Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Yellow Canadair    09/12/2018    3 recensioni
Non leggete questa storia, per favore. È piena zeppa di fluff, di agenti segreti che fanno a botte, di spiriti misteriosi che infestano le loro case. E poi parliamo del Cp9, ve li ricordate quei ragazzacci, a Enies Lobby? Qui sono passati due anni, ma le vecchie abitudini sono dure a morire.
Tra una missione e l'altra vivono in una grande torre al centro dell'Arcipelago di Catarina, e anche se ormai Spandam è il loro galoppino e l'hanno soprannominato "scendiletto", i guai non sono ancora finiti.
E poi c'è Stussy, l'agente del CP0. Davvero volete leggere di quando fece a Lucci una proposta indecente? Ma dai, ci sono storie molto più piccanti di questa.
C'è anche Gigi L'Unto, proprietario della peggior locanda della Rotta Maggiore: per leggere la sua storia dovete esser vaccinati pure contro la peste nera, ve l'assicuro. Però sua figlia è molto carina.
C'è anche Lili, una segretaria che è anche pilota, ma questo Rob Lucci non vuole che si sappia in giro, quindi in questa storia non piloterà un bel niente (forse).
Ancora non vi ho convinti a lasciar perdere? Beh, se amavate i completi eleganti del Cp9 passate oltre: qui vengono denudati spesso.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kaku, Kumadori, Rob Lucci
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Per una volta, invece dell’assassino, fammi fare l’eroe

Parte seconda

 

«I Rivoluzionari si stanno preparando» disse Stussy secca, senza giri di parole. «Mancano quattro giorni al Reverie, ma siamo sicuri che abbiano qualcosa in mente. Devi venire qui a Marijoa.»

La donna era nel suo elegantissimo ufficio dall’altra parte del mondo rispetto all’Arcipelago di Catarina: sulla Linea Rossa, negli appartamenti riservati alle scorte del Cipher Pol dei Draghi Celesti; seduta composta e perfettamente truccata nonostante si fosse appena svegliata, era avvolta in una sontuosa vestaglia di seta e chiffon, e cercava di non far capire al suo interlocutore che stava mangiucchiando dei biscottini. Ma era una professionista, fingere era il suo mestiere, e sapeva che il suo tono di voce non avrebbe lasciato trapelare neanche una briciola.

«Quanti attentati ci sono stati?» chiese la voce profonda e seria di Rob Lucci, all’altro capo del filo.

«Cinque. Oh grazie, caro» rispose Stussy, a Lucci prima e a Quero Vas poi, che le aveva appena recapitato sulla scrivania un rapporto proveniente da Lulusia, un regno tranquillo molto lontano da lì.

«Di niente!» rispose educato Quero Vas, mettendole anche un bel caffè caldo sulla scrivania; a prima vista sembrava un tranquillo dandy, curato e dal faccino pulito, e invece era un assassino spietato e senza pietà, come tutti lì dentro.

Il ragazzo andò via ancheggiando lievemente, e chiuse la porta bianca dello studio di Stussy alle proprie spalle.

«…cinque attentati, tutti dinamitardi» precisò Stussy «Hanno piazzato delle bombe vicino a punti affollati di tre isole del Mare Occidentale, ti mando i rapporti completi via lumafax»

«Quanti morti?»

Stussy sapeva benissimo che a Lucci non interessava il lato umanitario della faccenda, come nemmeno a lei, del resto; però il numero delle vittime poteva far capire a cosa mirassero i Rivoluzionari. Una sommossa popolare? Spargere terrore? Punire?

«Due, uno dei quali è stata una vecchia che ha avuto un infarto per il botto. Nessuna vittima diretta: le bombe erano messe in edifici pubblici che in quel momento erano vuoti… due erano caserme, una era una chiesa, due erano dei mercati coperti. Però le esplosioni hanno suscitato il panico generale, e durante il fuggi-fuggi sono arrivati i Comandanti ad aizzare la folla.»

Rob Lucci e Stussy parlarono ancora per qualche minuto: i Rivoluzionari si stavano muovendo, e con il Reverie alle porte il CP0 non poteva permettersi di indugiare.

La lumacofonata si concluse con Stussy che diceva: «Ormai siamo sicuri che i Rivoluzionari puntino qui, al Reverie che si aprirà tra quattro giorni: ci serve la tua squadra»

Lucci ribattè pragmatico: «Non dire idiozie, dovevi dirmelo prima. Sono tre settimane di mare, per arrivare lì, usando le rotte più rapide»

«E allora chiama quella tua ragazza, quella con l’aereo. Non te lo sto dicendo io, di venire qui, è un ordine dai piani alti. Ti sto inviando i documenti via lumafax in questo istante»

A Stussy non andava molto giù il fatto che Rob Lucci avesse contatti con la famiglia Vegapunk tali da permettergli l’uso di un mezzo volante, ma era abituata a pensare razionalmente e non poteva che concludere che sì, le rodeva il culo, ma era un’opportunità che il CP0 aveva il dovere di sfruttare.

 

~

 

Nell’ufficio luminoso e ordinato di Rob Lucci, intanto, un colorato lumafax sputò piano piano, borbottando e tribolando, tutta una serie di fogli stampati che si incolonnarono docilmente ai piedi dell’animaletto.

L’uomo osservava sovrappensiero il lavoro del lumafax, mentre ancora aveva in mano la cornetta del lumacofono;  Hattori era seduto sulla sua spalla e teneva il capino poggiato alla cornetta per non perdersi neanche una parola di quella conversazione

Quando Lucci posò il ricevitore e lo guardò, il colombino sapeva già cosa gli avrebbe detto: “Preparati. Si parte”. Come tutte le volte. Ma Hattori non era per nulla preoccupato, per lui ogni trasferta era come una vacanza: se ne stava accoccolato sulle spalle accoglienti del suo amico, e si guardava attorno. Ogni tanto, se la copertura lo permetteva, poteva anche stare con Califa o con Kaku, o con Blueno, giusto per variare, ma il suo trespolo preferito era sempre Lucci, ed era sempre da lui che ritornava tubando.

Lucci spinse il tasto dell’interfono che lo collegava con l’ufficetto della segretaria, che presto forse avrebbe ricoperto il ruolo di pilota.

«Mandami subito qui gli agenti» ordinò sbrigativo alla ragazza.

 

~

 

Dispacci dalla sede centrale, una cartolina di Stussy con tre tipe a culo nudo in primo piano con Cacao Island sullo sfondo e la scritta “qui fa davvero… caldo!”, una lettera privata per Califa da parte di Lusky, volantini pubblicitari, la bolletta della luce, un avviso dal Comune di Catarina sulle ultime nuove in materia di raccolta differenziata. E poi una lettera senza mittente, con il timbro postale dell’arcipelago a indirizzata a “Lilian Rea Yaeger”.

Una volta la consegna della posta era il momento preferito di Lilian, perché spesso portava novità e pettegolezzi, adesso era diventato un appuntamento fisso con quel maniaco che la inseguiva. Si lasciò cadere sulla sedia della sua scrivania, scoraggiata, guardando la busta uguale a tante altre che aveva già visto.

Spandam notò la cosa e ghignò. «Devi avergli dato parecchia corda» insinuò «Ti conosce addirittura col nome completo»

Ormai era dominio pubblico che la ragazza avesse uno stalker, e che dormisse lì alla Torre. Lei non avrebbe voluto far sapere a tutti di quella situazione, men che meno a Spandam, ma la voce era girata in meno di ventiquattr’ore.

«Magari gli do il tuo indirizzo. Chissà che non andiate d’accordo»  rispose svogliata. Non aveva voglia di sostenere una conversazione con lui, e per di più sul filone del “com’eri vestita, quanto avevi bevuto, com’eri truccata”. E il nome completo l’aveva letto sul campanello, tanto per far capire meglio quanto si fosse avvicinato alla casa.

