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Autore: LysandraBlack    10/12/2018    7 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 1
Leave it all behind




 

«Marian!»

Roteò su se stessa, lo scudo sollevato a parare un colpo da un Prole Oscura alto due teste più di lei. La lama dell'avversario cozzò sul metallo con forza, facendole riverberare il braccio. Gemette di dolore, cercando di mantenere il controllo. L'armatura le impediva i movimenti, sempre più pesante e ammaccata in più punti, rendendole difficile persino respirare, figuriamoci mulinare la spada e reggere quel dannato scudo.

Il Prole Oscura emise un urlo lancinante, mentre una lama gli usciva dal petto, trapassandolo da parte a parte.

Carver, il volto contratto dalla fatica, si voltò nella sua direzione, estraendo la spada dal cadavere. «Tutto bene, sorella?»

Marian annuì, cercando di riprendere fiato. Si voltò verso i loro compagni, un arciere magrolino e un paio di altri soldati dell'avanguardia scampati al massacro, gli occhi scavati dalla fatica e dai terribili eventi degli ultimi giorni. «Sembra che per ora siamo al sicuro.»

Il fratello minore scrutò con sospetto le Selve attorno a loro. «Non mi fiderei di questo posto nemmeno se non fosse brulicante di Prole Oscura...»

Non poteva dargli torto. Erano cresciuti con le storie sulle maledette Selve Korkari, piene di mostri di ogni genere e streghe pronte a mangiarsi vivi i malaugurati viaggiatori, e ora si trovavano a rischiare la pelle proprio là dentro.

«Avremmo dovuto restare a casa...» Mugugnò Carver, sollevando la spada e appoggiandosela su una spalla, come faceva di solito. «Bethany e Garrett se ne staranno belli al calduccio con una buona zuppa bollente.»

«Sempre che l'Orda non sia già arrivata a Lothering.» Ribattè lei, rimettendosi in marcia. «Coraggio, abbiamo perso già abbastanza tempo.»

Si addentrarono tra la fitta boscaglia, attenti a non fare troppo rumore per non attirare altri mostri. Erano ormai passati cinque giorni dalla disfatta ad Ostagar. Le truppe di Teyrn Loghain non erano mai arrivate a salvarli. Marian ancora non riusciva a crederci.

Aveva visto Re Cailan, ad appena un centinaio di metri da lei, venire sollevato come una bambola di pezza dal gigantesco Ogre che lo aveva stritolato per poi gettarlo via. Non sapeva cosa ne fosse stato del corpo del Re, era stata troppo impegnata a salvare la propria pelle per pensare al altro. Un inferno di sangue, urla, denti, zanne, artigli, lame ricurve e scudi infranti, il fragore di quell'incubo che le risuonava ancora incessante nelle orecchie.

Persino il Capitano Rods era stato massacrato, e lei e il resto delle reclute erano rimaste senza una guida. Facili prede dei Prole Oscura.

“Trova Carver”, era stato il suo unico pensiero.

Scosse la testa, scacciando i sensi di colpa. Era scappata. La battaglia era ormai persa, certo, ma non era una scusa sufficiente per quello che aveva fatto. Aveva abbandonato i suoi compagni per cercare suo fratello. Ed il fatto che fosse arrivata giusto in tempo per evitare che un Hurlock gli staccasse la testa non era abbastanza. Prima o poi, avrebbe dovuto spiegare ad uno dei suoi superiori come lei, recluta assegnata all'avanguardia dell'esercito a fianco dei maghi che dovevano proteggere il Re in persona, fosse riuscita a scampare al massacro.

Non era certa di essere in grado di raccontare una bugia credibile. I caduti non lo meritavano.

“Creatore, perdonami. Non potevo abbandonare la mia famiglia.”

Un urlo alla sua destra la risvegliò dal torpore in cui era caduta, la stanchezza che le faceva mettere i piedi uno davanti all'altro in maniera meccanica. Scattò nella direzione da cui proveniva il trambusto, sentendo Carver e gli altri fare lo stesso.

Caricò di peso uno Shriek, i lunghi artigli affilati come rasoi che si chiusero stridendo contro il grande scudo di metallo, buttandolo a terra. L'arciere riuscì a colpirlo ad una gamba, rallentandolo abbastanza da permetterle di sollevare la spada e decapitarlo.

«Questo respira ancora!»

Si voltò di scatto.

Carver era accovacciato accanto ad un uomo, l'armatura riccamente decorata a segnalare una qualche nobile origine ora ammaccata in più punti e sporca di sangue. Si avvicinò al fratello, chinandosi sul ferito. Quello era a malapena cosciente, gli occhi semiaperti. Bofonchiò qualcosa di incomprensibile.

«Non possiamo portarcelo dietro, ci rallenterebbe.» Commentò l'arciere, facendo per andarsene. «Abbiamo già abbastanza problemi.»

Uno dei soldati si leccò i denti davanti, schioccando la lingua. «Quella spada sembra di buona fattura però...» Si chinò, allungando il braccio per prendere l'arma a terra.

Marian non gli diede il tempo di toccarla. Lo colpì tra le scapole col pomolo della propria spada, spedendolo a mangiare il fango. «Non toccarlo, cazzo. Carver, aiutami.» Legò la spada dell'uomo alla propria cintura, ammirandone per un secondo la buona fattura, per poi afferrarlo sotto le ascelle e sollevandolo da terra. Quello gemette debolmente.

«Marian, sei sicura?» Chiese il fratello, guardandola dubbioso.

Lei gli rivolse un'occhiataccia che non ammetteva repliche. «Non abbandoneremo più nessuno.»

Carver sospirò, avvicinandosi e passandosi un braccio dell'uomo attorno alle spalle. «Non potremo combattere così.» Osservò con aria critica, iniziando a camminare.

