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Autore: Ysis Donahue    13/12/2018    0 recensioni
Migliaia di anni fa gli Esseri Umani compirono uno spaventoso torto nei confronti delle Creature magiche, ed una di essa giurò di vendicarsi, appellandosi ad una creatura che non avrebbe mai dovuto evocare. Per secoli e secoli questo demone ha atteso di trovare lo strumento adatto alla sua opera di devastazione, e finalmente ci è riuscito: si tratta di una giovane strega molto famosa, senza dubbio la più brillante della sua età. Ma il suo fidanzato si accorge di tutto e, ingoiando l'orgoglio, si rivolge alle due uniche persone che sa possono aiutare la donna che ama. Potrà un diverso Trio di maghi riuscire, ancora una volta, a salvare il mondo?
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Inghilterra, 2005

Hermione apparve nel camino del Manor e scese sull’antico tappeto della famiglia Malfoy, bene attenta a non macchiarlo di cenere. 
Con un sospiro di sollievo scalciò via gli eleganti stivaletti che era stata costretta ad indossare durante il processo e calzò un paio di pantofole, poi posò la cartella da lavoro su un tavolinetto basso. 
Infine slegò la fibbia del leggero mantello primaverile e lo ripose nell’enorme armadio di mogano, accanto ad un indumento quasi identico ma verde smeraldo, segno che Draco era già rincasato o non era uscito del tutto. 
Felice di quella scoperta, la strega percorse velocemente il lungo vestibolo dell’ingresso ed entrò nello splendido salone affrescato, andando alla ricerca del fidanzato. 
Attraversò quasi di corsa l’enorme sala, prestando meno attenzione del solito agli affreschi, le ampie vetrate, i sontuosi tappeti, i mobili scuri e lucidi ed il gigantesco lampadario di cristallo a braccia molteplici. 
Giunta al centro della stanza, Hermione si fermò per qualche istante, riflettendo sulla strada da imboccare, e infine decise di varcare la grossa porta scorrevole che divideva il piano, ignorando la scala in marmo bianco che si avvolgeva in una semi elica, conducendo al livello inferiore della dimora. Accostò i battenti dietro di sé e trattenne a stento un brivido poiché, nonostante le torce di ferro battuto che portavano luce e calore, il pavimento di serpentino verde scuro del corridoio ampio e spazioso attirava terribilmente il freddo.
Ai lati del camminamento, realizzate anche esse in pietra verde, file e file di mensole contenenti parte della straordinaria biblioteca dei Malfoy salivano quasi sino al soffitto, costringendo, come sempre, la strega a fermarsi rapita a studiare i titoli dorati vergati sui dorsi dei tomi.
Nonostante gli ormai quattro anni di fidanzamento e il suo grande amore per la lettura, neppure lei era stata, ancora, in grado di leggerli tutti, ma non per questo intendeva arrendersi. 
Nella metà inferiore del corridoio, invece, disposti con gusto su numerose cassettiere di legno chiaro intarsiato, si trovavano oggetti d’argento di quasi tutte le epoche storiche, appartenenti a razze magiche ed etnie differenti. 
Un’altra porta scorrevole si trovava alla fine del corridoio e si apriva su un salone diviso in due ambienti da un’arcata in pietra lavorata. Il primo, solenne e sobrio era dedicato ai banchetti più sfarzosi e mondani ed ospitava al suo interno, tra le altre cose, arazzi, armature, antichi stemmi magici, servizi di cristallo elfico ed un antico clavicembalo appartenuto, secondo le leggende, ad un crudele e sanguinario sovrano dal fine animo artistico. L’altra stanza, invece, pur rimanendo altrettanto elegante aveva un’aria decisamente più accogliente ed informale, con i preziosi tappeti orientali, le ampie finestre dalle tende morbide e vaporose, le poltrone ed i soffici cuscini. 
Si trattava infatti di una sala lettura e in questa stanza Draco ed Hermione finivano invariabilmente per passare molto del loro tempo libero, leggendo, studiando, scrivendo articoli o semplicemente tenendosi compagnia. 
E proprio su una delle poltrone, con la cravatta allentata e la camicia leggermente slacciata, sedeva Draco Malfoy, immerso nella lettura di un libro sugli antichi riti di Samahien che Hermione stessa gli aveva regalato qualche anno addietro. 
Sentendola arrivare, il ragazzo sollevò gli occhi prima che lei potesse salutarlo e il cuore della strega batté un po’ più rapido. 
Gli occhi grigi di Draco erano quelli di una persona mortalmente preoccupata per qualcosa, e ciò la intimoriva istintivamente sotto molti aspetti. “Bentornata, hai passato una buona giornata? Come è andato il processo?” 
La voce del suo ragazzo era suadente e gentile, come sempre del resto, ma ciò non bastava a tranquillizzare Hermione, che si trovò costretta a deglutire energicamente prima di poter rispondere. 
