Hermione
apparve nel camino del Manor e scese sull’antico tappeto
della
famiglia Malfoy, bene attenta a non macchiarlo di cenere.
Con un
sospiro di sollievo scalciò via gli eleganti stivaletti che
era
stata costretta ad indossare durante il processo e calzò un
paio di
pantofole, poi posò la cartella da lavoro su un tavolinetto
basso.
Infine slegò la fibbia del leggero mantello primaverile e lo
ripose
nell’enorme armadio di mogano, accanto ad un indumento quasi
identico ma verde smeraldo, segno che Draco era già
rincasato o non
era uscito del tutto.
Felice di quella scoperta, la strega percorse
velocemente il lungo vestibolo dell’ingresso ed
entrò nello
splendido salone affrescato, andando alla ricerca del
fidanzato.
Attraversò quasi di corsa l’enorme sala, prestando
meno attenzione
del solito agli affreschi, le ampie vetrate, i sontuosi tappeti, i
mobili scuri e lucidi ed il gigantesco lampadario di cristallo a
braccia molteplici.
Giunta al centro della stanza, Hermione si fermò
per qualche istante, riflettendo sulla strada da imboccare, e infine
decise di varcare la grossa porta scorrevole che divideva il piano,
ignorando la scala in marmo bianco che si avvolgeva in una semi
elica, conducendo al livello inferiore della dimora. Accostò
i
battenti dietro di sé e trattenne a stento un brivido
poiché,
nonostante le torce di ferro battuto che portavano luce e calore, il
pavimento di serpentino verde scuro del corridoio ampio e spazioso
attirava terribilmente il freddo.
Ai lati del camminamento,
realizzate anche esse in pietra verde, file e file di mensole
contenenti parte della straordinaria biblioteca dei Malfoy salivano
quasi sino al soffitto, costringendo, come sempre, la strega a
fermarsi rapita a studiare i titoli dorati vergati sui dorsi dei
tomi.
Nonostante gli ormai quattro anni di fidanzamento e il suo
grande amore per la lettura, neppure lei era stata, ancora, in grado
di leggerli tutti, ma non per questo intendeva arrendersi.
Nella metà
inferiore del corridoio, invece, disposti con gusto su numerose
cassettiere di legno chiaro intarsiato, si trovavano oggetti
d’argento di quasi tutte le epoche storiche, appartenenti a
razze
magiche ed etnie differenti.
Un’altra porta scorrevole si trovava
alla fine del corridoio e si apriva su un salone diviso in due
ambienti da un’arcata in pietra lavorata. Il primo, solenne e
sobrio era dedicato ai banchetti più sfarzosi e mondani ed
ospitava
al suo interno, tra le altre cose, arazzi, armature, antichi stemmi
magici, servizi di cristallo elfico ed un antico clavicembalo
appartenuto, secondo le leggende, ad un crudele e sanguinario sovrano
dal fine animo artistico. L’altra stanza, invece, pur
rimanendo
altrettanto elegante aveva un’aria decisamente più
accogliente ed
informale, con i preziosi tappeti orientali, le ampie finestre dalle
tende morbide e vaporose, le poltrone ed i soffici cuscini.
Si
trattava infatti di una sala lettura e in questa stanza Draco ed
Hermione finivano invariabilmente per passare molto del loro tempo
libero, leggendo, studiando, scrivendo articoli o semplicemente
tenendosi compagnia.
E proprio su una delle poltrone, con la cravatta
allentata e la camicia leggermente slacciata, sedeva Draco Malfoy,
immerso nella lettura di un libro sugli antichi riti di Samahien che
Hermione stessa gli aveva regalato qualche anno addietro.
Sentendola
arrivare, il ragazzo sollevò gli occhi prima che lei potesse
salutarlo e il cuore della strega batté un po’
più rapido.
Gli
occhi grigi di Draco erano quelli di una persona mortalmente
preoccupata per qualcosa, e ciò la intimoriva istintivamente
sotto
molti aspetti. “Bentornata, hai passato una buona giornata?
Come è
andato il processo?”
La voce del suo ragazzo era suadente e
gentile, come sempre del resto, ma ciò non bastava a
tranquillizzare
Hermione, che si trovò costretta a deglutire energicamente
prima di
poter rispondere.
“Si, grazie, è andato tutto alla perfezione e i
miei interventi sono stati apprezzati. Credo di aver visto Blaise, al
Ministero, ma non ne sono sicura in questi giorni il viavai
è
tremendo! E tu? Hai...” esitò, cercando di
soppesare con cura le
parole, ben sapendo che, notoriamente, si lasciava influenzare dalle
proprie intuizioni ma che talvolta esse potevano essere sbagliate,
soprattutto nel caso di Draco, capace di sconvolgerle mente e
cuore.
“Un’aria piuttosto tesa.”
Si rassegnò infine a completare il
pensiero, scoccandogli un’occhiata penetrante.
Fortunatamente lui
sorrise, affatto offeso, e si alzò, prendendole la
mano.
“A te non
sfugge nulla, vero? Si, effettivamente sono un po’ teso.
