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Autore: Valethebest92    10/12/2018    1 recensioni
Dal testo:
"Si dice che ogni volta che fai o prendi una decisione, inneschi una reazione a catena, che può far accadere eventi positivi oppure negativi a seconda di questa tua scelta. Ed io stavo per averne un assaggio."
Nonostante un inizio difficile, Daniela ha una zia che si prende cura di lei ed un'amica ed un fidanzato che l'accompagnano durante il suo percorso al Liceo. Tutto sembra perfetto, ma le cose cambieranno quando incontrerà in modo casuale Irene, trovandosela poi in classe. La sua vita si ritroverà completamente sottosopra.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Reazione a catena

I

Si dice che ogni volta che fai o prendi una decisione, inneschi una reazione a catena, che può far accadere eventi positivi oppure negativi a seconda di questa tua scelta. Ed io stavo per averne un assaggio.

Nonostante fosse mattina ed il sole filtrasse dalla mia finestra, leggermente rabbuiata dalle tendine spesse, rendendola un pochino meno buia di una grotta per pipistrelli, ero ancora placidamente a sonnecchiare tra le braccia di Morfeo, sotto le coperte, almeno finchè la pace non venne rotta dal mio cellulare, posto sul comodino accanto al letto, che si illuminò ed iniziò a vibrare, facendo partire a tutto volume le note della mia canzone preferita "Rather be" dei Clean Bandit e Jess Glinne.

Sbuffai, scocciata, oramai sveglia, ma non avendo voglia di alzarmi, cercai di ignorare quell'orribile suono alzando le coperte fino alla fronte; sfortunatamente non funzionò e mi dovetti arrendere, così borbottai, sull'orlo dell'esasperazione: -Si, si, son sveglia, adesso mi alzo..-
Misi fuori la mano ed incominciai ad andare a tastoni per individuarlo e farlo finalmente tacere, ma mi sporsi più del dovuto e rotolai malamente fuori dal mio giaciglio, atterrando malamente sul freddo parquet.

Mi sedetti, massaggiandomi il fondoschiena dolorante a causa della botta, mugugnando un: -ahia, che botta..- quando all'improvviso udii una voce, proveniente dall'altra stanza, che mi avvisò:

-Danyyy, vieni che è ora di fare colazione! Sbrigati, o farai tardi per la scuola!-

-Arrivo subito, zia Ludo!- risposi, soffocando uno sbadiglio e rimettendomi in piedi. Convivo con mia zia in un minuscolo appartamento al terzo piano di un palazzo gigantesco in centro a Milano da quando avevo dieci anni; i miei genitori morirono entrambi in un incidente d'auto mentre stavamo tornando in auto dalle nostre vacanze al mare, a causa di un uomo che guidava in stato di ubriachezza, piombando col proprio mezzo sul nostro. Fui l'unica a sopravvivere, forse in modo miracoloso, ma fu un trauma, amplificato anche dal fatto che nessuno mi volle prendere e quasi venni abbandonata in un orfanotrofio; la zia fu l'unica a farsi avanti, e per questo non le sarò mai abbastanza grata.

Comunque avevo raggiunto il bagno, dove mi lavai il viso con alcuni sciacqui d'acqua gelida, dopodichè afferrai lo spazzolino, sul quale misi una dose abbastanza generosa di dentifricio. Mentre mi fregavo i denti, lanciai uno sguardo allo specchio davanti a me, leggermente incrostato, che mi restituii l'immagine di una giovane ragazza di sedici anni, il viso leggermente squadrato con zigomi lievemente pronunciati, capelli lunghi e biondo cenere che ricadevano dolcemente sulle spalle, occhi marroni, naso aquilino e curvo verso il basso, con labbra non molto carnose.