“Si, grazie, è andato tutto alla perfezione e i miei interventi sono stati apprezzati. Credo di aver visto Blaise, al Ministero, ma non ne sono sicura in questi giorni il viavai è tremendo! E tu? Hai...” esitò, cercando di soppesare con cura le parole, ben sapendo che, notoriamente, si lasciava influenzare dalle proprie intuizioni ma che talvolta esse potevano essere sbagliate, soprattutto nel caso di Draco, capace di sconvolgerle mente e cuore. 
“Un’aria piuttosto tesa.” 
Si rassegnò infine a completare il pensiero, scoccandogli un’occhiata penetrante. 
Fortunatamente lui sorrise, affatto offeso, e si alzò, prendendole la mano. 
“A te non sfugge nulla, vero? Si, effettivamente sono un po’ teso. C’è una cosa che desidero chiederti.” 
La sua mano, grande e fredda come sempre, la rassicurò le la predispose all’analisi del problema. 
“Certo, dimmi tutto.” Rispose in tono pratico ed affettuoso, facendo il gesto di dirigersi verso la sua poltrona. 
“No, non è questo il luogo.” Replicò Draco, stringendo delicatamente la presa sulle sue dita e trascinandola con garbo verso la porta in fondo alla stanza, porta che conduceva alla maestosa Biblioteca stile barocco. 
Nonostante la curiosità e la punta d’ansia, come sempre la mente di Hermione rievocò la prima volta che era stata lì e il brivido che aveva provato nel vedere tutti quei libri meravigliosi in quella stanza stupenda. 
In quel momento si era davvero sentita come una delle principesse preferite della sua infanzia, e fortunatamente la sensazione non era mai passata del tutto. 
Trepidante, posò una mano sulla maniglia e Draco la coprì con la sua, aiutandola a ruotarla. Entrarono nel salone ed una volta tanto non furono i libri o gli antichi mappamondi ad attirare lo sguardo della ragazza, ma bensì il grosso mazzo di grandi rose bianche, che trionfava in un vaso di cristallo elfico su uno dei tavoli da studio. 
Al centro di quella nuvola candida, però, spiccava una piccola e perfetta macchiolina rossa e, avvicinandosi, la giovane poté notare che si trattava di una rosa rossa, una Scarlet Carson per essere precisi, identica in tutto e per tutto a quella che aveva trovato sul cuscino accanto a sé una mattina di quattro anni prima, quando aveva capito di amare il ragazzo che prima di allora si era sempre e solo imposta di disprezzare. 
E quello stesso ragazzo, ora, la stava guidando verso il tavolo e i fiori, trattenendo sempre meno efficacemente il proprio nervosismo. 
Hermione sentiva il cuore rullarle nel petto e le sembrava di non poter più respirare. Naturalmente un certo sospetto le era balenato in mente, ma non voleva neppure azzardarsi a prenderlo in considerazione, tanto sarebbe stato deludente sbagliarsi. 
“Hermione, tesoro mio …” Cominciò Draco Malfoy, con voce non proprio rilassatissima e già in grave debito di ossigeno. 
Temendo di bloccarsi irreparabilmente, decise di cestinare sul momento il discordo al quale aveva dedicato tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio e di affidarsi all’ispirazione. 
Si avvicinò al vaso, prese la rosa rossa e la porse alla sua ragazza, trepidante d'attesa. Non appena Hermione strinse il gambo tra le dita, i petali del fiore si schiusero totalmente e rivelarono al loro interno, adagiato nella naturale fodera rossa formata dai petali più giovani e teneri, un anello meraviglioso, a forma di serpente, con il corpo costellato di diamanti e due occhi di rubino che sembravano scrutare il mondo circostante attenti e colmi di intelligenza. 
“Vuoi sposarmi?” Concluse il ragazzo, ostentando una sicurezza maggiore di quella che provava nonostante il lungo confronto con se stesso combattuto la notte prima. 
Lei era rimasta come paralizzata e a lui sembrò che impiegasse un’eternità per rispondergli, ma si impose di non mostrare alcun tipo di tensione e di restare perfettamente immobile. 
Hermione, dal canto suo, ripeteva ossessivamente tra sé e sé quelle parole, che tanto aveva desiderato sentire durante quei quattro anni, e quasi non credeva potessero essere finalmente state pronunciate. 
Sentì lacrime di sollievo e gioia premere per uscire dagli occhi ed infine rigarle le guance e questo, per qualche misterioso motivo, le restituì la voce e la mobilità. 
Corse ad abbracciare Draco e lo strinse forte a sé. 
“Si, Draco. Si, si, si, si, si!” Odiava la sua lingua traditrice per essersi bloccata su un’affermazione tanto banale in un momento così cruciale, ma non riusciva a fare altrimenti: la felicità la aveva totalmente annebbiato la mente, e non sarebbe riuscita a pronunciare qualcosa di diverso neppure se ne fosse andato della sua stessa vita. 
Draco, dal canto suo, non sembrò minimamente infastidito da quella ripetizione, anzi. 
