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Autore: moira78    10/12/2018    4 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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Cap. 8: PENSIERI
 
"Perché non me ne hai parlato?". Ono Tofu smise di scrivere la ricetta che stava preparando per un paziente e rimase con la penna a mezz'aria, scrutando sua moglie.
 
"Di cosa parli, tesoro?", domandò osservandola riporre alcuni strumenti nell'armadietto dei medicinali. Come ogni sera, aveva messo a letto i gemelli e lo stava aiutando a riordinare lo studio.
 
"Parlo della lettera di quella donna. Se non l'avessi sottovalutata, forse avremmo potuto evitare questa spiacevole situazione".
 
Il dottore si accorse che il sorriso di Kasumi era diverso dal solito, come se cercasse di sforzarsi a mantenerlo fermo. Capì che i suoi nervi erano stati messi a dura prova a causa del rapimento dei bambini e che lo riteneva in parte responsabile: gli sembrò di essere tornato ai tempi in cui Mayumi lo aveva baciato in mezzo alla strada e lei si era ingelosita. All'epoca però, quella brutta parentesi aveva portato qualcosa di buono avvicinandoli. Ma in ciò che era accaduto di recente non c'erano lati positivi, se non forse l'arresto di quei due loschi figuri. Persino sua madre aveva dovuto concedersi una vacanza alle terme per riprendersi dallo shock.
 
Ono si tolse gli occhiali lentamente, strofinandosi gli occhi con due dita: "Hai ragione, non avrei mai dovuto fare finta di nulla. Ma non volevo che quella donna si permettesse di spaventarci o di rientrare nelle nostre vite. Purtroppo ha avuto modo di farlo lo stesso e ne hanno fatto le spese i nostri bambini. Mi dispiace".
 
Kasumi non rispose, ma gli parve che l'atmosfera fosse improvvisamente più leggera. Evitò di aggiungere altro finché lei non ebbe finito di mettere a posto la stanza. Il sorriso era sparito dal suo volto e si stava avvicinando: "Devi farmi una promessa", gli disse seriamente, "d'ora in poi non dovrai più nascondermi nulla. Anche se ti sembra una cosa sciocca è necessario che ne parliamo come farebbe una famiglia, d'accordo?".
 
Fu lui a sorridere per primo, poi si alzò dalla sedia, le riavviò i capelli sulla fronte e la guardò dritta negli occhi: "Te lo prometto. Parola d'onore", poi la baciò delicatamente.
 
Finalmente sorrise anche Kasumi.
 
                                                                                              ***
 
Ryoga osservava l'okonomyaki che cuoceva sulla piastra da un pezzo. Forse si stava bruciando, così lo girò per l'ennesima volta, strappando un commento contrariato al cliente che era in attesa.
 
Perché Akari lo aveva baciato, così, di punto in bianco? Non sapeva nemmeno lui come avesse fatto a mantenere l'autocontrollo, diviso com'era tra l'affetto e il rimorso che provava per lei e i sentimenti che nutriva per la sua fidanzata lontana.  La sua cara, sfortunata amica era tornata per chiedergli aiuto e lui era felice di poter fare qualcosa per alleviare le sue pene. Era certo che non fosse tornata con il secondo fine di riconquistarlo, Akari non era quel tipo di persona e sapeva benissimo che lui era innamorato di Ukyo.
 
Allora perché lo aveva baciato? Forse per ringraziarlo del fatto che le aveva promesso di insegnarle il Bakusai Tenketsu?
 
"Pensa di cuocerla ancora a lungo quell'okonomiyaki?". La voce dell'uomo che aveva di fronte gli parve provenire da un'altra dimensione.
 
Un'amica che ringrazi sentitamente, però, lo avrebbe baciato sulla guancia o abbracciato. Akari lo aveva baciato sulle labbra e lui aveva avvertito il suo disperato bisogno d'affetto. Possibile che lo amasse ancora?
 