Terminata l'operazione, dopo aver messo in bocca un pochino d'acqua e fatta passare da una guancia all'altra in modo tale da pulire meglio, sputai tutto nel lavandino, tornai in camera da letto dove indossai un felpone blu scuro a scacchi, quasi più grande di me, che mi aveva regalato la coinquilina il Natale scorso, ed un paio di jeans abbinati con strappo.

Una volta finito, mi diressi nella piccola cucina accanto alla porta d'ingresso, dove la zia mi attendeva appoggiata al bancone bianco come l'avorio; non appena si accorse che avevo messo piede dentro, mi rivolse uno dei suoi sorrisi smaglianti, dicendomi, con il solito entusiasmo che la contraddistingue, ma che non sono mai riuscita a capire visto che fosse mattina presto:

-Buongiorno, dormigliona! Dormito bene? Posso offrirti del caffè?-

Sbuffai, infastidita, rispondendole, con un sibilo a denti stretti, mettendo una sorta di broncio ed incrociando le braccia al petto: -Non.. Mi.. Piace!- e dire che lo sapeva pure! La vidi sghignazzare sotto i baffi, divertita, mentre si vuotava una lacrima di caffè nella propria tazza: sembrava quasi essere diventato una sorta di rito stuzzicarmi in quel modo, quindi optai per ignorarla completamente, avvicinandomi al frigorifero, aprendo lo sportello ed immergendomici dentro, alla ricerca di quel poco di commestibile tra gli avanzi della cena di ieri sera per poterci fare una decente colazione.

-Faresti meglio ad affrettarti, piuttosto- mi suggerì, dopo aver dato un sorso e schioccato la lingua per il piacere- O farai tardi a scuola-
Mi sporsi verso di lei, alzando un sopracciglio, perplessa, dopodichè volsi lo sguardo verso l'orologio rotondo sulla parete opposta, vecchio ma ancora in grado di segnare l'ora esatta, e spalancai gli occhi, impallidendo preoccupata: faceva già un quarto alle otto, se non mi davo una mossa sarei arrivata in ritardo!

-Tardiii...!- esclamai, completamente nel panico, così afferrai la prima fetta di pane che mi capitò a tiro e dopo aver schioccato un bacio sulla guancia della zia, con la solita raccomandazione di non aspettarmi sveglia fino a tarda notte, mi fiondai a razzo verso l'uscio di casa, dove indossai le mie scarpe vecchie e distrutte, lo aprii e mi precipitai fuori, facendo le scale a tempo di record ed incontrando al pianerottolo sottostante il vecchio Antonio, il residente più anziano dell'intera struttura, secondo cui una leggenda narratami da mia zia abiti qui da quando è stato costruito questo palazzo, anche se non ci credevo granchè.

-Anche oggi in ritardo, eh, Daniela?- mi saluta come fa ogni mattina, col solito sorriso solare.

-Eh, già- riesco solo a dirgli, sorridendo a mia volta, le guance leggermente rosse a causa dell'imbarazzo; ma non posso trattenermi e proseguo fino alla porta d'ingresso che apro, venendo accolta da un lieve venticello caldo che mi muove i capelli, quasi volesse giocarci, ed i raggi del sole tiepidi che mi costringono a schermarmi gli occhi.

Riprendo la mia maratona contro il tempo per le strade di quella che a mio parere è la città più inquinata e trafficata dell'intera Italia, a giudicare dagli ingorghi che bloccano ogni dì le strade, coi tubi di scappamento che emettono quel fumo nero a cui se mi avvicino troppo inizio a tossire. Opto per non starci troppo accanto, compiendo varie deviazioni e scorciatoie attraverso vicoli e strade secondarie che mi costringono a saltare steccati e bidoni della spazzatura rovesciati, nulla che comunque la mia corporatura esile non possa affrontare, e giungo a destinazione a tempo di record, leggermente affannata, varcando la soglia del Liceo Linguistico Alessandro Manzoni.

