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Autore: harretoms    11/12/2018    1 recensioni
Dal 2° capitolo:
"Sei solo un borioso e un maleducato, ora sloggia." Mi faceva davvero saltare i nervi quel so-tutto-io. Chi era poi per venire qui e giudicarmi?
Ma fece una cosa che non mi sarei mai aspettata. Si avvicina a me, ad un palmo dal mio viso, potevo sentire il suo respiro caldo sulle mie labbra per poi cambiare direzione ed avvicinarsi, invece, al mio orecchio.
"Imparerai che il gioco, qui, lo comando io." disse poggiando impercettibilmente le sue labbra sul mio lobo sinistro. Mi fece rabbrividire la sua vicinanza, il suo fiato, le sue parole.
Mi sa che mi ero cacciata nei guai.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 1
“Ti rendi conto che è tutto totalmente assurdo?”
Mia madre forse non si ascoltava quando parlava. Avrei dovuto davvero vivere con i miei parenti, senza mai avuto un rapporto con loro, finché lei non sarebbe tornata?
“Tuo padre è andato via, devi fartene una ragione Mag.” Disse lei poggiandomi il palmo della mano sulla mia guancia destra, con fare terribilmente dolce e materno, come solo lei poteva essere e tranquillizzandomi.
“Non voglio doverti salutare.” Dissi tra le lacrime. Non piangevo mai davanti mia madre, odiavo vedere il suo sguardo disperato mentre lo facevo, è stata sempre troppo emotiva, quasi quanto me. Odiavo questa parte di me, odiavo piangere, odiavo terribilmente mostrare le mie emozioni in un modo talmente debole e fragile.
“Non piangere Mag, ti prego.” Eccolo lì, quello sguardo. Devo ricompormi, devo respirare e smetterla di farla sentire in colpa, perché lo vedo il senso di logoramento che sta provando.
Io e mia madre non ci siamo mai separate, eravamo un'unica anima, la amavo più della mia vita e vederla in quella maniera, mi spezzava il cuore, come quel bicchiere frantumato a terra pochi giorni prima.
“Va bene, posso farcela, ma tu torni presto, vero?” il suo sorriso malinconico si fece spazio sul suo volto facendo sotto intendere la sua risposta. Era un sì voluto, sperato, ma in realtà non sapeva neanche lei quando sarebbe tornata.
“Vai a farti una doccia, preparati così andiamo.”
E così mi dileguai, senza più dire neanche una parola. Entrai nel bagno, nel mio bagno per l’ultima volta e mi spogliai guardandomi allo specchio sopra il lavandino. Avevo una cera cadaverica, occhiaie pronunciate e occhi rossi per aver pianto tutta la notte e poco fa. Misi un asciugamano a terra vicino la doccia, presi l’accappatoio e lo posizionai vicino il box-doccia.
Finalmente sentivo l’acqua bollente cadere sul mio viso, sul mio corpo, sui miei capelli. Mandando via, almeno in parte, tutta la tensione provata negli ultimi giorni, come faccio a fare una doccia tranquilla senza che i ricordi brutti si facciano spazio nella mia mente?
“Ciao papà, ci vediamo dopo.”
“A dopo Mag.”
No, basta. Non voglio e non devo pensarci. Prendo il mio shampoo e inizio a lavarmi i capelli, neri e lunghi fino al fondoschiena.
“Come mai stamattina esci così presto, Mark?”
“Mi aspettano degli operai, ci vediamo stasera Ally.”
Bugie, solo bugie. Tutta la mia vita era ed è sempre stata una menzogna. Ricordo ancora quel terribile presentimento, quella bruttissima sensazione che mi invadeva in ogni piccola parte del mio corpo. Sono sempre stata sempre molto intuitiva, riesco a percepire chissà come, le emozioni delle persone, le loro volontà, piccoli dettagli nascosti dietro piccoli gesti che per me sono talmente evidenti. Quella mattina sapevo che lui non sarebbe tornato.
