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Autore: Himenoshirotsuki    14/12/2018    1 recensioni
[Seguito di "Fuoco nelle Tenebre"] [La stori è un pausa un mesetto, ma non sospesa. Finisco Fighting Fire e riprendo ad aggiornare!]
Dopo gli ultimi eventi, il destino di Esperya sembra ancora più incerto. Lyssandra muove i fili da dietro le quinte, Mirya e i bambini sono rintanati ad Alabastria, mentre Ledah è stato catturato. Sembra che il ritorno di Aesir e della sua era dell'oscurità sia inevitabile, ma c'è ancora qualcuno che si oppone, qualcuno che ha pagato un prezzo di sangue per diventare ciò che è. Con un nuovo corpo e un solo anno a disposizione, Airis dovrà adempiere al suo compito di Guardiano affinchè i drow e il dio dell'oscurità non facciano di nuovo piombare Esperya in un caos di morte e distruzione.
Battaglia dopo battaglia, incontro dopo incontro, in un lungo viaggio attraverso lande desolate e città e regni meravigliosi, Airis scoprirà così i dettagli di una macchinazione destinata a cambiare le sorti del mondo, ma, soprattutto, la verità sul suo passato, una verità che potrebbe distruggerla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
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Fuoco 2

24

Leggende

La notte era il momento più lungo della giornata, per Zefiro. Melwen dormiva vicino a lui, schiacciata contro il suo fianco come un cardellino infreddolito, avvolta nella coperta fino alla testa, con solo qualche sparuto ricciolo sparso sul cuscino. Quando si muoveva, erano una delicata carezza sulla sua pelle, come il suo respiro rilassato.
"Ti invidio… vorrei poter dormire anche io come fai tu."
Melwen mugugnò qualcosa di indefinito e si rannicchiò ancor più. Tremava appena e un velo di sudore brillava nelle increspature della fronte e delle sopracciglia. Zefiro protese il braccio fuori dal letto e lo inumidì nel catino d’acqua sulla sedia, prima di tamponarlo sulle sue guance. Anche nel buio, riusciva a distinguerne il rossore febbrile.
- Vado un attimo a prendere una boccata d’aria, torno subito. - le soffiò all’orecchio.
Come se volesse dargli il suo permesso, Melwen ritirò il braccio contro il petto e si spostò sul bordo del letto, dove il lenzuolo era scivolato via dall’angolo, lasciando esposta una riga di materasso. 
Zefiro le lanciò un’ultima occhiata, poi prese un profondo respiro e compì il primo passo. Il legno sotto il suo piede scricchiolò, un dirugginio d’assi che riecheggiò nel silenzio della stanza. Zefiro fece una smorfia e improvvisò una corsetta. Non controllò che Melwen stesse ancora dormendo prima di appoggiare la mano sulla maniglia e spalancare la porta, proseguendo fino al soggiorno.
Le candele, come la sera precedente, erano accese e sprigionavano un intenso aroma di melograno e cannella. Sul tavolo dove levitava la teiera, oltre alle braci per tenerla in caldo, Eogann aveva lasciato anche due tazze. Zefiro afferrò quella con inciso sopra un cavaliere in groppa al suo destriero rampante. Dopo averla riempita fino all’orlo, si sedette e rimase a osservare il fumo che spiraleggiava verso il soffitto, le mani che sostenevano il mento e le palpebre socchiuse, senza pensare a null’altro se non al profumo dello zenzero. Quando gli parve che la tazza fosse un po’ meno calda, aggiunse un cucchiaino di miele e si mise a sorseggiare la tisana.
- Come mai sveglio? Hai fatto un brutto sogno? -
Zefiro sussultò per la sorpresa e si voltò di scatto. Il busto di Eogann spuntava per metà dalla rampa di scale. Lo vide salire gli ultimi scalini e avvicinarsi con una candela in mano.
- Non ho sonno. - rispose.
- È sempre così, oppure ti capita solo in questi giorni? -
- La seconda. -
Eogann si sedette davanti a lui. Indossava una tunica di un azzurro stinto, con le maniche così ampie da lasciar sbucare solo la punta delle dita. A un suo cenno, la teiera si inclinò, versando la tisana nell’altra tazza.
- E voi? Come mai siete sveglio? -
- Non serve essere così formali, Zefiro. Nemmeno i miei figli sono così rispettosi. - si abbandonò a una risata e soffiò per scacciare via fumo e calore, - Melwen dorme? -
- Sì. È stata una giornata pesante per lei. -
- L’efedra è un’ottima erba, se presa per un periodo limitato di tempo e in dosi non eccessive. Purtroppo, nel caso di Melwen, gli effetti collaterali ci metteranno un po’ a sparire. -
- Un po’ quanto? -
- Non posso darti una risposta certa, dipende da molti fattori. Posso dirti, però, che già il fatto che stia dormendo è un progresso non da poco. -
Zefiro annuì. I petali di lavanda galleggiavano sulla superficie della tisana, urtandosi e urtando i bordi della tazza simili a zattere alla deriva. Così come la sua mente, anche loro avevano perso il nord.
