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Autore: Cara93    14/12/2018    4 recensioni
Francia, 1791. La fuga della famiglia reale vista attraverso gli occhi di Luigi Carlo, delfino di Francia.
What if, perciò, il tentativo di fuga è riuscito
{Storia partecipante al contest "Senza tempo" indetto da mistery_koopa sul Forum di EFP}
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Passo il mio tempo giocando con la figurina di legno, una di quelle che rappresenta un generale di Francia, anche se io fingo che si tratti di un membro della Guardia Reale, elegante e fiero. Con lui solo, al comando, coraggioso com'è e incapace di provare dolore o paura, Papà sbaraglierebbe i suoi nemici uno dopo l'altro. So che è così. Papà non ha ancora vinto perché non ha al suo servizio un generale come il mio.

Continuano a ripetermi che sono il Delfino di Francia, ma non mi sembra proprio. Non abitiamo più nell'enorme ed elegante castello in cui sono nato, Maman non può più passeggiare negli immensi parchi della reggia. Ora, abitiamo nel castello più modesto, quello che, quando ero più piccolo, usavano come teatro o come luogo di passaggio. Le stanze sono completamente diverse da quelle che ero abituato ad occupare: meno calde e più spoglie. Non mi dà molto fastidio, come non darebbe fastidio al generale della Guardia Reale, che non ha paura del freddo e della riduzione delle comodità. E io non posso essere meno di un soldato, visto che sono un principe.

Maman non vuole che mi agiti troppo, ha paura che questa situazione sia troppo gravosa per il mio corpicino gracile e che possa morire come mio fratello, il vero Delfino. Maman si preoccupa troppo, a volte. Perciò, non mi dicono niente. Tutto quello che so, è ciò che riesco a recepire origliando alle porte o da stralci di informazioni sentite per caso. Sono un uomo, ormai, non dovrebbero tenermi nascoste le cose.

Siamo in estate, fa caldo, ma non così tanto da costringere Maman e Louise a sventagliarsi esauste o a sedere irrequiete per la troppa stoffa sulla pelle. Da quando siamo qui, odio l'estate. Se prima, quando non ero Delfino potevo correre per i giardini, perfino giocare con il fango, ora non lo posso fare. Maman non vuole che mi allontani troppo e Louise è d'accordo, tanto che mi sorveglia come un falco. Se ho sete, non posso più scegliere tra le varie bibite come potevo fare a casa, ma ho a disposizione solo acqua, al massimo della frutta. Non che mi dispiaccia molto, a differenza di mia sorella Marie. Lei sì che continua a lagnarsi delle ingiustizie che la nostra famiglia sta subendo, tanto che Maman, di solito tanto buona quanto bella, le grida contro irritata, intimandole di tacere.

Quest'estate, però, c'è qualcosa di diverso, rispetto all'anno passato. Maman e i pochi servitori che le sono rimasti, sono febbrili e agitati, si chiudono le porte alle spalle, dopo essersi accertati che i nostri carcerieri siano fuori portata d'udito. Da ciò che riesco a sentire, Papà ha intenzione di radunare un esercito. Lo sapevo. Come so che Papà vincerà. Non può perdere, è il Re di Francia.

Tra brusii e sussurri, gli adulti cospirano tra loro. Alla fine, sembra che si siano messi d'accordo, perché una calma innaturale cala sul nostro castello-prigione. L'atmosfera è diversa, tesa. Sembra che nessuno voglia attirare l'attenzione, facendo qualcosa che potesse infastidire chi gli sta intorno.

Mi stropiccio gli occhi, indignato. Sono stato svegliato in piena notte, ho avuto solamente il tempo di prendere il mio soldato, mi hanno vestito con un abitino da femmina, nonostante le mie proteste. Per la prima volta, Marie mi dà uno schiaffo sulla bocca, dicendo che sono uno sciocco e che devo stare zitto. Se vogliamo andare via, devo fare come dice. Non so se voglio andare via, anche se stare qui non mi piace.

