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Autore: weareonmars    10/12/2018    1 recensioni
[AU ispirato al capolavoro di Miyazaki, "Il castello errante di Howl", con rielaborazioni]
"Perdonami se ti ho fatto aspettare così tanto".
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Di questa maledizione non potrai parlarne




“Che cosa? Il mio fratellone?” esclamò Mei, voltandosi verso la sua collaboratrice, spalancando completamente gli occhi. Subito, senza nemmeno più ascoltare il vociare indistinto dei clienti, che erano lì più per lei che per comprare qualcosa, lasciò il bancone, raggiungendo la scalinata per il secondo piano.
Salì velocemente un gradino dopo l’altro, fino a ritrovarsi davanti ad un Jimin ancora sconvolto, gli occhi puntati verso un orizzonte non ben definito e il cuore che gli faceva vibrare sempre più forte il torace. Teneva stretto tra le mani il suo cappello di paglia, come se fosse l’unico oggetto che potesse mantenerlo aggrappato alla realtà.
Lo scricchiolio del pavimento al passaggio di Mei, lo fece risvegliare da suoi pensieri. Voltò la testa verso di lei e le sorrise teneramente, aprendo le braccia per accoglierla. E lei non se lo fece ripetere due volte, andando ad affondare la testa nel suo petto.

“Jimin, mi hanno detto che sei sceso dal cielo – mormorò con la voce attutita dalle vesti del ragazzo, prima di sollevare il volto verso di lui – sei per caso diventato un angelo?”. Eppure, lo poteva toccare, non era morto, era ancora lì con lei, come aveva fatto quindi?

“No, Mei, vieni” ridacchiò Jimin, prendendola per mano per poi accompagnarla all’interno di uno studio vuoto, prendendo posto sul divanetto in velluto verde.
Le prese una mano, accarezzandone lentamente il dorso con il pollice e cominciò a raccontarle quella strana avventura, dall’incontro con quello strano sconosciuto fino al suo atterraggio nella veranda, mentre sentiva le guance prendere sempre più colore sentendo percependo ancora gli occhi del ragazzo su di sé.

“Oh mio dio, che fosse.. – disse Mei portandosi una mano a coprire le labbra, prima di avvicinarsi a lui – il mago Taehyung?”.

“T-Taehyung? Intendi quel mago di cui tutti parlano? – domandò Jimin, con la voce tremante e gli occhi spalancati – ma lui ghermisce gli animi delle persone, Mei, le voci che circolano..”.

“Non ascoltare quelle voci, Jimin, la gente non sa fare altro che parlare a vanvera, inventandosi frottole su frottole”. Sentiva che doveva fidarsi di Mei, d’altronde se il mago lo aveva fatto arrivare fin lì, probabilmente non era poi così cattivo come lo descrivevano. “Ma dimmi, lui com’è?” domandò poi la ragazza, facendo svolazzare le proprie ciglia. Jimin ridacchiò.

“E’ di una bellezza unica, Mei, ha la stessa bellezza e delicatezza di una di quelle antiche statue greche che papà ci faceva vedere nei suoi libri – rispose il ragazzo, mordendosi l’interno della guancia – e poi è gentile, oh Mei, e se mi avesse fatto un incantesimo? Non riesco a smettere di pensare a lui”.

La ragazza si morse il labbro inferiore, ridacchiando appena e scosse leggermente la testa, portando una mano sulla guancia del fratello, accarezzandola piano, mentre lui appoggiava il volto sul suo palmo, godendosi le sue premure. “Perché sei venuto fin qui, Jimin?” gli chiese poi, riferendosi al vero motivo della sua visita.

“Volevo vedere il tuo volto energico, mi mancavi” ammise il ragazzo, facendola sorridere ancora più di quanto non stesse già facendo.

“Mi mancavi anche tu – confessò la sorella, stringendolo nuovamente in un caldo abbraccio, prima di scostarsi e farlo alzare insieme a lei, prendendo una sua mano – vieni, ti accompagno all’uscita che poi devo tornare al lavoro”.

E così fece, lo accompagnò all’entrata principale della panetteria, mano nella mano, suscitando qualche commento invidioso da parte degli uomini presenti al suo interno, e lo salutò, lasciandogli un dolce bacio sulla guancia.
Jimin si rimise in testa il suo cappello di paglia, prese un respiro profondo e andò a prendere il tram, mentre il cielo si tingeva dei colori del tramonto.
Quelle sfumature lo rassicuravano, come se lo avvolgessero in un abbraccio infinito, tenendolo al sicuro in un mondo completamente suo, in cui è libero di essere se stesso, di viaggiare ovunque il cuore voglia portarlo.
Il fischio del tram, annuncia l’arrivo alla sua fermata e scende, tornando al negozio per poter sistemare le ultime scartoffie e poi andarsene a mangiare qualcosa per cena.

Subito dopo aver chiuso dietro di sé la porta della bottega, intento ad osservare alcuni degli ultimi modelli appena fabbricati, sentì il campanello dell’entrata annunciare l’arrivo di un cliente. Eppure, lui aveva chiuso nuovamente a chiave, ne era più che sicuro.

“Mi spiace – mormorò il ragazzo, voltandosi verso la nuova presenza, sorridendo leggermente – ma il negozio ora è chiuso, se vuole può ripassare domani mattina”.
Jimin rimase ad osservare quella persona. L’uomo davanti a lui lo sovrastava in altezza ed era più robusto, il suo petto era imponente, esattamente come lo erano le sue spalle larghe. Aveva un volto da lasciare completamente senza fiato. Non si poteva fare a meno di rimanere a contemplarlo, tanto che Jimin dovette raccogliere tutta la sua buona volontà per allontanare gli occhi dal suo viso.
I suoi capelli erano di un rosso tenue, mentre gli occhi erano grandi, perfettamente simmetrici e di un deciso colore blu. Sembravano gli stessi occhi di un predatore alla ricerca della propria vittima; intensi e seduttivi.
Le voluminose labbra si aprirono in un sorrisetto, prima che il labbro inferiore venisse catturato dai denti.

