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Autore: piccina    12/12/2018    3 recensioni
"Non era mai stato un padre tradizionale, ma a quel figlio voleva bene e sentiva che in questo momento aveva bisogno di lui"
Brian alle prese con la difficile adolescenza di Gus fa i conti con il suo essere padre. Justin è al suo fianco.
Idealmente circa una decina di anni dopo la 5X13
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Gus Kinney, Justin Taylor, Lindsay 'Linz' Peterson, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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“Passo io a recuperare Susan, stasera. Devo ricordarmi di prendere qualcosa oltre al dannato pupazzetto?”
“No, ha tutto qui. Prendi lei e il dannato pupazzetto” aveva risposto ridacchiando.
Era venerdì e fino a mercoledì mattina avrebbero avuto la loro bambina a casa. Forse Danielle aveva ragione, qualcosa si stava muovendo, i giorni in cui stava a Britin erano sempre di più, non poteva essere un caso, ma non voleva pensarci. Era senza dubbio un bene, i consigli e gli atteggiamenti studiati con la psicologa stavano dando i loro frutti: Susan era più tranquilla, non sobbalzava più a ogni rumore forte, da almeno due settimane non aveva più avuto attacchi di terrore e pianto irrefrenabile. Avevano iniziato a parlarle di Daphne grazie a un fumetto che Justin aveva disegnato apposta per lei, erano tutti rappresentati come bambini senza età allegri e paffutelli: c’erano loro, Gus, le nonne gli zii, c’era lei e c’era Daphne, la sua mamma, che a un certo punto era partita. Le erano spuntate le ali ed era volata sopra una nuvoletta pannosa e morbida, osservava tutto dall’alto, le mandava bacini, la guardava sorridendo e parlava in una lingua strana, che però Brian e Justin capivano benissimo, di lei. Loro le raccontavano della sua bambina, le chiedevano consiglio. Susan si era convinta che da grande avrebbe imparato anche lei quella lingua. Il ragazzo le aveva risposto che già la conosceva, un giorno l’avrebbe capita.
Molte delle storie che Justin disegnava e le leggeva insieme a Brian erano studiate insieme a Danielle e piano piano, questa mamma scomparsa era rientrata un po’ più scientemente nella vita della piccola. Le aveva chiesto scusa, le aveva detto che la capiva se era un po’ arrabbiata, che non era stata colpa sua, che purtroppo era dovuta andare, ma le voleva bene, le avrebbe sempre voluto bene. La prima volta che Brian aveva visto i disegni si era commosso. Adesso una copia, plastificata, era in camera di Susan, in una libreria alla sua altezza, la piccina la prendeva anche da sola, la sfogliava e si “raccontava” a modo suo, con parole incerte, la storia di mamma e Susy.
Il freddo acuto era passato, l’enorme giardino di casa si stava risvegliando e Justin era impegnato a decidere dove nascondere le uova per la tradizionale caccia pasquale. Erano anni che a Britin non si faceva più, da quando Gus era diventato troppo grande per appassionarsi ancora, ma adesso c’era Susan e sarebbe stata a casa per tutte le vacanze, ben dieci giorni di fila. “Lì è troppo a fanculo” “Dici?” Brian aveva annuito, Justin si era guardato intorno per concludere: “Si, va beh, se do retta a te, le nascondiamo le uova fra i fiori nell’aiuola davanti alla finestra della cucina.”
“Eh – aveva assentito, muovendo il capo – perché no? È piccola e noi non ci sbattiamo troppo, tanto crescerà e dovremo essere più meticolosi, ne avrai di tempo per fare il nasconditore professionista”
Lo stava prendendo per il culo, ma un fondo di verità c’era. “Ok, ok – si era arreso -  circoscrivo l’area, fino al barbecue al massimo. Che ne dici?”
L’aveva abbracciato. “Benissimo e tranquillo hai un parco dove sbizzarrirti negli anni a venire” “Ma la pianti di fare il fenomeno come se a te non interessasse? Che poi sarai il primo a divertirti come un pazzo con Susy durante la ricerca, me le ricordo sai le risate quando toccava a Gus?”
“Sì, povero – aveva sorriso anche lui al ricordo – che sfigato: le prime ricerche gli sono toccate al loft. E prima - che palle -  nascondere, quelli sì a prova di bambino, i nostri di giochi …” A quella postilla così tipica di Brian si era girato, ridendo rumorosamente. “Sei sempre un adorabile coglione”
Quella notte, avvolto dalla solita magia si era trovato a riconoscere il suo corpo sotto le mani di Brian, leccato, succhiato e baciato, ma in lampo era lui, di nuovo, a gambe aperte. Il gesto semplice e fluido con il quale l’aveva girato e si era sottratto alle cure e a una posizione che poteva implicare altro, non lasciava dubbi alla naturalezza del modo in cui il marito lo stava amando. Lo amava anche lui, adesso più che mai, ma gli era scappato un silenzioso - già - mentre assecondava il movimento, si sistemava e alzava le ginocchia divaricando le cosce. 