Da bravo principe-soldato, scortato da mia sorella, ci aggiriamo furtivamente per i corridoi del castello-prigione. Il trucco è tutto nel non fare rumore. Siamo dei soldati pronti ad attaccare i nemici, siamo dei cacciatori che, silenziosi e veloci, devono catturare le strane e bellissime bestie d'Africa. Ogni tanto, sento le unghie di Marie trafiggermi la pelle, anche se non capisco perché.

Louise e Papà ci stanno aspettando sul retro del castello-prigione, una carrozza scura vicino a loro. Maman arriva poco più tardi, trafelata, balbettando una scusa verso Papà, che anche se è un po' agitato, la rassicura. Saliamo tutti sulla carrozza. Sono contento, nonostante i vestiti e il viaggio imprevisto, perché così posso vedere una Guardia Reale da vicino. O almeno, Louise dice che è una Guardia Reale, anche se non ne ha l'aspetto. Sembra un semplice cameriere. Mi accoccolo sul sedile tra Louise e Maman e mi addormento, cullato dal dondolio della carrozza. 

Quando mi sveglio, è già mattina. Ed è grazie al sole che filtra tra le cortine che schermano i finestrini, che mi accorgo che non sono l'unico ad essere vestito in modo poco consono. Louise ha addosso uno dei vestiti da viaggio di Maman, uno di quelli meno sfarzosi, ma sicuramente più eleganti di quelli che è solita portare. Maman è vestita come Cocò, la cameriera un po' stupida che rassettava sempre le camere e si occupava di ravvivare i fuochi in inverno, tanto semplice da risultare invisibile, qualità che non avrei mai pensato potesse accostarsi a Maman. Senza gonne e sottogonne e corpetti tempestati di gemme, non sembra più così luminosa e lontana. Non porta la parrucca, come invece fa Louise. Anzi, i capelli biondi sono piuttosto sfibrati e spenti, nascosti alla bell'e meglio sotto una cuffia. Contrasta brutalemente con Louise, che ora sembra davvero più bella di Maman, anche se è solo un'impressione. Senza la parrucca rossa, acconciata in un'elaborata pettinatura, anche se più semplice di quella che avrebbe usato per una serata, senza il cerone sul viso e il neo disegnato sotto l'occhio, sicuramente chiunque si sarebbe accorto che Maman era la più bella. Ma così, non poteva che passare in secondo piano. Anche Marie è vestita in modo piuttosto sobrio, rispetto a come sono abituato a vederla. Siede di fronte a noi, lisciando le pieghe della gonna scura, imbronciata. Ad ogni scossone, si tiene nervosamente al portello della carrozza, evitando lo sguardo di Maman e Papà. Anche Papà è vestito come Maman. Anche se, nel suo caso, la differenza non è così sconvolgente. Vedere Papà nella livrea da valletto, nonostante sia il Re di Francia, non è così triste, per me, quanto vedere Maman vestita da cameriera. Forse perché, tra i due, è Maman quella che è sempre sembrata una vera reale. Quando mi lagno per le gonne e la biancheria femminile, così scomoda e larga rispetto alle brache che sono abituato a portare, mi sembra che Maman volesse darmi una risposta secca, un po' come lo schiaffo di Marie. Ma è Louise che mi rassicura. Quando il nostro viaggio sarà finito, tutto tornerà come prima. Non mi infastidisce più questo vestito da bambina, adesso ho capito. Siamo in missione segreta e, di certo, non sarò io a mandarla a monte. Sono un principe modello, coraggioso come il mio soldato di legno.

La carrozza corre veloce, sferragliando tra scossoni e strade male assestate. Abbiamo rischiato di doverci fermare, per disincagliare una ruota dal fango, ma, fortunatamente, non c'è stato nessun incidente. Nel complesso, si tratta di un viaggio noioso. Tutte le volte che cerco di guardare fuori, Maman mi scosta, a volte con dolcezza, altre risentita. Non capisco perché Marie possa guardare fuori, mentre io no. Louise tenta di distrarmi, con giochi di parole, storie e sciarade, ma non ci riesce molto bene. Come tutti gli altri, è nervosa e capisco che si sta impegnando solo perché badare a me è uno dei suoi compiti. Ogni tanto, sento Maman sospirare e tremare leggermente, come se avesse paura. Anche Papà è più cupo di quanto ricordassi. L'unica volta in cui ha parlato, è stata quando, mentre gocavo con il mio sodatino, Maman ha fatto per togliermelo dalle mani.
-Lasciaglielo, ma Chère. Almeno finché non ci fermiamo per la notte. Non ci vede nessun altro, lascia che si svaghi-
Maman non ha detto nulla, ma dalla tensione del suo viso, capisco che vorrebbe prendere il mio soldatino e scagliarlo fuori dalla carrozza. Non glielo lascerò fare. Non le vorrò più bene, se lo farà.