C’è una
cosa che desidero chiederti.”
La sua mano, grande e fredda come
sempre, la rassicurò le la predispose all’analisi
del problema.
“Certo, dimmi tutto.” Rispose in tono pratico ed
affettuoso,
facendo il gesto di dirigersi verso la sua poltrona.
“No, non è
questo il luogo.” Replicò Draco, stringendo
delicatamente la presa
sulle sue dita e trascinandola con garbo verso la porta in fondo alla
stanza, porta che conduceva alla maestosa Biblioteca stile
barocco.
Nonostante la curiosità e la punta d’ansia, come
sempre la mente
di Hermione rievocò la prima volta che era stata
lì e il brivido
che aveva provato nel vedere tutti quei libri meravigliosi in quella
stanza stupenda.
In quel momento si era davvero sentita come una
delle principesse preferite della sua infanzia, e fortunatamente la
sensazione non era mai passata del tutto.
Trepidante, posò una mano
sulla maniglia e Draco la coprì con la sua, aiutandola a
ruotarla.
Entrarono nel salone ed una volta tanto non furono i libri o gli
antichi mappamondi ad attirare lo sguardo della ragazza, ma
bensì il
grosso mazzo di grandi rose bianche, che trionfava in un vaso di
cristallo elfico su uno dei tavoli da studio.
Al centro di quella
nuvola candida, però, spiccava una piccola e perfetta
macchiolina
rossa e, avvicinandosi, la giovane poté notare che si
trattava di
una rosa rossa, una Scarlet Carson per essere precisi, identica in
tutto e per tutto a quella che aveva trovato sul cuscino accanto a
sé
una mattina di quattro anni prima, quando aveva capito di amare il
ragazzo che prima di allora si era sempre e solo imposta di
disprezzare.
E quello stesso ragazzo, ora, la stava guidando verso il
tavolo e i fiori, trattenendo sempre meno efficacemente il proprio
nervosismo.
Hermione sentiva il cuore rullarle nel petto e le
sembrava di non poter più respirare. Naturalmente un certo
sospetto
le era balenato in mente, ma non voleva neppure azzardarsi a
prenderlo in considerazione, tanto sarebbe stato deludente
sbagliarsi.
“Hermione, tesoro mio …”
Cominciò Draco Malfoy,
con voce non proprio rilassatissima e già in grave debito di
ossigeno.
Temendo di bloccarsi irreparabilmente, decise di cestinare
sul momento il discordo al quale aveva dedicato tutta la mattinata e
buona parte del pomeriggio e di affidarsi
all’ispirazione.
Si
avvicinò al vaso, prese la rosa rossa e la porse alla sua
ragazza,
trepidante d'attesa. Non appena Hermione strinse il gambo tra le
dita, i petali del fiore si schiusero totalmente e rivelarono al loro
interno, adagiato nella naturale fodera rossa formata dai petali
più
giovani e teneri, un anello meraviglioso, a forma di serpente, con il
corpo costellato di diamanti e due occhi di rubino che sembravano
scrutare il mondo circostante attenti e colmi di intelligenza.
“Vuoi
sposarmi?” Concluse il ragazzo, ostentando una sicurezza
maggiore
di quella che provava nonostante il lungo confronto con se stesso
combattuto la notte prima.
Lei era rimasta come paralizzata e a lui
sembrò che impiegasse un’eternità per
rispondergli, ma si impose
di non mostrare alcun tipo di tensione e di restare perfettamente
immobile.
Hermione, dal canto suo, ripeteva ossessivamente tra sé e
sé quelle parole, che tanto aveva desiderato sentire durante
quei
quattro anni, e quasi non credeva potessero essere finalmente state
pronunciate.
Sentì lacrime di sollievo e gioia premere per uscire
dagli occhi ed infine rigarle le guance e questo, per qualche
misterioso motivo, le restituì la voce e la
mobilità.
Corse ad
abbracciare Draco e lo strinse forte a sé.
“Si, Draco. Si, si, si,
si, si!” Odiava la sua lingua traditrice per essersi bloccata
su
un’affermazione tanto banale in un momento così
cruciale, ma non
riusciva a fare altrimenti: la felicità la aveva totalmente
annebbiato la mente, e non sarebbe riuscita a pronunciare qualcosa di
diverso neppure se ne fosse andato della sua stessa vita.
Draco, dal
canto suo, non sembrò minimamente infastidito da quella
ripetizione,
anzi.
Finalmente sciolse la tensione del proprio corpo e, con animo
decisamente più leggero, ricambiò la stretta di
quella che oramai
era ufficialmente la sua futura signora, cullandola poi leggermente
tra le braccia.
Lei rise sommessamente “Temevi forse un
rifiuto?”
“Si, e non sapevo che avrei fatto in quel caso.”
Ammise, non
senza difficoltà.
Hermione alzò il capo e cercò i suoi occhi.
“Sai
che ti amo, vero?”
“Me lo hai appena dimostrato. Ma a volte
l’amore non basta.”
“Non sarà il nostro caso. Lo
giuro.”