Finalmente sciolse la tensione del proprio corpo e, con animo decisamente più leggero, ricambiò la stretta di quella che oramai era ufficialmente la sua futura signora, cullandola poi leggermente tra le braccia. 
Lei rise sommessamente “Temevi forse un rifiuto?” 
“Si, e non sapevo che avrei fatto in quel caso.” Ammise, non senza difficoltà. 
Hermione alzò il capo e cercò i suoi occhi. “Sai che ti amo, vero?” 
“Me lo hai appena dimostrato. Ma a volte l’amore non basta.” 
“Non sarà il nostro caso. Lo giuro.” 
“Lo giuro anche io.” Rispose lui in tono determinato, cercando la bocca della ragazza e baciandola. 
Hermione ricambiò, senza riuscire a smettere di piangere e sempre tra una leggera cortina di lacrime osservò il suo futuro sposo togliere l’anello dal cuore del fiore ed infilarlo con enorme attenzione al suo dito. 
Era bellissimo, armonioso ed elegante nonostante la grandezza ed il peso e calzava al suo dito come se fosse stato forgiato apposta per le sue mani. Sorrise, rimirandolo incantata ed incredula.


Un dito caldo e magro riempiva il vuoto tra le sue spire. 
Un dito lungo, dalla pelle morbida, un dito che apparteneva alla mano di una donna estremamente potente ed intelligente. 
Subito Esshielt si riscosse dal suo lungo sonno ed ebbe un fremito di pura gioia. 
Era lei, finalmente l’aveva trovata! 
L’ospite perfetta, la discepola ideale, colei che le avrebbe permesso di dominare il mondo! 
La felicità e la gioia furono tali che, per qualche istante, il demone ne rimase quasi stordito, ma ben presto recuperò il solito ferreo controllo: sicuramente un’ospite tanto perfetta doveva essere estremamente sensibile e recettiva a qualsiasi cosa tentasse di inserirsi nella sua mente, quindi era di importanza vitale evitare di commettere il benché minimo errore. 
Il gioiello si calmò, sondò con attenzione l’aria che tirava tra la sua preda e la persona che era con lei e, appurato che la ragazza si trovava in un momento di grande sconvolgimento emotivo, ne analizzò con delicatezza e metodo i pensieri più superficiali, integrando poi le nozioni grazie alle conoscenze del mago, la cui mente era si brillante, ma decisamente più accessibile. 
La giovane si chiamava Hermione Granger, un gran bel nome, ed era appena stata chiesta in sposa dal ragazzo che amava.
Era molto famosa e rispettata in tutto il mondo magico per il contributo che aveva dato ad una certa impresa e, nonostante la giovane età, ricopriva già un ruolo abbastanza importante nel sistema che governava quel paese. 
Esshielt era deliziata da ogni nuova informazione che riusciva a carpire sulla giovane: potenza enorme, intelligenza smisurata, una mente pronta ed ordinatissima, incredibilmente facile da esaminare una volta penetrata, carisma, figura sociale consolidata ed influente. 
Lo spirito si addentrò ancora di più nella mente e tra i ricordi dei giovani, ripercorrendo giorni e notti, tempeste e momenti di pace, dolori e gioie e cercando un appiglio da sfruttare per ottenere il controllo sulla strega. 
La vide bambina, vivace e dall’intelligenza pronta ed irrequieta, e poi giovane studentessa e donna, brillante nello studio ma con un po’ di difficoltà a rapportarsi con i compagni, almeno finché non aveva trovato coloro che le sarebbero stati accanto per tutta la vita. 
La osservò affrontare grandi pericoli, situazioni intricate e gravi lutti sempre con la mente fredda e pronta ad analizzare la situazione e ne fu al contempo compiaciuta ed irritata: bramava da secoli e secoli di trovare una tale unione di grandi potenzialità, ed ora che finalmente ci era riuscita quasi temeva di non riuscire ad avvolgere quella creaturina tra le sue spire. 
Decidendo di cambiare tattica, il demone interruppe il legame con il futuro sposo e si immerse invece nel flusso di pensieri che occupavano la mente della strega al momento, per meglio conoscerla e capirla. 
Non che fossero molti: Hermione era talmente estasiata dalla proposta di matrimonio da non riuscire a pensare a nient’altro, ma Esshielt trovò comunque qualcosa di interessante a cui appigliarsi. 
A quanto pareva, la storia d’amore era solo l’epilogo di un rapporto decisamente più lungo e travagliato: scostando appena i ricordi trovò antipatia, odio, disprezzo, pietà e molte altre emozioni contrastanti, condite da moltissime istantanee di momenti e situazioni, in parte assolutamente stupende e in parte perfettamente orrende. 
E, più importante di ogni altra cosa, dal flusso di ricordi erano emerse due figure chiave per raggiungere il cuore e la mente della sua preda, i due più cari amici che, nonostante gli anni trascorsi e la distanza forzata, ancora occupavano uno spazio enorme dentro di lei.