Ci fermiano per cambiare i cavalli, quando il sole è ancora alto, in un villaggio povero e sporco. Sento Maman e Papà che litigano sottovoce, fuori dalla carrozza. Non capisco cosa sta succedendo. Marie è infastidita. Tiro piano piano una manica a Louise, anch'io voglio capire. Papà ha deciso di modificare l'itinerario che il Conte di Fersen ha preparato per noi, per questo Maman è arrabbiata. Ma Papà e l'uomo della Guardia riescono a calmarla. Sembra che la strada scelta dal Conte non sia la migliore, per chi, come noi, viaggia sotto mentite spoglie.
Cala il sole, i suoi raggi si accorciano e le ombre si allungano. Viaggiare al buio, fa più paura, quindi mi stringo al soldatino. Voglio far vedere a Maman quanto sono coraggioso.

Arriviamo ad una locanda, dove potremmo riposare e cambiare nuovamente i cavalli. Non sarebbe normale, se non ci fermassimo, sarebbe come se avessimo qualcosa da nascondere. Almeno è questo quello che mi dicono. Mi ammoniscono un'altra volta, raccomandandomi di stare zitto e di nascondere il mio soldatino. E di non fare storie, se dovrò separarmi da Maman.
Il soldato della Guardia Reale, Stephane, riesce a patteggiare un prezzo accettabile per due stanze. In quelle più belle e pulite, dormiremo io, Louise e Marie; mentre Maman, Papà e Stephane avranno a disposizione una mansarda sopra le stalle. Sto per protestare, ma Marie lo capisce e mi dà un pizzicotto molto forte, così mi metto a piangere.
-Madame le Baronesse, la piccola Charlotte sta piangendo!- la sento rivolgere sia a Maman che a Louise.
-Lasciala pure alle cure di Madame Rochet, Rosalie- risponde Louise, con lo stesso tono che usa Maman quando è contrariata.

Maman mi culla e mi consola, mentre sottovoce, mi ricorda che devo stare attento. Quando mi calmo, mi accorgo che io, Maman, Papà e Stephane ci troviamo nella cucina della locanda, dove una donna vecchissima sta mescolando qualcosa in un pentolone. L'odore è buonissimo e ho già l'acquolina in bocca.
-Quanto odio cucinare per questa gente!- borbotta la vecchia, sputando nel pentolone -Canaglie, sono tutte canaglie. Non capisco perché l'hanno lasciata andar via, invece di tirarle il collo come merita!-
Maman mi stringe un po' più strettamente del necessario, mentre Papà si inumidisce le labbra, nervoso.
-Avete ragione, signora. Ma cosa possiamo fare noi? Non siamo nemmeno soldati- le risponde Stephane, con allegria. Sbatto le palpebre, incapace di capire se sta scherzando.
-La rivoluzione non ti ha insegnato niente, bambino?- lo riprende la vecchia.
-Sì, che il mio stomaco non sopporta il sangue- borbotta Stephane.
-Ecco a cosa riduce lavorare per quei lazzaroni! Giovani baldi e coraggiosi trasformati in donnicciole senza dignità- riprende ad inveire la vecchia.
-Avete ragione, buona donna. Quando il Re sarà morto, vedrete che cambierà tutto!- si intromise Papà. Non capisco. Se il Re è lui, perché dovrebbe morire?
-Finalmente qualcuno che ragiona!- lo elogia la vecchia. -Su, portala alla tua padrona, alla bimba ci penso io- disse, rivolgendosi a Maman.
-Si arrabbierà, se la lascio sola. Pretende che ce ne occupiamo solo io e Madamoiselle Rosalie, Madame- le risponde Maman. Persino la sua voce e il suo modo di parlare è cambiato, davanti a quella donna. Sembra più rozza, la parlata più semplice, come se mangiasse le parole. Avrei voluto ribattere, rimettere quella stracciona al suo posto, ma avevo promesso e dato la mia parola. E la parola di un soldato è sacra.