«E allora facciamo in modo di non incontrare altri problemi.» Ringhiò Marian, che già appesantita da scudo e armatura, con in più il peso dell'uomo, iniziava ad accusare parecchio la stanchezza. «Troviamo un posto dove accamparci per la notte, siamo tutti distrutti.»

«Non sarebbe meglio uscire dalle Selve il più in fretta possibile?» Squittì uno dei soldati, pallido in volto, una benda sporca di sangue attorno alla testa.

Marian sbuffò, irritata. «Se sai dove andare, certo. Ma con quelle nuvole non riesco ad orientarmi, e questa maledetta foresta sembra tutta uguale.»

Vagarono fino a tarda sera. Nessun luogo era abbastanza sicuro, e ovunque si fermassero ben presto venivano attaccati da qualche Prole Oscura o bestia selvatica.

Ad un certo punto, l'arciere individuò una traccia che sembrava umana.

«Questi sono dei Chasind.» Disse, indicando un insieme di rocce seminascoste tra le radici di un albero.

A Marian sembravano dei comunissimi sassi. Sollevò un sopracciglio, dubbiosa. Anche gli altri non erano convinti.

«Vi dico di fidarvi! Uno dei Chasind che era alla fortezza mi ha spiegato che quando trovi dei sassi come questi, sei vicino ad uno dei loro villaggi!» Insistette quello.

Fu Carver a rompere gli indugi. «Peggio di così non può andare, no?» Disse, allargando le braccia prima di chinarsi a sollevare di nuovo l'uomo ferito. «Facci strada, sapientone.»

Non restò altro da fare che seguire un sentiero che pareva assolutamente immaginario. Si inoltrarono nel folto delle Selve, proseguendo fino a notte fonda.

I morsi della fame erano lancinanti, la fatica li faceva barcollare e le ferite riportate prudevano e bruciavano sotto l'armatura che sfregava fastidiosamente sulla pelle.

Infine, distrutta, si appoggiò ad un albero, la corteccia bagnata che puzzava di marcio. «L'avevo detto che non c'era nulla da-»

Una freccia sibilò a pochi centimetri dal suo orecchio.

«Fermi dove siete, Fereldiani.»

Dall'oscurità, emersero una mezza dozzina di figure. Le spalle larghe erano coperte da armature leggere e pellicce, i volti dipinti con intricati disegni che li squadravano minacciosi.

«Per il Creatore... i Chasind!» Balbettò uno dei soldati.

«Avete seguito il sentiero sbagliato, intrusi.» Li apostrofò nuovamente il guerriero che aveva parlato prima, l'arco teso puntato contro Carver. «Ora, morite.»

«Fermo, Talitt.» Si intromise uno dei Chasind, sollevando un braccio. «Stanno trascinando un ferito. Devono venire da Ostagar.»

L'uomo chiamato Talitt sputò per terra. «Pure peggio, ne attireranno altri! E guardala, Vardr, la spada fiammeggiante. È una templare!»

Marian serrò la mascella, sentendosi chiamata in causa. «Non vogliamo guai. È dalla battaglia che non chiudiamo occhio, e quest'uomo è ferito-»

«Solo scuse!» Ringhiò Talitt. «I maledetti Fereldiani e le loro bugie! Uccidiamoli subito, Vardr, prima che la templare chiami tutti i suoi compagni.»

Vide Carver spostarsi impercettibilmente, pronto a lasciare andare il ferito e caricare il Chasind più vicino. Intercettò il suo sguardo, scuotendo il capo, pregando per una soluzione pacifica. «Vi prego, non abbiamo cattive intenzioni. So che avete tutti i buoni motivi per non fidarvi del mio Ordine, ma-»

«Certo che li abbiamo!» La interruppe furente il Chasind. «Il tuo Creatore non ti servirà ad un bel nulla, quando avremo finito con voi-»

«Ora basta, Talitt.» Lo redarguì Vardr, toccandogli il braccio. «Spetta al Capovillaggio decidere di loro, ma non rifiuteremo aiuto a chi ne ha bisogno. Non con un Flagello alle porte.» Si rivolse poi a loro, mentre il compagno abbassava l'arma controvoglia. «Seguitemi. Alun, Cadoc, trasportate il ferito.» Fece cenno ai due alla sua destra, che avanzarono e sollevarono Marian e Carver dal loro fardello. Erano entrambi muscolosi quanto Carver, e alti addirittura più di lui. Marian arrivava loro appena sotto le spalle.

Seguirono i Chasind per qualche centinaio di metri, finchè non iniziarono ad intravedere delle luci. Sulla sponda della palude, si innalzava un villaggio di case di legno costruite su alte palafitte, le lanterne pallide che si riflettevano sull'acqua stagnante.

Vardr fece loro strada verso un edificio più grande degli altri, circolare, l'ingresso segnalato da due grandi stendardi di stoffa rossa e marrone. Una volta entrati, li accolse un odore di cenere, spezie e fumo che proveniva da un grande focolare al centro della stanza. Le pareti erano coperte di pelli e stoffe per proteggere dal freddo e il mobilio era composto soprattutto da lunghe panche di legno e tavoli spartani, mentre su una piattaforma rialzata di due gradini era posto un trono di legno scuro e quelle che erano inconfondibilmente ossa.

Marian deglutì a vuoto, scambiandosi un'occhiata col fratello.

La figura seduta sullo scranno indossava un cappuccio di pelle d'orso, la grande testa ancora attaccata al resto che copriva il capo dell'uomo, le zanne poco sopra gli occhi scuri puntati sui visitatori. Alzò una mano, facendo tintinnare una fila di bracciali che salivano per tutto l'avambraccio. «Benvenuti.»