Esshielt sorrise e si rilassò: avrebbe preferito ottenere subito il dominio sulla mente di Hermione, ma a ben pensarci il fatto che ciò non fosse avvenuto immediatamente era tutt'altro che negativo. 
Sarebbe stato indice di debolezza da parte della sua ospite e, in ogni caso, non era certo la prima volta che si trovava a dover attendere pazientemente studiando un buon piano. 
Ad ogni modo aveva trovato di che analizzare e, una volta terminato di visionare tutti i ricordi, avrebbe cominciato a lavorare ad una strategia.


10 Agosto 79 d.C. , Pompei, Italia

Il pesante bastone si abbatté sulla schiena della ragazza più e più volte, senza la minima pausa. Per quanto vecchia e dolorante, quell’orribile donna dimenticava tutti i suoi malanni quando decideva che il momento era buono per picchiare le sue serve. 
La giovane provò in tutti i modi a serrare le labbra e a rimanere in silenzio, rendendo così il supplizio meno divertente per la sua aguzzina, ma l’ennesimo colpo fu troppo persino per la sua schiena allenata alle botte più feroci. 
Un urlo le uscì dalle labbra serrate, mentre da tergo e dalla verga di legno cadevano e ruscellavano gocce di sangue grosse come sesterzi, che macchiavano il pavimento in pietra della stanza. 
A quella vista la donna, che altro non aspettava se non una scusa qualsiasi per raddoppiare le percosse, lanciò un urlo furioso e calcò con maggiore forza il bastone. 
Tallula, la giovane schiava etrusca vittima di quella terribile punizione, morse le labbra fino a farle sanguinare e si impose di rimanere in silenzio: oramai sapeva bene che piangere, singhiozzare, gemere od implorare serviva solo a rendere la sua aguzzina ancora più crudele e spietata, mentre il silenzio, sebbene fosse spesso impossibile da osservare, la stufava in fretta.
Finalmente, dopo quelle che sembravano ore ed ore, l’aguzzina si ricompose e lasciò cadere il bastone a terra, limitandosi ad attaccarla a male parole ed ordinandole di ripulire la sua meravigliosa camera da letto dal lurido sangue sporco che aveva spruzzato qua e là, minacciando tremende punizioni in caso, al suo ritorno, ne avesse trovato ancora la minima traccia, o percepito il sentore nell’aria. 
Non appena fu sola, la ragazza si stese carponi per terra, cercando in qualche modo di incanalare e sopportare il dolore. 
Si contorse a lungo, tentando di dominare gli spasmi, ma fu tutto inutile. Un lampo bianco le corse dietro agli occhi e sulla punta delle dita e nella stanza si udì distintamente lo schiocco secco di un oggetto pesante caduto a terra. 
Immediatamente Tallula alzò il capo, terrorizzata da quello che avrebbe potuto vedere. 
Sin da piccola aveva delle piccole luminescenze nascoste in lei, forze che uscivano dal suo corpo a suo comando e con le quali si divertiva e giocava. 
Un giorno, però, alcuni ragazzi del suo quartiere l’avevano sorpresa e, spaventati, l’avevano accerchiata e picchiata furiosamente con sassi e bastoni. La piccola etrusca, che era sola al mondo, era rimasta lì, incapace di difendersi e troppo terrorizzata per chiedere aiuto o provare a scappare, fino a che il gruppo di ragazzini non si era stufato di picchiarla e scalciarla. 
Ricordava di essersi trascinata all’ombra e di essere poi svenuta per molto, molto tempo. 
Quando si era ripresa era debolissima, tremendamente affamata ed assetata e, cosa peggiore di tutte, totalmente incapace di richiamare a sé le luci, che sembravano svanite nel nulla. 
Aveva pianto lacrime amare ed odiato quei ragazzini, che le avevano tolto l’unica cosa bella del mondo di fatica e soprusi che la circondava, ed aveva giudicato di vendicarsi. 
Ma siccome era di animo buono e di natura gentile, quel giuramento impetuoso venne ben presto dimenticato e nulla sarebbe accaduto se, qualche tempo dopo, lo stesso gruppo di ragazzi non l’avesse nuovamente circondata, col chiaro intento di picchiarla ancora. 
In quel momento i ricordi dell’umiliazione e del dolore uniti alla paura di una nuova rappresaglia presero il sopravvento, sovvertendo in maniera incontrovertibile l’equilibrio dentro di lei. 
Le luci si ripresentarono, più forti di prima e vennero in suo soccorso, uccidendo tutti i ragazzi. 
Spaventata, Tallula provò disperatamente a richiamarle e fermarle, ma esse erano diventate indomabili, e tali sarebbero rimaste negli anni a venire, scatenate improvvisamente da forti emozioni o perdite di conoscenza. 
Per quel motivo, ora, la ragazza si aggrappava al poco di forze che le rimaneva con ferrea determinazione, ed intanto osservava attentamente l’arredamento e la stanza attorno a sé, cercando eventuali danni ai quali riparare, oramai quasi rassegnata al peggio. 