 -Alla piccola piace la vostra compagnia, Madame Rochet- la ragazza che si sta rivolgendo a Maman, non può essere più grande di Marie. Maman la sta aiutando a rammendare, al tavolo della cucina, dopo cena. Non sapevo che sapesse cucire.
-Mi è molto affezionata- la risposta di Maman è secca e restia, sicuramente non vuole che la ragazza, che sembra piuttosto sveglia e curiosa, si insospettisca.
-Lo vedo, è naturale che accada, dato che l'avete accudita voi- continuò -Dov'è il Barone?- chiese, poi.
-Non lo so. Nessuno lo sa-
-Sicuramente, la Baronessa è una di quelle- il tono della ragazza si fa più duro.
-Una di quelle?- nonostante mi avessero detto di tacere, non riesco a contenermi. Maman si irrigidisce, credo che, se fossimo stati soli, mi avrebbe battuto sul serio.
-Ah, quindi la petite ha la lingua! Una di quelle sgualdrine, come la Regina- risponde la ragazza, allegramente. Non so cosa significhi, ma capisco, dall'indignazione sul viso di Maman, che è qualcosa di brutto.
-Non dire queste cose davanti alla bambina! Se le ripete davanti alla signora, mi licenziano!- le dice, invece.
-Ma lo sanno tutti che la Regina è una sgualdrina, che non fa altro che saltare dal letto del Conte di Fersen a quello del Cardinale  di Rohan e per questo è stato assolto dopo quella storia della collana- tenta di difendersi la ragazza. Maman stira le labbra, in un sorriso finto.
-Mi interessa solo in quale letto dormirò stanotte, non di quelli della Regina di Francia- brontolò Maman. Non capisco come faccia a rimanere così calma e composta. Sono così fiero di Maman, sarebbe un ottimo soldato.
-Avete ragione, Madame, scusatemi-
-Appena riprenderemo il posto che ci spetta- esordice Maman la mattina dopo, quando la carrozza è ormai lontana dalla locanda - voglio che a quella donna e a sua figlia venga tagliata la lingua-
Non avevo mai sentito Maman parlare così.
-Ma Chére...- tenta di farle cambiare idea Papà
-No, Sire. Non lascerò perdere, questa volta. Mia madre mi ha insegnato a punire chi osa insultare l'onore della monarchia e lo farò. Sono stata insultata anche troppo, in questo maledetto Paese!-
Papà non risponde, forse non sa davvero cosa dire.

Il viaggio prosegue, il dondolio della carrozza ci ipnotizza, tanto che né Stephane né Papà si sono accorti di un posto di blocco in lontananza. Sono io che, sbirciando dalla tendina, anche se avevo promesso di non farlo, glielo faccio notare. Tutta la tensione che, man mano che il nostro viaggio prosegue, si è allentata, ritorna immediatamente indietro. Marie chiude gli occhi, mormorando una preghiera. Louise stringe convulsamente la mano di Maman, mentre le loro braccia mi tengono contro lo schienale, cercando di contenere la mia impazienza. Capisco che non vogliono che faccia rumore o scenate, hanno paura che io, essendo forse troppo piccolo per comprendere tutte le sfumature, possa farci scoprire. Il tempo sembra bloccarsi, vorticare, dilatarsi e restringersi mentre Papà e Stephane sono fuori, a parlamentare insieme al vetturino. Alla fine risalgono, Papà è pallido come un morto, mentre Stephane fischietta allegro. Maman li guarda fisso, aspettando una spiegazione.
-Erano soldati del Nuovo Governo- si decide a parlare Stephane. Maman impallidisce come Papà, se non di più -Ma state tranquille, mie signore- prosegue -sono mercenari, una bella borsa gonfia e ci lasceranno passare, a loro non importa se il passeggero è il Re di Francia, il Papa o Gesù in persona, basta che possa pagare-
Louise borbotta qualcosa, in segno di disapprovazione, ma Stephane le risponde subito: -Rallegratevi che sia così, mia signora! Se fossero stati devoti alla causa, ora non staremmo per raggiungere Varennes-en-Argonne e, si spera, proseguire poi per il luogo convenuto-
Louise si aqquieta, anche se la sento sussurrare distintamente: -Non c'è più religione, in Francia! Che tempi orribili, viviamo!-

