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Autore: Piperilla    13/12/2018    1 recensioni
Le storie sono belle, ma la vita vera è un'altra cosa: si nasconde agli angoli delle strade, negli appartamenti anonimi, nelle periferie, e quando va in pezzi, ti dilania come le schegge di una granata.
Questo Vera lo sa bene: piena di ferite e di demoni con cui convivere, ha smesso di illudersi. La vita è crudele, meschina, e senza giustizia.
Anche Vittorio lo sa, ma non se ne cura: dopo vent'anni passati seguendo passione e vocazione, tutto quello che ha realizzato gli si sta sgretolando tra le mani. La vita è dura, irriconoscente, e ha un pessimo senso dell'umorismo.
La vita spesso fa schifo: è questo che pensa Vera mentre si domanda se le cose andranno mai meglio.
La vita a volte è proprio una stronza: è questo che si dice Vittorio mentre si chiede se valga la pena di ricostruire quelle macerie.
La risposta che entrambi si danno è no: ormai pieni solo di rabbia e amarezza, l'unica cosa che riescono a fare è usarle come spinta per alzarsi al mattino. Se lo tengono stretto, tutto quel veleno che gli scorre nelle vene.
Almeno finché qualcuno non glielo tirerà fuori a forza e gli ricorderà che esiste anche altro oltre la rabbia.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Nonostante tenessero gelosamente segreta la neonata relazione tra di loro, ormai Vera e Vittorio trascorrevano la maggior parte del tempo libero insieme; e come stava diventando sua abitudine, quel mercoledì sera l'ex ginnasta lasciò la palestra e andò dritta a casa del carabiniere.
   «Dimmi che hai preparato da mangiare: sto morendo di fame» disse non appena Vittorio le aprì la porta.
   Lui inarcò le sopracciglia. «Non si saluta più?»
   Vera gli scoccò un rapido bacio sulla bocca. «Ciao. Dimmi che hai preparato da mangiare, perché sto morendo di fame».
   «Ho cucinato» confermò Vittorio mentre Vera appendeva la borsa e si chinava ad accarezzare Estia, che si era avvicinata facendo le fusa. «Anche se speravo di contare più del cibo».
   «Niente conta più del cibo» dichiarò la donna. «Senza di te posso vivere, senza mangiare no».
   «Tu sì che sai come lusingare l'ego di un uomo» sbuffò Vittorio. «Puoi stare tranquilla sulle tue probabilità di sopravvivenza, Gamba Bionica: è quasi pronto».
   «Ottimo» rispose Vera, soddisfattissima. «Posso darti una mano?»
   «Solo smettendo di maltrattarmi: il resto è tutto sotto controllo» replicò il carabiniere, già diretto in cucina.
   Sola, Vera sedette sul divano e prese in braccio Estia: somigliava a un Silvestro col pelo tigrato al posto di quello nero, e sul petto, in mezzo al pelo bianco, aveva una grossa macchia tigrata a forma di cuore. Quel particolare fece sorridere Vera: Estia continuava a dimostrarsi sempre più una gatta dolce e affamata d'affetto, ed era come se la Natura avesse voluto imprimere su di lei un segno visibile del suo carattere. Per fortuna, rifletté ancora la ragazza, non valeva per tutti: altrimenti lei e Vittorio avrebbero avuto la pelle rossa come le fiamme dell'Inferno, un bel set di grosse corna nere sulla testa e un forcone incollato alla mano. Il pensiero le fece grugnire una mezza risata.
   «Perché ridi?» le chiese Vittorio, guardingo; andò al tavolo apparecchiato e posò due piatti pieni di pasta. «Sei impazzita una volta per tutte o stai tramando?»
   Di nuovo, l'immagine di se stessa e Vittorio nelle vesti di due diavoli lampeggiò nella mente di Vera, e lei faticò a non ridere.
   «Nessuna delle due, uomo di poca fede». La ragazza lasciò Estia sul divano e raggiunse il tavolo; una volta lì, si chinò su un piatto e annusò il profumo che saliva in spirali di vapore. «A quanto pare, sei bravo in cucina. Niente niente, mi toccherà riconoscere che hai anche delle qualità!» lo stuzzicò.