“Lo
giuro anche io.” Rispose lui in tono determinato, cercando la
bocca
della ragazza e baciandola.
Hermione ricambiò, senza riuscire a
smettere di piangere e sempre tra una leggera cortina di lacrime
osservò il suo futuro sposo togliere l’anello dal
cuore del fiore
ed infilarlo con enorme attenzione al suo dito.
Era bellissimo,
armonioso ed elegante nonostante la grandezza ed il peso e calzava al
suo dito come se fosse stato forgiato apposta per le sue mani.
Sorrise, rimirandolo incantata ed incredula.
Un
dito caldo e magro riempiva il vuoto tra le sue spire.
Un dito lungo,
dalla pelle morbida, un dito che apparteneva alla mano di una donna
estremamente potente ed intelligente.
Subito Esshielt si riscosse dal
suo lungo sonno ed ebbe un fremito di pura gioia.
Era lei, finalmente
l’aveva trovata!
L’ospite perfetta, la discepola ideale, colei
che le avrebbe permesso di dominare il mondo!
La felicità e la gioia
furono tali che, per qualche istante, il demone ne rimase quasi
stordito, ma ben presto recuperò il solito ferreo controllo:
sicuramente un’ospite tanto perfetta doveva essere
estremamente
sensibile e recettiva a qualsiasi cosa tentasse di inserirsi nella
sua mente, quindi era di importanza vitale evitare di commettere il
benché minimo errore.
Il gioiello si calmò, sondò con attenzione
l’aria che tirava tra la sua preda e la persona che era con
lei e,
appurato che la ragazza si trovava in un momento di grande
sconvolgimento emotivo, ne analizzò con delicatezza e metodo
i
pensieri più superficiali, integrando poi le nozioni grazie
alle
conoscenze del mago, la cui mente era si brillante, ma decisamente
più accessibile.
La giovane si chiamava Hermione Granger, un gran
bel nome, ed era appena stata chiesta in sposa dal ragazzo che amava.
Era molto famosa e rispettata in tutto il mondo magico per il
contributo che aveva dato ad una certa impresa e, nonostante la
giovane età, ricopriva già un ruolo abbastanza
importante nel
sistema che governava quel paese.
Esshielt era deliziata da ogni
nuova informazione che riusciva a carpire sulla giovane: potenza
enorme, intelligenza smisurata, una mente pronta ed ordinatissima,
incredibilmente facile da esaminare una volta penetrata, carisma,
figura sociale consolidata ed influente.
Lo spirito si addentrò
ancora di più nella mente e tra i ricordi dei giovani,
ripercorrendo
giorni e notti, tempeste e momenti di pace, dolori e gioie e cercando
un appiglio da sfruttare per ottenere il controllo sulla
strega.
La
vide bambina, vivace e dall’intelligenza pronta ed
irrequieta, e
poi giovane studentessa e donna, brillante nello studio ma con un
po’
di difficoltà a rapportarsi con i compagni, almeno
finché non aveva
trovato coloro che le sarebbero stati accanto per tutta la
vita.
La
osservò affrontare grandi pericoli, situazioni intricate e
gravi
lutti sempre con la mente fredda e pronta ad analizzare la situazione
e ne fu al contempo compiaciuta ed irritata: bramava da secoli e
secoli di trovare una tale unione di grandi potenzialità, ed
ora che
finalmente ci era riuscita quasi temeva di non riuscire ad avvolgere
quella creaturina tra le sue spire.
Decidendo di cambiare tattica, il
demone interruppe il legame con il futuro sposo e si immerse invece
nel flusso di pensieri che occupavano la mente della strega al
momento, per meglio conoscerla e capirla.
Non che fossero molti:
Hermione era talmente estasiata dalla proposta di matrimonio da non
riuscire a pensare a nient’altro, ma Esshielt
trovò comunque
qualcosa di interessante a cui appigliarsi.
A quanto pareva, la
storia d’amore era solo l’epilogo di un rapporto
decisamente più
lungo e travagliato: scostando appena i ricordi trovò
antipatia,
odio, disprezzo, pietà e molte altre emozioni contrastanti,
condite
da moltissime istantanee di momenti e situazioni, in parte
assolutamente stupende e in parte perfettamente orrende.
E, più
importante di ogni altra cosa, dal flusso di ricordi erano emerse due
figure chiave per raggiungere il cuore e la mente della sua preda, i
due più cari amici che, nonostante gli anni trascorsi e la
distanza
forzata, ancora occupavano uno spazio enorme dentro di lei.
Esshielt
sorrise e si rilassò: avrebbe preferito ottenere subito il
dominio
sulla mente di Hermione, ma a ben pensarci il fatto che ciò
non
fosse avvenuto immediatamente era tutt'altro che negativo.
Sarebbe
stato indice di debolezza da parte della sua ospite e, in ogni caso,
non era certo la prima volta che si trovava a dover attendere
pazientemente studiando un buon piano.
Ad ogni modo aveva trovato di
che analizzare e, una volta terminato di visionare tutti i ricordi,
avrebbe cominciato a lavorare ad una strategia.