Spandam, non pago, si alzò e andò verso di lei, appoggiandosi alla sua scrivania e cercando di metterla in soggezione. «Sai che non ti è permesso dormire qui, alla Torre, vero? e per di più nell’appartamento di uno degli agenti… tutto ciò è molto scabroso, e potrei anche decidere di riferirlo ai piani alti… non credo sia permessa una relazione tra agenti»

Lilian accavallò le gambe. «I tuoi neuroni non sono agenti, possono averla una relazione, cosa ti preoccupa?»

Kaku si fermò sulla soglia e osservò rassegnato la scena, con le braccia incrociate sul petto.

Spandam continuava a essere ingestibile, ma ormai né lui né Lucci sapevano più dove spostarlo per limitare i danni.

Notò la posta ammucchiata sulla scrivania della ragazza, e decise di mandarlo via: la giornata doveva andare avanti, e con la partenza imminente c’era molto lavoro da fare per tutti.

«Ehi, tu» tuonò autoritario verso l’uomo, entrando nella stanzetta e facendo sobbalzare i due galoppini. «Ti avevo chiesto di lumacofonare al tecnico per il lampadario dell’ufficio di Califa. A che ora viene?»

Spandam ritornò immediatamente una creatura sottomessa e untuosa. «Lo chiamo subito, l’ho chiamato prima ma suonava sempre occupato, ma adesso lo-

«Non ha toccato il lumacofono da stamattina» lo tradì subito Lilian. «Ma è arrivata la posta…» disse smistando meticolosa le varie buste.

«Datti una mossa, non possiamo lasciare Califa al buio» ordinò Kaku, spedendo Spandam nel suo angolo a lavorare. Guardò i vari plichi arrivati e poi notò la busta che la factotum aveva accantonato.

«Ancora quello lì?» disse riconoscendola. «Aprila»

«No, per favore, non ho proprio la testa per farlo» sbuffò la ragazza, stufa marcia di leggere oscenità con se stessa protagonista.

«Quante storie» osservò severo Kaku «Dovresti essere contenta, invece: il tuo amico non si sente più tanto al sicuro: prima ti metteva le lettere sullo zerbino, ora non si azzarda ad avvicinarsi alla Torre e te l’ha spedita con la posta ordinaria… guarda, c’è l’indirizzo della Torre e il timbro di Catarina.»

La ragazza guardò il retro della lettera e sospirò rassegnata. Fece per aprire la busta, ma poi si scoraggiò e aprì un cassetto della scrivania. «Non la voglio.» disse decisa e seccata.

«È inutile girarci attorno» Kaku riaprì il cassetto, prese la lettera e la aprì senza perder tempo in permessi e per favore.

Del resto era stato chiarito che lei non aveva nessuna responsabilità in quelle lettere, e certo Kaku non si faceva impressionare dalle parole di uno squilibrato. In assenza di tracce sull’identità dell’uomo, quelle missive erano l’unica fonte da cui ricavare uno straccio di informazione.

Riferimenti a qualche luogo?

A qualche progetto?

Kaku scorse rapidamente le righe, mentre intanto Lili, con un sospiro d’impotenza, rispose al lumacofono che intanto aveva cominciato a squillare, e aveva preso le fattezze di Rob Lucci.

L’agente segreto guardò fuori alla finestra, lasciata aperta per far passare l’aria fresca del parco; sarebbe stato facile, pensò, entrare dalla finestra e recapitare quella lettera a mano; evidentemente il molestatore aveva capito che non gli conveniva andarli a sfidare in casa, considerò soddisfatto.

Lili mise giù la cornetta e lo informò subito: «Lucci è in trattativa con Caro Vegapunk per avere un Canadair. Speriamo bene. È normale partire subito dopo una missione? Siete appena tornati…»

Kaku sospirò e si strinse nelle spalle. «È lavoro» se ci sarebbe stato da far scorrere sangue, lui l’avrebbe fatto.

Poi la ragazza decise di affrontare il problema della missiva del molestatore: «Qualcosa di importante nella lettera? Riusciamo a capire dov’è?»

L’agente guardò distrattamente il resto della posta. «Ti sta spiando. Probabilmente gira spesso nei dintorni della Torre, e dice che ti sta tenendo d’occhio.»

«Ahahah» sghignazzò Jabura entrando. «“Tenendo d’occhio”! noi lo facciamo per mestiere, quell’idiota non si avvicina perché sa benissimo con chi avrebbe a che fare»

«Già di ritorno?» fece Kaku scartando la cartolina di Stussy e aprendo la busta della bolletta elettrica «Gigi L’Unto ha chiuso?»

«Chapapa, l’Ufficio Igiene si batte con coraggio, ma Souzette resiste. Vedremo» chiacchierò Fukuro, anche lui appena tornato dalla pausa al bar assieme a Jabura e Kumadori.

«OASI DI PACE NEL DESERTO! PAUSA FELICE DOPO ORE DI LAVORO! YOOOOOYOOOOI! L’UNICO NOSTRO SOLLAZZO PER LE POCHE ORE DI RIPOSO CHE CI CONCEDE LA NOSTRA SVENTURATA VITA!»

«A proposito» disse Kaku alla ragazza «Novità sul viaggio per il Reverie?»

 

~

 

« Non si può fare. Sono veramente dispiaciuta »

L’animo di Caro Vegapunk non era costruito per essere “veramente dispiaciuto”, lo sapeva la donna e lo sapeva Rob Lucci.

Ecco perché quella frase, alle orecchie del boss del Cp0 di Catarina, suonava come una sfacciata presa per i fondelli.

«Mi dia quel Canadair e basta» la voce di Lucci era durissima e decisa, senza ombra di cedimento. «Non mi interessa se dovrà mandarne due, per farlo in tempi brevi.»

«Questo significa scomodare ben due piloti. Non lo farò, signor Lucci. E non può costringermi, anche se è del CP0!»

Caro Vegapunk godeva nel tenere Rob Lucci finalmente con le spalle contro il muro, e avere un valido motivo per rifiutargli il prestito dell’aereo! Cosa voleva, quel cafone arrogante, che lei, lei, da Alexandra Bay facesse partire due Canadair, con relativi piloti, per consegnarne uno a Catarina? Stava sognando, il signorino!

Se voleva l’aereo, che mandasse la pilota a prenderselo, come al solito. Ci volevano due settimane di navigazione? Problemi di Lucci!

Il Reverie tra due settimane sarebbe stato ormai finito? Ancora problemi di Lucci, avrebbe dovuto svegliarsi prima!

«E invece la posso costringere proprio perché sono del CP0» avversò l’uomo, che avrebbe volentieri navigato per due settimane solo per spaccare la testa alla figlia di Vegapunk. «Motivi di sicurezza: il Reverie è alle porte e i Draghi Celesti non possono sottostare ai suoi futili capricci»

«Può girare la frittata come le pare, ma i Canadair se li sogna» replicò la donna con noncuranza.

Lucci però non era il tipo da stare disarmato, nemmeno durante una lumacofonata. «Signorina Vegapunk» disse calmissimo «Il mio reparto è stato ufficialmente convocato per il Reverie proprio perché in grado di raggiungere Marijoa in tempi brevi grazie ai suoi Canadair. Mi rattristerà dover riferire che non potremo essere presenti per sua diretta responsabilità» e rallentò magistralmente sul finale.

«Non crederà di spaventarmi, lurido…»

«Una donna come lei non si spaventa per così poco » sussurrò Lucci con un sorriso che avrebbe fatto rabbrividire dei sassi «Ma sa bene che i soldi per i suoi esperimenti dipendono dai Draghi Celesti. Si ricordi dell’acronimo che ha dato al suo progetto, e mi richiami quando si sarà data una calmata.»