Baci umidi, dita esperte e labbra su labbra, non avevano impedito a Brian di intuire qualcosa. “Tutto ok, Jus?” gli aveva respirato in bocca.
Le dita nei capelli, una leggera strattonata: “Tutto bene, non ti fermare, per dio” ed era vero. Erano insieme, si amavano, nelle stanze a fianco dormivano i loro figli. Schiacciato da un peso conosciuto e adorato, si era mosso appena, quel tanto che gli serviva per guardare il viso del marito stravolto dall’orgasmo. L’ebrezza di quel volto sfigurato dal piacere e poi esausto per causa sua era ancora la cosa più bella che gli capitasse di ammirare. Gli aveva scostato una ciocca umida di sudore e aveva sorriso.
“Non pensare di abbagliarmi, Sunshine. Non mi sono fermato, ma ora sputi il rospo”
Justin aveva scrollato piano la testa, socchiuso gli occhi. Stava bene, la mente era vuota, di una libera assenza che faceva volare il cuore. “Ssshhh” aveva risposto, aveva tirato Brian ad aderire meglio sul suo petto e aveva infilato il viso nella morbida curva del collo.
“Niente più silenzi e omissioni, ricordi?”
La realtà che Brian cercava di imporre gli sembrava una violenza, non voleva parlare, non voleva pensare e soprattutto voleva godersi la pelle che si raffreddava, il solletico del fiato sulla nuca che accarezzava i capelli. Non voleva costringere Brian a una presa di coscienza che l’avrebbe ferito, ma che nessuno poteva modificare, neppure lui stesso. Potevano sperare solo nel tempo e nella ritrovata intima fiducia.
“Justin, per favore”
Non era consapevole, ma era preoccupato e a questo Justin non poteva sottrarsi. Per quanto nelle sue possibilità, in ansia per colpa sua, non lo sarebbe stato più.
“Non è niente. Sul serio, solo un pensiero stupido”
“Che ti fa fare una smorfia mentre facciamo l’amore?”
“Non ho fatto nessuna smorfia, non fare il fanatico. O forse vuoi sentirti dire quanto sei stato fantastico?” aveva cercato di metterla sullo scherzo, ma Brian non aveva riso e lo fissava[F1] .
E va bene, sto cavolo di commento gli era scappato, ma erano settimane, per non dire mesi che il pensiero lo attraversava senza prendere voce ogni volta che Brian senza nemmeno provare a capire cosa desiderasse lui, dava per scontato che volesse stare sotto. Forse era il caso di parlarne, aveva annuito e preso un respiro. “Come al solito mi hai scopato tu” Brian si era tirato su sulle braccia, i palmi aperti al lato del viso di Justin che era rimasto sdraiato sulla schiena, la testa sbieca sul cuscino. “Eh?” aveva detto stringendo gli occhi come faceva quando non capiva oppure quel che sentiva gli pareva una stronzata. “Il tuo culo è di nuovo inviolabile, te ne sei reso conto o no? No, come immaginavo”
Era stato il turno di Brian di fare una smorfia. Si era lasciato andare sul petto del marito. “No – aveva confessato – non me ne ero reso conto. Mesi di sesso di merda, quindi”
Justin aveva iniziato a passargli le mani sulla schiena, lo accarezzava e scendeva indolente fino alle natiche. “Non dire idiozie. Adoro da sempre fare l’amore con te, adoro il tuo cazzo dentro di me e non saprei fare a meno della tua pelle, delle tue mani e della tua bocca. Invece so fare a meno del tuo culo, non è mica la prima volta che me lo fai, sai?”
“Perché non me l’hai detto? Non volevo farti stare male e non voglio che ti reprimi. Non so perché ho fatto così”
“Ma io non sono stato male, sono stato sempre bene e no, il culo non te lo chiedo, perché quando sei sereno me lo dai tu. E’ per quello che ho fatto la smorfia, perché non sei in pace, ma non credo possiamo farci niente, né tu né io, se non aspettare”
“Di cosa diavolo parli? Che cazzo dobbiamo aspettare?”
“Che ti fidi di nuovo, veramente, di me e del mio amore” era stata la lapidaria, onesta e cruda risposta.
“Mi fido di te”
“Con la testa, non con il cuore e quindi non con il culo. Ci hai messo sei mesi dopo Ethan e anche all’ora non te ne sei reso conto, ma io sì. Quando ti ho conosciuto manco ipotizzavo che un giorno avrei potuto possederti e invece sei stato tu a invitarmi, a un certo punto. Me lo ricordo bene, mi è esploso il cuore nel petto, quella notte. Brian Kinney era mio, voleva essere mio. Tornerai a fidarti, lo so e faremo l’amore anche in quel modo, ma ora spostati un po’ che non riesco a respirare”
Si era scostato ma aveva lasciato il braccio abbandonato sul torace del marito, il viso sul materasso rivolto verso di lui. “Guarda che ti amo …” “Lo so, anche io. Solo che ti ho ferito e le ferite ci mettono un po’ a guarire.”
  
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