- Non ti preoccupare, Melwen starà meglio. Tutti voi starete meglio, non appena arriverete alla capitale. - Eogann bevve un lungo sorso di tisana e si alzò, - Visto che anche tu non hai sonno, perché non mi dai una mano? -
- Di che si tratta? - 
- Vieni, te lo spiego nel mio studio. -
Zefiro saltò giù dalla sedia e lo seguì. Scesero lungo una rampa di scale che sprofondava nella penombra, attorcigliandosi su se stessa, con la ringhiera e il palo di supporto in legno decorato con incisioni di foglie d’edera. Quando scese l’ultimo gradino, Zefiro percepì sotto le babbucce la consistenza morbida dell’erba. 
- Ma che...? -
- È solo un'illusione, tranquillo. - spiegò Eogann.
Si avvicinò allo scrittoio e si accomodò su quello che sarebbe potuto sembrare un albero, se non fosse stato per i rami intrecciati a mo’ di schienale, per il cuscino di muschio e le quattro radici a sorreggere il tutto. 
- I miei figli dicono che sono un po’ troppo fissato con le piante, ma che ci posso fare? Sono pur sempre un cacciatore. -
- Un cacciatore? -
- Sì, e pure molto bravo. Poi i fiori in casa mia hanno cominciato a sbocciare anche in inverno e mio padre mi ha mandato a calci nel sedere all’Accademia. -
Zefiro sprofondò nel cappello di un fungo rosso a macchie bianche nello stesso momento in cui una farfalla si posò sulla sua spalla. La fissò a bocca aperta, sbalordito dalla sua grandezza. Quando le offrì il dito, il movimento delle zampe a contatto con la pelle gli causò prurito, ma era una sensazione piacevole, come il calore che soffondevano le grandi ali blu. Non ricordava dove o quando, ma era sicuro d’averla già provata.
- Sembri piacere a Ygerna. -
- Chi? - 
Seguì la traiettoria dello sguardo di Eogann e capì. Abbassò la mano e la farfalla sbatté le ali, spargendo una polvere brillante tutt’attorno a lei. 
- È un famiglio? -
- Sì. L’ho comprata quando studiavo all’Accademia e, da quel momento, i miei incantesimi sono migliorati di molto. Il mercante che me l’ha venduta mi ha detto di averla catturata nella foresta di Finnbharr. Ho sempre pensato fossero solo parole, ma ieri ho dovuto ricredermi. - 
Schioccò le dita e si accesero una decina di fiammelle blu sopra di loro, illuminando la pergamena sullo scrittoio, quella che aveva disegnato Melwen quel pomeriggio. 
- Sai cosa è questa? -
Zefiro si affrettò a quietare i brividi strofinandosi le braccia. Scosse con veemenza la testa per scacciare l’inquietudine che quella visione gli procurava.
- Hai freddo? Vuoi che ti vada a prendere una coperta? - gli domandò Eogann.
- No, no, sto bene. Per favore, andat… vai avanti. -
- Questa che ha disegnato Melwen è la cartina del regno delle fate, la vera mappa. Certo, è un po’ approssimativa, ma secondo Ygerna è più che affidabile. -
- Ygerna parla? -
- Diciamo che si fa capire. - Eogann offrì alla farfalla il palmo e la adagiò sullo scrittoio, sotto l’ombra allungata di un calamaio, - Comunque, non l’ho mai sentita così felice come quando ha visto questa mappa. -
- Non hai detto che è originaria di lì? -
- Sì, ma è risaputo che qualsiasi creatura che abbandona il regno delle fate dimentica dov’è. Gli studiosi ritengono che ci sia una specie di magia protettiva sul confine. Purtroppo, possiamo solo ipotizzare che sia vero, anche perché sennò non mi spiego come una farfalla cristallo possa aver dimenticato una cosa così importante. -
Zefiro appuntò la sua attenzione sulle ali blu di Ygerna, prima di tornare a guardare Eogann: - Melwen ha ricopiato la mappa da un libro di fiabe. Potrebbe essere solo una fantasia e basta. -
- No, non lo è. - li interruppe Melwen, sbucando all'improvviso accanto a Zefiro.
Si sistemò allo scrittoio e soffiò sulla tazza fumante. Aveva tutti i riccioli scompigliati, gli occhi arrossati leggermente lucidi e il libro della fiaba di Oberon e Titania sottobraccio.
- Scusate, non volevo origliare. Mi sono svegliata, sono andata in sala per bere la tisana e ho visto la luce, così... -
- Dovresti essere a dormire, tu. Hai bisogno di riposo. - la rimproverò Zefiro.
