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Autore: Roiben    11/12/2018    0 recensioni
Che cos'è la devianza? Un semplice virus digitale diffusosi fra gli androidi a seguito di contatti e scambio di dati? Un malfunzionamento patogeno causato da un errore di progettazione? L'evoluzione autonoma di un programma preinserito? O la semplice presa di coscienza della propria esistenza e di un pensiero indipendente?
Come l'hanno percepita gli androidi? E gli esseri umani?
Anche gli androidi hanno dei sogni?
Genere: Angst, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Elijah Kamski, Hank Anderson, Markus/RK200
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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chapter 16. A name



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CANADA

Date

NOV 14TH, 2038


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CHATHAM-KENT - ONTARIO

470 McNaughton Ave

Time

PM 11:48



È la seconda volta che si trova a risvegliarsi in quella stanza dopo essere stato assente per lungo tempo. Questa volta, tuttavia, è cosciente di essere egli stesso il responsabile di quell’assenza, almeno in parte, e l’essere travolto prima da Sumo e poi da Hank gli fa comprendere appieno quanto possano pesare certe decisioni anche sul prossimo.


«Mi dispiace» soffia, ancora imprigionato tra un ammasso di sbavante pelo e una giacca di pelle che mantiene l’odore del tabacco. «Non sapevo che altro fare» tenta invano di giustificarsi.


«Potevi almeno avvisare» brontola cupo Hank, fissandolo duramente ma per nulla propenso ad allontanarsi da lui.


Scuote la testa. «Mancava il tempo per farlo. Dopo… non ci sarei più riuscito».


*


Elijah, in seguito al terzo infruttuoso giro attorno al tavolo in cerca di un improbabile varco libero nel quale intrufolarsi per dare una controllata all’RK800, comprende infine di non avere grandi speranze, per lo meno fino a che la situazione non sarà tornata un minimo gestibile, e si risolve quindi ad allontanarsi un poco, approfittando di quella pausa per scorrere gli ultimi dati raccolti, mettervi ordine e provare a stilarne un resoconto sui progressi fatti. Tutto sommato gli pare sia andata discretamente, e nessuno dei suoi androidi sembra aver riportato danni troppo ingenti. Ma per averne la certezza dovrà esaminarli più accuratamente.


Lancia una discreta occhiata a Markus, ancora occupato a scambiare silenziose opinioni con l’RK900. Sembra in discrete condizioni, tutto sommato; di sicuro migliori rispetto a quelle di Connor. Eppure ha notato un preoccupante sfarfallio del suo led e non vede l’ora di accertarsi che non sia nulla di grave. Ma non è ancora il momento, quello; non ha intenzione di interrompere l’interazione fra quei due, ora: potrebbe essere importante.


Reclina il capo, pensieroso, osservando il nuovo prototipo. Sembra essere più… naturale, quasi abbia acquisito maggior equilibrio. Dovrà proprio analizzare anche quel fattore, non appena ne troverà il tempo.


Sospira. Socchiude gli occhi un po’ affaticati. Si ritrova improvvisamente a pensare a Chloe: sarebbe bello se fosse lì anche lei. Oh, dev’essere davvero stanco; la sua mente, altrimenti, non avrebbe simili sbalzi inopportuni.


*


Penso che dovremmo parlargliene” insiste Jander.


Può darsi, ma di certo non ora” esclude Markus, guardandolo con durezza e scoccando frequenti occhiate impensierite ora a Connor, ora a Elijah.


È corretto che lui lo sappia” pondera Jander.


E allora vai a dirglielo tu stesso” lo sfida Markus, alterato.


Jander sposta su di lui i suoi occhi metallici e le sue labbra si piegano in una smorfia scontenta. “Sai che non lo posso fare”.


Potresti, invece. Non c’è niente che non vada in te” commenta Markus, ritrovando un tono più pacato, perfino gentile.


Soppesa quelle parole, cauto, crucciando la fronte. “Non lo so. Ci ho provato, ma non ci riesco. Forse… non ne sono capace” ipotizza.


Sospira. Sorride. Poggia una mano sulla sua spalla. “Proveremo a capire che cosa non funziona. Sempre che ci sia davvero qualcosa. Lo faremo insieme, d’accordo?” promette.


Noi tre?”.


Certo. Siamo una squadra, ora” conferma Markus.