E mise giù il ricevitore.

Tempo qualche ora, e sarebbero stati pronti a partire per il Reverie.

 

~

Job Five tornò a casa tardi, quella sera.

Girò le chiavi nella toppa quasi senza centrarla al primo colpo per la frustrazione, e accese subito tutte le luci del suo appartamento nell’Isola del Sud, per poi richiuderle subito tutte eccetto per quella della cucina e della camera da letto.

Apparecchiò per due, come tutte le sere, e mandò un bacio alla foto appesa al muro della madre, morta l’anno prima, che aveva vissuto con lui in quell’appartamento fino alla sua ultima ora.

Poi cominciò a cucinare, molto piano, e nel mentre rifletteva su quello che aveva visto pochi giorni prima.

Non sapeva cosa l’avesse spinto a rimanere acquattato nei cespugli, in lontananza, nel buio del parco dell’Isola Centrale ormai deserto… avrebbe dovuto comportarsi da uomo e mettere in chiaro le cose, che quella ragazza era la sua ragazza, e nessuno poteva toccarla.

Eppure…

Sua mamma gli aveva sempre detto che gli uomini del Governo, lì sull’Arcipelago, sono i buoni, ma non bisogna dar loro fastidio. Forse era per questo che non si era avvicinato, Mamma Five glielo ripeteva sempre. Loro sono i buoni, ma non bisognava avvicinarsi.

E poi, sembrava una cosa innocente. Camminavano solo insieme, senza nemmeno toccarsi.

Avrebbe dovuto intervenire prima, pensò Job Five tagliando con infinita perizia dei gambi di sedano, che poi buttò in una pentola d’acqua. Era abile con il coltello, che era lungo quanto il suo braccio, e dopo i sedani toccò a dei minuscoli pomodori rossi; nonostante la grandezza della lama, anche loro furono delicatamente tagliati e tuffati.

Ma l’uomo era stato infinitamente più veloce, aveva preso in braccio Lilian e… Job Five ribollì di rabbia e accoltellò le carote sul tagliere, incidendo con furia il legno… come aveva osato, quell’uomo, toccare la sua donna? Lì non ci aveva visto più dalla rabbia, era uscito fuori dal suo cespuglio e aveva cominciato a correre, con quello stesso coltello che ora sbucciava la cipolla, ma prima che potesse compiere due metri… l’uomo era scomparso, e Lilian con lui.

Job Five li aveva cercati attorno al gabbiotto della filovia, e poi per tutto il parco, ma il parco era deserto, e non aveva potuto fare altro che tornare a casa.

E ora era ancora a casa, dopo un’altra serata estenuante a cercare la sua Lilian. E l’aveva trovata. Ma non riusciva a capire quando uscisse dall’ufficio… non gli aveva detto che finiva sempre di lavorare a metà pomeriggio? Va bene, non gli aveva mai detto l’ora esatta, però di solito cenava a casa sua, sempre con quei pantaloncini azzurri che gli piacevano tanto.

Lasciò il brodo vegetale a cuocersi, e andò in camera sua.

La luce accesa che aveva lasciato gli diede l’impressione che qualcuno, in quella stanza, lo aspettasse.

Lilian non usciva più, da quella maledetta torre. L’avevano rinchiusa lì dentro.

La stavano tenendo prigioniera, sicuramente con la forza. Ecco perché l’uomo del Governo l’aveva sollevata e poi era sparito… rimugivava Job Five.

Doveva farla uscire.

In quel momento chissà quali lordure le stavano facendo…

 

 

Kessy Teller, con un bambino in braccio nell’appartamento di fianco a quello di Job Five, sobbalzò spaventata e corse da suo marito. «L’ha fatto ancora…» mormorò all’uomo.

Teller Teller, il marito, le circondò le spalle con un braccio e sospirò: «Se continua ancora a dare pugni nel muro, ci trasferiamo. Domani proverò a parlargli, ma se dovessi capire che è pericoloso, ci trasferiremo in un’altra isola» le promise.

 

 

Job Five ritirò la mano dal muro. Si era di nuovo massacrato le nocche dalla rabbia.

Il dolore lo aiutò a pensare più lucidamente.

Doveva mettere in atto un piano per liberare Lilian. Sicuramente non poteva combattere contro i Governativi… mamma gli raccomandava sempre di non mettersi contro di loro, quindi doveva giocare d’astuzia.

Ormai il brodo era pronto; Job Five tornò in cucina con l’intenzione di completare il suo solito semolino serale, ricetta della mamma, quando l’occhio gli cadde sul quotidiano del giorno. Non lo leggeva mai, ma la Signora Five era abbonata e lui non aveva avuto il coraggio di disdire.

Lesse gli articoli in prima pagina, e pensò e ripensò al grosso velivolo giallo, per lui misterioso e sconosciuto, che era arrivato qualche giorno prima a Catarina.

Sollevò il ricevitore del lumacofono, compose un numero.

«Sono io… no… certo, certo… non c’è più tempo. Devo intervenire subito.»

 

~

 

Lilian stava sistemando le carte nautiche che le sarebbero servite per il volo, recuperandole dall’archivio della Torre, e Jabura le teneva svogliatamente compagnia. Spandam per fortuna non c’era: era stato mandato all’Isola dell’Autunno a comprare qualche cassetta di arance da portare in volo durante la missione; ce l’avrebbe fatta?

Lili prese un faldone e lo aprì, cercando chissà che carta. Lo richiuse, fece il nodo alle fettucce, e fece per portarlo via; si fermò sulla soglia, rimise il pesante involto sulla scrivania, sciolse il nodo, lo riaprì, trovò la carta che le serviva. Imprecò.

Jabura si voltò verso la ragazza. «Sei nervosa?»

«No.»

«Sì che lo sei. Sei andata in bagno tre volte nell’ultima ora, ti fai aria con il ventaglio, non hai toccato cibo da stamattina»

«Ma che cazzo, mi controlli?! Cos’è, una moda?»

Jabura ridacchiò. «Sono un agente segreto, scema. E comunque è palese che sei tesa»

«Sono solo stanca»

L’aveva detto anche prima di confessargli che veniva stalkerata brutalmente da un pazzo.

Jabura la guardò truce. Sarebbe stata la prima volta che metteva piede fuori dalla Torre, dopo la notte in cui gli aveva confessato di essere inseguita. Forse era per quello, che era così nervosa? «Ci sono io, ci sarà Califa, e anche Kumadori. Non può succederti niente. Ah, ci sarà anche quell’idiota» mai, per nessuna ragione al mondo, avrebbe messo Rob Lucci in testa a un elenco o si sarebbe abbassato a chiamarlo semplicemente per nome.

La segretaria si girò a guardarlo: «Non sono in pensiero per il pazzo» disse «Sono solo un po’… nervosa. Sono almeno cinque anni che non vedo i miei colleghi… ex colleghi»

«Tutto qui?»

«Beh, l’hai detto tu: che rischi corro vicino a voi?» sorrise serena, perdutamente fiduciosa nelle capacità combattive dei suoi superiori.

Jabura incrociò le braccia e scosse la testa, senza commentare.

La ragazza sospirò pesantemente; chissà come erano cambiati. Chissà se si erano sposati, se sarebbero arrivati due perfetti sconosciuti, se si ricordavano ancora di lei. Soppesò con una mano il riccioluto boccolo nero che le scendeva sul petto e si chiese se le complicate sfumature di ombretti fossero ancora al loro posto.

All’improvviso, mentre Jabura osservava dalla finestra una classe di yoga che si allenava nel parco,  Lilian percepì un rumore in lontananza: motori.