- Anche tu, sai? -
- Avete tutti e due bisogno di dormire, ma se Altor non vi concede il sonno, c’è ben poco da fare. - Eogann batté una pacca sulla spalla a entrambi e tornò ad appoggiarsi allo schienale, - E poi, considerando che è proprio del suo disegno che stavamo parlando, è più che benvenuta. -
Nell’appoggiare la bocca alla tazza, Melwen increspò le labbra in un sorrisetto vittorioso. Anche se la tentazione di prenderla di forza e riportarla a letto era tanta, Zefiro si obbligò a rimanere seduto, con braccia incrociate sul petto e le mani infilate sotto le ascelle. Le tirò fuori solo quando Eogann gli porse la tazza di latte e miele, di nuovo calda.
- Ho copiato la mappa da questo libro. - disse Melwen porgendogli il libro e nascose i piedi sotto la gonna della camicia da notte, - Lo ha trovato Zefiro nella biblioteca della vecchia Alabastria. -
Eogann annuì, sfogliandolo: - Questi disegni sono davvero belli. Sono delle vere e proprie opere d’arte. -
- La mappa si trova quasi a metà ed è stata disegnata su due pagine. Ci ho messo un po’ a farla apparire, ma alla fine ho trovato la giusta combinazione per decriptare l’incantesimo protettivo. - 
Si riappropriò delicatamente il libro dalle mani di Eogann e scorse in fretta le pagine. Le bastava avvicinare le dita perché queste girassero. 
- Se fosse stata solo una fantasia, l’autore non avrebbe avuto motivo di nasconderla. -
- Però lo sai cosa dicono le leggende: Faerie permette a pochi di entrare e a pochissimi di uscire. -
Le dita di Zefiro si strinsero di più attorno alla tazza, ma il calore non era neppure sufficiente a scacciare l’intirizzimento alle dita. Così si limitò ad avvicinare le gambe e a raggomitolarsi come poteva, stringendo i gomiti ai fianchi e piegandosi in avanti, sullo stomaco dolorosamente contratto.
- Faerie? - domandò Melwen.
- È il nome del regno delle fate. A nessun Sidhe piacerebbe essere chiamato Fae. È come se io decidessi di chiamare un uomo "coccodè". -
Il modo in cui fece il verso della gallina strappò un sorriso a tutti e due i bambini. 
- Comunque, questo racconta la leggenda. Entrare a Faerie è difficile, uscirne è quasi impossibile, almeno per i non-Sidhe. È il motivo per cui non ho creduto al mercante quando mi ha riferito di essere stato lui stesso a catturare Ygerna. -
Melwen si mordicchiò il labbro inferiore, arrotolando e srotolando un ricciolo sulla punta dell’indice: - Allora rimangono solo due scelte. O l’autore era un Fa… Sidhe, oppure era una persona così forte da riuscire ad andarsene e a mantenere la memoria. -
- Oppure, era entrambe le cose. -
Eogann si alzò e andò a prendere un grosso libro dalla libreria dietro lo scrittoio. Si inumidì le dita, scorse le pagine e tornò dai bambini, seguito dalle fiammelle che, subito, si ammassarono sopra la sua testa in un’ordinata mezzaluna.
“Al principio era Yggrasil, quando ancora nulla esisteva. Non c'era né cielo bordato di nuvole, né foresta, né gelide onde, né vento caldo. Poi Egli uscì dalle pieghe del tempo e modellò il Suo pensiero, cominciando a dare forma al mondo. Sotto il suo tocco si formò la terra e, dove diresse gli occhi, splendette il Sole, compagno della Luna, coprendo quelle lande desolate di prati e germogli profumati. Infine, tese la mano e sotto il suo palmo la terra si aprì, lasciando sgorgare l'acqua di mari, oceani e fiumi. Con la forza degli elementi da Lui creati, generò gli altri undici dei, Suoi amati Figli.” - 
Continuò a leggere a bassa voce, muovendo le labbra senza emettere alcun suono. Si fermò su una riga, ma gli occhi continuarono proseguirono ancora un pezzo prima che la voce desse corpo alle parole. 
“I Drokar sarebbero dovuti essere la Stirpe perfetta, inferiore solo a quella di Yggrasil. Invece erano al pari di tutte le altre, senza luce e senza gloria. Endemion, logorato dalla gelosia, rifiutò di considerarla un fallimento e giurò vendetta contro i propri Fratelli e Yggrasil stesso”. -
- Yggrasil sapeva che Aesir sarebbe tornato. È per questo che ha lasciato tre frammenti della sua anima nel Mondo Nato dal Nulla, perché noi potessimo difenderci.  Ma no, non fece solo questo. No, chiese ai suoi figli di scegliere un eletto che potesse operare il volere degli dei e potesse impugnare anche la Forbice del Cielo. - Melwen aveva gli occhi spalancati e articolava parole senza voce, battendo il piede come per scandire lo scorrere dei suoi pensieri, - Ora tutto comincia ad avere un senso. -
Zefiro corrugò le sopracciglia e scosse la testa: - Che cosa ha un senso? -
- Chi ha realizzato la mappa era un Guardiano. È il suo lascito, capisci? -
- Perché dovrebbe interessarci? -
- Perché sono i Sidhe i custodi della Forbice del Cielo. - spiegò Eogann.