   Vittorio le rivolse uno sguardo di sfida. «Di' solo un'altra parola e mangerò tutto io».
   Vera socchiuse gli occhi, e per un attimo parve esitare; poi il suo stomaco brontolò sonoramente e lei decise di sedersi.
   I due mangiarono in un silenzio rilassato, spezzato solo dal tintinnare delle posate sui piatti e dai rumori che arrivavano dalla strada. Una volta sparecchiato e rassettato, andarono a sedersi sulla parte di divano non occupata da Estia; sempre in silenzio rimasero abbracciati per un po', cullati dalla musica che usciva dalla radio accesa.
   Alla fine fu Vera a parlare per prima.
   «Dio, potrei anche mettermi a dormire» sospirò contenta.
   Vittorio le depose un bacio sulla testa. «Aspetta di tornare a casa tua per farlo» replicò.    «Stanotte sono di turno e non mi va di saperti per strada insonnolita».
   «Sembri mia madre» ridacchiò la ragazza. «Da giorni continua a farmi raccomandazioni sceme, tipo di non dimenticarmi le pentole sul gas acceso o la porta di casa aperta». Alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva. «La prospettiva di tornare al lavoro le fa male».
   «Ferie?» indagò il carabiniere.
   Vera scosse la testa in segno di diniego. «Congedo straordinario: l'ha preso dopo l'incidente per seguirmi in ospedale, durante la riabilitazione e poi a casa mentre mi abituavo a fare tutto con la protesi» spiegò. «Ricomincia lunedì e credo che l'idea di tornare del tutto alla normalità la metta in ansia; ha paura che io possa avere bisogno di qualcosa mentre non c'è».
   Vittorio sbuffò. «Possiamo farle fare cambio con mia madre: deve andare in pensione l'anno prossimo e già si lamenta perché non vuole smettere di lavorare».
   «Per carità» replicò la ragazza. «Lascia che la mia, di madre, torni in ufficio: ormai ha troppe energie represse, e c'è un limite a quante volte le superfici di casa possono essere lavate e strofinate prima di polverizzarsi!»
   Vittorio scoppiò a ridere.
   «Se ci sentissero parlare così di loro, ci ammazzerebbero!»
   «Parla per te: grazie alla protesi, io posso sempre appellarmi alla loro pietà e comprarmi il perdono» sghignazzò di rimando lei.
   L'uomo la fissò, ammirato. «Sei subdola».
   «Solo quando serve». Vera si stiracchiò. «Questo divano è una trappola mortale: se non mi alzo, rischio davvero di addormentarmi». Si rimise in piedi e andò verso il bagno; passando, diede una pacca leggera sulla testa di Estia, che si era allungata tanto da occupare un buon terzo della seduta. «Mentre sono di là cerca di non rubarmi il posto, tu» disse alla gatta.
   Estia fece le fusa più forte e Vittorio si mise di nuovo a ridere: in che modo Vera riuscisse a farsi rispondere dai gatti che le stavano intorno era una cosa al di là della sua comprensione.
   Rilassato, il carabiniere reclinò la testa contro i cuscini e chiuse gli occhi, canticchiando tra sé. Vittorio rimase in quella posizione per dieci minuti abbondanti prima di ricordare che non era solo in casa e chiedersi che fine avesse fatto Vera: riaprì gli occhi e la trovò appoggiata al tavolo, intenta a fissarlo, con le braccia incrociate sotto il seno e l'espressione concentrata.
   «Che c'è?» chiese cauto.
   La ragazza gli sorrise. «Ti sto solo guardando».
   «Sì, ma... perché?» insisté lui, perplesso.
   Vera scrollò le spalle. «Onestamente? Più ti guardo, e meno capisco come tu possa essere così bello».
   Il collo di Vittorio si tinse di rosso e lui si schiarì la voce un paio di volte. «Bello, io?» ripeté, una sfumatura scettica nella voce. «Mi sa che oltre alla gamba finta ti servono anche un paio d'occhiali, ragazzina, perché di sicuro non sono bello».
   Vera gli sorrise di nuovo, stavolta con dolcezza. «Per me lo sei».