L’uomo si avvicinò a lui, portando una mano sotto il suo mento per fargli rialzare lo sguardo verso il suo, sorridendo compiaciuto del fatto che quel ragazzino sarebbe presto caduto nelle sue grinfie. Un cuore così bello e giovane non poteva certamente lasciarselo scappare.

“Sono venuto a ritirare un cappello – disse l’uomo, passandosi la lingua tra le labbra, prima di lasciare il mento del giovane ragazzo e guardasi attorno all’interno della bottega – spero che sia pronto, il nome è Kim Seokjin”. In realtà, quello che l’uomo aveva appena comunicato, non era altro che un nome fasullo, usato semplicemente per tenere al sicuro la propria identità.
Jimin deglutì a fatica, mentre camminava dietro il bancone per andare a controllare sul registro dei clienti. Lasciò scorrere lentamente il dito sulla pagina, e trovò il suo nome seguito dalla locazione in cui avrebbe trovato il cappello, chiuso dentro il suo apposito contenitore.

“Eccolo qui” mormorò, una volta recuperato l’ordine dal retro. Lo posò sul tavolino accanto al grande specchio di prova e prese il meraviglioso cappello, porgendolo poi al signor Kim.
Una volta esserselo posizionato in testa, Jimin rimase per un istante a guardarlo, sentendo il petto gonfiarsi di orgoglio nel vedere come quel cappello lo rispecchiasse completamente. Gli stava a pennello, probabilmente non esisteva un cappello più adatto.

Seokjin storse appena l’angolo dalla bocca. Il cappello non era niente male, ma non poteva lasciare questa soddisfazione a quel giovane. “Non è male, ma lo trovo mediocre” disse allora, continuando a guardarsi nello specchio, vedendo l’animo del giovane spegnersi leggermente. Aveva appena fatto centro.

“Se questo è quello che pensa – disse Jimin, sollevando la testa verso di lui, guardandolo negli occhi, prima di scansarlo e andare ad aprire la porta per farlo uscire – la prego, cerchi un’altra cappelleria”.

Seokjin, completamente sorpreso e divertito dalla reazione del giovane, sorrise, mordendosi il labbro inferiore. “Quanta sfrontatezza, mettersi a rivaleggiare con lo stregone delle Lande, sciocco!”.

“Lo s-stregone delle Lande..” mormorò Jimin, spalancando gli occhi in preda al terrore, prima che l’uomo si scagliasse contro di lui, trapassando il suo corpo con il proprio, diventato invisibile qualche istante. Il giovane si sentì come paralizzato per un istante.

Lo stregone ridacchiò. “Di questa maledizione non potrai farne parola con nessuno – gli sussurrò accanto all’orecchio, mordicchiandone appena il lobo – e porta i miei saluti al mago” e detto ciò, uscì dalla bottega, chiudendo la porta alle sue spalle, lasciandolo completamente solo, svenuto sul pavimento.
 
Quando Jimin rinvenne, era ormai notte fonda. Da fuori non si sentiva provenire nemmeno il minimo rumore, tutto taceva avvolto dal sonno. Ma, se si tendeva bene l’orecchio, si poteva sentire in lontananza il chiacchiericcio di qualche soldato di guardia.

Si sollevò lentamente, sentendo tutto il corpo improvvisamente pesante ed indolenzito. Sembrava quasi avesse preso parte ad una rissa, talmente le sue ossa gli facevano male.
Cercò quindi di alzarsi completamente, aiutandosi portando una mano sulla base della schiena, sentendo uno scricchiolio qui e uno lì. Si strofinò poi il volto con le mani e rimase paralizzato.
Le sue mani erano raggrinzite, piene di rughe e di macchie; sembravano le mani di una persona anziana, il che non era assolutamente possibile.

Deglutendo a fatica, si diresse verso lo specchio di prova subito dopo aver acceso un piccolo lume. Si specchiò, cercando di rimanere il più ottimista possibile, rimanendo completamente senza parole alla sua stessa vista.
Nel riflesso, vi era un uomo anziano, probabilmente sull’ottantina, lievemente ricurvo in avanti e con il volto coperto di rughe. Il suo naso si era ingrossato, i suoi occhi infossati e le labbra non erano altro che delle linee sottili, anch’esse piene di increspature, quasi si potessero rompere da un momento all’altro toccandole con la punta delle dita.
Jimin sollevò una mano verso lo specchio, constatando che era esattamente il suo riflesso e non quello di qualcun altro. Si diede allora un pizzicotto sul dorso della mano, accorgendosi che non stava nemmeno sognando.

“Non è possibile – mormorò tra sé, cominciando a camminare avanti e indietro davanti allo specchio – non è proprio possibile”.
Cominciò a vagare senza meta all’interno della bottega e poi sul retro, continuando a muoversi, gemendo appena per i dolori alla schiena dati da quella sua improvvisa vecchiaia.
Non poteva in alcun modo rimanere in quella casa, doveva andarsene via mentre tutti stavano ancora dormendo. Decise che quella stessa mattina, all’alba, avrebbe messo insieme quelle poche cose che il suo corpo gli permetteva di portare e sarebbe partito alla ricerca dello stregone delle Lande. Lo avrebbe riportato al suo aspetto originale, che lo avesse voluto o meno.
   
 
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