10 Agosto 79 d.C. , Pompei, Italia
Il
pesante bastone si abbatté sulla schiena della ragazza
più e più
volte, senza la minima pausa. Per quanto vecchia e dolorante,
quell’orribile donna dimenticava tutti i suoi malanni quando
decideva che il momento era buono per picchiare le sue serve.
La
giovane provò in tutti i modi a serrare le labbra e a
rimanere in
silenzio, rendendo così il supplizio meno divertente per la
sua
aguzzina, ma l’ennesimo colpo fu troppo persino per la sua
schiena
allenata alle botte più feroci.
Un urlo le uscì dalle labbra
serrate, mentre da tergo e dalla verga di legno cadevano e
ruscellavano gocce di sangue grosse come sesterzi, che macchiavano il
pavimento in pietra della stanza.
A quella vista la donna, che altro
non aspettava se non una scusa qualsiasi per raddoppiare le percosse,
lanciò un urlo furioso e calcò con maggiore forza
il bastone.
Tallula, la giovane schiava etrusca vittima di quella terribile
punizione, morse le labbra fino a farle sanguinare e si impose di
rimanere in silenzio: oramai sapeva bene che piangere, singhiozzare,
gemere od implorare serviva solo a rendere la sua aguzzina ancora
più
crudele e spietata, mentre il silenzio, sebbene fosse spesso
impossibile da osservare, la stufava in fretta.
Finalmente, dopo
quelle che sembravano ore ed ore, l’aguzzina si ricompose e
lasciò
cadere il bastone a terra, limitandosi ad attaccarla a male parole ed
ordinandole di ripulire la sua meravigliosa camera da letto dal
lurido sangue sporco che aveva spruzzato qua e là,
minacciando
tremende punizioni in caso, al suo ritorno, ne avesse trovato ancora
la minima traccia, o percepito il sentore nell’aria.
Non appena fu
sola, la ragazza si stese carponi per terra, cercando in qualche modo
di incanalare e sopportare il dolore.
Si contorse a lungo, tentando
di dominare gli spasmi, ma fu tutto inutile. Un lampo bianco le corse
dietro agli occhi e sulla punta delle dita e nella stanza si
udì
distintamente lo schiocco secco di un oggetto pesante caduto a
terra.
Immediatamente Tallula alzò il capo, terrorizzata da quello
che
avrebbe potuto vedere.
Sin da piccola aveva delle piccole
luminescenze nascoste in lei, forze che uscivano dal suo corpo a suo
comando e con le quali si divertiva e giocava.
Un giorno, però,
alcuni ragazzi del suo quartiere l’avevano sorpresa e,
spaventati,
l’avevano accerchiata e picchiata furiosamente con sassi e
bastoni.
La piccola etrusca, che era sola al mondo, era rimasta lì,
incapace
di difendersi e troppo terrorizzata per chiedere aiuto o provare a
scappare, fino a che il gruppo di ragazzini non si era stufato di
picchiarla e scalciarla.
Ricordava di essersi trascinata all’ombra
e di essere poi svenuta per molto, molto tempo.
Quando si era ripresa
era debolissima, tremendamente affamata ed assetata e, cosa peggiore
di tutte, totalmente incapace di richiamare a sé le luci,
che
sembravano svanite nel nulla.
Aveva pianto lacrime amare ed odiato
quei ragazzini, che le avevano tolto l’unica cosa bella del
mondo
di fatica e soprusi che la circondava, ed aveva giudicato di
vendicarsi.
Ma siccome era di animo buono e di natura gentile, quel
giuramento impetuoso venne ben presto dimenticato e nulla sarebbe
accaduto se, qualche tempo dopo, lo stesso gruppo di ragazzi non
l’avesse nuovamente circondata, col chiaro intento di
picchiarla
ancora.
In quel momento i ricordi dell’umiliazione e del dolore
uniti alla paura di una nuova rappresaglia presero il sopravvento,
sovvertendo in maniera incontrovertibile l’equilibrio dentro
di
lei.
Le luci si ripresentarono, più forti di prima e vennero in
suo
soccorso, uccidendo tutti i ragazzi.
Spaventata, Tallula provò
disperatamente a richiamarle e fermarle, ma esse erano diventate
indomabili, e tali sarebbero rimaste negli anni a venire, scatenate
improvvisamente da forti emozioni o perdite di conoscenza.
Per quel
motivo, ora, la ragazza si aggrappava al poco di forze che le
rimaneva con ferrea determinazione, ed intanto osservava attentamente
l’arredamento e la stanza attorno a sé, cercando
eventuali danni
ai quali riparare, oramai quasi rassegnata al peggio.
Invece, grazie
agli dei, la sola cosa fuori posto sembrava essere il grosso scrigno
portagioie della padrona, che era caduto dal tavolo per il trucco e
le acconciature sul quale era poggiato, spargendo il suo contenuto
tutto attorno.
Raccogliere tutti i monili e gli orpelli della vecchia
strega sarebbe stata una tortura per la sua povera schiena, ma
Tallula temeva di scoprire molto di peggio e almeno lo scrigno non
sembrava essere rotto, come giudicò dopo averlo raccolto da
terra ed
osservato attentamente per un lungo momento.