   Vittorio arrossì un po' di più e si grattò la nuca; si alzò con un gesto rapido, raggiunse Vera e infilò le dita tra i suoi capelli per massaggiarle lo scalpo.
   «Allora hai veramente qualche rotella fuori posto» commentò, mentre lei sospirava soddisfatta. «E io che pensavo stessi facendo progressi, con lo psicologo».
   «Inutile fare il sarcastico, Valenti» disse placida Vera, gli occhi chiusi e la testa abbandonata tra le mani dell'uomo. «Credo che tu sia bello, e neanche punzecchiarmi mi farà cambiare idea».
   L'uomo scosse la testa. «Lo dici soltanto perché abbiamo smesso di saltarci alla gola ogni volta che ci vediamo».
   «Mh-mhhh» mugolò la ragazza. «In realtà ho iniziato a pensarlo quando ancora non ti sopportavo» rivelò. Aprì un occhio solo e gli rivolse uno sguardo sardonico. «Comunque, grazie per la fiducia nella mia lucidità mentale, eh».
   Vittorio le baciò la punta del naso. «La tua intelligenza ha perso ogni credibilità nel momento in cui mi hai baciato fuori dalla palestra».
   «O magari ho soltanto gusti strani» sogghignò Vera.
   «Questo è chiaro come la luce del sole». Vittorio si lasciò sfuggire un sorrisetto. «Non c'è verso: riusciamo a discutere anche quando ci diciamo cose gentili». Il suo sorriso si allargò fino a trasformarsi in una risata. «Siamo due idioti!»
   «Stavolta hai cominciato tu, quindi parla per te» ribatté l'ex ginnasta. Gli cinse il collo con le braccia. «Adesso smettila di dire stupidaggini e baciami» ordinò.
   Vittorio lasciò vagare lo sguardo sul corpo di lei con deliberata lentezza. «Dove?»
   Stavolta fu Vera ad arrossire, ma la voglia di zittirlo fu più forte dell'imbarazzo. «E se ti dessi carta bianca?» lo provocò.
   Invece di rispondere, Vittorio catturò la bocca di lei in un bacio; spinse il bacino contro quello di Vera, intrappolandola tra il proprio corpo e il tavolo mentre insinuava la lingua tra le sue labbra socchiuse.
   Vera replicò con entusiasmo all'iniziativa dell'uomo e infilò le mani sotto l'orlo della sua maglietta, per accarezzargli la schiena e il petto. Senza fiato, staccò le labbra da quelle di Vittorio per mordicchiargli la mandibola coperta da un velo di barba e scese a deporre una scia di baci umidi sul suo collo, soffermandosi sui punti in cui poteva sentire le vene pulsare frenetiche: aveva tutta l'intenzione di esplorare ogni centimetro del corpo di Vittorio, e a giudicare dai gemiti del carabiniere, non avrebbe trovato resistenza.
   Vittorio fece un passo indietro e trascinò la ragazza con sé, allontanandola dal tavolo, poi le afferrò il fondoschiena con le mani e l'attirò di nuovo contro il proprio corpo. Incurante delle manovre di lui, Vera gli morse un orecchio: per tutta risposta, Vittorio emise un basso verso gutturale.
   Finalmente, Vera si staccò dal carabiniere abbastanza da guardarlo in volto.
   «Hai ringhiato?» ridacchiò.
   «Colpa tua» brontolò Vittorio, nascondendo il visto nell'incavo del collo di lei mentre spingeva le mani ancora più in basso, ad accarezzarle le cosce.
   Quando le toccò la protesi, Vera sentì tutte le sue insicurezze riemergere dall'esaltazione del momento e piombarle addosso come una doccia fredda; sussultò e fece per ritrarsi, ma Vittorio la trattenne.
   «No» disse piano. «Non te ne andare, Vera».
   Le fece scivolare un braccio intorno alla vita e la strinse più forte; le accarezzò i capelli, coprendole il volto di baci, ma quando provò di nuovo a sfiorarle le gambe, Vera ricominciò a dimenarsi.
