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Autore: Majakovskij    13/12/2018    1 recensioni
Calvino è un barista dalle idee parecchio confuse riguardo a quello che deve fare con Vittoria, la sua attuale ragazza. Non sa se lasciarla o meno, ma per fortuna la situazione si sbloccherà quando in un impeto la ammazza e se la mangia.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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La serata si è conclusa, e nel locale rimaniamo io, Vittoria, e due maledetti ubriachi, seduti al bancone, che non accennano ad alzare il culo dagli sgabelli. Li conosco da mesi, vengono qui tutte le settimane a fare il loro maledetto aperitivo, e ormai mi considerano quasi uno di loro. Mi mettono in mezzo ai loro discorsi insipidi. Carlo e Simone, mi pare? Nemmeno mi ricordo. Questo per dire quanta importanza do alle loro persone. Da un lato vorrei che se ne andassero, perché ho veramente bisogno di chiudere a chiave la porta, contare i soldi in cassa, pulire in terra, e riaccompagnare a casa Vittoria. Ma dall'altro ho bisogno che restino. Non so come potrò reagire, rimanendo da solo con lei. In tutto ciò questi due continuano a sghignazzare come due ragazzini, mentre si raccontano delle barzellette che credo di aver sentito la prima volta alle elementari. Se le raccontano come se fossero qualcosa di bello, nuovo e originale. E mentre ridono mi guardano, in attesa.

-Dai, muso lungo! - mi urla Carlo. O Simone. O comunque si chiami. -Fattela una risata, ogni tanto!

Rispondo con un sorriso forzato che spero sia abbastanza eloquente da lasciar intendere che non ho intenzione di unirmi alla loro discussione. Ovviamente, con certa gente ogni sottigliezza è persa.

-Senti – mi fa l'altro, Simone. O Carlo. O comunque si chiami. Indica Vittoria, che sta ancora ballando, da sola sull'onda di un Falso Bolero. - Ma quella figa che ti ha occhieggiato tutta la sera, che fai? Te la porti a casa? È evidente che da sola non ha intenzione di tornare, e tu non te la sei filata per tutta la serata-. E poi guarda Carlo o Simone, strizzando l'occhio. Ridono di nuovo.

E ci siamo, siamo arrivati al fatidico momento in cui devo (o voglio?) fingere che io e lei nemmeno stiamo assieme, perché per chi sa quale motivo non ho assolutamente voglia di dare a questa gente informazioni sulla mia vita.

-Credo che me la riaccompagno io – rispondo quindi, evitando di dare una risposta che suoni disgustosa quanto la domanda che mi è stata posta.

Carlo e Simone, o Simone e Carlo, restano un po' delusi. -Sicuro? Non sembri poi molto interessato.

-Di certo non credo che accetterebbe mai di tornare a casa con uno di voi due, non trovate?

La mia domanda arriva più secca e tagliente di quanto non avrei voluto. Ma mi accontento di chiudere la discussione il più in fretta possibile, prima che lei senta qualcosa e si senta attaccata o minacciata da questi due. Ancora una volta, però, i miei intenti si schiantano contro una parete di alcool, e forse peggiore la situazione, perché uno dei due mi risponde: - Ah sì? Scommetti che se mi alzo e ci provo un po' me la scopo di sicuro questa notte?

-Penso che nel momento in cui ti alzerai cadrai dal tuo sgabello.

Le note del Falso Bolero si spengono, seguite in riproduzione casuale dal Boogie Dei Piedi. Vittoria inizia a scatenarsi ancora di più. Ma dove le trova le energie?

Intanto Carlo o Simone si spazientiscono sempre di più. È chiaro che non apprezzano le mie provocazioni, e tutto l'alcool che hanno in corpo di certo non sta aiutando. Certo la cosa più saggia da fare sarebbe quella di accompagnarli cautamente fuori, ma mi sento toccato sul vivo dal loro modo di fare, e chi sa, forse anche un po' geloso, è sempre della mia ragazza che stanno parlando. Forse c'è quella parte vile di me che pensa potrebbero davvero riuscire a portarsela a casa. Ho il tempo di chiedermi brevemente cosa cazzo vado a pensare quando alzando la voce Simone o Carlo mi chiede iroso: -Pensi forse di essere tanto meglio di noi? Noi ci siamo spaccati il culo a lavorare tutta la vita, e se una volta a settimana voglio farmi un aperitivo in santa pace nessuno ha il diritto di venire a insultarmi, capito? Nessuno!