Mi addormento per tutto il resto del viaggio, che non appena mi sveglio, sembra durato solo pochi istanti. Tutti sono agitati, eccitati e felici. L'entusiasmo è contagioso e scoppio a ridere senza sapere perché, anche se poi è Marie che me lo spiega: siamo quasi arrivati.
L'impazienza aumenta, con l'aumentare dei controlli. Il posto in cui staremo è una piazzaforte, quindi è presiediata da militari. Alcuni appartamenti sono stati requisiti ai generali, per noi. Capisco che Maman non è d'accordo, ma non possiamo avere scrupoli, non quando c'è di mezzo la nostra sopravvivenza. Quando finalmente la carrozza si ferma, io e Marie siamo i primi a scendere. Ci prendiamo per mano e cominciamo a girare in tondo, nonostante Louise ci preghi di smetterla. Parte dell'assembramento militare ci sta guardando, ma non ha alcuna importanza. Siamo all'aperto, liberi e tutti insieme. Andrà tutto bene, adesso.

Ormai alloggiamo alla piazzaforte di Montmédy da sei mesi. La noia la fa da padrona. Sembra che nulla sia cambiato dal castello-prigione. Certo, la differenza è che siamo circondati da persone che ci vogliono bene e non da uomini che non aspettano altro che vederci nella tomba. Sento Maman e Papà discutere animatamente, dietro le porte chiuse dei loro appartamenti, di nuovo. Ormai sono giorni che discutono. Alcuni generali, forse intimiditi dal mio rango o forse orgogliosi del mio coraggio, o ancora, inteneriti dal soldatino che porto sempre con me; mi spiegano che Maman e Papà sono in disaccordo su come gestire questa situazione. Maman vorrebbe portarci in Austria, in uno dei palazzi che l'Imperatore, nostro parente, ci metterebbe a disposizione e da lì cominciare a pianificare una contro offensiva. Papà, invece, non vuole che la famiglia reale si muova dalla Francia. Alla fine, deve averla spuntata Maman, perché fra pochi giorni partiremo ancora, alla volta del paese natale della Regina.

Marie continua a piangere, mentre Louise siede accanto a lei, dandole dei leggeri colpetti sulla spalla. Maman sbuffa sonoramente e, ad un certo punto, chiede a Marie di contenersi e di non fare la stupida: anche se rimanessimo, non le permetterebbero mai di sposare un soldato, neanche se fosse un generale perché è una principessa di Francia e ha dei doveri. Marie tira su col naso, gli occhi rossi dal pianto. Non dice niente, anzi, smette per tutto il giorno di parlare con Maman.

Siamo ospiti del Conte di Mercy-Argentraut, che è stato ambasciatore a palazzo. La sua villa non è grande o lussuosa, ma è certamente più comoda della piazzaforte, come sistemazione. In più, il Conte ha ritenuto opportuno che sia io che Marie riprendessimo gli studi, così ha trovato un precettore per me e una dama di compagnia per lei. Monsieur Jennings è un inglese in esilio o in cerca di fortuna, ma non ha importanza. Ha una conoscenza infinita, sembra sapere tutto di ogni cosa. Mentre Marie, che ormai ha quindici anni, praticamente una vecchia in età da marito, non si separa dalla sua chaperon, mandata su richiesta di Maman dall'Imperatore. Non sembra felice. Se Monsieur Jennings non avesse fatto un commento che mi ha spinto a tormentarlo con le mie domande, non avrei mai capito. Madame Hoffman è stata assunta per controllarla, per evitare che facesse colpi di testa e gettasse tutta la famiglia nello scandalo.