Marian chinò il capo in segno di rispetto, sperando che gli altri seguissero il suo esempio.

«I miei esploratori hanno parlato di una grande battaglia contro la Prole Oscura.» Proseguì l'uomo, alzandosi per osservarli meglio, lo sguardo che si posava su ognuno di loro. Non le sfuggì il bastone che aveva preso in mano, fatto di rami intrecciati che culminavano intorno ad un teschio di caprone, le grandi corna ricurve decorate con motivi intricati. Piume e perle d'osso pendevano da esse, tintinnando tra loro anche senza che lo muovesse. Chiaramente, un bastone magico. «Battaglia che, purtroppo, avete perso.»

La ragazza strinse i denti. Non avevano bisogno che glielo ricordasse.

Sentiva i suoi occhi puntati su di sé. «Non c'è amicizia tra il mio popolo e il tuo ordine, Templare, ma di fronte ad una minaccia più grande quale il Flagello, sono disposto a mettere tutto da parte, almeno per qualche tempo. Abbastanza da rimettervi in forze e ripartire, non un giorno di più. La Prole Oscura vaga incontrastata per le Selve e non c'è bisogno di ucciderci tra noi per rischiare la morte.»

Rilassò le spalle, sollevata. «Vi ringrazio molto...»

«Potete chiamarmi Capo Derwen. Nessuno oserà torcervi un capello finchè sarete nostri ospiti.» Si avvicinò all'uomo ferito, che i due Chasind che li avevano accompagnati lì avevano appoggiato a terra. «È stato fortunato, che siate arrivati fin qui in tempo. E ancora di più di non aver contratto la Corruzione. Ci sono buone possibilità che sopravviva.»



 

Trascorsero dai Chasind una settimana. All'alba dell'ottavo giorno, Marian, Carver e gli altri tre tornarono ad indossare le armature, ora più pulite e confortevoli, e si prepararono a partire.

«Siamo davvero sicuri di lasciare Lord Cousland a questi... insomma, a loro?» Sussurrò Carver, una dozzina di occhi inquisitori puntati su di loro mentre sfilavano per andarsene dal villaggio.

Marian sospirò. «Hai visto anche tu che non è assolutamente in condizioni di muoversi...»

«Sarà, ma è pur sempre il figlio di un Teyrn. Se la sua famiglia sapesse che lo abbiamo lasciato qui, potrebbero volere le nostre teste.»

«Se fossi in loro, ringrazierei che mio figlio sia qui al sicuro invece che a riaffrontare queste maledette Selve.» Commentò l'arciere, nervoso, l'arco già teso davanti a sé.

La ragazza scosse la testa. «Non cominciare. Sono almeno altri sei giorni per uscire da qui, sempre che sappiamo seguire le tracce.» Sfiorò la spalla del fratello, cercando di rassicurarlo. «Fergus Cousland se la caverà, vedrai. Avviseremo al Castello di Redcliffe di mandare un messo ad Altura Perenne, quando saremo arrivati.»

Carver annuì, la grande spada appoggiata sulla spalla.

Fortunatamente, avevano più o meno capito come seguire le tracce lasciate dai Chasind sui sentieri tra le paludi, e riuscirono ad uscire dalle Selve Korkari nel tempo previsto, evitando la maggior parte dei Prole Oscura. Sembrava che l'Orda si fosse spostata, e tutti avevano paura di dire quello che pensavano, per terrore che si realizzasse: il villaggio più vicino era proprio Lothering.

Si accamparono tra le rovine di una vecchia fattoria, non osando accendere il fuoco e mangiando la carne secca che i Chasind gli avevano regalato.

Nessuno riuscì a dormire, quella notte, mentre il silenzio innaturale delle Selve gravava pesante come una coperta di piombo, il freddo pungente che gli entrava nelle ossa. Aveva ricominciato a nevicare.

Marian si strinse nel giaciglio, la mente proiettata verso casa. Pregò che sua madre, Bethany e Garrett fossero abbastanza svegli da andarsene prima che l'Orda raggiungesse il villaggio.

Era quasi l'alba quando un rumore di rami spezzati la risvegliò dal torpore.

Si alzò di scatto, incrociando lo sguardo del soldato che era rimasto di guardia e che ora aveva sguainato la spada, puntandola verso un punto nella boscaglia.

«Marian, chi...?»

Fece segno al fratello di tacere, mentre due figure sbucavano dagli alberi, le braccia alte sopra la testa. «Siamo umani!»

Marian assottigliò lo sguardo, puntandolo sull'uomo che avanzava circospetto, una grande spada fiammeggiante dei Templari impressa sul pettorale dell'armatura. Lo riconobbe dopo qualche istante. «Ser Wesley!»

L'altro sembrava sorpreso quanto lei. «Hawke! Pensavo fossi... le altre reclute?»

Lei scosse la testa. «Non lo so. Era tutto confuso.» Evitò di dire come era fuggita dalla battaglia.

Anche il Templare sembrava nascondere qualcosa, o meglio, qualcuno. Si voltò verso la donna che lo seguiva, che indossava solamente un gilet di cuoio rigido e dei gambali con le insegne dell'esercito di Denerim.

«Lei è Aveline, mia moglie.» La presentò Ser Wesley.

La nuova arrivata era più alta di Marian di tutta la testa e sfoggiava dei capelli arancione carota, legati in una coda alta scompigliata. L'espressione sotto le numerose lentiggini era dura e provata dalla fatica, ma combattiva. «Mi fa piacere incontrare altri sopravvissuti.»

«Io sono Marian Hawke, e lui è mio fratello Carver.» Si presentò lei a sua volta. «Eravamo nell'avanguardia.»

«Anche io.» Rispose Aveline, sospirando. «Un vero miracolo essere usciti da quell'inferno...»

