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Autore: cabin13    11/12/2018    2 recensioni
|Modern!AU|
Una volta che il convoglio è fermo, le porte ci impiegano un secolo per aprirsi e il ragazzo si ritrova a fremere sul posto come se si trovasse su una superficie di carboni ardenti; la testa che nel frattempo guarda a destra e sinistra incessantemente. Da quale parte uscirà lei? Non sa nemmeno in quale vagone viaggiava, dannazione.
Non sa per quanto rimanga così, a fissare la gente che scende dal treno con occhi impazienti, forse passano solo cinque secondi o forse sono cinque minuti: dopo tutto questo aspettare, Leo ormai ha perso la cognizione del tempo.
Alla fine, è una visione spettrale. Quasi un sogno.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calipso, Leo Valdez, Leo/Calipso
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Qui con te

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Und hier mit dir
das ist der beste Ort der Welt
Und hier mit dir
das ist die beste Zeit der Welt
(Hier mit dir - Wincent Weiss)

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Piove.

Grandi gocce gelide si abbattono implacabili sul selciato grigio del marciapiede che la tettoia non arriva a coprire e sulle rotaie davanti a lui, tra le conche create dal ghiaino disomogeneo, si sono formate già un paio di pozze scure in cui si riflettono le tremule luci dei lampioni.

Il treno è in ritardo – ritardissimo. Ma sai che novità.

Leo freme di impazienza, si solleva sulle punte dei piedi e si sposta sui talloni un paio di volte, le mani affondate nei tasconi dei jeans di una taglia più grande e il naso intirizzito immerso nella calda lana della sciarpa rossa. Scuote le spalle per provare a liberarsi della fastidiosa sensazione di gelo che gli attanaglia le ossa, ma non ci riesce; è un freddo umido e insidioso, questo, ed è difficile trovare un modo per riscaldarsi.

Il cellulare nel giubbotto vibra.

Muovendo la mano a tentoni, lo ripesca dalla tasca – quasi si sbaglia e tira fuori quell’altra cosa – e controlla svogliato le notifiche sullo schermo: non è nulla di importante, solo Jason e Percy che hanno condiviso su Whatsapp delle foto idiote di Grover appisolato e dei commenti divertiti di Annabeth. Leo sbuffa, mette in fila quattro emoji che ridono, invia la sua risposta e fa precipitare il dispositivo dove l’ha recuperato.

Sperava ci fosse qualcosa da parte di un altro contatto, ma evidentemente l’universo si diverte a dargli false speranze.

L’ispanoamericano si stringe nelle spalle e di nuovo si agita sul posto. Tra lo scrosciare della pioggia, in lontananza, giunge il suono del clacson di un autobus appena partito dal terminal di Indianapolis, l’area dietro alla stazione ferroviaria in cui lui attualmente si trova. È il ventesimo che conta, da quando lui è arrivato lì.

Sta iniziando a innervosirsi. L’altoparlante non ha ancora annunciato niente, nulla di nulla, neppure il più minuscolo ritardo. E intanto lui sta scoprendo come si sentono i surgelati dentro al freezer di casa.

L’orologio della stazione è un po’ avanti, segna le cinque e quaranta quando in realtà sono appena scoccate le mezza, ma il treno avrebbe comunque dovuto apparire sul binario già trenta minuti fa.

Leo sbuffa. Oltretutto, di questo passo il tempo limite per il ticket del parcheggio finirà per scadere e perciò dovrà scendere di nuovo la scalinata della stazione, farsi i chilometri per tornare fino alla macchina e beccare il primo parchimetro funzionante per rinnovare il biglietto. Non è nemmeno certo di avere abbastanza monetine, avrà cinquanta centesimi in tutto se l’allineamento astrale è favorevole.

È talmente perso nelle proprie riflessioni personali che la comunicazione dell’altoparlante rimane solo un suono ovattato e l’unico spezzone che le sue orecchie riescono a captare è “…al binario sette”. Se avesse un paio di antenne, quelle sarebbero già drizzate per ascoltare con attenzione; peccato che l’avviso sia già terminato.

Il ragazzo mugugna un’imprecazione tra i denti e forse non lo fa nemmeno poi così a bassa voce, vista l’occhiata scandalizzata che gli rivolge la signora con il variopinto giubbetto a pois poco distante da lui. Pensava di chiedere informazioni a lei, ma, dopo quello sguardo, è sicuro che se le si avvicinasse, finirebbe per essere preso a borsate.

Non sa quanto altro tempo passi di preciso. Controlla due volte l’orologio appeso al muro, ma in entrambi i casi la lancetta più lunga sembra essersi incollata alla tacchetta dei quarantacinque minuti, quindi Leo se ne stufa ben presto e decide di contare gli infiniti sassolini tra i binari.

È al numero cinquecentosessantuno quando il fischio del treno che entra in stazione richiama l’attenzione di tutti.

La pioggia si è calmata un pochino, ma la temperatura è scesa ancora più in basso – tanti saluti alla sensibilità delle sue dita – e l’umidità persistente gli ha bloccato gli arti come se fossero le giunture arrugginite di un automa.