Invece, grazie agli dei, la sola cosa fuori posto sembrava essere il grosso scrigno portagioie della padrona, che era caduto dal tavolo per il trucco e le acconciature sul quale era poggiato, spargendo il suo contenuto tutto attorno. 
Raccogliere tutti i monili e gli orpelli della vecchia strega sarebbe stata una tortura per la sua povera schiena, ma Tallula temeva di scoprire molto di peggio e almeno lo scrigno non sembrava essere rotto, come giudicò dopo averlo raccolto da terra ed osservato attentamente per un lungo momento. 
Muovendosi lentamente e macchiando nuovamente il pavimento chiaro di goccioline rosse fresche, la schiava si alzò cautamente, si avvicinò al mobile e vi posò sopra il portagioie intagliato, facendo attenzione a sistemarlo esattamente come faceva la padrona. 
Poi, sospirando e cercando di ignorare i dolori vari che la trafiggevano qua e là, la schiava si chinò e cercò di recuperare ori e gioielli il più velocemente possibile, ben sapendo che, se per disgrazia la matrona fosse rientrata nelle sue stanze proprio in quel momento e l’avesse trovata con le mani tra i suoi tesori, per lei sarebbe stata la fine. 
Quel mostro avrebbe avuto per legge tutto il diritto di toglierle la vita, anche torturandola pubblicamente, e lei non aveva la minima intenzione di sfidarla o darle il benché minimo appiglio, quello che pativa era già abbastanza! 
Era destino di ogni schiavo essere percosso e sfruttato fino a quasi morire di fatica, questo lo sapeva, ma la sua signora abbatteva qualsiasi livello di crudeltà e perversione. 
Sceglieva accuratamente le sue schiave tra le giovani orfane delle insulae, prediligendo appositamente le bambine più emarginate per ridurre al minimo il rischio il suo temperamento sadico potesse essere in qualche modo scoperto. 
E non molto tempo prima, a causa di un misterioso incidente, l’ennesima ragazzina era scomparsa nel nulla. 
La matrona si era lamentata lungamente di questo fatto con le sue amiche, al foro, sostenendo che la ragazzina era una sporca e lasciva perditempo, che aveva osato fuggire da una casa che le forniva cibo e protezione quasi sicuramente per seguire qualche lurido straccione par suo, che avrebbe probabilmente approfittato di lei e l’avrebbe poi venduta alla prima bettola malfamata. 
Le ricche signore, ovviamente, si erano mostrate doverosamente scandalizzate alla notizia, e si erano unite alla matrona nel tessere invettive su invettive grondanti veleno. 
Ma a Tallula, che pur aveva una mente estremamente semplice ed ulteriormente rallentata dallo sforzo inconsapevole ma costante di trattenere le luci all’interno del proprio corpo, non era sfuggito il fatto che questa “fuga” fosse avvenuta proprio poche ore dopo che la ragazza era stata convocata nelle stanze della signora per essere punita a causa di un errore commesso durante un ricevimento la sera prima, né che le sue urla disperate si erano interrotte improvvisamente e che il lungo, mortale, silenzio che le aveva seguite era stato punteggiato da strani suoni attutiti, simili al rumore di sbuffi affaticati, o al suono di un corpo arrotolato in qualcosa di grosso, come ad esempio il prezioso tappeto che era poi risultato essere misteriosamente sparito dalla camera da letto della signora. 
La schiava si chiedeva cosa avrebbero fatto le amiche della matrona se avessero scoperto questa e molte altre cose, ma in cuor suo sapeva di conoscere già la risposta.
Nulla, non avrebbero fatto assolutamente nulla. 
Il padrone di uno schiavo ne decideva vita e morte, dal momento in cui lo acquistava ne diventava la sorte. 
Sospirando e patendo le pene dell’inferno, Tallula raccolse tutti i gioielli e le pietre che riuscì ad individuare a colpo d’occhio, poi si accucciò e terminò il lavoro ispezionando sotto ogni mobile, tendaggio e in tutti gli angoli. 
Ben pochi oggetti erano riusciti a fuggire allo sguardo acuto dei suoi dodici anni, ma uno tra essi la colpì in modo particolare. 
Si trattava di una piccola scatolina di legno bianco, leggerissimo e compatto, che le dava una strana sensazione sotto le mani, come un leggero formicolio. 
La ragazzina lo strinse senza accorgersene per quasi cinque minuti, sprofondata in una profonda trance che si interruppe bruscamente quando le sue mani, muovendosi di propria iniziativa, scivolarono sulla chiusura e tentarono di farla scattare, ricorrendo, poi, ad una luce per liberarsi del meccanismo, che sembrava intenzionato a rimanere ostinatamente chiuso. 
Tallula osservò con orrore crescente il lento sollevarsi del coperchio, desiderando con tutta se stessa potersi fermare, liberarsi dello scrigno e scappare dalla stanza. 
Qualcosa, nell’aria e nella parte più recondita del suo cuore, le intimava di smetterla, di non guardare, di lasciare tutto esattamente com’era, ma oramai era troppo tardi. 