Annuì. «Siete in grado di viaggiare?»

I due risposero affermativamente. Il tempo di legare i giacigli sulle spalle ed erano di nuovo in viaggio, un pallido sole che sbucava dalle nuvole grige, la neve dei giorni prima che andava sciogliendosi.



 

 



 

Garrett si grattò la barba, osservando l'elfa minuta e il grosso Qunari di fronte a lui. Non sapeva se avesse effettivamente fatto bene a tirare fuori quell'assassino dalla gabbia in cui l'aveva rinchiuso la Venerata Madre, ma la sola idea di quanto la vecchiaccia avrebbe sbraitato alla notizia gli aveva fatto prudere le mani.

In fondo, quel Qunari gli aveva soltanto fatto un piacere. E qualsiasi cosa rischiasse di far partire un embolo alla Venerata Bigotta, era più che benvenuto.

«Beh, sembra che abbia compiuto la mia buona azione della giornata... ora me ne vado.» Scoccò un sorrisetto in direzione della Custode, che lo squadrava con un cipiglio sospettoso. «Buona fortuna nel salvare il mondo!»

«Lothering sarà presto invasa.» Lo avvertì lei. «Faresti meglio ad andartene, finchè sei in tempo.»

Le rivolse un cenno noncurante, cercando di apparire più sprezzante del pericolo di quanto in realtà fosse. «Tranquilla, me la caverò. Non è così semplice ammazzare noi Hawke.» Ammiccò nella sua direzione, stampandosi in faccia un sorriso smagliante prima di darle le spalle e allontanarsi verso casa, lasciando lì la Custode Grigia e il suo nuovo compagno Qunari.

Per un attimo, sperò che quello non impazzisse di nuovo, finendo per ammazzare anche quella che poteva benissimo essere l'ultima dei Custodi. In effetti sembrava piccolina ma, se era scampata ad Ostagar, doveva essere più forte di quanto apparisse...

Si passò una mano tra i capelli corti, spettinandoli ulteriormente.

Ostagar... Ancora non avevano ricevuto notizie di Marian e Carver. Erano passate due settimane. I sopravvissuti erano arrivati in massa a Lothering, scappando dall'Orda che si avvicinava sempre di più al villaggio, riempendo fin quasi al collasso ogni struttura che era stata fornita per prestare aiuto e soccorso ai feriti e agli sfollati. La Chiesa era ormai piena, così come ogni locanda, stalla, fienile, magazzino e casa. Mentre camminava tra le tende e i giacigli di fortuna organizzati intorno al limitare del villaggio, gettò l'ennesimo sguardo verso il ponte di pietra, principale accesso per chi proveniva dalle Selve. Dicevano che dei briganti avevano da giorni bloccato la strada, chiedendo pedaggi ai disperati e minacciando la sicurezza pubblica. In molti erano andati a lamentarsi con i Templari e i pochi soldati ancora in grado di combattere, ma la sicurezza in città era troppo precaria per allontanarsi. Marian e Carver se li sarebbero mangiati in insalata, quei briganti, una volta arrivati. “Se arriveranno in tempo.” Pensò tetro mentre varcava la soglia di casa.

«Notizie?» Lo accolse la madre, il volto segnato da rughe di preoccupazione. La mabari di famiglia, dal colore marrone scuro e una mascherina più chiara sul muso, scodinzolò contenta.

«Ciao Bu.» La salutò, grattandogli un orecchio.

Scosse la testa. «Ancora niente.» Cercò Bethany con lo sguardo, non trovandola.

«Se stai cercando tua sorella, è ancora chiusa in camera sua.»

«Con tutto quello che sta succedendo, uno penserebbe che abbia di meglio da fare che piangere su un mucchio di bigotti superstiziosi...» Borbottò Garrett, prendendo una ciotola dalla credenza e avvicinandosi al pentolone sul fuoco, dove una zuppa di carne e patate sobbolliva piano, il profumo che gli faceva venire l'acquolina in bocca.

«Garrett!» Lo redarguì Leandra, incrociando le braccia, il mestolo tenuto a mò di arma. «Non dire così. Sai che lei e Rosie erano grandi amiche.»

“Così tanto che il padre la stava usando per spiare Bethany...” pensò, versando un'abbondante porzione per sé e per la madre e prendendo un fiasco di vino. Ma non c'era bisogno di rovinare i bei ricordi della sorella, e ormai erano entrambi fuori pericolo. Leandra lo aiutò a finire di apparecchiare, lanciando un'altra occhiata in direzione della porta chiusa alla loro destra.

«Lascia stare, quando avrà fame uscirà.» Scrollò le spalle il ragazzo, iniziando a mangiare.

«Miriam è di nuovo a corto di erbe medicinali.» Ruppe il silenzio la madre dopo un po', prendendo un sorso di vino. «Le ho detto che magari saresti andato a raccogliere della radice elfica...»

Garrett dovette trattenersi dallo sputare la zuppa. «Sei impazzita?! L'unica radice rimasta nei dintorni sarà probabilmente nel terreno di quel vecchio pazzo di Barlin. Ed è pieno zeppo di trappole, Allison l'ha visto, ne avrà piazzate una trentina. Se non verremo distrutti dalla Prole Oscura, sarà proprio lui ad avvelenarci tutti con qualche fumo esplosivo...»

«Garrett!»

Si morse la lingua, zittendosi e impedendosi di ribattere. «Madre, non è un segreto che l'Orda si stia dirigendo qui. Mi sorprende che non siano già arrivati, in effetti.»