Una pipa si alzò dallo scaffale più alto della libreria e volò tra le sue mani. Schioccò le dita e, sulla punta del suo pollice, si accese una piccola fiamma, con cui l'accese. Al primo tiro, nell’aria si diffuse un odore dolciastro.
- Nel Mablung Ringëril è chiamata "Amernwyn", nella Seferìa "Forbice del Cielo". Qualunque sia il suo nome, è la spada che Yggrasil usò per sconfiggere Endemion, o Aesir. - aspirò, gonfiò appena le guance e soffiò fuori una voluta di fumo, - Ragioniamo per assurdo. Se colui o colei che ha disegnato questa mappa fosse stato un Guardiano, avrebbe avuto non solo le capacità per andare e uscire da Faerie, ma anche motivo sia per disegnare una mappa sia per nasconderla. Considerato il grado dei dettagli, non è da escludere che fosse un Sidhe a sua volta. -
Zefiro prese la pergamena e la strinse così forte da accartocciarne i lati e creparne gli angoli.
- Tutto quello che state dicendo non ha il benché minimo senso. Parlate di dei, Guardiani, spade magiche e mappe segrete come se tutto questo fosse… fosse reale! -
- È molto meno assurdo di quello che potres… -
- No, è assurdo e basta. Sono leggende, Melwen. Come puoi crederci? -
- Perché, paradossalmente, sembrano le uniche in grado di darci delle risposte. - lo sedò Eogann, per poi massaggiarsi la radice del naso e distendere le gambe sopra una coccinella grossa quanto un gatto, - Dalla caduta di Llanowar, il mondo è cambiato, e il tempo anche non è più lo stesso. Ho sentito che la primavera, al sud, è arrivata prima del previsto e che a ovest spirano dei venti così forti da impedire la normale navigazione. È come se qualcosa, nel cuore del mondo, si fosse rotto. -
- E quando l'equilibrio viene compromesso, compare il Guardiano. - completò Melwen.
Il mago annuì, mordicchiando il dente del bocchino: - Devo recuperare i miei appunti sul frammento che mi ha portato tuo padre. Forse da quelli potrò… -
- Io vado a dormire. -
Zefiro si alzò e si pulì dalla polvere luccicante che gli si era appiccicata alle dita. 
- Zefiro, ma che ti prende? - 
Melwen lo afferrò per il braccio. I suoi occhi avevano assunto una sfumatura rossastra e il sudore le aveva macchiato la camicia sotto le ascelle e sul collo.
- Mi prende che mi è venuto sonno e voglio andare a dormire. Anche tu dovresti, hai bisogno di riposare. -
- Ma finalmente possiamo avere delle risposte! -
- Parla per te. A me non interessa. -
Tentò di liberarsi, ma Melwen non si arrese: - Non è vero. È solo una bugia perché sei uno stupido fifone! -
- Non sono un fifone! - 
Zefiro si districò e la spinse a terra. Ignorando lo sguardo disorientato dell'amica e i rimproveri di Eogann, marciò fuori dalla stanza senza voltarsi indietro. 
Un'ora dopo, tenne gli occhi fermamente chiusi quando udì Melwen rientrare. La sentì infilarsi sotto le coperte, girarsi e rigirarsi per un po’, finché il respiro non si allineò sulla sequenza del sonno. Non si svegliò mai e Zefiro non si azzardò ad abbracciarla. Aveva paura che, se avesse percepito il suo calore, l’avrebbe spinto via.
Distese le gambe e si fissò le mani. La luce della luna le illuminava di un chiarore spettrale, esaltando il profilo delle ossa e delle vene scure. Aveva spaccato lo spallaccio dell’elfo che aveva aggredito Melwen con quelle mani. Lo aveva stretto e il cuoio si era piegato come una foglia essiccata dal freddo. Aveva trovato piacevole il sapore del sangue, la sensazione di potere che aveva portato con sé, e più ci pensava, più si rendeva conto che avrebbe voluto assaporarla di nuovo.
Ritirò un braccio sotto le coperte e allungò l’altro sotto il cuscino, lasciando la mano a penzoloni fuori dal letto. Nel buio sbocciarono grosse macchie di colore, così grandi e vivide da sembrare fiori nell’oscurità della stanza. Giravano su se stessi come trottole. Più Zefiro assottigliava gli occhi, più diventavano definiti, così come i visi nascosti dal loro vorticare. 
Intravide l’espressione distesa di suo padre davanti al camino di casa. Le ombre delle fiamme si proiettavano sul tappeto, sfiorando i piedi nudi e induriti dai calli. 
Scorse Alan camminare per le strade di Amount-vinya. Lo seguivano le guardie e alcuni bambini, tutti sorridenti sotto i riverberi del sole sull’acciottolato. 
Baldur intagliava la sua spada di legno seduto su uno sgabello in giardino. I trucioli si erano depositati ai suoi piedi come petali dopo la pioggia. 
Nordri fissava il suo operato e lo intratteneva, riempiendogli il boccale prima che il vino finisse.