«Stanno arrivando» sussurrò in fretta. Afferrò il lumacofono per le comunicazioni interne, compose un breve numero, e scandì: «Boss, aerei in avvicinamento»

«Lo so benissimo, sciocca» la bacchettò severa la voce di Lucci, dall’altro capo del filo.

La segretaria poteva avere le orecchie più che allenate, per il rumore del motore del Canadair, ma Lucci aveva Hattori, e aveva i sensi felini: strumenti che Lilian Rea non poteva compensare neppure con la propria esperienza.

La ragazza incassò senza fiatare e senza meravigliarsi. Il boss era fatto così.

«Tieniti pronta a dare il permesso di ammarare. Ho fatto sgombrare la baia nord-est.» Lucci aveva imparato in fretta la prassi per le manovre, ma da lui nessuno si sarebbe aspettato di meno.

«Agli ordini boss. La tengo aggiornata»

E all’improvviso eccoli: sfondarono le nubi basse e filacciose del mattino arrivando da ovest, laddove il cielo era azzurro e sfumava nel grigio della pioggia della notte passata; a cinque secondi di distanza, i due Canadair gialli solcarono il cielo dell’Arcipelago di Catarina, e il rombo dei loro motori fece vibrare il pigro silenzio in cui erano immerse le isole. I loro musi color canarino spiccavano nel blu e le loro grandi ali parevano voler abbracciare la baia verde del porto militare.

«Qui Canadair 6490, Paul Blackwood in cockpit, chiedo il permesso di ammarare per due Canadair, passo»

Lilian rabbrividì emozionata nel sentire dopo anni la voce del suo ex collega. «Qui torre di controllo di Catarina, ti riceviamo forte e chiaro, Paul Blackwood. La baia di nord-est è sgombra, permesso di ammarare accordato a entrambi i velivoli. Passo.»

«Che piacere sentire di nuovo la tua voce dopo tanti anni, Lilian» sorrise mellifluo Paul Blackwood dalla sua cabina. Poi tornò di nuovo serio: «Ricevuto, torre di controllo. Cominciamo le manovre di ammaraggio, passo e chiudo.»

 

~

 

Erano giganteschi, erano rumorosi, erano due enormi gabbiani gialli che riposavano dondolando sulle serene acque della baia attirando gli sguardi di chiunque si trovasse a passare sui lungomari dell’Isola del Nord e dell’Isola dell’Est; l’acqua riluceva alla luce del sole e danzava sulle carlinghe color canarino, disegnando sottili fili luminosi che s’intrecciavano nel ritmo lento delle onde.

I due piloti erano scesi dai rispettivi cockpit ed erano stati prelevati da una motolancia che faceva da spola tra aerei e terraferma, e portati rapidamente al porto militare dell’Isola Centrale, quella della Torre del Cp0.

Il pilota del Canadair più grande era un uomo alto, dallo sguardo ironico e freddo, perfettamente rasato, con dei pantaloni azzurri dal taglio classico, camicia bianca e giacca azzurra portata sulla spalla per via del caldo delle isole, e una lunga coda di capelli neri e liscissimi che gli ricadeva sulle spalle. Il genere di uomo che per eleganza e portamento non avrebbe sfigurato tra gli assassini del CP0.

Saltò agilmente dalla motolancia alla banchina di cemento, tenendosi lievemente il cappello con una mano, un raffinato Borsalino color panna, perché non volasse in acqua.

«Paul Blackwood, responsabile su pista del progetto Ca.Na.D.Air» si presentò formalmente «Lei dev’essere Rob Lucci»

«Siete in ritardo» osservò freddo il comandante degli agenti.

Rob Lucci e Paul Blackwood non si tesero la mano, né si rivolsero saluti.

Il pilota sorrise, freddo nella sua cortesia. «Siamo arrivati esattamente all’orario concordato stamattina»

Rob Lucci si girò a guardare la segretaria, a pochi passi da lui, tra Jabura e Kumadori: non gli aveva riferito di variazioni dell’orario?

Lilian si sentì lo Shigan di Lucci già ampiamente piantato fra le scapole.

«Ho parlato alla radio con un uomo» aggiunse Paul Blackwood, scagionando la ragazza «Ho dovuto ripetere più volte chi fossi, ma ha detto che vi avrebbe riferito il nuovo orario d’arrivo.»

Lucci mascherò bene l’irritazione verso Spandam con un soffio divertito; l’incontro aveva generato un’elettricità inquietante, che aveva raggelato le persone sul molo.

«E vedo che c’è anche una… mia vecchia conoscenza» sorrise mellifluo «Ciao, Lilian. Da quanto tempo.»

«Non avrei mai immaginato di vederti su questo molo, Paul!» lo salutò con un sorriso la signorina Yaeger, ma senza avvicinarsi.

Blackwood si lasciò andare a una breve quanto agghiacciante risata: «Non immagini la sorpresa, quando ho saputo che tu, un militare radiato dai reparti del servizio segreto, fossi tornata a lavorare per il Governo. Sono felice di vedere che stai bene, e che sei anche particolarmente a tuo agio con i tuoi nuovi colleghi.»

Anche il sorriso di Lilian si fece freddo; non gradì il riferimento alla sua passata e disastrosamente terminata carriera militare: «Questo è un ambiente migliore, rispetto al Dipartimento Scientifico.»

Lucci intervenne, riportando i presenti all’ordine: «Basta sciocchezze.» disse «Consegnami le carte, e tornate ad Alexandra Bay»

Paul Blackwood aprì la bocca per rispondere, affabile, ma un grido sovrastò le sue parole: «LILIAN!»

Sbucò dalle spalle di Paul Blackwood un altro individuo, che era sceso con fatica dalla motolancia e lentamente aveva guadagnato terra.

La signorina Yaeger sobbalzò: «Ch-Charlie?»

Un ragazzo alto e muscoloso, in divisa militare azzurra, le corse incontro festoso, la sollevò tra le proprie braccia e la scaraventò in mare con una facilità impressionante, tanto che lì per lì nessuno intervenne.

Un volo di almeno tre metri che si concluse con il tonfo dei sassi che affondano, cancellando in meno di un attimo tutto il lavoro di trucco e acconciatura della ragazza.

Per cinque secondi si sentirono solo le onde, che sollevate all’improvviso sciabordavano contro il molo, e quello scemo di Jabura che rideva a crepapelle.

«COSÌ IMPARI A SPARIRE, E A NON FARTI VIVA PER CINQUE ANNI!»

 

~

 

«Tutto regolare, boss» riportò Lilian Rea al suo superiore, Rob Lucci, dopo aver ispezionato il Canadair che le era stato consegnato. Indossava degli abiti maschili asciutti e i capelli erano un nugolo soffice appena asciugato col phon, ma riusciva comunque a sembrare professionale, nonostante le apparenze cui era stata costretta dall’improvviso tuffo in mare.

Charles Lehired, il suo antico compare di bevute, non aveva apprezzato la sua idea di sparire alla chetichella, e aveva avuto la sua vendetta. Ora era al pascolo con Jabura, che gli aveva proposto un giro turistico per Catarina; tutti sapevano benissimo che il giro sarebbe cominciato e finito nel bar di Gigi L’Unto, a nessuno importava: c’erano questioni ben più importanti in ballo.

Lucci era nel suo ufficio, e stava parlando con Paul Blackwood di alcune faccende relative al Dipartimento scientifico di Caro Vegapunk, e possibili collaborazioni. Parlare con Caro Vegapunk era spesso difficile, ma il tenente Blackwood, il pilota con il grado militare più alto, nonché il più anziano, era una persona ragionevole con la quale, nonostante la freddezza nascosta dietro dei modi affabili, si poteva ragionare.

