicuro.   

 

 

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Terza one-shot pubblicata ambientata in questo universo, e mi sono resa conto che è la seconda in cui un elemento della natura (mare per Jimin, luce per Taehyung) gioca un ruolo fondamentale allinterno di quella che alla fine è più una prova di introspezione per altro. Ma non c’è due senza tre e ciò significa che prima o poi la trilogia potrebbe chiudersi con unintrospezione su Guk???

Amo scrivere di questAU. Nonostante non sia in grado di scriverla da cima a fondo, penso che uno di questi giorni potrei mettermi a scrivere qualcuno dei punti chiavi della storia sviluppati con Andrea.

Also qualcosa sui namjin perché i namjin in questa AU mi fanno piangere da morire.

Grazie per aver letto e grazie unaltra volta se deciderete di commentare!

Alla prossima!
-Joice

   
 
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