Io e mia zia, in comune accordo, avevamo deciso di spendere tutti quei pochi soldi che i miei mi avevano lasciata in eredità per potermi iscrivere; ne era valsa la pena, non che io non sia riconoscente per quello che aveva fatto per me, però una volta diplomata avrei potuto lasciare questo Paese ed andarmene alla ricerca di un futuro migliore all'estero.

Mi incamminai verso l'entrata, dove vi erano già vari gruppi di studenti che vociavano tra loro allegramente, quando improvvisamente i miei occhi caddero su un gruppo di maschi poco distante ma isolati parzialmente, che stavano ridendo spensierati, ed avverti il mio cuore fare una capriola: si trattava di Stefano ed il suo gruppo di amici.

Stefano è il mio fidanzato da sei mesi: ci siamo conosciuti per puro caso durante un evento per la scuola che riguardava le lingue nel mondo, ed una volta che abbiamo capito di piacerci a vicenda dopo varie uscite insieme, ci siamo impegnati. Anche lui mi vide, lanciandomi un sorriso gentile, scoprendo i denti ed alzando il braccio; tentai di rispondere allo stesso modo, ma fui terribilmente impacciata ed avvertii le gote andarmi a fuoco per l'imbarazzo: per qualche strana ragione, quando ero con lui, non riuscivo più ad essere me stessa, trasformandomi nella regina delle imbranate. 

Avrei tanto voluto unirmi alla sua comitiva, quando tutto ad un tratto una persona, che all'inizio non riuscii a riconoscere, mi saltò alle spalle, cingendomi il collo con entrambe le braccia e cinguettò, allegra:

-Danyyy, finalmente sei arrivata, non ci speravo veramente più!-

Con la sorpresa che scemava in fretta e riconoscendo la voce, voltai indietro lo sguardo, e risposi, sorridendo: -Ciao, Frida- mi girai per fronteggiarla, ritrovandomi davanti una ragazza alta, esile ma robusta, capelli castani ramati biondo, occhi neri, con indosso una cuffia di lana color beige ed una camicetta bianca, un sorriso smagliante sul viso.

-Fammi indovinare, non hai studiato nulla per il compito in classe ed hai bisogno che ti passi le soluzioni anche stavolta?- domandai, facendo finta di tirare ad indovinare, al che quella sollevò entrambi i pollici in aria, facendomi l'occhiolino e tirando fuori la lingua. Sospirai tra l'esperato ed il divertito: non cambierà mai.

Frida era stata bocciata l'anno scorso e me la son ritrovata in classe come ripetente; a parte Stefano, è stata la mia primissima, vera amica che abbia avuto al Liceo, con la quale legai immediatamente. Siccome però non le piace granchè studiare, quando non riesco a darle ripetizioni (gratuitamente, s'intende) abbiamo elaborato questo metodo per farle passare qualunque compito in classe e fino ad ora i prof non ci hanno mai beccate.

-Hai mai pensato di prendere sul serio lo studio, invece di continuare in questo modo?- le chiesi, seria, mentre, col suono della campanella che rimbombò per tutto l'istituto, si annunciava l'entrata degli studenti, così seguimmo l'immensa ressa che si accalcava lungo i corridoi dell'edificio.

-Uffa, che rompiscatole che sei, Dany!- mi rispose lei, sbuffando lievemente, scocciata, incrociando le braccia al petto.

-Assomigli molto a mia madre quando fai così. Comunque te l'ho già detto, perchè dovrei impegnarmici seriamente, quando ho una professoressa personale che, oltre a darmi ripetizioni, mi aiuta pure nei compiti in classe?- concluse infine, facendomi pure la linguaccia che nonostante tutto riesce a strapparmi una risata.

