Mawu
– La forma dei sentimenti
Yuma
si pulì le mani nere di terra ai
pantaloni e si tirò su in piedi. Fece un largo sorriso,
mentre sollevava gli
occhi verso Astral.
«Ecco fatto! Adesso non ci resta che
aspettare.»
L’amico lo guardò per un lungo secondo e
abbassò la testa sulla montagnetta di terra davanti a loro.
Era appena visibile
in mezzo al piccolo giardino di casa.
«Quanto?» gli chiese.
Yuma si strinse nelle spalle. «Un po’,
credo. Non me ne intendo, ma la nonna dice che ci vuole molta
pazienza.»
«E tu non ne hai.»
Sbuffò, era incredibile come Astral
continuasse a non avere la minima fiducia in lui. Ormai erano mesi che
si
conoscevano, avrebbe dovuto mostrare un po’ più di
comprensione. O evitare di
sottolineare ogni volta quanto fosse a corto di pazienza.
«Ti assicuro che posso essere molto
paziente se lo voglio» disse, ad alta voce. «E te
lo dimostrerò!»
Astral scosse la testa, lasciandosi
sfuggire un tenue sorriso.
«Non ce n’è bisogno, ti credo.»
Yuma storse la bocca e gli lanciò
un’occhiata sospettosa. Davvero? Non è che, per
caso, l’aveva detto solo per
farlo contento? Non sarebbe stato da lui, però; era sempre
stato diretto, uno
che non ci pensava mai due volte prima di dire le cose come stavano.
Era anche
per questo che si era affezionato a lui, su quell’aspetto si
assomigliavano
molto. Era forse una delle poche cose che avessero in comune:
l’essere diretti
e quella piccola cosa che avevano appena sotterrato.
Abbassò di nuovo lo sguardo sulla
montagnetta di terra nera che si stagliava sul verde brillante del
prato. Ci
sarebbe voluto molto tempo, lo sapeva, ma non aveva alcuna intenzione
di
dimenticarsene. Voleva prendersene cura, almeno finché
avesse potuto farlo. O
finché quello non fosse
diventato
grande e robusto.
Yuma sollevò di nuovo gli occhi
sull’amico. Stava guardando il cielo, lo sguardo perso nei
suoi pensieri; le
iridi bicromatiche sembravano offuscate per qualche strano motivo. Che
stesse
pensando? Si era sempre chiesto cosa frullasse nella mente
dell’astrale, quali
pensieri affollassero la sua testa e a cosa pensasse con
così tanta intensità,
ma non era mai stato in grado di trovare una risposta. Forse pensava ai
suoi
ricordi perduti, o forse al suo mondo. Uno di quei giorni avrebbe
dovuto
chiederglielo. E avrebbe dovuto chiedergli anche della sua infanzia,
della sua
terra natia, di ciò che gli piace e di ciò che
gli odia. C’erano così tante
domande che avrebbe voluto porgli, domande e dubbi di cui non conosceva
risposta. Astral era un mistero per lui, e nonostante tutto era forse
l’amico
più caro che avesse. Un amico di cui non sapeva quasi nulla,
un compagno che
non si era mai aperto davvero con lui. O forse era lui a non essersi
mai
interessato… Quando era l’ultima volta che gli
aveva chiesto qualcosa di
personale? Forse ieri, o forse mai. Non lo ricordava.
La voce di Astral lo strappò dalle sue
riflessioni, scaraventandolo di nuovo alla realtà, a quel
piccolo giardino in
un quartiere tranquillo di Heartland City. Sgranò gli occhi.
«Cosa? Hai detto qualcosa?»
«Ti ringrazio» ripeté Astral. Gli fece
anche un largo sorriso e Yuma avvertì il cuore accelerare
per un breve attimo.
Tossicchiò leggermente e distolse lo sguardo
dall’amico, cercando di nascondere
l’imbarazzo che era appena affiorato sul suo volto.
«E di cosa?»
«Tutto.»
«Ma dai, non ho fatto nulla.»
«Mi sei rimasto accanto per tutto questo
tempo. Hai deciso di farti carico di una missione che non ti
riguardava. Hai
deciso di accettarmi per quello che sono e mi sei stato amico. Non ti
ringrazierò mai abbastanza per tutto questo.»
Il volto gli andò a fuoco, il cuore gli
batteva nel petto come un tamburo. Perché gli stava dicendo
una cosa simile?
Perché doveva sempre essere così sentimentale?
Per cosa, poi? Era normale
aiutare chi era in difficoltà, l’aveva sempre
fatto anche prima di conoscere
Astral. Lo faceva con tutti, era il suo modo di essere,
eppure… Eppure, essere
ringraziati in quel modo dall’astrale lo aveva fatto sentire
diverso. Più
realizzato, forse. Più… felice? Era gioia, quella
che stava provando?
«Ricorderò ciò che hai fatto per
me»
mormorò Astral, incrociando le braccia al petto e sollevando
la testa al cielo.
«Anche quando non sarò più qui con te.
Per sempre.»