   «Lasciami, Vittorio, ti prego» lo supplicò. «Non posso, non ce la faccio, non…»
   «Vera, guardami. Guardami» disse Vittorio con forza. Le afferrò il mento e la fissò dritto negli occhi, senza battere le palpebre, lo sguardo deciso. «Non ha importanza».
   «Certo che ce l’ha!» singhiozzò Vera, coprendosi il volto con le mani. «Mi manca una gamba. Sono orribile!»
   «Non lo sei. Non per me». Mentre continuava a tenere Vera contro di sé, con la mano libera prese quelle di lei, una alla volta, e se le portò sul petto, senza mai distogliere lo sguardo dal suo. «Io sto baciando te, Vera. Sto baciando la tua bocca, il tuo cervello acuto, i tuoi occhi così belli, il tuo coraggio, la tua forza e sì, anche la tua protesi». Baciò via una lacrima che le era sfuggita. «Mi piaci talmente, così come sei, che se avessi ancora la tua gamba probabilmente mi piaceresti molto meno» scherzò.
   Vera rise, incerta, ma non cercò più di allontanarlo. «Sei sicuro che non ti disgusterà, vedere il moncone della mia gamba?» sussurrò.
   Vittorio alzò gli occhi al cielo. «Sono sicuro». Le mise le mani sulle spalle. «Adesso lasciati guardare».
   La baciò di nuovo; lentamente, stavolta, senza fretta. Poco a poco, Vera tornò a rilassarsi nel suo abbraccio; Vittorio poteva sentirlo nei muscoli di lei che, sotto le sue dita, perdevano gradualmente la tensione che li aveva resi rigidi e tornavano a essere morbidi e accoglienti.
   Quando la sentì gemere, il carabiniere ebbe la certezza che ormai Vera si era calmata: le passò un braccio sotto il fondoschiena, l'altro intorno ai fianchi e le sollevò i piedi da terra per poi dirigersi verso la camera da letto. Vera non disse nulla: si limitò ad aggrapparsi alle spalle di Vittorio e ad appoggiare la fronte sulla sua guancia, il corpo premuto contro quello di lui per tutta la sua lunghezza.
   Poi qualcosa di duro la colpì al centro della schiena e Vittorio imprecò.
   «Maledetta porta» grugnì l'uomo. Fece un passo di lato e imprecò di nuovo quando urtò il gomito sullo stipite. «E che cazzo!»
   Vera scoppiò a ridere. «Mi sa che così non ci passiamo»
   «Invece ci passiamo» s'intestardì lui. «Col cazzo che ti metto giù!»
   «Forse sarebbe meglio» rise ancora la ragazza quando, al terzo tentativo di oltrepassare la porta, sbatté la parte posteriore della testa sul muro. «Almeno ci arriveremmo interi».
   Vittorio le morse il collo. «Zitta: devo concentrarmi».
   Vera continuò a sghignazzare mentre Vittorio – tenendola ostinatamente in braccio – si metteva di lato e attraversava cauto lo stretto vano della porta e si lasciò andare a una nuova, rumorosa risata nel momento in cui l'uomo sospirò sollevato per essere finalmente riuscito nel suo intento.
   «Dio, Valenti, sei uno spasso» trillò esilarata.
   «Adesso te lo do io, lo spasso» replicò Vittorio: la lasciò cadere sul letto e sogghignò soddisfatto quando Vera, presa alla sprovvista, squittì spaventata.
   L'ex ginnasta si tirò a sedere, decisa a punzecchiarlo con un piede per vendicarsi, ma si bloccò: Vittorio era inginocchiato di fronte a lei, tra le sue gambe, e la guardava dal basso mentre appoggiava cauto le mani sulle sue ginocchia. Lentamente, l'uomo le risalì le gambe con le dita fino alla chiusura dei pantaloni; li aprì con gesti agili e li tirò appena, deciso a levarglieli di dosso.
   Sempre in silenzio, Vera alzò i fianchi e permise a Vittorio di sfilarle i jeans e le scarpe; trepidante, si lasciò scrutare dallo sguardo attento del carabiniere, che la percorreva con cura dalla punta dei piedi fino al volto.
   Quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, Vittorio percorse col pollice il punto in cui la gamba di Vera spariva nella protesi.
   «Insegnami» mormorò.