Finalmente libero dal coperchio di legno, steso su un panno morbido e certamente pregiato, troneggiava un anello semplicemente terrorizzante. In foggia serpentesca, ricoperto da settecento scaglie che scintillavano come pugnali, sembrava volerle leggere dentro con quegli occhi rossi, simili in tutto e per tutto a diaboliche gocce di sangue. 
E dopo averla letta, ne era sicura, il gioiello avrebbe spalancato le fauci e se la sarebbe mangiata. 
Dimentica della padrona, delle sue tremende punizioni corporali, delle minacce e di ogni altra cosa, la ragazzina sollevò d’istinto la mano destra e scagliò la scatola lontano, con tutta la sua forza. 
Fu allora che il serpente si animò, fermandosi a mezz’aria assieme alla scatola, ed alzò la piatta testa da rettile, sibilando la lingua biforcuta. Gli occhi rossi mandarono scintille e si mossero, per davvero questa volta, cercando quelli castani e terrorizzati di Tallula per provare a legare a sé quella potentissima giovane tramite l’ipnosi. 
Per qualche istante il piano parve funzionare , ma poi l’ennesima luce sprigionò dal corpo della schiava e distrusse la scatola di legno che conteneva il gioiello, facendolo così cadere e rompendo il contatto visivo. 
Il terrore era tale che Tallula dimenticò momentaneamente i propri dolori: afferrò l’anello da terra con un’espressione profondamente disgustata, lo buttò velocemente nel portagioie e si precipitò fuori dalla stanza correndo, dimenticandosi del sangue e tutto il resto, sfregandosi ossessivamente le mani, come a volerle ripulire da qualcosa di disgustoso.


Il sonno di Esshielt era stato turbato dopo soli nove anni, un tempo incredibilmente breve. 
Dopo lo sterminio della confraternita aveva alimentato ogni genere di sciocca e romantica credenza sulle proprie origini ed era passata tra poche mani, una più debole e futile dell’altra. 
Persino la sua attuale proprietaria era una donna assolutamente insignificante sia per intelligenza che per potenziale magico, tanto da tenerla costantemente chiusa in uno scrignetto incantato fatto di legno di sambuco. 
Era, però, deliziosamente crudele e cattiva e quindi l’anello aveva deciso di restare per qualche anno al suo fianco, godendosi l’intrattenimento delle sue torture brutali alle schiave finché non si fosse stufata. 
Allora avrebbe ammazzato la vecchia e avrebbe ricominciato il suo viaggio, cercando la mano di qualcuno che fosse di nuovo meritevole di indossarla. Qualcosa di imprevisto, però era capitato quel giorno: il forziere incantato, che solo la donna poteva maneggiare poiché protetto da una potente maledizione, era stato colpito da un’ onda di potere magico tanto concentrata ed efficace da riuscire a spezzare facilmente il maleficio ed aprirlo. 
Ciò aveva risvegliato prontamente il demone , che era stato quindi attratto da un oceano di energia praticamente illimitato. 
Sentì tutto quel potere avvicinarsi e il contatto con esso fu tanto intenso da spingerlo a sciogliere la sua forma di gioiello, terrorizzando a tal punto la giovane che lo deteneva che neppure l’ipnosi era riuscita a calmarla. 
Con un’altra scarica di energia magica aveva spezzato il contatto ed era poi scappata via dalla stanza, ma il demone era tutt’altro che pessimista. Sapeva che sarebbe tornata, molto presto, ed allora sarebbe stata sua. 
Sibilando di gioia, Esshielt si librò in aria e rassettò telepaticamente la stanza, per evitare che la sua creatura potesse venir picchiata di nuovo. 
Ricompose poi lo scrigno di sambuco che l’aveva accolta e vi si adagiò di buon grado, richiudendo con cura il coperchio ma non riformulando la maledizione. 
Era pronta. 
Ora doveva solo aspettare la sua nuova ospite.


12 Agosto 79 d.C. Pompei, Italia

Tallula era nello stanzone dove tutti gli schiavi della casa dormivano e vivevano e stava cucendo alla bell’e meglio le profonde ferite sulle gambe di una serva più giovane, frustata senza pietà dalla padrona.
Il compito la riempiva di rabbia, pietà e disgusto, ma osservare la ragazzina punita, che stringeva con forza uno straccio tra i denti per evitare che le urla ed i gemiti evocassero le ire della padrona, le dava la forza d’animo necessaria a svolgere quell’orrendo compito al meglio delle sue capacità.
Finalmente, dopo circa mezz’ora, il supplizio terminò e, una volta assicuratasi che la padrona fosse fuori casa, l’etrusca diede alla compagna una grossa tazza di vino allungato, affinché potesse riuscire a riposare un po’ nonostante il dolore. 
Già stanca per le lunghe ore di lavoro, la giovane decise di approfittare a sua volta del momento di requie e si stese anche lei sul suo lurido pagliericcio.