Morti. Erano tutti morti. 
Zefiro strinse il lenzuolo e abbassò le palpebre. I fiori ricomparvero comunque, si aprirono e ripresero a vorticare fino fondersi in un uniforme velo rosso. 
Rivide sua madre con Nyi, nello spazio erboso dove si erano accampati mentre fuggivano. Udì la voce di Nyi come se fosse lì con lui in quel momento.
- Non è umano, è inutile chiudere gli occhi davanti all'evidenza. -
- Non vuoi nemmeno ascoltare la mia teoria? -
- Tuo figlio presto pretenderà delle risposte. - 
Buttò all’aria le coperte, corse in bagno e sbatté la porta. Gli tremavano le mani mentre si scostava la stoffa da una spalla. La voglia era lì, tra scapola e collo, una macchia oblunga e nera come un livido.
- Cos’è quella? -
Zefiro afferrò la tunica e la frappose tra lui e lo sguardo interrogativo di Myria: - Niente. Che ci fai qui? - 
Sua madre compì un passo all’interno del bagno e si chiuse piano la porta alle spalle, come se avesse a che fare con un animale impaurito. Zefiro non si mosse. Si strinse la tunica al petto e seguì con gli occhi sua madre mentre prendeva posto sulla sedia di fianco alla vasca.
- Sai che puoi dirmi tutto. Sono tua madre, non c’è niente che… -
- Tu non sei mia madre. -
Myria gelò.
- Non dire così, Zefiro. Io e Tanet ti abbiamo sempre amato. -
- Quindi è vero. È… è come diceva Nyi. Dimmi cosa sono. - 
Le lacrime gli appesantirono le ciglia. Scansò la mano di sua madre, protesa per elargirgli una carezza sul viso, e si spostò di lato, fuori dalla sua portata.
- Sei mio figlio. -
- Basta bugie! -
- Non ti sto mentendo. -
- Smettila! Quello che ho fatto non è normale, lo sai anche tu! -
Myria non rispose. La bocca si mosse, ma senza articolare alcuna parola. Il suo respiro spezzato pervadeva il silenzio. 
Zefiro lasciò cadere la tunica e avanzò verso di lei: - Voglio sapere la verità. Me lo devi. -
- Non costringermi, ti prego… -
- Voglio sapere. -
Impresse in quel “voglio” tutta la sua disperazione. 
Sua madre intrecciò le dita in grembo e abbassò il capo. I capelli scesero a incorniciarle la fronte e le guance.
- Ti ha portato tuo padre a casa. Mi ha detto di averti trovato abbandonato in un vicolo di Amount-vinya. -
Zefiro deglutì. Le vertigini lo colsero e le ginocchia si piegarono sotto il peso del suo corpo. L’impatto della schiena contro la parete si ripercosse nella gabbia toracica e nella spina dorsale, togliendogli il fiato.
- Non so chi fossero i tuoi veri genitori, né il motivo per cui ti hanno abbandonato. Quando Tanet ti ha portato a casa, ero soltanto felice del dono che gli dei mi avevano fatto. -
- Zefiro… Zefiro è…? -
- Il tuo nome, lo abbiamo scelto noi. - Myria si alzò e, prima che Zefiro potesse spostarsi, gli circondò la testa con le braccia, premendosela contro il proprio petto, - Io e tuo padre ci eravamo promessi che sarebbe rimasto un segreto finché non saresti stato abbastanza grande. E quando lui è morto, tu eri ancora troppo piccolo. -
- Me ne avresti mai parlato? -
- Sì… sì, lo avrei fatto. -
Zefiro colse l’esitazione nella sua voce. Quelle parole gli avevano cavato fuori tutto e, adesso, erano rimasti solo i muscoli e le interiora gelate a trattenere il suo corpo vuoto. Piano, come in un sogno a occhi aperti, spinse via la donna e uscì dal bagno.
 
Anche se era stata l’ultima a infilarsi a letto, Melwen fu la prima ad alzarsi la mattina seguente. 
Quando udì la porta chiudersi e i passi allontanarsi, Zefiro si sedette sul materasso. Si trascinò in bagno, si lavò e scese a far colazione. Non appena lo vide, Eogann gli rivolse un caloroso sorriso, accompagnato da un “buongiorno” che scalfì appena il suo silenzio. 
Myria e Melwen sedevano dall’altra parte del tavolo. Nessuna delle due gli rivolse la parola. Soltanto sua madre, di tanto in tanto, si azzardava ad alzare la testa per guardarlo. Zefiro incassò le sue occhiate, le sostenne per un po' e le lasciò cadere, abbassando lo sguardo prima che il bisogno di andare ad abbracciarla prevalesse. 
Si defilò non appena poté, senza rivolgere la parola a nessuno.
Passò la mattina a gironzolare tra il giardino e l’orto e, quando si stancò, andò a rifugiarsi nella stalla. Reza lo accolse con una lunga occhiata stizzita, ma non gli ringhiò di andarsene, né si arrabbiò quando Zefiro si sedette vicino a lui. 