   Con dita tremanti, la donna girò la cuffia di silicone verso l’esterno e rimosse la gamba artificiale prima di allungarsi verso il comodino e appoggiarla in modo che non cadesse.
   Appena Vera si raddrizzò, Vittorio prese tra le mani quel che restava della sua coscia sinistra e l’accarezzò per tutta la sua lunghezza; poi, con un gesto lento, tracciò col pollice la cicatrice dell’amputazione, da un’estremità all’altra.
   Nel momento in cui il carabiniere chiuse gli occhi e posò un bacio delicato proprio al centro della cicatrice, Vera tremò violentemente. Con un gesto istintivo afferrò i corti capelli dell’uomo e li tirò, costringendolo ad alzare la testa; appena i loro sguardi si incontrarono, Vera si sentì mancare il fiato.
   «Vittorio» mormorò con voce quasi inudibile. Deglutì a fatica, ma non distolse gli occhi da quelli di lui neanche per un istante. «Fai l’amore con me».
   Vittorio si alzò lentamente, posò un ginocchio sul materasso e si allungò su di lei, sostenendosi con un braccio per non pesarle addosso, senza mai smettere di osservare la sua espressione. Solo quando lei gli sorrise le catturò la bocca con la propria per l’ennesima volta, ogni incertezza spazzata via da quel semplice gesto.

******

Quel giovedì, Giulia vagava da una stanza all'altra della propria casa come un'anima in pena, in attesa che il campanello trillasse annunciando la visita della sua migliore amica; perché così come aveva la certezza che Tiziano non avrebbe mai rinunciato a vedere una partita della Juventus, lei sapeva che quel giorno Vera sarebbe andata a trovarla. Era una sicurezza che derivava dal conoscere l'altra donna da tutta la vita, quasi meglio di quanto conoscesse se stessa; questo... e il fatto che da oltre settantadue ore le stava inviando messaggi con cui la invitava – non troppo gentilmente – a non sparire di nuovo per tre settimane.
   Insomma, per lei, l'ex ginnasta non aveva segreti; per questo, quando Vera entrò nella cucina di casa sua rilassata e sorridente come non era stata per tanto tempo, Giulia capì al volo che qualcosa era cambiato.
   «Qualcuno ha fatto sesso!» esclamò entusiasta.
   Vera, che si era seduta sistemando Ludovica sulle proprie ginocchia, d’istinto tappò le orecchie della bimba. «Giù, la bambina!» disse, scandalizzata.
   L’amica la liquidò con un gesto sbrigativo della mano. «Lulù è ancora troppo piccola per capire di cosa stiamo parlando e ci vorrà un po’ di tempo perché cominci a ripetere quello che diciamo per imparare a parlare… non è vero, tesoro?» concluse, rivolta direttamente a sua figlia.
   Ludovica rise e batté le manine, istintivamente felice di vedere la sua mamma tanto allegra.
   «Ho l’impressione che mi stiate abbandonando tutti, ultimamente: prima Hermes, poi mio padre e adesso tu…» bofonchiò Vera alla bambina. «Per fortuna, almeno Efesto mi è fedele!»
   «Smettila di parlare a vanvera» la rimproverò Giulia. Tirò fuori una bottiglia di succo all’ananas e la schiaffò sul tavolo insieme a due bicchieri, poi passò un biberon a Ludovica, che iniziò a bere avidamente.
   «Niente caffè?» chiese speranzosa Vera, cercando di prendere tempo.
   Ma Giulia non aveva nessuna intenzione di lasciarsi sfuggire la preda.
   «Niente caffè» rispose lapidaria. «Allora? Chi è il fortunato?»
   Vera alzò gli occhi al cielo. «Com’è che ti sei fissata con questa storia che ho fatto sesso?»
   La sua migliore amica le agitò contro un dito con fare saccente. «Non pensare di potermi ingannare, cara mia: siamo amiche da quando eravamo piccole, ti conosco come le mie tasche!»
   Rassegnata, Vera sbuffò. «Va bene, è vero. Ho fatto sesso. Con…». Si guardò intorno circospetta. «Dov’è Tiziano?»
   «In camera da letto» rispose sbrigativa Giulia. «Allora?»