Ma, per quanto fosse stanca ed affaticata, proprio non riusciva a prendere sonno, sempre tormentata dal ricordo che, da circa due giorni, le vorticava in testa in qualsiasi momento. 
Si girò e rigirò a lungo sul giaciglio ed infine decise di affrontare la situazione: non poteva andare avanti così. 
Cautamente, badando di non essere scorta da anima viva, sgattaiolò sino alla stanza della matrona, e si chiuse la porta alle spalle. 
Il forziere era sempre lì, appena socchiuso, e anche se non riusciva a vederlo, Tallula percepiva chiaramente anche la presenza di quell’anello malefico. Si, malefico, non nutriva il minimo dubbio, in proposito. 
Solo a guardarlo, sono per averlo sfiorato per un istante con le dita, Tallula si era sentita terrorizzata e ripugnata come mai nella vita. 
Si vedeva, si sentiva che era Male, che aveva lo scopo di uccidere e ferire chiunque gli capitasse sotto tiro e lei voleva a tutti i costi tenersene fuori, far finta che non esistesse e che non le interessasse per niente. 
Ma la realtà era che non ci riusciva, non totalmente almeno. 
Per quanto le costasse ammetterlo, c’era una parte di lei che voleva l’anello, che aveva provato un’enorme scarica di felicità e desiderio quando ne aveva sfiorato le spire fredde e la pelle scintillante, che aveva gridato di dolore quando si era allontanata scappando da esso e che non aveva smesso un attimo di sognare piani per rubarlo. 
E tacitare questa seconda lei era molto più difficile di quanto Tallula avesse mai potuto immaginare, soprattutto perché tutti i piani culminavano invariabilmente con l’uccidere la matrona, cosa che la schiava etrusca temeva ed aborriva, certo, ma allo stesso tempo desiderava anche, pur sapendo che non sarebbe mai riuscita a farlo con le sue mani. 
Ma forse avrebbe dovuto trovare il coraggio, per il bene del mondo! In fondo la matrona lo meritava, eccome se lo meritava! 
Una morte lenta ,tra atroci dolori, gli stessi che lei aveva inflitto (a lei) a tutte le sue compagne, nulla di più. 
E che fosse pubblica, poiché la fine di un tale mostro doveva essere simbolo, per tutti coloro che come lei trattavano (lei) gli schiavi in maniera tanto ingiusta e bestiale, che il periodo dei loro lunghi e crudeli soprusi era finalmente terminato. 
Lei, innocente tra tutti gli innocenti, sarebbe diventata la loro giustiziera e paladina!

Esshielt sorrise, soddisfatta: sapeva di avere fatto breccia nel cuore della giovane ed ora la sua pazienza era stata ben ripagata. 
Tallula aveva desiderato rivederla, tanto da rischiare di venire brutalmente punita pur di riuscirci, e questo appiglio era stato più che sufficiente al demone, che aveva fatto breccia nella mente della giovane ed ora la stava riempendo di eroiche suggestioni e sogni di gloria. 
Esshielt si muoveva con molta cautela e cercando di essere neutrale al massimo, in modo che la giovane credesse di essere autonoma nelle proprie convinzioni. 
Proprio per questo motivo, quindi, evitò di materializzarsi al dito dell’ospite ed aspettò che fosse lei stessa a trovarla, innocentemente adagiata nella scatolina di sambuco.
Al solo vederla, il cuore della fanciulla prese a battere come impazzito ed un ultimo, disperato campanello d’allarme le risuonò debolmente nelle orecchie. 
Ma fermare Esshielt, oramai, era impossibile. 
“Bentornata, principessa, è una vera gioia rivederti. Dopo la tua fuga, due giorni fa, sono stata tormentata dalla paura: e se il mio orribile aspetto ti avesse turbato al punto da spingerti a non volermi vedere mai più? Sarei potuta morire dal dolore!” 
Il tono era dolce, benevolo, affettuoso come quello, supponeva, di una vecchia e saggia nonna. 
Tallula dimenticò immediatamente ogni timore e, anzi, le parve quasi di sentire una brezza tiepida e piacevole, che le consentì di vedere e di capire tutto ciò che circondava molto più chiaramente. 
Veniva voglia di sedersi a terra ed ascoltarla per tutto il tempo, tralasciando ogni altra cosa. 
“Se questo è il tuo desiderio, bambina, posso farlo avverare.”
Assicurò Esshielt, levando il capo diamantato ed ondeggiando lentamente sul posto, ipnotizzando la giovane anche per mezzo dei movimenti e dei giochi di luce che le percorrevano la pelle. 
“Non desidero altro se non renderti felice, mia principessa.” 
Tallula sorrise: quella voce era così calda ed affettuosa e le parole tanto dolci e comprensive da smuoverle qualcosa dentro. Un ultimo campanello d’allarme, però, le risuonò debolmente in un angolo remoto della testa. 
“Ma tu sei della padrona, perché mai dovresti interessarti a una semplice schiava come me? É un trucco?” 