Esco dalla doccia dopo essermi sciacquata e lavata col mio bagnoschiuma alla vaniglia e al muschio bianco. Un odore piacevole impregna il mio piccolo bagno. Il mio volto ha ritrovato un po’ di colore, probabilmente grazie al calore emanato dall’acqua. Mi chiudo nell’accappatoio cercando di trattene quel calore dentro al mio corpo e sto lì a fissarmi nello specchio per un po’ di tempo. Trascorrono minuti prima che io riesca a compiere un passo, incitata da mia madre. Oramai era un’ora che stavo chiusa nel bagno, era arrivato il momento meno atteso e aspettato. Vado in camera mia, prendo una felpa grigia larga e un pantalone nero a sigaretta, raccolgo i miei lunghi capelli in uno chignon, lasciando svolazzare qualche ciocca di capelli.
“Sei pronta?”
“Sì.” Fu la mia unica risposta prima di entrare in macchina. E così partimmo senza più pronunciare una parola.
 
Arrivammo dopo alcune ore davanti la porta di mia nonna. La mia ansia cresceva sempre di più, la tensione prima scaricata grazie alla doccia, si era ripresentata. Saluto mia madre per l’ultima volta tra alcune lacrime che ho provato a nascondere più che potevo e mi diressi verso casa di mia nonna.
Con lei viveva solo mio zio, una persona abbastanza strana. Proferiva parola solo per disprezzare qualcuno, da quel che sembrava nessuno lo sopportava, gli rispondevano sempre male e lui col tempo si era incattivito.
Appena entrai notai subito una nota di tensione e astio, ma probabilmente mi sbagliavo, erano solo brutte sensazioni dovute al mio stato d’animo. Saluto educatamente tutti i presenti, sembrava che mi stessero tutti aspettando, senza ne sé e né ma, mi fecero sedere sul divano, come se fosse una riunione di famiglia. Mia cugina attaccò a parlare.
“Mettiamo le cose in chiaro, qui non sei a casa tua.” Iniziamo bene. “Non puoi fare quello che ti pare e devi dare una mano, non ci serviva una persona in più a metter casino in giro, quindi fatti un esame di coscienza e metti la tua pigrizia da parte.”
Ero scioccata. Sapevo che Britney, mia cugina, fosse un’emerita stronza, ma non fino a questo punto. Neanche il tempo di varcare la soglia che già mi danno ordini. Il mio umore distrutto non mi fa neanche rispondere come è mio solito fare. Non volevo causare guai a mia madre e non volevo ritrovarmi sotto un ponte perché avevo risposto male, così mi morsi la lingua e annuii.
“Bene. Ora esci, vai a fare un giro, hai bisogno di aria. Si cena alle 19.30.”
Era la voce di mia nonna. Mio zio mi guardava con uno sguardo truce, avrei dovuto dormire in camera con lui e probabilmente la cosa gli dava parecchio fastidio. Mi sentivo sotto accusa, neanche sotto esame. Non hanno provato neanche a comprendere ciò che sto passando, per l’amor di dio non voglio compassione da nessuno, ma mi aspettavo un po’ di comprensione almeno.
Ero stanca, distrutta soprattutto dopo non aver dormito per tutta la notte, ma decisi di non ribattere neanche stavolta e mi alzai, sfoggiando un sorriso fintissimo e salutandoli, uscendo di casa. Era ormai buio, mi piace quando l’orario cambia ed inizia a diventare buio presto. Se stai male, se piangi, non tutti possono vederti. Amo la notte.
Cammino per una mezz’oretta, finché non raggiungo delle panchine. Era un posto molto carino, tre panchine messe una di fronte all’altra, e intorno tantissimi alberi, come fosse un piccolo giardinetto. Prendo il libro nella borsa e inizio a leggere.
Quando rialzo gli occhi erano ormai le 18.00, mi guardo intorno e non c’era nessuno. Che strano, ancora è presto. Scorgo un gruppo di ragazzi poco lontano da me. Mi spavento, vado subito in paranoia, ecco un altro dei miei difetti. Mi stanno guardando quindi mi incammino per tornare a casa. La loro casa.
“Ei, stupenda.”
Dio. No, ti prego. Aumento il passo pensando al fatto che la giornata non possa andare peggio. Ho il telefono scarico ma faccio comunque finta di parlare al telefono mentre quel gruppo si fa sempre più vicino. Tre di loro si fermano poco distanti da me mentre un ragazzo si avvicina.
“Non sai che girare a quest’ora da sola è pericoloso?” il suo tono non è preoccupato, ansioso o arrabbiato, come ci si aspetterebbe da una frase simile, ma io leggo solo cattiveria e divertimento.