Le sue iridi si abbassano a guardare il pavimento per calmare il giramento di testa che gli sorge quando i vagoni del mezzo sfilano in rapida successione davanti ai suoi occhi. I freni bloccano le ruote sulle rotaie e il fischio del metallo che stride contro altro metallo è così insopportabilmente acuto che Leo è costretto a proteggersi i timpani.

Una volta che il convoglio è fermo, le porte ci impiegano un secolo per aprirsi e il ragazzo si ritrova a fremere sul posto come se si trovasse su una superficie di carboni ardenti; la testa che nel frattempo guarda a destra e sinistra incessantemente. Da quale parte uscirà lei? Non sa nemmeno in quale vagone viaggiava, dannazione.

Non sa per quanto rimanga così, a fissare la gente che scende dal treno con occhi impazienti, forse passano solo cinque secondi o forse sono cinque minuti: dopo tutto questo aspettare, Leo ormai ha perso la cognizione del tempo.

Alla fine, è una visione spettrale. Quasi un sogno.

Sta scendendo la ripida scaletta del vagone a fatica, mentre si trascina dietro un borsone viola grande il doppio di lei e una valigia rossa che potrebbe contenerne due, di quei borsoni.  Svelto, l’ispanoamericano si precipita ad aiutarla, prima che il bentornato le venga dato dal selciato della banchina ferroviaria contro il suo stupendo nasino.

Lei è bellissima come sempre, intabarrata nel suo pesante cappotto color avorio, seminascosta dall’enorme sciarpa verde scuro, coperta dal floscio berretto grigio e con ciocche disordinate che sfuggono dalla treccia color del caramello.

Posato l’ingombrante bagaglio carminio, Leo è affannato – cosa ci ha messo lì dentro, un morto? – ma non si concede il lusso di riprendere fiato. Subito agguanta Calypso per i fianchi, non le lascia neanche il tempo di aprir bocca, perché viene catturata dalle sue labbra in un bacio avido di passione.

Se ne infischia degli altri passanti che sono ancora sul marciapiede, che li guardino pure. Sei mesi a decine di migliaia di chilometri di distanza sono stati per Leo un inferno; quanto gli è mancato il suo calore, il suo profumo – che anche se il loro appartamento ne è impregnato, della sua essenza, non è mica lo stesso –, la sua voce delicata e allegra.

Cal gli accarezza le guance con i pollici avvolti dalla lana e sorride contro la sua bocca, il fiato che si condensa in una piccola nuvoletta fugace quando entra in contatto con la gelida aria esterna. Le mani si spostano lentamente, con delicatezza si posano sulle spalle del latinoamericano e stringono tra le dita il freddo tessuto della giacca blu di lui.

A nessuno dei due importa che siano nel bel mezzo di una banchina ferroviaria, che faccia un dannatissimo freddo cane o che metà degli sguardi siano puntati su di loro. L’unica cosa che conta è il calore della persona che stanno stringendo tra le braccia, la persona che finalmente riempie il vuoto con cui hanno convissuto per interminabili mesi. La persona che amano.

Leo se ne frega di dove sono; potrebbero essere alle Hawaii, nel deserto, sulla Luna o nel bel mezzo di un’eruzione vulcanica e per lui ogni luogo e ogni tempo sarebbero come ogni altro se si trova con Calypso.

Perciò non ci pensa due volte quando si inginocchia sul selciato gelido e pungente di fronte agli occhi di un’esterrefatta Cal che lo osserva confusa non capendo cosa sia stia combinando. La realizzazione, però, la colpisce come un treno non appena i suoi occhi da cerbiatta si posano sulla scatolina che le dita intirizzite e callose hanno appena estratto dalla gigantesca tasca.

L’ispanoamericano ignora i fischi emozionati della gente, deve concentrarsi o le sue mani tremanti rischiano di mandare a monte ogni cosa. Il suo sguardo si focalizza solo sulle iridi commosse della ragazza davanti a lui. Con lentezza apre la scatolina nera, rivelando una sottile striscia argentea tempestata di brillanti nella parte superiore.

Calypso ha portato le mani alla bocca, sta piangendo, è andata già in iperventilazione e la testa continua ad annuire in assenso a una domanda che Leo non ha ancora formulato.

La voce gli esce un po’ rauca, tremante, ma riesce comunque ad usare un tono che sia vagamente udibile.

– Calypso Nightshade, vuoi sposarmi?

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Hola gente
Volevo buttare giù qualcosa su questo fandom perché non ci scrivevo da un po' e boh, mi è uscita questa Caleo un po' (molto) senza capo né coda che ha preso una piega totalmente diversa dall'abbozzo che ho scritto a random a scuola
Lo dico, lo ripeto, lo scriverò nelle note fino alla mia morte, i titoli che do alle storie non hanno mai un cazzo di senso e le conclusioni ne hanno ancora meno: spero che questa fine non risulti troppo melensa o rindondante o buttato lì a caso, perchè erano le mie preoccupazioni maggiori finché scrivevo
Per descrivere la stazione di Indianapolis mi sono basata sulla stazione di Verona, che davanti all'ingresso principale della stazione ferroviaria ha due spiazzi: uno per il parcheggio e l'altro che è la stazione di tutti gli autobus (ho molta inventiva per i luoghi, I know *inserire ironia*)
Ringrazio chi lascerà una recensione e anche chi leggerà e basta
Alla prossima gente
Adios
   
 
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