Era un silenzio piacevole, quello che sussisteva lì dentro. Il profumo di paglia e legno si accompagnava a quello dei cespi d’erba lasciati a essiccare appesi alle pareti. Con la poca luce che trapelava attraverso le varie fessure, tutto era avvolto dalla semioscurità. Se soltanto non avesse avuto la mente così affollata e rumorosa, Zefiro si sarebbe lasciato volentieri vincere dalla stanchezza. Rimase lì finché Eogann non si affacciò e lo informò che era pronto in tavola.
Durante il pranzo, le conversazioni ebbero un andamento altalenante. Nessuno si impegnò molto per evitare i silenzi. Zefiro rimestò la sua zuppa di patate, ormai fredda, trincerato dietro un muro di mutismo.
Quando gli adulti si alzarono e rimase solo Melwen, la bambina gli scoccò un'occhiata incerta.
- Cosa è successo ieri con tua madre? Avete litigato? -
Zefiro si bloccò e alzò lo sguardo. Melwen lo fissava dall’altra parte del tavolo con un contorno di marmellata di fichi attorno alle labbra. Se non avesse avuto un’espressione così seria, gli sarebbe venuto da ridere.
- Credevo stessi dormendo. -
- Il tuo continuo sbattere le porte mi ha svegliata. - addentò la fetta di pane e si pulì la bocca e la punta del naso, - Allora? Hai intenzione di dirmi cosa ti è preso ieri, oppure devo tirare a indovinare? -
Zefiro sollevò un pezzo di patata, lo portò all’altezza degli occhi e lo lasciò ricadere nella tazza. 
- Puoi provarci, ma non credo ci riusciresti. -
- Per quanto ancora pensi di continuare a fare così? -
- Così come? -
- A comportarti da "cattivo", anche se ci sarebbe una parola molto più volgare, e calzante, per descriverti. -
- Ma tu sei una brava bambina e non la dirai. -
- Sono seria. Voglio sapere cos’hai. -
Zefiro avrebbe voluto avere una bugia pronta da rifilarle, ma non gli veniva in mente nulla. Le parole gli erano precipitate in gola e nello stomaco si erano sciolte. Sobbalzò quando percepì il calore di una mano sulla propria. Melwen si era seduta di fianco a lui e sorrideva. Quel sorriso aveva il potere di calmarlo più di qualsiasi tisana.
- Non sono arrabbiata con te. Cioè sì, lo sono, ma non tanto da far finta di niente. -
- È complicato da spiegare. - sospirò arreso.
- Non c’è molto da fare qui. Ho tutto il tempo del mondo. -
Zefiro allacciò le dita dietro la nuca e rimase in silenzio a guardare la luce che ingrigiva il paesaggio.
- Andiamo fuori. Ho voglia di sgranchirmi le gambe. - propose, - Ce la fai o sei troppo stanca? -
- No, ce la faccio. -
Il giardino di Eogann era ben curato, così come casa sua. Avanzarono nell’erba bassa fino allo steccato e si sedettero con le gambe a penzoloni. Il vento scivolava sulla superficie del lago, increspando il riflesso della città e del tempio di Ovenar. A guardarlo da lì, a Zefiro non sembrava così maestoso come gli era parso qualche giorno prima.
- È davvero possibile che nessuno ci veda? - 
- Con la magia si può quasi tutto. -
- Quasi? -
- Ci sono cose che soltanto un dio potrebbe fare. - disse Melwen, per poi puntargli il dito contro il naso, - Non provare a distrarmi. La tua tattica questa volta non funzionerà. -
- Non ci avevo pensato, a essere sincero. Mi stavo solo chiedendo se eravamo davvero al sicuro come diceva Eogann. - sospirò di nuovo e rilassò le spalle, - Il giorno dopo la caduta di Alabastria mi è apparsa una macchia sulla spalla. - rivelò sottovoce.
- Una macchia? -
- Sì. Il giorno prima non c’era e ora… ora è lì. E ho paura e sono arrabbiato con mia madre. - si passò entrambe le mani sul viso per scacciare le lacrime, - Perché lei e papà sapevano che ero strano, ma non mi hanno mai detto niente. Mi hanno tenuto nascosto che non ero loro figlio e forse mamma nemmeno me lo avrebbe detto. -
Melwen si fece più vicina. Quando lo strinse a sé in un abbraccio, Zefiro crollò. Le mura si sgretolarono e la disperazione si riversò fuori in un singulto che lo scosse fin nello stomaco.
- Sono un mostro... -
- No, non è vero. - protestò Melwen con veemenza, - Non dirlo neanche per scherzo. -
- I miei veri genitori non mi hanno voluto. Mi... mi hanno abbandonato in un vicolo, capisci? Non mi hanno nemmeno dato un nome. - 
Più parlava, più sentiva la crepa dentro di sé allargarsi. Ma, anche se avesse voluto, non aveva più la forza di trattenersi. 