Muovendosi lentamente e
macchiando nuovamente il pavimento chiaro di goccioline rosse
fresche, la schiava si alzò cautamente, si
avvicinò al mobile e vi
posò sopra il portagioie intagliato, facendo attenzione a
sistemarlo
esattamente come faceva la padrona.
Poi, sospirando e cercando di
ignorare i dolori vari che la trafiggevano qua e là, la
schiava si
chinò e cercò di recuperare ori e gioielli il
più velocemente
possibile, ben sapendo che, se per disgrazia la matrona fosse
rientrata nelle sue stanze proprio in quel momento e l’avesse
trovata con le mani tra i suoi tesori, per lei sarebbe stata la
fine.
Quel mostro avrebbe avuto per legge tutto il diritto di toglierle la
vita, anche torturandola pubblicamente, e lei non aveva la minima
intenzione di sfidarla o darle il benché minimo appiglio,
quello che
pativa era già abbastanza!
Era destino di ogni schiavo essere
percosso e sfruttato fino a quasi morire di fatica, questo lo sapeva,
ma la sua signora abbatteva qualsiasi livello di crudeltà e
perversione.
Sceglieva accuratamente le sue schiave tra le giovani
orfane delle insulae, prediligendo appositamente le bambine
più
emarginate per ridurre al minimo il rischio il suo temperamento
sadico potesse essere in qualche modo scoperto.
E non molto tempo
prima, a causa di un misterioso incidente, l’ennesima
ragazzina era
scomparsa nel nulla.
La matrona si era lamentata lungamente di questo
fatto con le sue amiche, al foro, sostenendo che la ragazzina era una
sporca e lasciva perditempo, che aveva osato fuggire da una casa che
le forniva cibo e protezione quasi sicuramente per seguire qualche
lurido straccione par suo, che avrebbe probabilmente approfittato di
lei e l’avrebbe poi venduta alla prima bettola
malfamata.
Le ricche
signore, ovviamente, si erano mostrate doverosamente scandalizzate
alla notizia, e si erano unite alla matrona nel tessere invettive su
invettive grondanti veleno.
Ma a Tallula, che pur aveva una mente
estremamente semplice ed ulteriormente rallentata dallo sforzo
inconsapevole ma costante di trattenere le luci all’interno
del
proprio corpo, non era sfuggito il fatto che questa
“fuga” fosse
avvenuta proprio poche ore dopo che la ragazza era stata convocata
nelle stanze della signora per essere punita a causa di un errore
commesso durante un ricevimento la sera prima, né che le sue
urla
disperate si erano interrotte improvvisamente e che il lungo,
mortale, silenzio che le aveva seguite era stato punteggiato da
strani suoni attutiti, simili al rumore di sbuffi affaticati, o al
suono di un corpo arrotolato in qualcosa di grosso, come ad esempio
il prezioso tappeto che era poi risultato essere misteriosamente
sparito dalla camera da letto della signora.
La schiava si chiedeva
cosa avrebbero fatto le amiche della matrona se avessero scoperto
questa e molte altre cose, ma in cuor suo sapeva di conoscere
già la
risposta.
Nulla, non avrebbero fatto assolutamente nulla.
Il padrone
di uno schiavo ne decideva vita e morte, dal momento in cui lo
acquistava ne diventava la sorte.
Sospirando e patendo le pene
dell’inferno, Tallula raccolse tutti i gioielli e le pietre
che
riuscì ad individuare a colpo d’occhio, poi si
accucciò e terminò
il lavoro ispezionando sotto ogni mobile, tendaggio e in tutti gli
angoli.
Ben pochi oggetti erano riusciti a fuggire allo sguardo acuto
dei suoi dodici anni, ma uno tra essi la colpì in modo
particolare.
Si trattava di una piccola scatolina di legno bianco, leggerissimo e
compatto, che le dava una strana sensazione sotto le mani, come un
leggero formicolio.
La ragazzina lo strinse senza accorgersene per
quasi cinque minuti, sprofondata in una profonda trance che si
interruppe bruscamente quando le sue mani, muovendosi di propria
iniziativa, scivolarono sulla chiusura e tentarono di farla scattare,
ricorrendo, poi, ad una luce per liberarsi del meccanismo, che
sembrava intenzionato a rimanere ostinatamente chiuso.
Tallula
osservò con orrore crescente il lento sollevarsi del
coperchio,
desiderando con tutta se stessa potersi fermare, liberarsi dello
scrigno e scappare dalla stanza.
Qualcosa, nell’aria e nella parte
più recondita del suo cuore, le intimava di smetterla, di
non
guardare, di lasciare tutto esattamente com’era, ma oramai
era
troppo tardi.
Finalmente libero dal coperchio di legno, steso su un
panno morbido e certamente pregiato, troneggiava un anello
semplicemente terrorizzante. In foggia serpentesca, ricoperto da
settecento scaglie che scintillavano come pugnali, sembrava volerle
leggere dentro con quegli occhi rossi, simili in tutto e per tutto a
diaboliche gocce di sangue.