“No, nessun trucco, bambina mia. In questo momento quell’orribile donna mi custodisce, è vero, ma io non sono sua. Se sono qui, in questa stanza e in questo momento, è solo perché lei mi tiene prigioniera.” 
Tallula, ora nuovamente attenta, strabuzzò gli occhi incredula. “Prigioniera? Come, perché?” 
“Devi sapere” Iniziò il demone, lasciando la scatola ed avvolgendosi in spire morbide attorno al polso della ragazza. “Che io sono uno spirito antico e molto, molto potente. Vengo da una terra lontana chiamata Persia e, tra coloro che si occupano di magia, sono una preda molto ambita. La tua padrona è una strega oscura, molto crudele ma poco potente, ed ha deciso di rapirmi per cercare di sfruttare i miei poteri magici per compiere i suoi oscuri rituali. Ma io mi sono sempre rifiutata, la mia magia è pura e serve per la cura e la crescita, non per la distruzione e la morte. 
Purtroppo, però, questo non le è piaciuto affatto e quindi mi ha sigillato in quella scatola per anni ed anni, fino a quando non sei arrivata tu, e mi hai liberato.” Esshielt sollevò la testa e lambì la guancia della schiava con una carezza che quasi sciolse il cuore della bambina. 
“Liberato? Ma come, neppure sapevo che fossi prigioniera!” 
“Ma mia cara bambina, grazie ai tuoi grandi poteri magici! Ricordi cosa è successo il giorno in cui ci siamo incontrate per la prima volta?” Domandò con tono suadente, beandosi della facilità con cui stava ingannando quella bambina così potente.
“Certo che si, come potrei mai dimenticarlo? La padrona mi stava punendo, anche se non ricordo per quale motivo, e quando finalmente ha deciso che era abbastanza se ne è andata lasciandomi agonizzante a terra. Stavo cercando in tutti i modi di non svenire quando...” 
“Quando il tuo cuore puro e buono ha percepito che qualcuno, vicino a te, aveva bisogno di aiuto.” Concluse Esshielt, fermando il viaggio a ritroso nei ricordi prima che l'istintivo moto di atavico terrore che aveva provato la ragazzina potesse stracciare la rete di malie che le stava tessendo attorno con tanta cura. 
“Tu sei una paladina predestinata, buona e potente, faro di guida e speranza per tutti i deboli e gli oppressi di questo tempo.” 
Il demone chinò il capo stellato in un finto atto di umiltà e reverenza e continuò il discorso che preparava fin dal primo incontro con la giovane schiava. “Proprio a causa del tuo grande potere, le forze oscure della magia hanno sempre e solo cercato di isolarti e piegarti, togliendoti tutto quello che ti spettava di diritto. Ciononostante, tu non ti sei mai spezzata, piccola mia, e ora che finalmente ti ho trovata, se lo desideri puoi intraprendere il cammino per diventare quello che sei da sempre destinata ad essere.” 
“E cioè?” 
Quella domanda così incredibilmente ingenua le giunse totalmente inaspettata, e per un momento Esshielt tentennò; i suoi discorsi erano costruiti a regola d'arte basandosi sugli insegnamenti che le aveva trasmesso a suo tempo Sumir: sapeva come accendere ira e desiderio,scatenare odio e gelosia, ammaliare con prospettive di potere, denaro, lunga vita e bellezza. 
E pur non comprendendo quelle sciocche e complicate emozioni, era oramai diventata una vera esperta nel suscitarle e gestirle. 
Ma nulla di questo interessava la ragazzina che aveva di fronte, che era probabilmente troppo piccola e davvero troppo pura per quel genere di cose. E del resto bastava anche solo guardarla distrattamente, di sfuggita, per capire cosa volesse. 
Persino lei era riuscita a coglierlo, ma ciò non bastava a rendere la sua missione più agevole. 
Tallula non voleva soldi, potere, bellezza o vendetta, ma semplicemente essere amata. 
Per un demone come lei, però, quel semplice compito era quasi impossibile. 
Di nuovo la serpe esitò, e questa volta una sfumatura minima della sua preoccupazione dovette in qualche modo trasparire da lei, perché avvertì immediatamente la bambina irrigidirsi e quasi allontanarsi da lei. 
Parte del suo strabiliante potenziale magico cominciava a raccogliersi, lento ma inesorabile, al centro della gola e sulla punta delle dita e fu proprio il corroborante crepitio di quell'energia e la possibilità di poterla sfruttare appieno per i suoi scopi a far uscire Esshielt dal suo momento di smarrimento. 
Doveva avere quell'enorme potere tutto per sé, e ci sarebbe riuscita ad ogni costo. 
Sorrise e si avvolse languidamente ma con fermezza al braccio della ragazzina, attirandola nuovamente a sé. Le posò la bella testa nell'incavo della sua spalla e le solleticò dolcemente l'orecchio con la lingua fresca ed asciutta, concentrando tutta sé stessa nello sforzo della recita. “Sarai la famiglia e la guida di ogni orfano, spezzerai le catene della schiavitù e verrai amata."

   
 
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