"Se non le dispiace vorrei mangiarla entro l'anno corrente...".
 
Ryoga capì improvvisamente che Akari non l'aveva dimenticato e, a quel punto, doveva mettere le cose in chiaro. Di nuovo. Avrebbe dovuto girare il coltello nella piaga ribadendole che era innamorato di un'altra.
 
"Credo che stia bruciando".
 
Ryoga scosse la testa con vigore: e se si sbagliava e l'avesse fatta soffrire ancora senza un motivo concreto?
 
"Come no? Non vede il fumo che esce?! Ehi?!".
 
Finalmente Ryoga tornò al mondo reale e si accorse del fumo nero che saliva dall'okonomiyaki che aveva appena carbonizzato, perso com'era nei suoi pensieri. "Oh, mi scusi, glielo rifaccio subito!".
 
"No, grazie, me ne vado al ristorante cinese all'angolo. Mi è passata la voglia di mangiare okonomiyaki, per questa sera", dichiarò l'uomo accigliato. Si calcò il cappello in testa e uscì a pesanti passi.
 
Ryoga sospirò: doveva fare attenzione, Ukyo non sarebbe stata contenta se al suo ritorno avesse trovato il locale fallito. O un fidanzato in compagnia di un'altra donna. O entrambe le cose.
 
                                                                                              ***
 
Ranma soppesò la busta della spesa cercando di capire se aveva dimenticato qualcosa riportato nella lista di Akane. Non voleva tornare indietro e rischiare che si mettesse ai fornelli da sola: negli ultimi anni era migliorata molto in cucina, ma bisognava prestare attenzione a quello che faceva, perché lo scambio di ingredienti era sempre in agguato.
 
La continua pressione dei loro parenti, poi, non faceva che peggiorare la situazione: Akane deve imparare a cucinare se vuole nutrire bene Ranma e i nostri nipoti. Dovete darci almeno tre eredi! Akane deve essere una moglie perfetta. Poteva capire il desiderio di vederli sistemati per occuparsi della palestra, ma ora stavano davvero esagerando e la povera Akane si portava addosso un peso tremendo, forse ancor più di quello che avvertiva lui. Se solo sua madre fosse stata ancora viva, ci avrebbe pensato lei a mettere in riga Soun, Happy e quel testone di suo padre.
 
Ma, a parte Nabiki che aveva ben altre gatte da pelare, erano soli contro le loro famiglie e persino Kasumi aveva rinunciato a pregarli di smetterla con tutte quelle pressioni. Ranma sapeva di non essere stato il fidanzato perfetto: la loro relazione era stata parecchio turbolenta prima del matrimonio e finalmente, ora che avevano trovato un minimo di serenità, ci si mettevano gli altri a rendere l'aria irrespirabile.
 
Affittasi.
 
Ranma sbatté le palpebre, pensando di aver letto male.
 
Affittasi urgentemente, prezzi modici, ammobiliata, ottima per giovani coppie.
 
Non si stava sbagliando. La casetta dei Tanaka, i vecchi signori che abitavano a circa un chilometro dal dojo, era stata messa in affitto. La testa gli divenne leggera, come immersa in un vortice di pensieri la cui parola d'ordine era "fuga". Strinse il manico della busta e fece un passo in direzione della casa, poi tornò sui suoi passi. Si fermò, voltandosi e guardando avidamente quella costruzione modesta eppure graziosa.
 
Chiuse gli occhi per un istante, poi prese una decisione.
 
                                                                                              ***
Shampoo osservò Mousse con i suoi nuovi occhiali e sospirò. Non erano spessi come quelli che portava qualche anno prima, ma era certa che avrebbero dovuto esserlo. Nonostante le lenti, Mousse continuava a sbagliare il percorso tra i tavoli, rischiando di rovesciare i piatti o di sbattere contro i clienti. Quella situazione non le piaceva per niente, la rendeva nervosa, specie quando le veniva nascosta la verità.
 