«Non è detto! Il Creatore ci protegga, potrebbero non arrivare mai, potrebbero venire fermati da-»

«Il Re e i Custodi sono morti, madre.» Tagliò corto lui, evitando di raccontarle come non tutti i Custodi fossero periti ad Ostagar. «Hai sentito i racconti di quelli che hanno combattuto. Non c'è speranza di salvare questo posto.»

Leandra sbattè il cucchiaio sul tavolo, rovesciando un po' di vino sulla tovaglia a quadri. «Garrett Hawke, se ti sentisse tuo padre-»

«Nemmeno a lui piaceva questo stupido villaggio, ci scommetto. E comunque, guarda quanto bene gli ha fatto cercare di proteggerlo.»

«Ora basta!» Sibilò la madre, lanciando uno sguardo allarmato alla porta chiusa. «Chiudiamo qui il discorso, Bethany non-»

Abbassò la voce ad un sussurro. «Prima o poi dovrai raccontare ai gemelli cosa è davvero successo, madre. Sono abbastanza grandi da avere diritto alla verità.»

«Vostro padre è morto in un tragico incidente, Garrett. E questo è quanto.» Sibilò lei in tono che non ammetteva repliche, tornando a concentrarsi sulla zuppa.

Non gli restò altro da fare che lasciar cadere l'argomento.

Finirono di mangiare in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Fuori, qualcuno urlava sciocchezze sulla fine del mondo, probabilmente uno dei tanti impazziti dalla paura.



 

«Il Qunari è scappato!»

«Ma no, hanno aperto la gabbia...»

«Traditori!»

«Quel Chasind aveva un'aria sospetta!»

Garrett sogghignò sotto i baffi, godendosi la vista di tutta la folla radunata attorno alla gabbia aperta. La Venerata Madre, una rabbiosa statua di rughe, aveva ciuffi di capelli bianchi che spuntavano dallo chignon solitamente perfetto.

«Troveremo chiunque abbia osato sfidare l'autorità della Chiesa, e sarà punito come merita!» Gracchiò adirata, sollevando platealmente le braccia davanti alla folla come in attesa che il colpevole venisse punito dall'alto in quello stesso momento.

Come era ovvio, non accadde un bel nulla.

Passarono alcuni attimi di silenzio, in cui ognuno si guardava attorno, sospettoso. Quelli maggiormente sotto accusa erano ovviamente i rifugiati, anche se non avrebbero avuto alcun buon motivo per fare una cosa del genere.

Poi, come a rispondere alla chiamata della Venerata Madre, un grido di assoluto terrore si propagò nell'aria, seguito da decine di altri.

Garrett sentì un brivido gelido lungo la schiena.

Da dietro una casa al limitare del villaggio, sbucò un uomo ricoperto di sangue. Barcollava, urlando, gli occhi spalancati di terrore.

Ma a far rizzare i capelli in testa a tutti i presenti, furono le creature che lo inseguivano.

Alte come un uomo, deformi, punte metalliche che uscivano dalle rozze armature che avevano addosso, si muovevano troppo veloci perché la loro preda potesse raggiungere la sicurezza.

Il rumore di ossa e carni strappate li raggiunse fin lì, nonostante la distanza e i ruggiti dei mostri.

Il tempo sembrò fermarsi. Di un centinaio di persone che si erano radunate, nessuna fiatò, sconvolti dalla realizzazione di ciò che stava per arrivare.

Poi, di colpo, si misero ad urlare all'unisono, scappando nella direzione opposta, inciampando gli uni sugli altri nel tentativo di essere più veloci del vicino, ignorando quelli che cadevano a terra, perdendosi tra parenti e amici, ognuno troppo terrorizzato per pensare ad altri che a sé stesso.

I tre Templari che erano accanto alla Venerata Madre sollevarono gli scudi, facendole da protezione, mentre altre quattro guardie si misero a protezione della folla, fronteggiando i Prole Oscura.

Le creature non attaccarono subito. Si avvicinarono lentamente, uscendo da dietro le case e dalla collina poco oltre, finchè non si schierarono in file disordinate ad una trentina di metri da loro.

Poi, come un solo essere, scattarono in avanti.

Garrett sembrò risvegliarsi di colpo.

Si ritrovò a correre verso casa, tra le mani nient'altro che un inutile pugnale. Un mostro grasso e tozzo gli si parò davanti, tagliandogli la strada, le zanne scoperte in un ringhio.

“Alla malora i Templari!” Pensò, sollevando una mano e raccogliendo il mana, sentendolo fluire ed evocando un dardo incantato, spedendo il mostro a parecchi metri di distanza. Senza rallentare il passo, svoltò l'angolo, trovando altri due Prole Oscura, più alti del primo, che stavano facendo a pezzi un elfo urlante. Quella che doveva essere la moglie era già a terra in una pozza di sangue.

Ignorando lo stomaco che si rivoltava, allargò le braccia, scagliandoli indietro con un incantesimo e superandoli, non poteva fare niente ormai, la sua priorità erano Bethany e la madre.

Un'esplosione annunciò che la sorella era al sicuro.

Arrivò giusto in tempo per vedersi crollare davanti tre Prole Oscura, arsi vivi dalle fiamme magiche evocate dalla maga. Bu gli si fece incontro, le orecchie basse.

«Ce ne hai messo di tempo, Garrett!» Lo salutò Bethany, il bastone magico stretto tra le mani, pronta ad attaccare di nuovo.

Inarcò un sopracciglio, sorridendo a sua volta, lieto di vedere spuntare la madre da dietro la porta di casa. «Ci voleva un Flagello per farci divertire un po', eh...» Corse all'interno, afferrando due sacche preparate giorni prima con tutto il necessario per la fuga e fissandosele sulle spalle. «Andiamo madre, non possiamo più aspettare.»