-Io penso che siate soltanto due persone sulla soglia della mezza età che non hanno più niente nella vita a cui agganciarsi se non all'alcool. -Dentro di me so che avrei dovuto stare zitto, ma ormai è troppo tardi per fermarmi. - Guardatevi, siete qui tutti i martedì e cercate sempre di tirarmi in ballo nelle vostre discussioni, e quello che sento è sempre lo stesso: lavoro e donne. Di quanto odiate il vostro lavoro e di quanto le vostre mogli vi stressino, vi comandino a bacchetta. Non avete altro argomento in comune. Vi conoscete da anni, e non avete altro argomento in comune. Siete amici, voi due? Potete definirvi amici? Non avete niente che vi accomuni se non la mancanza di argomenti. E mi dici che non devo venire a insultarti? Mi state insultando voi con la dappocaggine della vostra presenza.

La discussione è scalata decisamente troppo in fretta, e mi rendo ben conto che il mio sfogo non è altro che una serie di frasi che mi porto dietro da fin troppo tempo, di frustrazione che provo nei confronti di questi due da ormai parecchi mesi. E anche se probabilmente – anzi sicuramente – ho appena perso un paio di clienti abituali, ben venga. I due mi guardano boccheggiando, credo siano in fin dei conti troppo ubriachi per rendersi bene conto di ciò che ho detto. Ciò non impedisce a uno di loro due di alzarsi, barcollante, con fare tra il ridicolo e il minaccioso, per guardarmi con astio. Credo stia come minimo per dare un pugno al banco. Chi sa se reggerà l'urto. Lui, non il banco.

Vittoria, invece, ha sentito. Il Boogie si è concluso poco dopo l'inizio della mia invettiva, seguito dalle note ben più leggere di Il Corpo del Reato. Ha sentito tutto quello che ho detto, tutto il mio astio verso questi due ubriachi, e ora mi guarda con una certa freddezza. In qualche modo, anche lei è a metà strada tra il ridicolo e il minaccioso. Però, poco prima che Carlo o Simone possa fare qualcosa, si mette vicino a loro e sibila: - credo che abbiate bevuto abbastanza. Credo che abbiate anche parlato abbastanza -. Carina, a prendere le mie parti.

Carlo o Simone e Simone o Carlo si lasciano intimorire dai suoi occhi duri e freddi e dalla sua bellezza crudele. Uno fa un passo indietro e dice: - Andiamo Claudio, non vale la pena.

Claudio. Bene. Non Carlo. Chi sa come si chiama l'altro. Escono di scena ondeggiando. Non hanno pagato, ma decido che è meglio lasciar perdere. Al momento mi preme di più il modo in cui lei mi guarda.

-Cos'era quella cosa?

-Cosa? - le chiede, quasi come cadessi dalle nuvole.

-Cosa mai possono averti detto, da spingerti a tirare fuori tutto quel veleno?

-Cose sgradevoli.

-Sono due ubriachi, Calvi'. Ti sei forse sentito punto sul vivo da due ubriachi in qualche modo?

-Scusa – bofonchio allora io di rimando, sentendomi un po' in imbarazzo. Vorrei spiegarle meglio la situazione, ma per qualche motivo non ci riesco. Sento che la paura che si arrabbi ulteriormente è più forte. Chiudo la porta a chiave e mi dirigo verso la cassa.

-Scusa un cazzo – dice lei. - Non ti sei comportato bene con quei due, e lo sai anche tu. Era cose cattive, quelle che hai detto.

-Erano cose cattive quelle che hanno detto a me.

-Oooh, andiamo, i due ubriachi ti insultano e tu piangi!

-E a te? Da dove viene tutto quest'astio invece? - chiedo, con gli occhi fissi sul registratore di casa, mentre conto le banconote.

Vittoria si fa paonazza in volto. Prima per imbarazzo, poi per rabbia e incredulità.

-Da dove viene? Mi hai lasciata da sola tutta la sera come una cogliona a ballare!

Non ho voglia di litigare. Non ne sarei assolutamente capace, non con lei. - Scusa – bofonchio ancora.

-Scusa un cazzo – risponde Vittoria per la seconda volta nella serata. - Scusa un cazzo. Non è giusto, io volevo che ci facessimo la nostra seratina e tu non ha fatto altro che lavorare.

-Ah, scusa tanto se ho cercato di non mandare la serata in merda. La prossima volta mollo tutto e vengo a ballare con te, i clienti possono servirsi da bere da soli.

-Lo sai che non è questo quello che intendo. Lo sai bene. Ti ho guardato per tutte queste ore, Calvi'. Sei stato lì a sorridere affabile a tutti, a chiacchierare coi clienti, e poi non puoi negare che non ci siano stati anche dei momenti morti. Potevi uscire da dietro quel tuo cazzo di banco durante i momenti morti. Invece hai palesemente evitato il mio sguardo per tutte queste ore.