"Il dottor Tofu mi ha detto di mettere gli occhiali per un po', poi la vista dovrebbe migliorare da sola", le aveva detto quella mattina. Ma lei non se l'era bevuta e ora lo osservava barcollare incerto mentre Misaki avanzava più sicura di lui con i piattini degli antipasti omaggio tra le mani.
 
Controllò gli ordini e i tavoli e decise che poteva assentarsi per qualche minuto: "Vado un attimo in cucina a controllare la zuppa. Ve la cavate, voi due?", chiese ad alta voce.
 
"Certo, Shampoo!" e "Sì, mamma!", risposero all'unisono padre e figlia. Se la situazione non fosse stata così grave, avrebbe sorriso.
 
Si chiuse in cucina, girò effettivamente la zuppa con un mestolo e, mentre aggiungeva delle spezie, afferrò il telefono con l'altra mano. Il dottor Tofu rispose al terzo squillo e lei si scusò per l'orario.
 
"Oh, Shampoo, chiami a proposito! Ho trovato il nome di un collega che conosce una tecnica speciale per interrompere il processo degenerativo agli occhi di Mousse".
 
L'amazzone strinse la cornetta con forza e lasciò cadere il mestolo a terra: "Processo... degenerativo?".
 
Il dottore tacque per un attimo, poi assunse un tono desolato: "Mi spiace, pensavo te ne avesse parlato. Ma non devi temere, forse non è necessario che si operi, basterà solo...". Shampoo non udì altro, tirò con forza la cornetta e scaraventò il telefono contro la parete, furiosa.
 
Stava ancora ansimando di rabbia quando entrò Mousse, seguito quasi subito da Misaki: "Che cosa è successo, Sha...?".  Ma lei non lo lasciò finire e gli si avventò contro afferrandolo per i vestiti.
 
"Perché non mi hai raccontato nulla? Perché mi hai nascosto la verità?!".
 
"Ma... Sha... Shampoo, a cosa...". Il suo balbettio confuso la fece arrabbiare ancora di più e lo spintonò fino a farlo cadere a terra. Misaki urlò e il chiacchiericcio in sala cessò. Ma non le importava. Aveva perso il controllo, definitivamente.
 
"Lavoro dalla mattina alla sera, mi sbatto per far andare avanti questo locale e tu non hai neanche la decenza di raccontarmi che stai diventando cieco?! Ma cosa credi, che nascondendo le cose queste spariscano magicamente? Hai idea di cosa accadrebbe se perdessi la vista? Perché non mi hai detto nulla?".
 
Mousse la fissò per un attimo, costernato, poi si sistemò gli occhiali che gli erano scivolati dal naso e, senza neanche provare a rialzarsi, abbassò il capo e disse: "Mi dispiace, Shampoo. Non volevo farti preoccupare".
 
"Non volevi farmi preoccupare? E pensi che sia meglio che io ti veda, giorno per giorno, peggiorare sotto ai miei occhi?". Misaki aveva cominciato a singhiozzare, di certo spaventata, e Shampoo si scagliò anche contro di lei: "E tu che hai da frignare? Sono io che dovrei piangere, tu e tuo padre mi avete rovinato la vita!". Mentre stava ancora terminando la frase, Shampoo sapeva già cosa sarebbe successo: mentre si pentiva di quelle parole senza neanche aver finito di pronunciarle, Mousse si sarebbe alzato da terra e l'avrebbe schiaffeggiata. E avrebbe fatto bene. Infatti accadde proprio quello e lei gli offrì la guancia, chiudendo gli occhi, senza fiatare. Udì i clienti borbottare qualcosa e lasciare il locale. Udì Misaki singhiozzare disperata e avrebbe solo voluto stringersela al petto e allattarla come quando era più piccola. E avrebbe voluto dire a suo marito quanto era pentita. Ma si sentiva anche sollevata, dopo aver tirato fuori tutto quel veleno gratuito. Che i kami la perdonassero, ora che si era sfogata era calma come l'acqua di un lago cheto.
 