Leandra sembrava esitare ancora. «Magari non-»

«Madre, sono già ovunque, non abbiamo più tempo!» Le urlò Bethany, evocando un'altra palla di fuoco, l'esplosione che rimbombava per tutto il vicinato.

“Tanto,” pensò Garrett mentre stringeva il bastone magico che era stato del padre, così simile ad un arco da passare completamente inosservato ad un controllo poco attento “i Templari hanno problemi più grossi di noi maghi eretici, in questo momento.”

Mentre uscivano dal villaggio, si trovarono a dover vendere cara la pelle.

Non avevano mai combattuto così a lungo, e ben presto rimasero a corto di energie. Le sfere infuocate di Bethany si facevano sempre più piccole e meno potenti, mentre Garrett si ritrovò molto spesso a dover utilizzare frecce normali per risparmiare mana. Fortunatamente, aveva una mira eccellente.

Riuscirono ad allontanarsi scappando sulle colline, evitando per un soffio il grosso dell'Orda.

Quando ritennero di essere relativamente al sicuro, si fermarono un attimo a guardare la vallata sotto di loro.

Del fumo nero e denso si alzava da Lothering, le urla che risuonavano fin lassù.

«Abbiamo perso tutto.» Singhiozzò Leandra, appoggiata alla parete di roccia, il volto rigato dalle lacrime. «Carver e Marian...»

«Se sono sopravvissuti ad Ostagar, saranno abbastanza furbi da non venire da questa parte.» Sentenziò Garrett, tirandola per un braccio. «Forza, dobbiamo andare.»



 

Il sentiero tra le colline brulicava di Prole Oscura.

Bethany era ormai allo stremo delle forze e Garrett stava finendo le frecce.

Svoltarono attorno ad una roccia, circospetti, sentendo il rumore di uno scontro più avanti.

«Potrebbero non essere umani.» Sussurrò Bethany, il bastone puntato davanti a sé e l'aria determinata. «Teniamoci pronti a-»

Garrett stentava a credere ai propri occhi.

«Carver!»

Non riuscirono a trattenere la madre, che alzò la voce chiamando di nuovo il figlio.

Vide il fratello voltarsi un attimo, l'espressione provata che mutava in sollievo prima di roteare quella spada spropositatamente grande e staccare un braccio al suo assalitore, salutandoli poi con cenno del braccio libero. Due templari, poco più avanti, fronteggiavano un Prole Oscura con un grande elmo ornato di corna ricurve, le spade fiammeggianti ancora visibili sulle armature e gli scudi ammaccati. Quando uno di essi si voltò verso di loro, Garrett riconobbe immediatamente la sorella maggiore. Incoccò l'arco, infondendo una scarica elettrica nella freccia che andò a piantarsi nel cranio di un secondo Prole Oscura che stava per coglierla alle spalle. Quello venne sparato all'indietro, accasciandosi a terra con uno squarcio fumante al posto della faccia.

Bethany riuscì a indirizzare un'esplosione contro un piccolo gruppo di mostri alla loro sinistra, facendoli volare giù dal dirupo. In breve, tutti i Prole Oscura erano a terra.

«State lontani!» Urlò loro il secondo Templare, accasciandosi però con un gemito sul proprio scudo, usandolo come stampella. «Eretici...»

«Wesley, non agitarti, peggiorerai-» Cercò di calmarlo una donna alta dai capelli rossi, che si chinò preoccupata su di lui, sorreggendolo. Li squadrò con aria minacciosa, la spada puntata verso di loro.

«Ser Wesley, Aveline, sono i nostri fratelli!» Rivelò Marian, parandosi davanti a loro. «Non corriamo alcun pericolo, ve lo giuro.»

Bu corse verso la ragazza, abbaiando contenta e issandosi sulle zampe posteriori nel tentativo di leccarle la faccia.

«Sì, Bu, anche tu mi sei mancata...» La coccolò per un attimo Marian, con un sorriso.

«Tu... hai due fratelli eretici?» Balbettò il Templare, serrando la mascella.

«Proprio così...» Prese parola Garrett, avvicinandosi e gonfiando il petto. «E sembra che vi abbiamo pure salvato il didietro, Ser.»

L'altro sembrava essere ferito gravemente, perché gemette di nuovo, barcollando all'indietro.

«Non...»

«Wesley!» Lo redarguì di nuovo la donna, abbassando finalmente la spada. «Abbiamo bisogno di tutto l'aiuto necessario, per ora. Ci fidiamo del vostro giudizio, Marian.»

Bethany corse ad abbracciare Carver, stringendo il gemello finchè lui non si sentì troppo a disagio. «Credevamo... eravamo così preoccupati!»

Il ragazzo tossicchiò, imbarazzato, guardando la madre. «Siamo vivi per miracolo. La battaglia...»

«Lo sappiamo.» Tagliò corto Garrett, mentre Leandra andava ad abbracciare il figlio minore e Bethany salutava la sorella. «Ora, se il Templare riuscisse a mettere da parte gli insegnamenti del Creatore per un attimo e riuscissimo a collaborare...»

«Il Creatore ha del senso dell'umorismo, comunque.» Commentò Bethany, squadrando sospettosa il Templare ferito.

«Collaboreremo, per ora. Ci hanno salvato la vita, Wesley, il Creatore capirà.» Disse la donna dai capelli rossi. «Sono Aveline Vallen, e questo è mio marito.»

«Che carini, proprio una bella compagnia ci avete portato.» Li prese in giro Garrett, rivolto alla sorella. «Speriamo solo che i tuoi nuovi amici non decidano di ammazzarci una volta scampati all'Orda.»

Fu il Templare a rispondergli. «Mia moglie ha ragione. Finchè ci sarà un pericolo più grande, abbiamo un accordo.»