-E i bicchieri chi li lava poi? Centosessantotto bicchieri, centosettanta con quelli di questi due stronzi, chi li lava?

Vittoria mostra un'espressione fintamente ed esageratamente pensierosa, prima di rispondere con disprezzo: -Che so, magari la tua fottuta lavastoviglie? Quanto cazzo l'hai pagata quella merda? Eh? Quanto cazzo l'hai pagata per tenerla spenta?

-Il martedì non l'accendo mai – provo a difendermi banalmente.

-E comunque non hai risposto alla mia domanda.

-Che domanda?

-Perché cazzo non mi hai guardata per tutta la sera? Perché cazzo mi hai ignorata così palesemente? Anche se proprio dovevi lavare a mano centosettanta bicchieri, ti costava tanto degnarmi di un'occhiata? Mi hai fatto sentire come se non te ne fregasse niente di me.

Taccio. Taccio per un secondo di troppo. E quando dico: - Non è così, Vik – per lei è già troppo tardi.

-Perché te ne frega qualcosa di me, vero?

Me lo chiede con voce così tremante e spaventata che faccio un passo indietro. Come se avessi assistito a una debolezza troppo forte per me.

-Calvino, ti prego, non fare il gioco del silenzio. Dimmi se sto correndo a una cazzata che sta nella mia testa o se ti interesso.

-Io non sono certo di niente, in questo momento.

-È tutto quello che riesci a rispondere? Non hai nemmeno le palle di essere definitivo? O almeno chiaro? Te lo dico onestamente, non capisco se mi stai lasciando o meno.

L'ultima parte della frase si perde nel vuoto, con ogni parola che viene pronunciata più silenziosamente della precedente. Come se parlasse solo a se stessa. Vittoria si guarda le punte dei piedi, mortificata. Io mi guardo le punte dei miei, atterrito.

-Almeno all'inizio ti piacevo o volevi solo scopare? - riesce alla fine a chiedere, in mezzo tra un singhiozzo e un ringhio.

-Mi piacevi. Mi piaci ancora.

-Però?

-Però qualcosa non mi sta bene, e non capisco cosa.

-Forse sei tu che non ti stai bene.

Quest'ultima frase mi ferisce più di quanto non vorrei. - Che cazzo ne sai tu? - riesco a dire. Ma lei non risponde, si limita a darmi le spalle e a studiare i quadri che ho appeso qualche giorno fa alle pareti come se fossero la cosa più interessante del mondo.

-Mi piacevi perché sembrava che non te ne fregasse niente di quello che la gente pensa di te. Perché eri fredda e cinica, non la classica principessina viziata che cerca la storia romantica. E poi stiamo assieme da un mese e già mi fai scenate perché per una serata non ti ho guardata.

A quel punto finalmente si gira, e mi guarda con due occhi che in quel momento mi fanno davvero paura. Ride di una risata nervosa prima di dire: - Scenata? Tu l'hai mai vista una scenata vera, Calvi'? Lasciati dire che non hai capito un cazzo. Io non mi incazzo perché non mi hai guardata, io mi incazzo perché ti sei rifiutato di guardarmi.

-E c'è differenza?

-Io me ne vado a casa, Calvi'. Stammi bene.

So che dovrei lasciarla andare per non peggiorare la situazione, ma il senso di colpa è più forte della vergogna. - Aspetta – le dico. - Sono le tre di notte, non puoi andartene in giro da sola. È pericolo.

-Ah! E quindi adesso ti importa di me?

-Ovvio che mi importa di te – bofonchio a testa bassa. - Solo, non in quel senso.

-E quanti sensi ci sono?

-Ti prego.

-Non voglio tornare a casa con te. - Mi volta di nuovo le spalle. Ma non si incammina. Come se aspettasse.

-Ti prego.

-Ascolta – mi dice, tornando a guardarmi. - Se vuoi, va bene, accompagnami. Se ti fa sentire più sicuro. Però, per favore, non rivolgermi la parola per il resto del viaggio. Cerca di capire, renderebbe tutto davvero molto, molto sgradevole.

E in quel momento, come niente fosse, Vittoria ha la situazione in pugno. Improvvisamente è lei che mi fa un favore a farsi riaccompagnare, e devo anche accettare le sue condizioni. Con un impeto di disgusto verso me stesso sento un pensiero attraversare la mia mente, è questa la Vittoria che mi piace da impazzire.

 

Inutile dire che non avrei mai dovuto accompagnarla.

 

   
 
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