Non rispondo, sono bloccata. Non riesco neanche a respirare a momenti. E poi fu tutto velocissimo: lui mi prende per un braccio e mi blocca entrambe le mani sopra la testa, contro un albero molto grosso. I miei occhi sono spalancati e io sono dannatamente impaurita.
“Da vicino sei ancora più bella, tesoruccio.”
Mi sento male, devo scappare. Magari potrei tirargli un calcio e iniziare a correre come non ho mai fatto in vita mia, ma lui coglie questo mio attimo di titubanza per premere il suo corpo contro il mio e iniziare a leccare avidamente il mio collo, non mi piace. Provo solo schifo, mi lecca come fossi una gazzella e lui il leone.
Inizio a piangere. “Ti prego, lasciami andare.” Sono disperata, distrutta e terrorizzata, morirò qui.
Poi non sento più la presa ferrea su di me, non sento le sue mani nei miei pantaloni, non sento la sua lingua sulla mia faccia.
Ho gli occhi serrati, ho paura a guardare. Sento dei lamenti, la mia curiosità supera il terrore e decido di aprirli. Ciò che mi si presenta davanti mi lascia scioccata.
Un ragazzo, illuminato dalla luce del lampione sta prendendo a pugno il mio aggressore. I tre ragazzi che erano con lui sono scappati, non li vedo. Vedo solo due ragazzi che prima non c’erano, e il tipo che mi ha salvata prendere a pugni quello schifoso. I miei occhi si sgranano sempre di più. Se va avanti così lo ammazza.
“Fermati, ti prego” urlo.
Per la prima volta alza gli occhi che si scontrano con i miei. Inutile dire che mi ci perdo dentro. Ha due pezzi di cielo al posto degli occhi, un cielo che si mischia al verde di un campo meraviglioso.
Sta lì, fermo, a fissarmi mentre lo schifoso è a terra senza forze. Lo sconosciuto si avvicina a me, con passo spedito. Oh bene, magari lo ha menato solo perché vuole concludere lui ciò che ha iniziato lo schifoso.
Inizio a tremare visibilmente e lui arresta il suo passo. “Non ti voglio fare niente.” Dice preoccupato che possa iniziare a dare i numeri. Il tremore diminuisce ma resto comunque sull’attenti. “Stai bene? Ti ha fatto qualcosa?”
“No, no. Sto bene.” Faccio una pausa per perdermi ancora nelle sue iridi, così continua ad avvicinarsi, forse per accertarsi che io stia bene. Chissà poi perché, non mi conosce neanche. “Grazie.” Dico, flebilmente mentre lui ormai è arrivato davanti a me. Io sono ancora bloccata contro l’albero. Mi rilasso, mi trasmette tranquillità.
“Sei una stupida.” Fiata sul mio volto, mentre mi tiene il mento tra le mani, senza farmi alcun male. Stupida a me? Io lo disintegro.
“Senti, razza di idiota. Stupida lo dici a qualcun’altra.” Rimane visibilmente scioccato. Forse si aspettava di trovarsi davanti una cretinetta.
“Ah ti è tornata la voce? Non tremi più come una foglia?” il suo sguardo non è cattivo, ed ecco che ghigna leccandosi le labbra subito dopo facendomi rabbrividire, sicuramente sarà il freddo.
“Ok hai fatto il tuo dovere da supereroe di ‘sta ceppa. Ora puoi anche sparire dalla mia vista.” Lo guardo con lo sguardo più omicida che riesco a fare. Ma com’è che non muore?
“Ahia, ha carattere la tipa.” Sento dire da una voce sconosciuta. Non rispondo, contenta di aver dimostrato ciò che sono. Sarò stata anche spaventata, ma non per questo può trattarmi come una stupida e soprattutto darmi della stupida.
Si avvicina ancora di più al mio viso e sussurra sulle mie labbra un “già.” E va via con i suoi amici, senza dire nient’altro.
Ormai sono le 20.00, arrivata a casa, mi uccideranno come minimo.




Angolo Autrice:
Ho deciso di pubblicare anche il primo capitolo sperando che il prologo vi sia piaciuto, anche se corto.
Spero che continuerete a seguirmi e spero di vedere delle recensioni, che siano positive o critiche, perché voglio imparare da voi. Grazie e alla prossima. 
--- LaBaudel
 
   
 
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