- Non mi hanno voluto perché sono un mostro. Loro sapevano quello che sarei diventato e hanno voluto sbarazzarsi di me. -
La sua voce si spezzò. I singhiozzi frammentarono le frasi, riducendole a brandelli prima che potesse pronunciarle. Tuttavia, per quanta rabbia potesse provare, non allontanò Melwen da sé. Lei gli premette la testa contro la spalla e lo cinse con tutte e due le braccia, finché i singhiozzi non esaurirono.
- Sei la persona più dolce e gentile che conosca, Zefiro. Non puoi essere un mostro. E anche lo fossi, io non ho paura di te, perché so che non mi faresti mai del male. -
Zefiro tirò su col naso e si raddrizzò. Si sentiva la testa svuotata e i pensieri, i pochi che erano rimasti, era come se non avessero più peso e fossero diventati d’improvviso inconsistenti.
- Come fai a esserne sicura? Ti ho detto che mi è piaciuto il sang… -
- Ho sentito, e non penso proprio tu sia cattivo. Il mostro sotto il letto di mia sorella lo era. Persino mia mamma, quando si arrabbiava, faceva più paura, e tu hai visto quanto poco fosse minacciosa. -
- Melwen, è una cosa seria. - la rimproverò, ma le labbra si curvarono spontaneamente nel fantasma di un sorriso.
- Pure io lo sono. Magari non sei umano, ma questo non significa che tu sia cattivo. Sei solo diverso, tutto qui. -
- Quindi non hai paura di me? -
- Come potrei? Sei il mio migliore amico. Mi hai anche salvato la vita, proprio come un vero eroe. - disse e gli rivolse un sorriso a trentadue denti.
Il vento si infilò tra le pieghe della gonna, aprendola come la corolla di un fiore. Melwen scoppiò a ridere e inclinò il collo per godersi la luce del sole che, all’improvviso, si era fatta largo nelle nubi. 
- Eogann potrebbe darti delle risposte su quello che sei. Credo che dovresti ascoltarlo. -
- Pensi mi permetterà di andare nel suo studio? -
- Sì. Soprattutto Ygerna. Ecco, vedi? Se fossi cattivo, non potresti piacere a una farfalla fatata. -
- A me fa strano anche solo pensare che esista una farfalla fatata. O… o che esistano le fate, in generale. -
Melwen ridacchiò: - Mio padre diceva che il mondo è strano e pieno di meraviglie da scoprire. Credo che, se fosse ancora vivo, sarebbe stato felice di questa nostra scoperta. -
Rimasero a guardare il transitare di uomini e bestie sul sentiero finché stare seduti sullo steccato non divenne troppo scomodo. Allora, con le gambe formicolanti, balzarono a terra e tornarono dentro casa.
Per cena mangiarono un bollito misto di spigola e code di rospo, accompagnati da un brodetto aromatizzato con sedano, cipolle e prezzemolo. Quand’ebbero finito, Myria si offrì di andare a lavare i piatti, mentre Nyi raccomandò tutti di prepararsi per la partenza del giorno dopo. 
Eogann fu l’unico che rimase a tavola con i bambini. Zefiro attese che finisse il suo bicchiere di vino, prima di seguirlo assieme a Melwen nel suo studio al piano di sotto. Non appena mise piede sull’erba, Ygerna si innalzò dalla corolla di un tulipano e gli svolazzò attorno, spargendogli addosso una nuvola di polvere luccicante.
- Allora… stai un po’ meglio rispetto a ieri? - gli domandò Eogann.
- Perdonatemi, sono stato maleducato. - rispose con una smorfia colpevole.
- Non preoccuparti. E smettila di darmi del "voi". Sedetevi, piuttosto. In Accademia avrete tutto il tempo per stare in piedi e ingrassare l’ego dei professori con le buone maniere. -
- Solo Melwen ci andrà. Io e mia madre… non lo so cosa faremo. - disse Zefiro.
- Oh. - 
Eogann prese la pipa e, come la sera precedente, l’accese con uno schiocco di dita. Quando accavallò le gambe, le narici si dilatarono appena nel spingere fuori il fumo. 
- Bah, tipico di Nyi: prima i suoi allievi, sempre e comunque. -
Melwen strinse la copertina del libro e arcuò le spalle in avanti. Di riflesso, Zefiro appoggiò la mano sulla sua. Poi il bambino si rivolse al mago. 
- Ho bisogno di parlarti. -
- Lo so. -
Zefiro si strofinò le mani sudate sui pantaloni e focalizzò la sua attenzione su Ygerna, sul suo caotico volo di fiore in fiore. Quando la farfalla si posò su una pianta di malva, si sentì pronto a parlare.
- Ad Alabastria ho tentato di uccidere un elfo. - il solo ammetterlo ad alta voce gli causò un brivido di ribrezzo, - Melwen era svenuta e lui si stava avvicinando a lei e io… gli sono saltato addosso. E quando l’ho morso e ho percepito il sapore del suo sangue sulla lingua, mi sono scoperto a desiderarne ancora. È stato brutto venire scaraventato contro una sedia, e non solo perché ho ricominciato a sentire dolore. - 
Girò le mani e rimase a guardarne i palmi. Il ricordo tattile del sangue gli macchiò di nuovo le dita e per un momento tornarono di nuovo appiccicose e sporche come quel giorno. 