E dopo averla letta, ne era sicura, il
gioiello avrebbe spalancato le fauci e se la sarebbe mangiata.
Dimentica della padrona, delle sue tremende punizioni corporali,
delle minacce e di ogni altra cosa, la ragazzina sollevò
d’istinto
la mano destra e scagliò la scatola lontano, con tutta la
sua forza.
Fu allora che il serpente si animò, fermandosi a
mezz’aria assieme
alla scatola, ed alzò la piatta testa da rettile, sibilando
la
lingua biforcuta. Gli occhi rossi mandarono scintille e si mossero,
per davvero questa volta, cercando quelli castani e terrorizzati di
Tallula per provare a legare a sé quella potentissima
giovane
tramite l’ipnosi.
Per qualche istante il piano parve funzionare ,
ma poi l’ennesima luce sprigionò dal corpo della
schiava e
distrusse la scatola di legno che conteneva il gioiello, facendolo
così cadere e rompendo il contatto visivo.
Il terrore era tale che
Tallula dimenticò momentaneamente i propri dolori:
afferrò l’anello
da terra con un’espressione profondamente disgustata, lo
buttò
velocemente nel portagioie e si precipitò fuori dalla stanza
correndo, dimenticandosi del sangue e tutto il resto, sfregandosi
ossessivamente le mani, come a volerle ripulire da qualcosa di
disgustoso.
Il
sonno di Esshielt era stato turbato dopo soli nove anni, un tempo
incredibilmente breve.
Dopo lo sterminio della confraternita aveva
alimentato ogni genere di sciocca e romantica credenza sulle proprie
origini ed era passata tra poche mani, una più debole e
futile
dell’altra.
Persino la sua attuale proprietaria era una donna
assolutamente insignificante sia per intelligenza che per potenziale
magico, tanto da tenerla costantemente chiusa in uno scrignetto
incantato fatto di legno di sambuco.
Era, però, deliziosamente
crudele e cattiva e quindi l’anello aveva deciso di restare
per
qualche anno al suo fianco, godendosi l’intrattenimento delle
sue
torture brutali alle schiave finché non si fosse
stufata.
Allora
avrebbe ammazzato la vecchia e avrebbe ricominciato il suo viaggio,
cercando la mano di qualcuno che fosse di nuovo meritevole di
indossarla. Qualcosa di imprevisto, però era capitato quel
giorno:
il forziere incantato, che solo la donna poteva maneggiare
poiché
protetto da una potente maledizione, era stato colpito da un’
onda
di potere magico tanto concentrata ed efficace da riuscire a spezzare
facilmente il maleficio ed aprirlo.
Ciò aveva risvegliato
prontamente il demone , che era stato quindi attratto da un oceano di
energia praticamente illimitato.
Sentì tutto quel potere avvicinarsi
e il contatto con esso fu tanto intenso da spingerlo a sciogliere la
sua forma di gioiello, terrorizzando a tal punto la giovane che lo
deteneva che neppure l’ipnosi era riuscita a
calmarla.
Con un’altra
scarica di energia magica aveva spezzato il contatto ed era poi
scappata via dalla stanza, ma il demone era tutt’altro che
pessimista. Sapeva che sarebbe tornata, molto presto, ed allora
sarebbe stata sua.
Sibilando di gioia, Esshielt si librò in aria e
rassettò telepaticamente la stanza, per evitare che la sua
creatura
potesse venir picchiata di nuovo.
Ricompose poi lo scrigno di sambuco
che l’aveva accolta e vi si adagiò di buon grado,
richiudendo con
cura il coperchio ma non riformulando la maledizione.
Era pronta.
Ora
doveva solo aspettare la sua nuova ospite.
12 Agosto 79 d.C. Pompei, Italia
Tallula
era nello stanzone dove tutti gli schiavi della casa dormivano e
vivevano e stava cucendo alla bell’e meglio le profonde
ferite
sulle gambe di una serva più giovane, frustata senza
pietà dalla
padrona.
Il compito la riempiva di rabbia, pietà e disgusto, ma
osservare la ragazzina punita, che stringeva con forza uno straccio
tra i denti per evitare che le urla ed i gemiti evocassero le ire
della padrona, le dava la forza d’animo necessaria a svolgere
quell’orrendo compito al meglio delle sue capacità.
Finalmente,
dopo circa mezz’ora, il supplizio terminò e, una
volta
assicuratasi che la padrona fosse fuori casa, l’etrusca diede
alla
compagna una grossa tazza di vino allungato, affinché
potesse
riuscire a riposare un po’ nonostante il dolore.
Già stanca per le
lunghe ore di lavoro, la giovane decise di approfittare a sua volta
del momento di requie e si stese anche lei sul suo lurido
pagliericcio.
Ma, per quanto fosse stanca ed affaticata, proprio non
riusciva a prendere sonno, sempre tormentata dal ricordo che, da
circa due giorni, le vorticava in testa in qualsiasi momento.