Mousse mormorò delle parole di conforto alla bambina, poi la spinse dolcemente fuori insieme a lui e chiuse la porta con un rumore forte. Shampoo cominciò ad iperventilare, le mancava il respiro, le tremavano le mani. Cadde in ginocchio e si nascose il viso tra le mani, piangendo sommessamente sul pavimento della cucina, tra i resti del telefono che era andato in mille pezzi come la sua vita.
 
                                                                                              ***
 
Tatewaki Kuno guardava fuori dalla finestra da un po', riflettendo. Aveva fatto bene a rifiutarsi di sposare Nabiki Tendo? La ragione gli diceva di sì, perché era più che certo che non ci fossero i sentimenti adeguati ad un'unione così importante. Perlomeno da parte di Nabiki. Lui amava la sua fidanzata. Non come aveva amato Akane e la ragazza col codino, ma in maniera diversa, più consapevole, meno romanzata: si trovava bene con Nabiki, adorava quando sorrideva davanti a un bell'oggetto o quando parlava con la sua sicumera, ma soffriva perché non si sentiva ricambiato. I suoi gesti non erano mai dettati da un sincero affetto, o almeno lui non se n'era mai accorto.
 
Nabiki Tendo aveva sempre un secondo fine, che fosse un gioiello o una cena in qualche locale costoso. Una volta gli aveva parlato della sua intenzione di iscriversi all'università per laurearsi in scienze della finanza e gestire al meglio il patrimonio che un giorno sarebbe stato suo. Non sapeva far altro che parlare di soldi. Eppure stavano bene insieme, parlavano degli stessi argomenti, avevano letto gli stessi libri, anche se quelli di poesia lei non li aveva mai neanche aperti. Ma era sempre lui a dover intavolare un discorso che non coinvolgesse un acquisto imminente o un viaggio da organizzare in qualche città esotica. Le aveva promesso che avrebbero viaggiato, che un giorno sarebbe stata sua moglie, ma non pensava che le cose sarebbero state così veloci.
 
Kuno voleva una famiglia, prima o poi, ma non così presto, non per mezzo di un ricatto. Sono incinta, devi sposarmi, gli aveva praticamente sbattuto in faccia lei e si era sentito come violato. Ci si sposa per amore, anche in anticipo se necessario, rimandando viaggi e sogni: non voleva essere il padre assente e svitato che aveva avuto la sfortuna di avere lui. Ma così suo figlio sarebbe diventato il mezzo per far avere a Nabiki la posizione e i soldi cui tanto anelava ed era tutto sbagliato.
 
"A volte vorrei essere povero", mormorò sul vetro.
 
"Povero per colpa di quella Nabiki Tendo? Sposala e lo diventerai di certo, dilapiderà tutti gli averi dei Kuno con la scusa del marmocchio che aspetta".
 
"Kodachi, non ti permetto di chiamare marmocchio mio... mio figlio". Aveva detto quelle parole per la prima volta e si rese conto di quanto lo amasse già. Molto più di quanto lo amasse sua madre, sicuramente.
 
"Santo cielo, fratello! Se volevi farti incastrare da una donna ci sei riuscito. Hai avuto il fegato di rifiutarla, quindi, per favore, non tornare sui tuoi passi, se vuoi ancora guardarti allo specchio. Provvederai al mar... a tuo figlio in qualsiasi altra maniera che non sia sposare quell'arpia!".
 
Kuno si accigliò riflettendo sulle parole della sorella: "Io non credo che sia cattiva. Credo che sia solo molto, molto infelice. Non sa o non vuole amare, e questo deve essere terribile".
 
La risata fragorosa di Kodachi gli ferì le orecchie: "Ma che idiozia! Sapevo che eri troppo stupido per poterti trovare una donna decente, visti i precedenti, ma innamorarti di una come Nabiki Tendo e non vedere la sua cattiveria è davvero troppo!".
 