Il governativo studiava con attenzione ogni minima espressione di Paul Blackwood, cercando di espugnare quella fortezza di buone maniere palesemente false, e di queste cose Rob Lucci era maestro assoluto; ma il tenente era altrettanto bravo a tener nascoste le proprie carte, e Lucci per il momento doveva accontentarsi solo di prender nota delle sue frasi sottilmente sarcastiche e della sua millimetrica precisione nel parlare degli aerei.

Poi prese la parola Lilian, che aveva ispezionato l’aereo che sarebbe spettato loro, e confermava al suo superiore che era in perfette condizioni, pulito come una nave ammiraglia della Marina, con il serbatoio quasi pieno e con le taniche di scorta.

«Ti ricordo, cara Lilian, che stai per mettere le tue mani su un modello estremamente avanzato, e sai bene che tipo di tecnologia esca dai laboratori Vegapunk»

«Basta chiacchierare.» lo bloccò Rob Lucci. «Dammi i documenti.»

Paul Blackwood piazzò sulla scrivania una risma di fogli compilati a macchina in maniera fittissima, veri e propri muri di parole sul bianco dei fogli. «Una firma qui, una a pagina 25, poi al paragrafo 7.8, e alla fine servono tre firme; caporeparto, vice e la pilota. » disse Paul indicando le righe da autografare.

Hattori atterrò sulle scartoffie e ci si accovacciò sopra, come a dire che ormai erano affari del loro reparto, e sapevano sbrigarsela anche senza quelle spiegazioni.

Blackwood ridacchiò divertito, poi continuò la sua arringa: «Il leader del reparto è l’unico responsabile di qualsiasi danno riportato dal Canadair… non basterebbe l’intero palazzo con ciò che contiene, per ripagarlo»

Lilian si accese subito, scoprendo i denti: «Sei venuto per cercare ro-» ma a Lucci bastò un cenno della mano per farla tacere.

Non era il tipo da cadere in certe provocazioni, lui. «Ciò che contiene questo palazzo non è informazione che possa comprendere il reparto di Caro Vegapunk» disse sprezzante.

Paul Blackwood ghignò, soddisfatto dello scambio di battuta. «Allora non mi resta altro che augurarvi buon viaggio, CP0» concluse facendo danzare davanti a Lucci le scintillanti chiavi del Canadair appena consegnato.

 

~

 

Quella sera Jabura fece un giro di ronda a piedi attorno alla Torre e nel parco, per controllare la situazione e fare qualche domanda ai vetturini che portavano le persone in carrozza sui ponti delle isole, e agli addetti della filovia che portava sull’Isola dell’Est.

Lili era al sicuro, a casa di Kumadori, e probabilmente in quel momento o stavano giocando a truccarsi o stavano seguendo qualche sceneggiato lumacofonico vergognosamente tragico facendosi coraggio a vicenda sulle melensissime sorti dei protagonisti.

Incrociò Kaku, di ritorno dal suo quotidiano giro di jogging; il ragazzo trovava rilassante, oltre che utile, andare a correre nel parco dell’isola centrale, e spesso si dilungava anche sulle colline dell’isola dal clima autunnale. Gli piacevano i colori rosati dell’alba e quelli bruni del tramonto, per cui era facile vederlo trottare lungo le strade intorno a quell’ora.

«Che ci fai qui in giro? Gigi L’Unto ha chiuso prima, oggi?» stuzzicò pigramente.

«Stupida giraffa» lo rimbeccò il collega più anziano. «Sono in ricognizione»

E gli spiegò cosa stava facendo lì, attorno alla Torre, in quella fresca serata.

«Qui non ho visto nulla di strano» mormorò Kaku sondando i dintorni e scrutando i cespugli e i prati deserti. «Hai fatto qualche domanda sull’Isola dell’Est?»

«Certo che l’ho fatta. Ho messo praticamente sottosopra la strada dove abita» rispose il Lupo, riferendosi naturalmente alla strada dove viveva Lilian.

«E non l’hai trovato.» un’affermazione ovvia, o non lo starebbero cercando nel parco.

Anche se in realtà non era una vera e propria caccia all’uomo: se l’avessero trovato, gli avrebbero fatto passare per sempre la voglia di perseguitare qualcuno, ovvio. Ma i due agenti non sapevano nemmeno se l’uomo fosse effettivamente lì, volevano solo fare un giro di controllo nei dintorni.

«Se si azzarda a mettere piede qui, non ne rimarrà nemmeno abbastanza per il funerale.» promise Jabura.

«Poco ma sicuro» disse Kaku, in miracoloso accordo con il collega. Non che avesse paura del molestatore, ma non gli piaceva sapere che c’era qualcuno così fuori di testa da cercare di minacciare la quiete della loro Torre.

E poi era una questione di Giustizia, cosa che gli era stata inculcata fin da bambini: se una persona era pericolosa, e se metteva a rischio persone innocenti, doveva essere eliminato prima che commettesse altri crimini.

«Sei riuscito a scoprire qualcosa su di lui?» domandò l’agente più giovane calcandosi il cappellino sulla fronte.

«Solo che non è dell’Isola dell’Est. I negozianti della zona di Lili l’hanno visto spesso, ma sono tutti concordi nel dire che non è loro cliente abituale, e che non l’hanno mai visto in giro.»

Kaku osservò il disegno fatto da Lilian, che non era una ritrattista eccellente ma aveva colto almeno dei dettagli salienti: fisico prestante, spalle larghe, capelli biondi molto corti, mandibola forte, rasato, occhi azzurri. Con “una testa che emerge tra la folla”, per usare le parole della ragazza, cosa che lo rendeva facilmente individuabile per lei che ne scappava.

«Sono andato in giro tra le altre isole, ma per il momento è come cercare un ago in un pagliaio. Ha anche dato a Lilian un nome falso, figurati.»

«Hai portato l’identikit alla Marina? Magari è già schedato»

Ovviamente sull’Arcipelago di Catarina c’era un avamposto di Marine, con sede sull’Isola dell’Ovest.

«Noi che ci rivolgiamo alla Marina?!» si ribellò il Lupo. Sarebbe stata un’onta terribile, per dei Governativi!

«L’hai fatto?» insistette Kaku.

Jabura sbuffò tra i denti. «Ho mandato la padrona di casa. Negativo, non è schedato e non sanno chi sia»

Jabura conosceva di persona la padrona di casa di Lilian, Estela Monica De Sosa: abitava al primo piano, proprio sotto l’appartamento di Lilian, ed era rimasta sconvolta nell’apprendere quanto stava succedendo proprio sopra la sua testa! Aveva promesso a Jabura di prestare attenzione, se nei giorni successivi avesse visto o sentito qualcosa di strano nel palazzo, o dei rumori dall’appartamento della sua inquilina.

«Non ci rimane che aspettare» concluse Kaku. «Tanto, partiremo dopodomani: per un bel po’ potremo accantonare il problema e riprenderlo al nostro ritorno»

Rimasero in silenzio per un po’, osservando ogni anima viva che sorprendevano ad attraversare il parco di notte, ma non notarono nulla di sospetto.

 

~

 

BOOM!

Tutti gli abitanti dell’Arcipelago di Catarina sollevarono la testa, allarmati: cos’era quello scoppio da far tremare la terra?

BOOM!

Di nuovo. Due fili di fumo si levarono dall’Isola del Sud, quella della primavera.

Rob Lucci, con i resoconti di Stussy sui rivoluzionari che ancora gli echeggiavano in testa, con un tocco di Soru corse ad affacciarsi ai finestroni del suo ufficio.

BOOM! BOOM!

Stavolta toccò all’Isola del Nord, dal clima autunnale: non si vedeva fumo, ma agli occhi attenti di Lucci notarono subito un fiume di persone in preda al panico, piccole come formiche, che uscivano dalle piccole strade del centro e si accalcavano verso il ponte, in fuga.