Giungiamo alla nostra aula al terzo piano e sto per rassegnarmi ad iniziare una nuova e monotona giornata di lezioni, quando con la coda nell'occhio notai una ragazza seduta sulla panca accanto all'ufficio del preside. Mi bloccai a squadrarla per alcuni secondi, sentendomi curiosamente attratta verso di lei come una falena con una lanterna: probabilmente alta, nonostante in quel momento fosse seduta e curva coi gomiti appoggiati alle ginocchia, capelli corvini racchiusi in una cipolla completamente spettinati ed in disordine, occhi neri come la pece che, nonostante fossero fissi a guardare la parete di fronte a lei, emanavano una sorta di rabbia repressa, le labbra, curve verso il basso in una smorfia tra l'annoiato e l'infastidito, tenevano stretta, forse un pochino troppo, un mozzicone di sigaretta ormai praticamente finito, vestita con una bluse rossa a scacchi bianca con abbinati jeans scuri strappati.

Mi persi ad ammirarla, domandandomi perchè si trovasse lì e che cosa avesse combinato per meritarselo, quando quella volse lo sguardo verso di me, incatenando i suoi occhi coi miei, fissandomi con uno sguardo cattivo come per chiedermi in silenzio "Che cazzo hai da guardare?" spalancai i miei, sentendo per un istante una sensazione di smarrimento totale, come se stessi annegando nei suoi, ma mi riscossi immediatamente, arrossendo lievemente e tornando dentro alla stanza, dove presi posto al mio banco, rigorosamente in fondo ed accanto alla finestra, non perchè soffrissi di claustrofobia, bensì per il motivo che per due anni mi sono convinta che fosse la mia personale oasi di pace e tranquillità.

-Dany, ma si può sapere dove ti eri cacciata?- mi ammonì Frida, sbuffando, seccata- Mi avevi promesso che avremmo ripassato brevemente insieme prima che il prof arrivasse!-

-Scusa..- bofonchiai, distratta: per qualche strana ragione, quella tipa mi era entrata nel cervello e non voleva più andarsene.
Tirammo fuori i libri di testo ed iniziai a spiegare ogni cosa che la mia amica non riusciva a comprendere, ed in qualche modo riuscii ad allontanare sia quel pensiero molesto che la confusione che regnava sovrana, grazie a tutti i miei compagni di classe che tentavano di passarsi od inventarsi i modi più disparati per trascriversi le soluzioni. Questo finchè non fece il suo ingresso il docente interessato, un tipo sulla cinquantina, con occhialoni rotondi calcati sul naso aquilino a nascondere degli occhi azzurri, capelli cortissimi e grigi, vestito con una camicia marrone inguardabile e jeans blu elettrici.

-Puoi pure mettere via i bigliettini che stai facendo, Coccinelli- esordì, ammonendo asciutto un maschietto delle file centrali che nonostante tutto, stava comunque continuando a scrivere su un brandello di carta- E questo vale per tutti voi altri. Oggi non avremo nessun compito in classe, a quanto pare-

Un unico sospiro di sollevo si sollevò tra la folla, che erano riusciti a scampare quella terribile tortura; anche io ne ero contenta, ma ero curiosa di sapere il motivo: tra gli studenti, questo docente aveva l'infamia di essere terribile e torturare con ogni metodo le classi malcapitate che gli venivano affidate, perchè stavolta si era tirato indietro?

-Abbiamo una nuova studentessa da accogliere nella nostra classe- annunciò, col solito tono composto e le braccia dietro alla schiena- Voglio che vi comportiate al meglio con lei e che la integriate quanto prima tra voi. Puoi entrare-

Si volse verso l'uscio, facendo cenno a chiunque vi fosse di entrare. Gli sguardi di tutti i presenti, compreso il mio quindi almeno una trentina di occhi, si posarono nel punto indicato, dal quale si fece avanti una giovane, marciando a testa alta, probabilmente fregandosene di avere tutta quell'attenzione addosso, affiancandolo per poi presentarsi, in tono piuttosto scazzato:

-Ciao a tutti, mi chiamo Irene-

Sgranai gli occhi, stupefatta: non ci potevo credere, era proprio lei!?
          
   
 
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