Si girò
e rigirò a lungo sul giaciglio ed infine decise di
affrontare la
situazione: non poteva andare avanti così.
Cautamente, badando di
non essere scorta da anima viva, sgattaiolò sino alla stanza
della
matrona, e si chiuse la porta alle spalle.
Il forziere era sempre lì,
appena socchiuso, e anche se non riusciva a vederlo, Tallula
percepiva chiaramente anche la presenza di quell’anello
malefico.
Si, malefico, non nutriva il minimo dubbio, in proposito.
Solo a
guardarlo, sono per averlo sfiorato per un istante con le dita,
Tallula si era sentita terrorizzata e ripugnata come mai nella
vita.
Si vedeva, si sentiva che era Male, che aveva lo scopo di uccidere e
ferire chiunque gli capitasse sotto tiro e lei voleva a tutti i costi
tenersene fuori, far finta che non esistesse e che non le
interessasse per niente.
Ma la realtà era che non ci riusciva, non
totalmente almeno.
Per quanto le costasse ammetterlo, c’era una
parte di lei che voleva l’anello,
che aveva provato
un’enorme scarica di felicità e desiderio quando
ne aveva sfiorato
le spire fredde e la pelle scintillante, che aveva gridato di dolore
quando si era allontanata scappando da esso e che non aveva smesso un
attimo di sognare piani per rubarlo.
E tacitare questa seconda lei
era molto più difficile di quanto Tallula avesse mai potuto
immaginare, soprattutto perché tutti i piani culminavano
invariabilmente con l’uccidere la matrona, cosa che la
schiava
etrusca temeva ed aborriva, certo, ma allo stesso tempo desiderava
anche, pur sapendo che non sarebbe mai riuscita a farlo con le sue
mani.
Ma forse avrebbe dovuto trovare il coraggio, per il bene del
mondo! In fondo la matrona lo meritava, eccome se lo meritava!
Una
morte lenta ,tra atroci dolori, gli stessi che lei aveva
inflitto (a
lei) a tutte le sue compagne, nulla di
più.
E che fosse
pubblica, poiché la fine di un tale mostro doveva
essere
simbolo, per tutti coloro che come lei trattavano (lei) gli
schiavi in maniera tanto ingiusta e bestiale, che il periodo dei loro
lunghi e crudeli soprusi era finalmente terminato.
Lei, innocente tra
tutti gli innocenti, sarebbe diventata la loro giustiziera e
paladina!
Esshielt
sorrise, soddisfatta: sapeva di avere fatto breccia nel cuore della
giovane ed ora la sua pazienza era stata ben ripagata.
Tallula aveva
desiderato rivederla, tanto da rischiare di venire brutalmente punita
pur di riuscirci, e questo appiglio era stato più che
sufficiente al
demone, che aveva fatto breccia nella mente della giovane ed ora la
stava riempendo di eroiche suggestioni e sogni di gloria.
Esshielt si
muoveva con molta cautela e cercando di essere neutrale al massimo,
in modo che la giovane credesse di essere autonoma nelle proprie
convinzioni.
Proprio per questo motivo, quindi, evitò di
materializzarsi al dito dell’ospite ed aspettò che
fosse lei
stessa a trovarla, innocentemente adagiata nella scatolina di
sambuco.
Al solo vederla, il cuore della fanciulla prese a battere
come impazzito ed un ultimo, disperato campanello d’allarme
le
risuonò debolmente nelle orecchie.
Ma fermare Esshielt, oramai, era
impossibile.
“Bentornata, principessa, è una vera gioia
rivederti.
Dopo la tua fuga, due giorni fa, sono stata tormentata dalla paura: e
se il mio orribile aspetto ti avesse turbato al punto da spingerti a
non volermi vedere mai più? Sarei potuta morire dal
dolore!”
Il
tono era dolce, benevolo, affettuoso come quello, supponeva, di una
vecchia e saggia nonna.
Tallula dimenticò immediatamente ogni timore
e, anzi, le parve quasi di sentire una brezza tiepida e piacevole,
che le consentì di vedere e di capire tutto ciò
che circondava
molto più chiaramente.
Veniva voglia di sedersi a terra ed
ascoltarla per tutto il tempo, tralasciando ogni altra cosa.
“Se
questo è il tuo desiderio, bambina, posso farlo
avverare.”
Assicurò Esshielt, levando il capo diamantato ed ondeggiando
lentamente sul posto, ipnotizzando la giovane anche per mezzo dei
movimenti e dei giochi di luce che le percorrevano la pelle.
“Non
desidero altro se non renderti felice, mia
principessa.”
Tallula
sorrise: quella voce era così calda ed affettuosa e le
parole tanto
dolci e comprensive da smuoverle qualcosa dentro. Un ultimo
campanello d’allarme, però, le risuonò
debolmente in un angolo
remoto della testa.
“Ma tu sei della padrona, perché mai dovresti
interessarti a una semplice schiava come me? É un
trucco?”
“No,
nessun trucco, bambina mia. In questo momento quell’orribile
donna
mi custodisce, è vero, ma io non sono sua. Se sono qui, in
questa
stanza e in questo momento, è solo perché lei mi
tiene
prigioniera.”