Yuma annuì, la gola troppo secca per poter
rispondere a parole. Ma non ne aveva bisogno, era certo che
l’amico avesse
compreso il significato nascosto dietro il suo silenzio. In fondo,
Astral lo
conosceva fin troppo bene.
***
Alzò
un braccio in direzione di Kotori, in
piedi di fronte al portone di casa, mentre con l’altra mano
si infilava in
bocca una fetta di pane.
«Muoviti, Yuma! Siamo in ritardo!» lo
rimproverò lei. Yuma sbuffò: non aveva ancora
capito perché Kotori si agitasse
sempre in quel modo. Quando si trattava di scuola sapeva essere davvero
troppo
rigida per i suoi gusti. Lanciò un’occhiata
all’orologio che aveva al polso:
mancava più di mezz’ora all’inizio delle
lezioni, sarebbero arrivati in
perfetto orario, come ogni mattina.
«Sai, dovresti rilassarti ogni tanto» le
disse, mentre terminava di masticare la mollica tostata del pane.
«O ti
verranno le rughe.»
«Mi rilasserei molto volentieri se tu non
fossi sempre in ritardo. E il professore di storia non ammette ritardi.
Lo sai
che ci tengo alla media scolastica!»
«Dovresti avere un po’ più di
pazienza.»
La ragazza gli fece un sorriso sardonico.
«Ne ho più di quanto credi, visto che ti sopporto
da ben dieci anni.»
Yuma ghignò. «Allora non devo essere
così
male come amico, ti pare?»
Kotori sbuffò e si gettò una ciocca di
capelli dietro le spalle.
«Come vuoi, ma sbrigati. Gli altri ci
stanno aspettando per parlare della festa a sorpresa di Shark. Domani
compie
diciotto anni, non te lo sarai mica dimenticato, vero?»
Scosse la testa e terminò di allacciarsi
le scarpe. Non se l’era dimenticato, no, ricordava bene che
il giorno dopo
sarebbe stato il compleanno dell’amico. Quattro
anni… Il tempo sembrava essere
volato via da quando Astral era ritornato nel suo mondo. Prima i
giorni, poi i
mesi, le stagioni e infine gli anni, uno dopo l’altro in un
rincorrersi
continuo ed eterno. Un serpente che si mangia la coda. Infinito,
eterno. Lo
scorrere del tempo per lui era solo malinconia, un susseguirsi di
momenti in
cui mancava l’elemento fondamentale per dargli un vero senso,
per renderli
pieni e completi.
Scosse la testa, come a voler allontanare
i pensieri, e si tirò in piedi. Raccolse la cartella di
scuola dal pavimento,
salutò sua madre con un cenno della mano e uscì
insieme all’amica. Il sole
caldo di giugno gli illuminò il volto, riscaldandogli la
pelle e dissipando del
tutto le ombre che si erano addensate intorno al suo cuore. Un calore
pregno di
vita lo avvolse e Yuma avvertì di nuovo
l’ottimismo farsi strada nel suo corpo,
nelle fibre dei suoi muscoli e nei neuroni che affollavano la sua
testa. Prese
un profondo respiro e, come ogni mattina, voltò lo sguardo
verso il giardino.
Un gesto ormai automatico, che compiva da quattro anni a questa parte,
una
semplice, rapida occhiata per assicurarsi che stesse crescendo davvero,
che
fosse forte e in salute. La camelia oscillò alla brezza
mattutina come a
volerlo salutare. Tra qualche anno avrebbe dato i suoi primi frutti.
Nuovi
semi, simili a quello che coltivò insieme ad Astral quattro
anni prima. Gusci
che racchiudevano la speranza.
Fece un largo sorriso e sollevò lo sguardo
al cielo. Sapeva che prima o poi si sarebbero rivisti. Quando sarebbe
accaduto,
gli avrebbe mostrato con orgoglio quell’alberello, il
risultato delle sue cure
e della sua pazienza. Astral ne sarebbe stato felice, ne era certo. Gli
avrebbe
fatto vedere che non aveva mai dimenticato quel giorno di quattro anni
prima,
quando avevano deciso di piantare un seme rinsecchito e aiutare una
nuova vita
a sbocciare. Non aveva dimenticato nulla, né Astral,
né il loro legame. Non
aveva dimenticato nemmeno lei, quella piccola creatura che li univa
più di
qualsiasi altra cosa.
La
loro piccola
camelia.
La forma dei suoi
veri sentimenti.
***
Nda: La camelia, in Giappone, significa sia
“attesa”, sia “amore eterno”,
ed è
il motivo per cui l’ho scelta per questa storia. Per quanto
riguarda il titolo,
il termine “forma” fa riferimento al concetto di
“kata” che in giapponese non è
relativo solo alle arti, ma può essere inteso in senso
più generico. E’ la
forma dentro la quale si sviluppa un’idea, un concetto, ma
può essere intesa
anche come “la forma della pazienza”,
perché i kata sono gesti codificati nel
tempo, che devono essere eseguiti in certi contesti e con certi ritmi.
In
questo caso la pianta di camelia che Yuma ha curato e fatto crescere
per
quattro anni rappresenta la forma che i suoi sentimenti per Astral
hanno
assunto. Sentimenti che ha coltivato appunto con pazienza.