BOOM!

«Merda» ringhiò Lucci.

L’interlumacofono squillò, e Lucci rispose immediatamente riconoscendo i lineamenti di Califa. «Lucci!» invocò la donna, con la sua serissima voce «L’arcipelago è sotto attacco. Non penso che la Marina riuscirà a gestire un’emergenza proveniente da più isole.»

BOOM!

«Passa la voce. Nell’atrio della Torre tra dieci secondi» ordinò.

Era un’emergenza assoluta: attacchi dinamitardi in tutte le isole dell’Arcipelago di Catarina, con le stesse modalità degli attacchi dei Rivoluzionari; non erano faccende che riguardavano solo la Marina, sempre ammesso che quegli inetti riuscissero a gestire una situazione così complessa.

Gli agenti si riunirono in pochi attimi nell’androne della Torre, e Lucci fu rapidissimo a scegliere le squadre e mandarle in ricognizione tra le isole: nel giro di un minuto tutti furono fuori, e Spandam chiuse i pesanti battenti della Torre in attesa del loro ritorno.

 

~

 

Jabura, qualche mese prima, durante una missione aveva appuntato dei numeri di lumacofono di certi affiliati a un clan malavitoso su un pezzaccio di carta unta. A Spandam, quindi, era stato assegnato un compitino semplice: ricopiare quei calligrafici sgorbi su una bella rubrichina, in modo da poterli consultare senza ungersi le mani di sugna ogni volta.

L’uomo era tutto intento nel lavoro da amanuense, e non sbraitava né dava fastidio.

Lilian stava controllando alcune liste per la partenza imminente, e doveva disdire tutti gli impegni che gli agenti avevano preso sull’isola per i giorni successivi: visite mediche, barbieri, parrucchiere per Califa, sauna sull’isola dell’Inverno, e poi doveva fare un ultimo check alle proprie liste: cos’aveva con sé a casa di Jabura, e cosa sarebbe dovuta andare a prendere a casa propria? Doveva prenotare una seduta lampo dalla sua estetista di fiducia quello stesso giorno, o andare di lametta? Dilemmi così.

I due galoppini lavoravano a capo chino e senza provocarsi, mentre le esplosioni proseguirono per altri due minuti, facendo tremare i vetri, e poi all’improvviso smisero, e cadde il silenzio.

TUNF

Spandam e Lilian sollevarono il capo e si guardarono a vicenda.

«Era il portone» proferì Spandam «Sono già tornati»

«Nessuno lo sbatte mai in questo modo» sussurrò Lilian «E non credo che il boss si sia portato le chiavi, è uscito in fretta…»

Spandam continuò: «E chi altri dovrebbe essere?»

«Spandam» non lo chiamava mai per nome, e già questo avrebbe dovuto far capire all’uomo che qualcosa non andava «Hai chiuso bene il portone, vero?»

La segretaria, come presa da uno strano presentimento di inquietudine, aprì l’ultimo cassetto della propria scrivania e tirò fuori la propria pistola, quella che di solito usava durante le missioni.

Non aveva bisogno di controllarla: sapeva già che, da due mesi a quella parte, l’arma era carica e pulita, pronta all’uso.

Non erano gli agenti… si sarebbero sentiti i versi epici di Kumadori, le imprecazioni di Jabura gli sbuffi intolleranti di Califa, il tubare di Hattori…

La ragazza arrivò sulla soglia dell’ufficio e si affacciò cauta al corridoio che dava sull’atrio della Torre di Catarina.

«Lilian» disse una voce spaventosamente gentile «Ti ho vista lavorare tutto il giorno»

Era lui. Era venuto a prenderla. Era entrato nella Torre nell’unico momento in cui era completamente indifesa. La ragazza lo vide lì, a pochi metri da lei, gentile e minaccioso.

E le bloccava l’unica via di fuga, il portone principale.

«Hai tre secondi per uscire da qui come sei entrato» lo minacciò la ragazza sollevando l’arma e puntandola alla testa dell’uomo.

«Lilian, perché non mi vuoi ascoltare?»

«Tre…»

«Volevo soltanto uscire con te… ma tu hai cominciato a scappare, e hai complicato tutto» disse avvicinandosi lentamente.

«Due…»

«Tu sei mia, piccola Lilian…» mise una mano nella tasca interna del suo giubbino, ed estrasse un coltello. «Non stare con altri uomini… loro non ti meritano, io invece…»

BANG!

«AH!»

L’uomo cadde per terra, piegato dal dolore improvviso.

«Prendi la tua rotula e vattene subito.» disse Lilian guardando il sangue che usciva a fiotti dal ginocchio.

«Tu non capisci…» ansimò l’aggressore ferito. «Non avrei voluto arrivare a questo» dichiarò spianando a sua volta una pistola.

«Merda» soffiò la ragazza. Ritirata!

BANG!

Il proiettile non la colpì per un soffio, Lilian fece un salto dentro l’ufficio, Spandam lanciò un grido da sotto al tavolo dove si era nascosto.

La segretaria ribaltò la propria scrivania facendo volare tutti i fogli che ci stavano sopra come in uno stormo e facendo ruzzolare giù i lumacofoni terrorizzati. Ci si asserragliò dietro e sparò un colpo contro l’intruso stando ben attenta a non far sporgere troppo la propria testa dal riparo.

Il proiettile si conficcò nello stipite della porta, a un palmo dalla testa dell’uomo.

«Il prossimo andrà a segno, ESCI SUBITO DALLA TORRE»

«Dormirai con me questa notte!» gridò il molestatore.

Spandam strisciò da sotto alla propria scrivania a dietro quella ribaltata che faceva da trincea. «CHI DIAVOLO È QUESTO TIZIO?!» urlò alle orecchie di Lilian, che teneva sotto tiro l’uomo.

«Prendi Funkfleed!» gli ordinò la ragazza ignorando la domanda.

«Come osi darmi ordi-»

«PRENDI FUNKFLEED, CAZZO, LO VEDI CHE SIAMO SOTTO ATTACCO?!»

Era un topo in trappola dentro l’ufficio, maledizione! Eppure non poteva scappare via nell’atrio, o sarebbe rimasta scoperta contro i proiettili del suo aggressore! Lì nell’ufficio, per quanto pericoloso avrebbe potuto riuscire a trattenerlo in attesa degli agenti che, ne era sicura, avrebbero sentito gli spari provenienti dalla Torre.

Lilian mise di poco la testa fuori dal riparo: dov’era quel pazzo?

«Forse è andato via…» sussurrò Spandam.

«GIÙ LA TESTA!» Lilian lo afferrò per il colletto e lo tirò con forza dietro al tavolo.

Aveva visto giusto in tempo una delle sedie dell’atrio volare verso di loro, lanciata dall’aggressore, e con un grandissimo frastuono si sfasciò contro il loro rifugio.

«Cazzo!» imprecò la ragazza

E fu in quel momento, mentre Lilian era impegnata a ripararsi la testa dalle sedie dell’atrio che venivano lanciate contro il suo rifugio, che Job Five entrò di prepotenza nella stanza, afferrò il tavolo dietro il quale era nascosta la ragazza, e lo scaraventò via, mettendo allo scoperto la sua vittima.

Spandam e Lili gridarono, Lili abbandonò il galoppino al suo destino e infilò la porta correndo sui tacchi, mentre le pallottole fischiavano attorno a lei e sentì una gamba bruciare, ma rimase miracolosamente in piedi e corse fuori, si girò nel panico e anche lei rispose al fuoco, e andò di corsa alle scale che portavano al secondo piano, dove c’erano gli uffici degli agenti.

Si scalciò via i tacchi e prese a salire le scale come una forsennata, ma all’improvviso la gamba destra le tremò di più, inciampò e lui le fu addosso in un attimo e cercò di strapparle via la gonna.