   La sua migliore amica abbassò ancora la voce. «Con Vittorio».
   «LO SAPEVO!» esultò Giulia. Saltò in piedi e improvvisò una danza sul posto. «Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo!»
   Alle grida di Giulia, Tiziano arrivò in cucina a tempo di record; tentò inutilmente di frenare la propria corsa e fu costretto ad aggrapparsi allo stipite della porta per non cadere. «Che succede? Che è tutto ‘sto macello?»
   Sua moglie lo abbracciò. «Non ci crederai mai! La nostra Vera…»
   «GIULIA!» tuonò la diretta interessata.
   Insospettito dalla sua veemenza, Tiziano staccò Giulia da sé e si piegò a scrutare bene il volto dell’amica. «Tu hai fatto sesso!» dichiarò, sconvolto.
   Vera iniziò a tastarsi la faccia. «Ma che ce l’ho scritto da qualche parte?»
   «Più o meno: nella tua espressione» sbuffò divertito l’amico. «Ma con chi? Non vuoi mai uscire con nessuno…». Impallidì, mentre un sospetto si faceva strada nella sua mente. «Non con quello!»
   «Quello chi?» chiese Giulia.
   «Giù, ti prego…» esalò Vera.
   «Vittorio Valenti, il carabiniere» scandì Tiziano.
   Giulia ricominciò a saltellare, battendo le mani. «Proprio lui!»
   «Ma NO!» esplose Tiziano.
   «Grazie, Giù, davvero» bofonchiò sarcastica Vera.
   «Hai fatto sesso con quello! Vera, ma ti rendi conto? È romanista! È il nemico!» disse schifato l’unico uomo presente. Ludovica lanciò allegramente il biberon ormai vuoto e Tiziano si accorse solo in quel momento della presenza della bambina. «State parlando di sesso davanti a mia figlia?» ruggì.
   «Credevo fosse anche figlia mia» replicò Giulia in tono pungente.
   Vera si limitò a indicare l’amica. «Ha cominciato lei. Dillo, Lulù, dillo a papà che la zia Vera ti ha anche tappato le orecchie!»
   «Bell’amica!» insorse Giulia.
   «Ehi, qui si tratta di sopravvivere» si difese l’altra.
   Tiziano prese la bambina tra le braccia e si avviò verso il corridoio. «Vieni, amore di papà: allontaniamoci da queste screanzate».
   Le due donne si offesero enormemente.
   «Screanzate a chi?» s’indignò Vera.
   «Te la do io, la screanzata… aspetta stasera, aspetta!» gli urlò dietro sua moglie, furente.
   Giulia e Vera si guardarono per un momento, poi scoppiarono a ridere come pazze.
   «Adesso che quel guastafeste se n’è andato, voglio parlare seriamente con te» disse la prima, sedendo di nuovo e abbassando la voce. «Come ti senti?»
   Vera inarcò le sopracciglia. «Come una che ha fatto sesso dopo un periodo d’astinenza troppo lungo».
   «Non fare la stupida: sai che intendo» la rimbrottò Giulia. «Dopo l’incidente ti sei rifiutata di fare qualunque cosa potesse mettere in vista la protesi, e… be’, non credevo che ti saresti mai più fatta vedere nuda da un uomo».
   L’altra arrossì. «Infatti non volevo: ero sicura che vedere la mia… la mia gamba, o quello che ne resta, senza neanche la protesi, lo avrebbe disgustato; e invece Vittorio è stato…» scosse la testa, incerta sul termine da usare, «meraviglioso. Per quanto possa sembrare strano mettere le parole “Vittorio” e “meraviglioso” nella stessa frase».
   Giulia rise di gusto. «Non lo facevo così sensibile» commentò.
   «Neanche io». L’espressione di Vera si ammorbidì notevolmente. «Non pensavo che avrei mai incontrato un uomo così. Anzi, quando mi ci sono scontrata per la prima volta, avrei giurato che Vittorio fosse l’ultimo uomo al mondo in grado di restituirmi quel tipo di coraggio».
   «E invece...» disse maliziosa l'altra.
   Vera sbuffò. «Non cominciare».