«Non vi permetterò di torcere loro un capello, Ser Wesley, anche se siete un mio superiore.» Lo minacciò Marian, prendendo le difese dei fratelli. «E non siete certo nelle condizioni di attaccare nessuno, figuriamoci due maghi contemporaneamente.»

Scese un silenzio teso, che fu Leandra a spezzare. Tossicchiò debolmente, indicando la strada davanti a loro. «Se abbiamo chiarito... dovremmo andare.»

Proseguirono.

Il Templare era ormai allo stremo delle forze, risultando completamente inutile in tutti gli scontri a seguire. Carver era ferito ad un fianco, mente Marian zoppicava leggermente ed Aveline doveva sorreggere il marito. I due maghi erano sempre più a corto di mana e Leandra accusava la stanchezza e l'età.

Quando il gigantesco Ogre si parò davanti a loro, Garrett trattenne il fiato.

Era alto quanto casa loro, due enormi corna affilatissime e zanne lunghe quanto il suo avambraccio, gli occhietti puntati su di loro mentre li caricava a testa bassa.

Fu un attimo.

Carver venne spazzato via da un colpo laterale, picchiando la testa contro il terreno.

Garrett cercò di fermare l'avanzata del mostro con una serie di saette magiche, ma non ottenne altro che rallentarlo un poco.

Marian, che era troppo lontana, non potè fare altro che urlare.

Quando l'Ogre era a mezzo metro da lui, Garrett chiuse gli occhi. “È finita.” Pensò, il cuore che sprofondava, aspettando di essere schiacciato dalla sua carica.

Un urlo gli fece riaprire gli occhi, sgranandoli dall'orrore.

Il mostro teneva Bethany tra gli artigli, scuotendola mentre lei si dimenava inutilmente. Garrett alzò il braccio che reggeva il bastone magico, incanalando quanto più mana gli era rimasto, le urla ovattate della madre e dei fratelli che rimbombavano nelle orecchie.

Prima che potesse scagliare l'incantesimo, il gigante sbattè Bethany contro il terreno.

Una fontana di sangue gli schizzò addosso, paralizzandolo sul posto.

Più e più volte il corpo ormai massacrato della sorella si schiantò sulle rocce, finchè l'Ogre non lo lanciò via, le fauci spalancate che grondavano bava chine su di lui.

Non riusciva a muoversi. Le gambe non volevano saperne di fare un passo, non si sentiva più le braccia, realizzò che il bastone magico gli era scivolato di mano.

Come in un incubo, sentiva il sangue della sorella sul volto, sui capelli, sui vestiti. Non riuscì a fare altro che guardare inerme l'Ogre sollevare nuovamente il braccio.

Qualcuno lo spinse di lato, buttandolo a terra.

Vide Carver e Marian scagliarsi sul gigante, aiutati da Aveline, persino il Templare cercava di fare la sua parte. Cercò con lo sguardo la madre, trovandola china sulla sorella minore, Bu al suo fianco.

L'Ogre caracollò al suolo, per poi essere ferito mortalmente al cuore da Marian, che affondò più e più volte la spada nel petto della creatura, urlando di rabbia.

Garrett rotolò su un fianco, cercando di rialzarsi.

Leandra era ancora accanto a Bethany, scuotendola, implorandole di svegliarsi, ignorando come non avesse quasi più un aspetto umano, le ossa frantumate, ormai irriconoscibile.

Marian e Carver corsero accanto alla madre.

La figlia maggiore le appoggiò una mano sulla spalla.

«Bethany...» Singhiozzò la madre, sollevando lo sguardo. «La mia piccola...»

Marian scosse la testa, stringendo la presa. Serrò gli occhi per un attimo. Carver era caduto in ginocchio, sbattendo un pugno sul terreno. Garrett si rialzò barcollando, passandosi una mano sul viso e trovandola zuppa di sangue. Sentì lo stomaco rivoltarsi, costringendolo a chinarsi e rimettere l'intero contenuto per terra. Quando rialzò lo sguardo, gli occhi di tutti erano puntati su di lui.

«Tu! Come hai potuto lasciare che-!» Lo accusò la madre, alzandosi in piedi e puntandogli contro l'indice, lo sguardo carico di rancore. «Dovevi proteggerla, è colpa tua!»

Non seppe come rispondere. Rimase lì, imbambolato, coperto del sangue della sorella, inutile come lo era stato poco prima mentre tutti e tre lo fissavano immobili.

Il primo a rompere il silenzio fu Carver.

«Se restiamo qui a piangere, i Prole Oscura avranno anche noi.» Disse asciutto, tirando su col naso e dando loro le spalle. Strinse tra le mani la sua grande spada, puntandola in direzione di altri mostri che si stavano arrampicando su per la collina. «Questi bastardi...»

Marian sembrò per un attimo voler dire qualcosa, ma distolse lo sguardo dal fratello, costringendo la madre a tirarsi in piedi. «Carver ha ragione. Facciamo in modo che Bethany non sia morta invano.»

«Cenere eravamo, e cenere torneremo.» Recitò il Templare, la voce rotta. «Creatore, accoglila al tuo fianco. Concedici conforto nella consapevolezza che ha trovato pace nell'eternità.»

Altri Prole Oscura erano arrivati fino a loro. Ben presto, furono circondati.

«Stai indietro o almeno evita di esserci d'intralcio.» Gli ringhiò contro Marian quando Garrett si affiancò a lei, l'arco sollevato.

Prima che potessero attaccare, però, una pioggia di fuoco calò sui Prole Oscura, arrostendoli e facendoli fuggire in preda al panico.

Un ruggito si propagò per tutte le colline, mentre un gigantesco drago planava sopra di loro, le ali membranose spiegate. Una volta toccato terra, però, venne avvolto da una luce accecante.