Tallula, ora nuovamente attenta, strabuzzò gli occhi
incredula. “Prigioniera? Come,
perché?”
“Devi sapere” Iniziò
il demone, lasciando la scatola ed avvolgendosi in spire morbide
attorno al polso della ragazza. “Che io sono uno spirito
antico e
molto, molto potente. Vengo da una terra lontana chiamata Persia e,
tra coloro che si occupano di magia, sono una preda molto ambita. La
tua padrona è una strega oscura, molto crudele ma poco
potente, ed
ha deciso di rapirmi per cercare di sfruttare i miei poteri magici
per compiere i suoi oscuri rituali. Ma io mi sono sempre rifiutata,
la mia magia è pura e serve per la cura e la crescita, non
per la
distruzione e la morte.
Purtroppo, però, questo non le è piaciuto
affatto e quindi mi ha sigillato in quella scatola per anni ed anni,
fino a quando non sei arrivata tu, e mi hai liberato.”
Esshielt
sollevò la testa e lambì la guancia della schiava
con una carezza
che quasi sciolse il cuore della bambina.
“Liberato? Ma come,
neppure sapevo che fossi prigioniera!”
“Ma mia cara bambina,
grazie ai tuoi grandi poteri magici! Ricordi cosa è successo
il
giorno in cui ci siamo incontrate per la prima volta?”
Domandò con
tono suadente, beandosi della facilità con cui stava
ingannando
quella bambina così potente.
“Certo che si, come potrei mai
dimenticarlo? La padrona mi stava punendo, anche se non ricordo per
quale motivo, e quando finalmente ha deciso che era abbastanza se ne
è andata lasciandomi agonizzante a terra. Stavo cercando in
tutti i
modi di non svenire quando...”
“Quando il tuo cuore puro e buono
ha percepito che qualcuno, vicino a te, aveva bisogno di
aiuto.”
Concluse Esshielt, fermando il viaggio a ritroso nei ricordi prima
che l'istintivo moto di atavico terrore che aveva provato la
ragazzina potesse stracciare la rete di malie che le stava tessendo
attorno con tanta cura.
“Tu sei una paladina predestinata, buona e
potente, faro di guida e speranza per tutti i deboli e gli oppressi
di questo tempo.”
Il demone chinò il capo stellato in un finto
atto di umiltà e reverenza e continuò il discorso
che preparava fin
dal primo incontro con la giovane schiava. “Proprio a causa
del tuo
grande potere, le forze oscure della magia hanno sempre e solo
cercato di isolarti e piegarti, togliendoti tutto quello che ti
spettava di diritto. Ciononostante, tu non ti sei mai spezzata,
piccola mia, e ora che finalmente ti ho trovata, se lo desideri puoi
intraprendere il cammino per diventare quello che sei da sempre
destinata ad essere.”
“E cioè?”
Quella domanda così
incredibilmente ingenua le giunse totalmente inaspettata, e per un
momento Esshielt tentennò; i suoi discorsi erano costruiti a
regola
d'arte basandosi sugli insegnamenti che le aveva trasmesso a suo
tempo Sumir: sapeva come accendere ira e desiderio,scatenare odio e
gelosia, ammaliare con prospettive di potere, denaro, lunga vita e
bellezza.
E pur non comprendendo quelle sciocche e complicate
emozioni, era oramai diventata una vera esperta nel suscitarle e
gestirle.
Ma nulla di questo interessava la ragazzina che aveva di
fronte, che era probabilmente troppo piccola e davvero troppo pura
per quel genere di cose. E del resto bastava anche solo guardarla
distrattamente, di sfuggita, per capire cosa volesse.
Persino lei era
riuscita a coglierlo, ma ciò non bastava a rendere la sua
missione
più agevole.
Tallula non voleva soldi, potere, bellezza o vendetta,
ma semplicemente essere amata.
Per un demone come lei, però, quel
semplice compito era quasi impossibile.
Di nuovo la serpe esitò, e
questa volta una sfumatura minima della sua preoccupazione dovette in
qualche modo trasparire da lei, perché avvertì
immediatamente la
bambina irrigidirsi e quasi allontanarsi da lei.
Parte del suo
strabiliante potenziale magico cominciava a raccogliersi, lento ma
inesorabile, al centro della gola e sulla punta delle dita e fu
proprio il corroborante crepitio di quell'energia e la
possibilità
di poterla sfruttare appieno per i suoi scopi a far uscire Esshielt
dal suo momento di smarrimento.
Doveva avere quell'enorme potere
tutto per sé, e ci sarebbe riuscita ad ogni costo.
Sorrise e si
avvolse languidamente ma con fermezza al braccio della ragazzina,
attirandola nuovamente a sé. Le posò la bella
testa nell'incavo
della sua spalla e le solleticò dolcemente l'orecchio con la
lingua
fresca ed asciutta, concentrando tutta sé stessa nello
sforzo della
recita. “Sarai la famiglia e la guida di ogni orfano,
spezzerai le
catene della schiavitù e verrai amata."