   «Te l'avevo detto, io» proseguì imperterrita Giulia.
   «Giù: non cominciare» ripeté Vera.
   «Ma io te l'avevo detto» insisté la sua migliore amica.
   L'ex ginnasta fece per rispondere, ma il suono di piedi pestati a terra con rabbia annunciò il ritorno di Tiziano; l'uomo si stagliò nel vano della porta con la fronte aggrottata, Ludovica e RincoRino in braccio e Woof, l'enorme cane di pezza, sulla spalla.
   «Non ci posso credere» disse, saltando ogni preambolo. Puntò un dito contro l'amica. «Non posso credere che tu abbia deciso di uscire proprio con un romanista!»
   «A proposito: ci esci, o state insieme?» s'intromise Giulia.
   L'altra donna mugugnò tra sé per qualche istante. «Stiamo insieme» bofonchiò infine.
   Le reazioni dei due coniugi non avrebbero potuto essere più diverse: Giulia esultò di nuovo, mentre Tiziano gemette di disappunto e si coprì gli occhi con la mano.
   «Perché, Vera? Perché mi fai questo?» si lagnò il secondo.
   Suo malgrado, Vera inarcò le sopracciglia e gli scoccò uno sguardo a metà tra il perplesso e il sardonico. «Perché faccio cosa a te
   Tiziano le puntò di nuovo contro l'indice con fare accusatore. «Se tu stai con un romanista, allora anch'io devo averci a che fare» spiegò. «È una cattiveria bella e buona!»
   Le sopracciglia di Vera si sollevarono un po' di più. «Vorresti farmi credere che tutti i tuoi familiari, amici, colleghi e conoscenti sono juventini? Perché so per certo che uno dei tuoi fratelli è milanista...»
   Il padrone di casa arrossì. «Non posso scegliermi i parenti!»
   «E neanche evitare chi non tifa per la tua stessa squadra di calcio» ribatté pronta Vera.
   «Ma posso provarci! Io...»
   E s'interruppe: Ludovica gli aveva appena infilato in bocca la testa di RincoRino. Tiziano sputacchiò e tossì, mezzo soffocato dal pupazzo e dall'indignazione per essere stato tradito dalla sua stessa figlia.
   Risero tutti tranne lui.
   Vera fu la prima a riprendere fiato.
   «La verità, Tizià, è che sei geloso e ti preoccupi perché mi vuoi bene» disse infine l'ex ginnasta. «E anche se lo apprezzo tanto, non puoi fare così... soprattutto se la fede calcistica è l'unica cosa che vuoi rimproverare a Vittorio».
   Tiziano s'imbronciò. «Dammi un po' di tempo e vedrai che qualcos'altro da rinfacciargli lo trovo. Oh, se lo trovo!»
   «Sei senza speranza» disse sua moglie con una buona dose d'affetto. «Uno zuccone senza speranza. Sii felice per Vera e rassegnati al fatto che anche tu dovrai frequentare Vittorio».
   Il broncio dell'uomo divenne, se possibile, ancora più accentuato. «E se non volessi?»
   Giulia affilò lo sguardo, per nulla toccata dal tono petulante di Tiziano.
   «Ti conviene volerlo, e in fretta, marito mio adorato, perché ho tutta l'intenzione di invitarlo a cena... e se proverai a mettermi i bastoni tra le ruote, inizierò lo sciopero del sesso!» rispose, pungente.
   Sia Vera che Tiziano la fissarono a bocca aperta.
   «Non lo faresti!» esclamarono in perfetta sincronia.
   Giulia scrollò le spalle e prese Ludovica dalle braccia dell'uomo.
   «Vieni, piccola, andiamo a giocare e lasciamo tranquillo papà... ha una decisione importante da prendere» disse, ignorando il volto paonazzo di Tiziano e il suo boccheggiare.
   La donna uscì dalla cucina senza voltarsi indietro e Vera ne approfittò per dileguarsi a sua volta: aveva la sensazione che la sfida di Giulia avrebbe reso Tiziano ancora più ostile a Vittorio, almeno nel breve periodo, e per una volta non ci teneva affatto ad ascoltare le rimostranze dell'amico.
   
 
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