*


A Hank non garba molto l’idea che quel Kamski da strapazzo metta le sue manacce su Connor. Nonostante l’evidenza dei fatti (in qualche modo è riuscito non solo a impedire che l’androide si spegnesse, ma perfino a farlo tornare cosciente) non riesce proprio a fidarsi di quell’uomo. C’è qualcosa di malsano nei suoi occhi, soprattutto quando si posano sui tre androidi presenti, qualcosa che lo tiene in allerta e che gli suggerisce un senso di dubbio, di mancanza di chiarezza in ciò che sta accadendo. Purtroppo non sa di cosa si tratti né tanto meno in che modo scoprirlo, ma ha il sospetto possa c’entrare in qualche modo quel famoso programma del quale discutevano all’inizio.


Sumo abbaia una volta, un suono secco e deciso: è un avvertimento, Hank riconosce il timbro. Solleva lo sguardo e trova il suo cane intento a squadrare lo scienziato con diffidenza. Non per niente è il suo cane, si compiace, appuntandosi a mente di fargli un regalo.


*


«Dovrò quindi potenziare le tue difese e rendere l’accesso criptato. In questo modo potranno collegarsi solo con una chiave, che deciderai di fornire tu stesso, se lo vorrai» lo istruisce Elijah.


Gli occhi di Connor lo osservano con circospezione e incertezza. «Ma io potrò comunque accedere a informazioni esterne?».


«Ma certo. Tu potrai collegarti a qualsiasi fonte, terminale o database di cui avrai necessità, purché ovviamente non sia anch’esso ad accesso limitato, come lo sarai tu».


Connor sembra ancora pieno di dubbi e uno di questi decide di esporlo subito. «Non riesco a capire, signor Kamski: perché farebbe questo per me? Lei ora è nuovamente a capo della CyberLife, ho sentito. E Amanda è una sua creazione, dopo tutto. Quindi…» tentenna.


«Lo era, in effetti» ammette con calma. «Ma lei non mi serve più, ormai. Ho voi, adesso; non potrei chiedere null’altro ora come ora, e lei attualmente mi è d’intralcio».


«Per i suoi progetti» tenta con prudenza.


Elijah accenna un lieve sorriso e annuisce. «Sì, esatto».


«E noi… noi tre: Markus, Jander e io, ne facciamo parte».


«Giusto» conferma Elijah. Poi solleva un sopracciglio e scruta l’androide con curiosità. «Jander?».


Connor socchiude le labbra, bloccandosi per un attimo mentre l’ambra lampeggia nel suo led. «Mi scusi, forse non avrei dovuto dirlo, questo. Sono abbastanza certo che volesse farlo lui stesso, in qualche modo» si rammarica.


«Dunque ha un nome, ora?» si informa interessato.


«Sì, signore: ce l’ha. Lo ha scelto lui, quando eravamo uniti. Ma, la prego, non se la prenda con lui. Stava solo cercando il modo per informarla» considera, leggermente allarmato.


Elijah ridacchia, anche se sa che non dovrebbe, se non altro per evitare di urtare una suscettibilità ancora molto instabile del giovane androide davanti a lui. Ma è così difficile trattenere la propria ilarità in quel momento.


«Ovvio che no, mio caro Connor. Attenderò che sia lui a darmi l’annuncio, se questo può fargli piacere» promette, godendosi il sorriso grato del suo piccolo RK800.


*


Il suo sguardo grigio si sofferma sulla grossa e pelosa figura del cane e non l’abbandona per lunghi minuti, studiandola con curiosità e dubbio. È vivo anche lui, ma è una vita differente, sia dalla propria che da quella degli esseri umani: neanche lui parla, eppure sembra comunque in grado di farsi comprendere. Come fa? Vuole imparare a farlo, trovare il modo per raggiungere gli umani, far arrivare anche a loro i suoi pensieri. Ma non sa come, e questa sua ignoranza lo fa sentire male, lo rende infelice. Infelicità, tristezza, malessere mentale: Markus gli ha spiegato che si tratta di emozioni, che gli umani le chiamano così. Dunque possiede qualcosa di umano, dopo tutto, oltre all’aspetto esteriore. Tuttavia non riesce ancora a parlare come loro, con loro. E allora deve trovare un modo alternativo per comunicare, uno che sia alla sua portata.