«Farà male solo all’inizio, te lo giuro…» mormorò l’uomo.

Lilian gridò forte, troppo spaventata per riuscire a rispondere, strinse l’arma nella mano destra, sparò, ma non servì a niente, l’uomo continuava nella sua orribile follia.

«Ti piacerà, vedrai che ti piacerà» diceva, e il rumore della zip dei pantaloni suonò così forte nella testa della ragazza da sembrare una mitraglia. Ma solo un secondo prima che le facesse davvero del male, arrivò qualcuno.

Venne preso per il collo e scaraventato a terra, così forte che le mattonelle si creparono.

Lilian si tirò a sedere, spaventata, e capì quello che avrebbe dovuto fare già molto tempo prima: chiedere aiuto a Jabura e a Rob Lucci. Li vedeva, in forma ibrida ed enormi, come belve fameliche che puntavano al suo molestatore. Incazzati neri.

Non ebbe nemmeno un po’ di pietà.

E nemmeno loro.

 

Non sentiva dolore, vedeva solo il sangue scorrere lungo le gambe, le calze rotte, e si alzò in piedi. Le scarpe erano in fondo alla scala, voleva raggiungerle, si appoggiò al muro e poi si rese conto di non riuscire a camminare perché era quasi paralizzata dalla paura. Sollevò la testa e vide che, finalmente, stavano tornando tutti gli altri agenti.

«YOYOI! COME ABBIAM POTUUUUUTO ESSER SÌ SVENTATI? Come abbiam potuuuuuto lasciare il nostro presidio? Stolti fummo, e beffati dal gran clamore di bombe!» recitò commosso l’agente avvicinandosi a grandi passi alla ragazza per soccorrerla.

«Kumadori!» invocò la signorina, tuffandosi a capofitto ad abbracciare l’agente, tremando, e con la sensazione del sangue che impregnava sempre di più il tubino nero.

«Accidenti, ce l’aveva quasi fatta» si lamentò Kaku mentre arrivava dalla loro parte, superando e osservando da lontano Lucci e Jabura che si litigavano un femore.

Kumadori roteava il suo bastone. «FARÒ SEPPUKU PER-» e si interruppe, perché Lilian era scoppiata a piangere disperata, stretta alla sua giacca.

Intanto, Lucci e Jabura abbandonarono finalmente i brandelli di quello che era stato il molestatore e tornarono, per quanto potevano, umani.

 

Rob Lucci, ancora in forma ibrida, si avvicinò a Kaku e gli porse un portafogli da uomo. Kaku, più che abituato a vederlo mezzo leopardo e sporco del sangue dei nemici, non si scompose di una virgola.

«Va’ all’indirizzo scritto nei documenti» gli ordinò il boss «Voglio vederci chiaro, prima che s’intrometta la Marina»

 

~

 

Quando Califa entrò nell’androne della Torre di Catarina si trovò davanti una scenografia degna di un horror splatter. Sospirò, mormorò qualcosa su quanto fossero moleste le abitudini dei suoi colleghi, e poi con le sue bolle spinse in un angolo tutto lo schifo di sangue e brandelli che regnava nell’ingresso di marmo chiaro; quando si sentì odore di pulito e non più quella puzza ferrigna che caratterizzava le sue missioni, la donna attraversò sui tacchi a spillo l’androne e si diresse verso i suoi colleghi, che stavano cercando di calmare Kumadori che piangeva abbracciato a Lilian, a sua volta vergognosamente spaventata.

«È ferita?» chiese Califa, analitica.

«Il bastardo l’ha colpita alla gamba destra» rispose Jabura «Ma senza toglierle la gonna…»

«Sarebbe una molestia sfacciata.» sibilò l’algida agente.

«Non gliela volevo togliere» ringhiò il Lupo. Non era uno psicologo, né eccelleva nell’empatia, però poteva immaginare che era meglio non denudare con la forza una ragazza ferita e in lacrime che era appena scampata a uno stupro in piena regola!

Califa si inginocchiò vicino alla ragazza. «È un colpo di striscio» riconobbe «Non vedo fori di entrata e di uscita»

«Hai sentito? È solo un graffio» la consolò Jabura «È più la paura che il danno» disse battendole due colpi sulle spalle.

La pilota strinse i denti e mormorò: «E adesso?»

«Fukuro» chiamò il Lupo.

«Chapapa!» si mise sull’attenti l’agente.

«Il kit di primo soccorso, muoviti. È nell’ufficio di Spandam» ordinò Jabura. Poi disse a Lilian: «Adesso blocchiamo il sangue, e poi ti porto al pronto soccorso»

 

Rob Lucci, poco interessato alle manovre mediche, si rimise la giacca, e Hattori gli si posò sulla spalla. Osservava il corpo dell’assalitore, ormai privo di parvenza umana, e i colleghi che mano a mano tornavano dall’emergenza che li aveva chiamati fuori dalla Torre.

E, finalmente, tornò anche Kaku dalla sua piccola missione.

«Avevi ragione» disse il ragazzo riconsegnando al leader del reparto il portafogli di Job Five «C’è lui dietro alle esplosioni. In casa aveva un arsenale in costruzione»

«Complici?»

«Credo di no, però bisogna vederci chiaro sui fornitori. Molta roba che ho trovato è illegale.» rispose pronto Kaku. «Ah, ho fatto qualche domanda ai vicini di casa: mi hanno detto che si tratta di una persona molto chiusa e a tratti violenta, tanto che pensavano di essere in pericolo»

«Boss…?»

La voce della segretaria fece voltare Lucci e Kaku.

«Era stato lui a piazzare tutte le bombe nelle isole, vero?» chiese la ragazza, mentre Jabura le medicava personalmente la ferita. Califa era riuscita a sfilarle le calze e alzare l’orlo della gonna quanto bastava per tamponare almeno il sangue.

«Molto probabile» rivelò Lucci, eccezionalmente. Poi si rivolse a Kaku, riprendendo il discorso: «Le bombe dovevano essere un diversivo per noi?

«Sì, penso di sì.» affermò Kaku «E penso che il fatto che ci stessimo preparando alla partenza possa avergli fatto perdere la calma e fatto affrettare il piano»

«Il reparto avrà… avrà dei problemi per colpa mia?» pigolò la ragazza, mortificata.

«Se un uomo entra armato nella mia sede e aggredisce una mia dipendente, è ovvio che io abbia tutto il diritto di ucciderlo» sottolineò il suo capo, con le mani affondate nelle tasche, dritto e fiero davanti a lei.

«Finito» le disse Jabura «Adesso ti porto al pronto soccorso, vieni, muoviti» le ordinò spiccio prima di prenderla in braccio.

«Naturalmente» riprese severissimo Rob Lucci fermando i due che stavano per correre all’ospedale più vicino «Questo contrattempo non ti esula dal tuo lavoro. Decolleremo domani mattina, come programmato»

«Non era mia intenzione ritardare la partenza o ritirarmi dalla missione, boss»

 

~

 

«Ti fa male?»

«Voglio dormire»

«Allora devi metterti a letto, non lì.»

Jabura l’aveva previsto: una volta andata via l’adrenalina, scesa la sera, e tornata dall’ospedale, Lilian era letteralmente crollata a terra, priva di forze. Il suo corpo, quello di una civile, aveva dato tutto.

E non aveva trovato posto migliore per farsi mancare le forze, che lì dove si era sentita al sicuro: nella Stanza del Lupo, l’appartamento di Jabura, in quel meraviglioso giardino con l’erba tosata e il ruscello che scorreva tra i massi, con le galline che russavano chiocce già chiuse nel loro pollaio.