- Poi è apparsa una macchia nera sulla mia spalla. Me ne sono accorto la mattina dopo la caduta della città. -
- Fammi vedere. -
Zefiro abbassò il collo della tunica e alzò la spalla. Eogann ispezionò la macchia, inclinando la testa in modo da guardarla da più angolazioni. 
- Ho letto qualcosa a riguardo. - spostò la pipa all’angolo della bocca, sfilò un libro da uno degli scaffali più alti e cominciò a sfogliarlo in fretta, - Li chiamano Dhoìsidhe, o Eile. Sono i figli di una fata e di un umano. -
Quelle parole lo colpirono come uno schiaffo. Zefiro fissò stralunato il libro che Eogann teneva aperto sulle ginocchia, focalizzando la sua attenzione sulla pagina che gli stava indicando. Lì c'era un disegno in bianco e nero di una donna girata di schiena. Sulla spalla aveva una macchia oblunga e scura.
- La carne umana è la preferita dei Sidhe. Anche se non si avventurano mai al di fuori dei loro confini, si assicurano di attirare le prede nei loro boschi per catturarle. Eppure, alcune leggende raccontano di alcuni fatati che si sono innamorati di umani e hanno deciso di abbandonare Faerie. Non si sa molto di queste coppie, se non che il genitore Sidhe impone il Marchio alla propria progenie, prima di abbandonarla. -
Zefiro prese il libro e sfiorò in punta di dita la macchia scura sulla spalla della ragazza. Non riusciva a parlare. Le cose al limitare del suo campo visivo erano sfocate, i suoni attutiti. Davanti ai suoi occhi non c’era altro che quel disegno attorniato da una nube di inchiostro disciolto.
- Perché abbandonano i propri figli? - chiese Melwen.
- Non lo sappiamo. Le leggende dicono che è perché li disprezzano, altre perché desiderano che vivano come umani finché non sentiranno il richiamo del loro sangue Sidhe. Mi dispiace Zefiro… -
Il bambino scosse la testa. Si pizzicò forte il braccio, ma lo studio non svanì né lui si svegliò nel suo letto. Anche il dolore lo intorpidì appena.
- È assurdo. - esalò con un filo di voce.
- Molte di quanto sta succedendo è assurdo. - Eogann fece il giro del tavolo, aprì un cassetto e porse un plico di fogli a Melwen, - Questi sono i miei appunti sul cristallo che mi aveva portato tuo padre. Credo sia giusto che li abbia tu. -
- Grazie per quello che hai fatto per noi. - disse Melwen, prese le pergamene e le infilò dentro il libro delle fiabe.
-  Avrei voluto fare di più, ma sono un mago mediocre. - rispose Eogann con un lieve sorriso e svuotò la pipa in un posacenere di terracotta scheggiato, - Ora andate a letto. Se avrete problemi ad addormentarvi, vi lascio la teiera calda con un infuso di camomilla sul tavolo. -
Zefiro si dovette appoggiare a Melwen per sollevarsi. Non si sentiva più le ginocchia, le gambe, nulla. Dalla cintola in giù i muscoli non erano altro che pietra.
Dormirono affiancati tutta la notte, mano nella mano. Poco dopo colazione, si radunarono fuori assieme a Raiza, Myria ed Eogann. Nyi li attendeva con le mani intrecciate dietro la schiena. Il sole, così caldo e luminoso, gli dorava i capelli e i peli sul dorso dei piedi. Diede loro le spalle e mosse le braccia descrivendo degli ampi cerchi, mentre davanti a lui si apriva lo stesso specchio fumoso che, giorni prima, li aveva teletrasportati fuori da Alabastria.
- Alla capitale sarete al sicuro. Non dimenticherete tutto, ma avrete tempo per… dare un senso al vostro dolore. - mormorò Eogann, inginocchiandosi dietro ai due bambini, - Zefiro, ricorda che non è il nostro sangue a decidere il nostro futuro. Le radici servono a dare stabilità all’albero, ma sono i suoi rami a permettergli di toccare il cielo. -
Quando mise una mano sulla spalla di Zefiro, Ygerna subito vi si posò sopra.
- Andiamo, non ho intenzione di tenere aperto il portale per i vostri stupidi addii. - borbottò Nyi.
Eogann li sospinse in avanti e Melwen trascinò Zefiro fino al portale. Al di là non c’erano altro che ombre immobili. 
Il bambino esitò sulla soglia e si girò a guardare sua madre, che li seguiva un paio di passi più indietro. Aveva bisogno di tempo per capire se poteva perdonarla, ma in quel momento si sforzò di abbozzare un sorriso per non farle perdere la speranza.
Infine, racimolando il coraggio, trasse un profondo respiro e seguì Melwen dentro il portale.


  
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