Tatewaki si voltò finalmente a guardarla: "E tu? Pensi di essere meno cattiva? Non mi risulta che tu abbia mai avuto uno straccio di spasimante, sorella".              
 
"Oh, al diavolo!" Kodachi se ne andò stizzita, sbattendo la porta.
 
Perlomeno la discussione con Kodachi gli aveva aperto gli occhi. Ora sapeva cosa doveva fare.
 
                                                                                              ***
 
Akane spalancò gli occhi e rimase a guardarlo con una mano coperta dal guanto da forno e una pentola nell'altra: se non fosse stata attenta le sarebbe caduta, visto come l'aveva inclinata pericolosamente.
 
"L'affitto è davvero basso, potremmo permettercelo senza problemi con quello che guadagniamo con la palestra. E non siamo neanche troppo lontani da qui. Sarebbe perfetto!".
 
"Oh, Ranma! Sarebbe... un sogno!". Finalmente Akane posò la pentola e cominciò a metterci dentro alcune verdure senza tagliarle: Ranma registrò la cosa senza darle troppo peso.
 
"Però non dobbiamo dire nulla finché non sarà tutto fatto. La signora Tanaka e il marito si trasferiscono dai figli a Kyoto, perché sono molto anziani e hanno lì i nipotini, ma non vogliono vendere la casa fino a che non saranno sicuri che a loro non serva più", spiegò mentre sua moglie lo guardava avidamente come se volesse  fuggire in quel preciso istante.
 
"Quindi c'è la possibilità che tornino sui loro passi?", chiese preoccupata, mentre accendeva il fuoco sotto alla pentola alla massima potenza.
 
Ranma fece per dirle qualcosa, ma riprese il discorso per tranquillizzarla: "Per il prossimo anno di sicuro no e comunque ci diranno le loro intenzioni con largo anticipo, così che possiamo cercare un'altra casa, se vogliamo. E poi non siamo nemmeno troppo lontani dal dojo: abbastanza vicini da venire qui per allenare gli allievi ma non troppo distanti per le abitudini di Soun, Happy e mio padre. Nessuno di loro vorrebbe venire fin lì ogni giorno, piuttosto se ne stanno qui a giocare a shogi".
 
"Oh, Ranma, mi gira la testa, è tutto così improvviso! E quando possiamo trasferirci?".
 
"I Tanaka andranno via non appena troveranno degli affittuari. Se firmiamo subito il contratto di locazione e versiamo l'anticipo, facciamo loro un grosso favore, in pratica".
 
Akane si accigliò: "Non mi avevi parlato di un anticipo".
 
"Abbiamo dei soldi da parte, lo sai. Ho parlato con la signora e le basta quella cifra. Potremmo andare stasera stessa a concludere la cosa".
 
Sua moglie rimase in silenzio, come assorbendo quella notizia, poi si tolse il guanto da forno e scrutò fuori dalla porta della cucina: "Tuo padre e il mio sono già ubriachi, Nabiki è in camera sua e Happosai non si vede, quindi se usciamo nessuno sentirà puzza di bruciato".
 
Ranma ridacchiò: "Il vecchio sarà in giro a rubare bia... puzza di bruciato!".
 
"Cosa?".
 
Ranma si avventò sulla pentola e spense il gas appena in tempo. Le verdure erano annerite e sfrigolavano: "Hai dimenticato che per bollire i cibi serve l'acqua?", chiese ad Akane , ma in realtà non gli importava.
 
"Hai ragione, è che ero distratta da quello che mi hai detto! Ora lavo la pentola e...". Ma lui non la lasciò finire. La afferrò per la vita e saltò fuori dalla finestra con lei.
 
"Lascia stare la cena, abbiamo un contratto d'affitto da firmare", esclamò strizzandole l'occhio e ricambiando il suo abbraccio, pieno di gioia. Non si era mai sentito così libero.
 
 
 
 
   
 
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