Jabura ghignò e si sdraiò su un fianco, vicino a lei. «Guarda che non ti porto in braccio.» disse, ma era una panzana da lupo. Le aveva anche prestato una vecchia tuta larga, perché lei non riusciva a infilarsi i suoi vestiti senza sfiorare il vistoso cerotto bianco che le avevano messo per proteggere i punti.

La osservò, abbandonata pateticamente per terra. I medici dell’ospedale avevano tirato giù un pandemonio, quando lei aveva chiesto se l’indomani sarebbe stata nelle condizioni di ripartire: avevano sciorinato cose come riposo assoluto, stress post-traumatico, controlli regolari lì da loro, ambiente tranquillo, insomma proprio il genere di cose facilmente reperibili al Reverie.

«Quel coglione di Lucci… almeno qualche ora di respiro in più te la poteva concedere.» considerò l’agente constatando che l’aviatrice era veramente fuori servizio.

Lili scosse la testa. «Devo portarvi al Reverie» affermò decisa, con gli occhi chiusi «C’è bisogno di voi.»

L’ipotesi che lei domani non avrebbe pilotato e non avrebbe portato gli agenti al Reverie non era contemplata da nessuno, nemmeno da Jabura, nemmeno da lei stessa, per non parlare poi di Lucci. In ognuno era ben scolpito nella mente l’importanza della missione, superiore anche alla propria salute personale. Persino Lilian, che agente non era, comprendeva di non poter chiedere un congedo, e sarebbero partiti come previsto l'indomani. Sarebbe stato pericoloso, i Rivoluzionari avrebbero tentato un colpo di stato. Sarebbero morte persone. Molte le avrebbe uccise proprio Jabura.

L’uomo non era un grande fan dei Draghi Celesti, a dirla tutta; ma avevano una facilità disarmante nel commissionare omicidi, e questo al Lupo faceva venire brividi di piacere dalla coda al collo.

Ma anche lui avrebbe corso dei rischi, e Lilian era ben cosciente del suo ruolo di supporto: non avrebbe riportato a Catarina un agente di meno.

In quel momento, però, non c'erano né Rivoluzionari né Nobili Mondiali: c'era solo una notte silenziosa che chiudeva la giornata più lunga di Lilian Rea Yaeger da quando era lì, all’Arcipelago di Catarina.

E c'erano un Lupo e una pilota che sonnecchiavano vicini davanti a un cielo stellato.

Rimasero tranquilli ancora qualche minuto, Jabura svuotò pigramente la bottiglia e mangiucchiò gli ultimi biscottini al cioccolato della scatola per conciliarsi il sonno, poi decise che era ora di migrare verso il grande letto del Lupo: la tenda di stoffa e bambù, sospesa da terra, dondolante come una barca nel mare placido.

Jabura prese in braccio la ragazza, raccogliendola da terra.

«Ce la faccio da sola» mormorò lei, stringendosi all’uomo.

«Ma piantala» la zittì. Attento a non farle urtare niente, la portò nel ventre caldo e accogliente del letto, franarono insieme tra i cuscini, e finalmente Jabura coprì entrambi con la morbidezza delle coperte.

«A proposito…» sussurrò Lili, quando le luci della casa furono tutte spente tranne una minuscola candela posata su un masso, la cui fiammella danzava sulle docili onde del ruscelletto. «Sei stato davvero un eroe» le sorrideva anche la voce «Grazie per… per tutto quanto… sarei morta, se non fosse stato per te»

Jabura ghignò nel buio.

«Dovere, pupa»

Si sporse dal letto, e con uno Shigan Bachi spense l’ultima candela.

 

 

 

 

Dietro le quinte...

Chiedo immensamente scusa a tutti i lettori.
Ci ho impiegato una vita ad aggiornare, perché ci ho anche messo una vita a scrivere l'ultimo capitolo. Tra esami che sapevo di dover sostenere e altri che sono spownati tipo miniboss a tradimento, ho avuto genio zero per scrivere, e mi dispiace tantissimo perché avevo promesso che avrei aggiornato presto, e di solito ho sempre aggiornato in tempi brevi.

Altra notizia: sto radunando le idee per una nuova long, che però non so quando uscirà (e One Piece mi offre spunti nuovi di settimana in settimana), quindi per il momento dichiaro chiusa questa raccolta! Grazie mille a John Spangler e a Shinigami di Fiori per le bellissime recensioni e per il supporto! siete dei lettori meravigliosi e i recensori che tutti gli autori dovrebbero avere ?
Auguro a voi e a tutti i lettori una bella estate! 

Ma adesso parliamo della storia! 

***SPOILER ONE PIECE***

Lucci e Kaku al Reverie! Non poteva essere altrimenti: loro, dalla parte dei Draghi Celesti, si riconfermano "i cattivi", contro i quali si scontrano le principesse Bibi e Shirahoshi, Leo, Don Sai, e chiunque si stesse opponendo alla volontà dei Nobili. Oda purtroppo ha chiuso subito il sipario su di loro, ma tanto è bastato per farmi venire in mente una degna conclusione per questa raccolta: si lascia Catarina, e si va verso il Reverie, dove appunto da canon ritroviamo i nostri eroi. 

***FINE SPOILER ONE PIECE***

Chi mi segue da un po' sa che i personaggi di Lilian e Caro vengono da una vecchia storia e sono stati ripescati, ripuliti e adattati per questo filone narrativo sul Cp9; ecco, anche Paul Blackwood e Charlie vengono da lì! Come al solito, non c'è bisogno di andare a leggere vecchie storie: come si evince dal capitolo, sono gli ex colleghi di Lilian, e Paul era il suo diretto superiore. È nato da un'idea di mlegasy e da lui è stato sviluppato e curato in questo capitolo, cosa di cui lo ringrazio ♥ anche se l'ho sempre usato io nelle storie, è un suo personaggio originale, e ce lo siamo sempre immaginati con l'aspetto di Solf J. Kimblee di Fullmetal Alchemist Brotherhood.

L'acronimo cui fa riferimento Rob Lucci durante la lumacofonata con Caro Vegapunk è "Canadair". Vi lascio due righe tratte dal terzo capitolo di "La lunga caccia alla Mano de Dios" che spiegano l'arcano:

 

"La ragazza prese fiato e recitò: « CAro & Nobili Aristocratici - Dipartimento di Aeromobili e Istituto di Ricerca »
« UNO NOME POETICO, UN NOME IMPORTANTEEE!! » festeggiò Kumadori roteando il bastone e ignorando Kaku che tentava di fermare la gazzarra tra Jabura e Lucci « UN NOME FASTOSO CHE UNISCE QUELLO DELLA SUA CREATRICE E L’APPORTO ECONOMICO DEI NOBILI NELLA FONDAMENTALE SCIENZA DELL’ARIA! Tuttavia… è un acronimo terribilmente forzato… io… »
« Non è “forzato”, fa proprio schifo! » lo corresse la ragazza « Ma Caro si era messa in testa che doveva uscire “Canadair”, e… »
« FARÒ SEPPUKU PER LAVARE QUESTO TERRIBILE DISONORE! »"

...capito? :D 

Lo Shigan Bachi che usa Jabura all'ultimo rigo è una versione dello Shigan che in realtà è stata vista usare solo da Rob Lucci, ma non è assolutamente escluso che anche il Lupo la sappia usare; si tratta di quella mossa che si fa facendo con indice e pollice quel movimento che spinge avanti una biglia. Usando lo Shigan, invece della biglia si fa partire dell'aria come un proiettile, e in questo modo si uccide una persona o... si spegne una candela. Mettere nella storia questa spiegazione mi avrebbe un po' rovinato la scena, spero mi perdonerete!

Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui.

Sono contenta di aver dato spazio ai meravigliosi ragazzacci del CP9 nel nostro fandom ♥ a presto, buone feste,

Yellow Canadair

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Yellow Canadair