Quando riuscirono a riaprire gli occhi, davanti a loro c'era una donna, i capelli candidi come la neve raccolti a ricordare le corna del drago scomparso e le rughe sul volto che lasciavano intravedere più anni di quanti ne dimostrassero gli abiti di pelle borchiata e l'armatura leggera.

«Bene bene... cosa abbiamo qui?» Domandò, un sorriso che le inarcava l'angolo della bocca.

Fu Marian la prima a parlare. «Grazie per averci salvato.» Replicò, tuttavia la spada puntata davanti a sé diceva tutt'altro. Si parò davanti alla madre, proteggendola.

«Rilassati, ragazza, il tanfo di Prole Oscura non stuzzica l'appetito...» La prese in giro la donna. «Se volete scappare, sappiate che state andando dalla parte sbagliata.»

«E quale sarebbe la direzione giusta?» Ribattè Marian, senza abbassare la spada.

La donna scoppiò a ridere. «Mi chiedevo chi fosse riuscito ad abbattere quel gigantesco Ogre... non potevi che essere tu. Mi piaci, ragazza, hai un carattere forte.»

Garrett sentì lo sguardo della strega-drago puntato su di sé. Deglutì a vuoto, stringendo il bastone magico nella mano.

«E tu, ragazzo, sei parecchio silenzioso per essere un mago... Ditemi, come intendete scappare dallo stesso fato che ha colpito la tua sfortunata sorella?»

«Kirkwall.» Balbettò senza pensarci un attimo. Era quello il piano.

La strega sogghignò. «Interessante. È un bel viaggio, fin là...» I suoi occhi gialli si spostarono di nuovo su Marian, mentre li squadrava pensierosa. «È il destino, o la casualità? Non riesco mai a distinguerli...» Scosse la testa, come a scacciare un pensiero fastidioso. «Sembra che la fortuna oggi sia dalla vostra parte come dalla mia. Potremmo farci un favore a vicenda.»

«Qual è il prezzo?» Chiese subito Marian, sospettosa. «Siete una Strega delle Selve, vero?»

Sentì Carver e Leandra trasalire.

«Alcuni mi chiamano così, per altri sono “Flemeth”, “Asha'bellanar” o “una vecchia che parla troppo”.» Ridacchiò da sola. «Che importa, farò in modo che riusciate a superare la Prole Oscura e raggiungere la costa, in cambio di una consegna in un luogo vicino alla città di Kirkwall.»

«Accettiamo.» Rispose Garrett, precedendo la sorella.

Marian gli lanciò uno sguardo di fuoco. Lui sostenne la sfida. Non avevano molte altre scelte.

«E sia.» Capitolò la sorella. «Dicci cosa dobbiamo fare.»

La strega consegnò loro un medaglione, da portare ad un Clan di elfi Dalish che avrebbero soggiornato sui monti vicini a Kirkwall. Garrett lo prese in custodia, incuriosito. Avvertiva una forte energia magica, ma non sembravano esserci modi di aprirlo. Si ripromise di studiarlo meglio.

«Prima di portarvi da qualsiasi altra parte, però, c'è un'ultima faccenda da sistemare...» Disse Flemeth, avvicinandosi al Templare ferito, che era caduto a terra e non riusciva più a rialzarsi.

Quello sussultò mentre la moglie gli si parava davanti. «Stagli lontano.»

«La Corruzione si è già fatta strada nel suo corpo, non c'è modo di salvarlo.» Replicò la strega.

Sorprendendo tutti, fu proprio Ser Wesley a darle ragione. «La posso sentire dentro di me, Aveline.»

«Deve esserci qualcosa che possiamo fare...» Si intromise Marian, abbassando finalmente l'arma.

Flemeth scosse la testa. «L'unico modo che esiste, è diventare un Custode Grigio.»

«... e sono morti tutti ad Ostagar.» Concluse amaramente Aveline, abbassando il capo.

«Non tutti, ma gli ultimi rimasti sono fuori dalla vostra portata.» Commentò la strega, scoccando un'occhiata a Garrett, che rabbrividì. Come faceva a saperlo? «Non gli resta molto da vivere.»

Aveline si chinò sul marito. Si scambiarono qualche parola sommessa, poi lui annuì. Lei estrasse un coltello dalla cintura, mentre gli slacciava il pettorale dell'armatura. Esitò un attimo, prima di affondare l'elsa all'altezza del cuore. Ser Wesley sussultò, gli occhi vitrei che si spegnevano.

Marian si avvicinò lentamente alla donna, posandole una mano sulla spalla. «Mi dispiace.»

Aveline annuì. «Non c'era altro modo.» Chiuse gli occhi dell'uomo a terra, per poi alzarsi di scatto, sollevando lo scudo di lui e sostituendolo con il proprio. «Andiamo.»

«Senza una fine, non può esserci alcuna pace.» Commentò Flemeth. «Non sarà facile, e i vostri sforzi sono appena iniziati.» Si trasformò nuovamente in un drago, volgendo il grosso capo irto di corna verso di loro. Sembrava continuasse a sogghignare.

Mentre il terreno si allontanava sotto i loro piedi e il battito ritmico delle ali del drago li accompagnava fino a Gwaren, Garrett si voltò un'altra volta verso Lothering.

La colonna di fumo che si alzava fino alle nuvole era l'unica testimonianza di ciò che era accaduto.

Marian, accanto a lui, teneva lo sguardo puntato avanti a loro, sul volto un'espressione ostinata.
















Note dell'Autrice: ebbene sì, sono tornata! Non potevo non raccontare la mia versione degli eventi di Kirkwall. Marian e Garrett ne vedranno delle belle, spero che mi seguirete anche in questa avventura. Ogni commento è ben accetto, ovviamente. 
Al prossimo capitolo! :D 

  
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