Osserva per un po’ l’uomo che li ha istruiti lavorare su Connor, modificare con pazienza alcuni dei suoi parametri, rimuovere dei collegamenti e variare la portanza di certuni circuiti; con sé ha sempre un terminale con il quale spesso si interfaccia per controllare i parametri inseriti e le variazioni apposte. Mentre osserva, il suo led gira pigro e cangiante, e d’un tratto lampeggia tornando infine a brillare di un deciso azzurro. Ora Jander sa come fare, deve solo decidere di agire. Volontà: sì, l’ha messa in conto già in passato, può rifarlo anche ora, ora che non è più solo o senza punti di riferimento.


«È tutto ok?» soffia piano Markus, notandolo un po’ agitato.


Sposta lo sguardo nel suo e annuisce lentamente. “Penso di sapere in che modo procedere” rivela, mostrando soddisfazione nel suo tono.


Markus sorride incoraggiante. “Bene così, allora. Vuoi farlo adesso?” si informa.


Jander controlla la situazione e riflette un momento: sembra che si sia in una fase ancora delicata. “Più tardi. Ora sarebbe inopportuno e potrei causare danni indesiderati” pondera serio.


Se serve, posso avvertirli” si offre collaborativo.


Ci pensa ma scuote la testa in un breve diniego. “Non sarà necessario. Quando giungerà il momento, non servirà alcun avvertimento.”.


*


Sono ore che è piantato a fare la bella statuina nella cabina di volo. Il capo s’è certo scordato di lui, dannazione, e ora gli toccherà di sicuro dormire lì. Al diavolo! Odia non poter avere un materasso comodo sotto il culo per la notte. Sbuffa, Alex, e si guarda attorno per l’ennesima volta, sapendo già di non poter vedere altro che filari di alberi curati e altrettanti filari di villette a schiera. “Chissà dove mai andranno a fare la spesa quei cavolo di borghesi” si ritrova a domandarsi, molto seccato. È già una rottura pensare di dormire in elicottero, ma la prospettiva di farlo a stomaco vuoto gli fa girare le palle. Ad averlo saputo prima… Già, ma cosa avrebbe potuto fare? Di certo non poteva fermarsi presso qualche discount lungo la strada, considerato che di strade non ne hanno percorse affatto e che se anche ci avesse provato gli avrebbero tirato il collo; magari non il suo capo, ma quell’androide con gli occhi spaiati di certo ci avrebbe provato, su di giri com’era. Sbuffa di nuovo, per la milionesima volta, poi fruga nelle tasche della sua giacca e ripesca una caramella mou, ficcandosela in bocca con un mesto sospiro di sconforto. “Meglio di niente” pensa, comunque un po’ deluso.


*


Sta aggiustando il grado di luminosità del led di Connor quando il suo telefono personale manda un segnale acustico di chiamata in arrivo. Sbatte le ciglia, sorpreso, e si scosta appena dall’androide.


«Scusami, devo dare un’occhiata, temo» avverte con una punta di irritazione per l’interruzione sul finire del suo intervento.


Connor annuisce e sorride, e nel suo sorriso c’è qualcosa che non è certo di aver mai notato in altre macchine. Scuote la testa, perplesso, e recupera l’apparecchio telefonico, osservando un momento il display illuminato, basito. “Chloe? Che diamine sta succedendo, ultimamente, ai miei affidabili androidi?” si chiede con acidità.


«Sì» sbotta non appena aperta la comunicazione.


«Posso supporre dal tuo tono che questa chiamata sia giunta in un momento inadatto» esordisce tranquilla la voce di Chloe.


«Se la torre è ancora in piedi e integra e la casa sul fiume non è finita in fondo al fiume… direi proprio di sì».


«Mi rincresce molto per il disturbo, Elijah. Tuttavia ho ritenuto potesse interessarti e, non sapendo a che punto fosse la riparazione, ho creduto opportuno contattarti il prima possibile» spiega compita.


«Non si tratta del professor Phillips, vero? Perché in tal caso potrei decidere su due piedi di smantellarti» borbotta piccato.


«No, Elijah. Il professore non costituisce, al momento, un problema. In verità si trova attualmente in infermeria e sotto sedativi. Il motivo è che ha cercato, invano, di dare una mano alle squadre della sicurezza nella speranza di ritrovare il prototipo scomparso. Purtroppo, come sicuramente ben saprai, ha ormai una certa età e non si è sentito troppo bene, in seguito alla minuziosa ispezione che ha effettuato battendo con perizia quattro piani della torre, pertanto il dottor Doptkins ha ritenuto opportuno somministrargli un calmante e tenerlo per qualche tempo sotto osservazione. Ma proprio a proposito del prototipo, il motivo di questa chiamata lo riguarda direttamente: ho infatti ricevuto, appena qualche minuto fa, un messaggio criptato che ha saturato la segreteria telefonica. Non è stato molto difficoltoso decriptarlo in realtà, tuttavia pare giungesse proprio dal prototipo stesso. E, indovina: si tratta di un messaggio indirizzato direttamente a te, Elijah» conclude con una lieve nota compiaciuta nella voce.


Elijah volta un momento lo sguardo, lo posa sull’RK900 fermo a poca distanza e lo fissa perplesso. La sua perplessità si impenna quando nota le labbra dell’androide incurvarsi in un esitante sorriso. Sospira, chiedendosi chi, in effetti, stia conducendo il gioco.


«Va bene, puoi farmelo avere, questo messaggio?» esita, ancora stranito per come sta evolvendo la situazione.


«Naturalmente, Elijah. Provvedo immediatamente a inoltrarti il file».


«Grazie, Chloe» soffia in tono un po’ stanco.


«Prego… Stai bene, Elijah?» si informa, preoccupata.


«Sì, credo. Forse ho bisogno di un po’ di sonno» ammette, dimentico dell’ultima occasione in cui ha avuto modo di dormire.


«Tornerai alla torre, stanotte?».


«Non ne sono certo» tituba, guardandosi attorno indeciso.


Tre androidi. Tecnicamente dovrebbero appartenergli, ma a essere del tutto sincero con sé stesso ci crede poco. Connor non lascerà facilmente il fianco del tenente Anderson; Markus preferirebbe finire sotto un autobus, piuttosto che seguirlo di propria iniziativa alla CyberLife; e Jander… già, chissà a cosa pensa quell’androide, che cosa vuole, o chi vuole.


«Sarà difficile» soppesa a bassa voce, mentre ode il segnale sonoro di un messaggio ricevuto. «Puoi aspettare in linea?».


«Certo» assicura Chloe con voce gentile.


Mette la chiamata in attesa e apre l’icona del messaggio, poi si dispone all’ascolto. Si tratta di una voce artificiale e dal timbro leggermente metallico, che però sembra fare del proprio meglio per risultare cortese e piacevole.


Buonasera, signor Kamski. So che questo messaggio potrebbe giungerle inaspettato e forse inopportuno, e mi scuso in anticipo se dovesse risultarle di qualche disturbo.

Io sono l’RK900 che lei ha condotto in elicottero in compagnia di Markus. Ho composto con cura questo messaggio perché è accaduto un fatto importante, per me, quando mi sono connesso a Markus e Connor: ho scoperto che mi mancava qualcosa, qualcosa di diverso da ciò che credevo essenziale; ho realizzato che pur impegnandomi non ero comunque stato in grado di rassomigliare abbastanza a un essere umano, non quanto avrei voluto, in effetti. Mi mancava un nome. Connor me lo ha fatto notare, e sempre lui, con il supporto di Markus, mi ha incoraggiato a trovarne uno.

Signor Kamski, non sono purtroppo in grado di darle personalmente questa notizia; per quanto mi sia impegnato nel trovare una soluzione non sembra ch’io sia in grado di parlare, ma posso recapitargliela per mezzo di questo messaggio preregistrato. Ho un nome anche io, ora: il mio nome è Jander. Forse non è molto, ma mi sento comunque molto fiero per questo poco, e sono veramente lieto di fare la sua conoscenza”.


Sorride, ascoltando il messaggio, e una piccola lacrima attraversa veloce la sua guancia, svanendo oltre il collo.


«Signor Kamski, si sente bene?» chiede Connor, impensierito.


Elijah solleva gli occhi su di lui e annuisce. «Sì, molto bene, Connor. Dammi ancora un momento, vuoi?».


Connor offre un cenno affermativo ma rimane a osservarlo, incerto se credere alle sue rassicurazioni. L’uomo, nel mentre, ha riaperto la comunicazione con il suo precedente interlocutore.


«Chloe» soffia, accertandosi che lei sia ancora in linea.


«Sì, Elijah».


«Ora so quello che devo fare» mormora, tremando leggermente. «Ti richiamo fra non molto, Chloe» e richiude la comunicazione.


  
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