Adesso, il mio soldatino ha una schiera di fratelli, un esercito tutto per lui, che può comandare e scagliare contro un altro esercito. Non è stato un mio capriccio, Maman non l'avrebbe permesso, visto che siamo ospiti. Per mia fortuna, il Conte è un appassionato di soldatini e ne ha tantissimi. Ci sono, però, dei soldatini che io non posso toccare: stanno tutti allineati su una mappa della Francia, che può muovere solo il Conte e, quando viene a trovarci, Papà.

Papà ha deciso di rimanere alla piazzaforte, ma una volta ogni sei mesi viene a trovarci. Nessuno di noi aspetta queste visite con impazienza, perché Papà è sempre nervoso e litigioso, soprattutto con Maman. Quando c'è lui, una selva di corrireri e messaggeri si assiepa nella casa del Conte, tutti mandati dall'Imperatore. Non hanno ancora stretto un'alleanza formale, nonostante Maman continui a pressarlo in quella direzione. Papà insiste per trovare un accordo con i rivoltosi, mentre Maman vorrebbe reprimere tutto nel sangue. Monsieur Jennings crede che il metodo di Maman, alla lunga, ci si ritorcerà contro e che la Francia dovrebbe diventare una monarchia parlamentare come la sua patria. Io non ne sono tanto certo. Maman è un ottimo soldato, di certo più capace di Monsieur Jennings, a mio parere.

Sono nello studio del Conte, nascosto dietro una poltrona. Un gruppo dei miei migliori soldati scelti è in missione segreta, nascosto per tendere un'imboscata all'esercito nemico, quando Maman e Papà entrano nella stanza. Stanno litigando furiosamente, perciò non si accorgono di me. Mi rifugio sotto la scrivania del Conte, silenzioso come un topolino.
-Smettila con questi scrupoli e riprenditi il tuo posto!- sta urlando Maman.
-Non è così semplice come credi, moglie adorata- gli risponde, sembra che stia scherzando, ma di uno scherzo cattivo.
-Mio fratello ti ha concesso il suo esercito e l'appoggio del Papa e di tutte le monarchie europee e tu ancora esiti!- continua imperterrita Maman.
-Non voglio decimare il mio popolo, Maria Antonia. Sembra che tu non lo voglia capire-
-Perché dovresti risparmiare un popolo che non ti vuole?- gli chiede, la voce aspra.
-Che non vuole te-
Cala il silenzio sulle ultime parole di Papà. Ora la stanza è come avvolta dalla nebbia, mi sembra di assistere ad un sogno.
-Prestami attenzione- riprende Maman, con calma. Troppa calma. -Come credi che l'esercito ti possa rispettare, se non sei neppure in grado di dargli ordini precisi? Come credi che lo possano fare i tuoi figli?-
-I miei figli mi rispettano- dice lui, le mascelle contratte.
-Tu credi? Su una cosa hanno ragione i rivoluzionari: sei molle, indolente, pigro e incapace!-
-Allora parti! Vai, riconquista la Francia!-
-Oh, lo farò sicuramente!-
-Ai miei figli piacerà sapere che la loro madre è un'isterica vendicativa, sempre se sono i miei figli- lo schiaffo colpisce Papà con forza, tanto da lasciargli un'impronta rossa sul viso.
-Se non sai comportarti da Re, comportati almeno da uomo e assicura a tuo figlio il posto che gli spetta- sono le ultime parole tremanti di Maman, prima che uscisse di corsa, ancora piena di rabbia.

Siamo qui da così tanto tempo, che l'inverno è arrivato e passato, portando il mio compleanno. Non mi aspetto grandi regali, ormai sono abituato, ma resto comunque piacevolmente sorpreso quando trovo ad attendermi nella mia stanza una schiera di soldatini di stagno. Sono più resistenti del legno e la vernice con cui sono stati colorati è più brillante e duratura o almeno è quello che sostiene il Conte, quando li vede. Sono tutti estasiati dal mio nuovo esercito, persino Papà, che è passato appositamente a trovarci per l'occasione. Solo Marie è imbronciata e di pessimo umore, scortata costantemente dalla sua dama di compagnia, Madame Hoffman. Parla pochissimo con tutti e quando lo fa, non dice altro che cose brutte, per esempio, dopo avermi fatto gli auguri, si è dichiarata contenta del mio regalo, soprattutto perché così avrei potuto finalmente bruciare quel soldatino che porto sempre con me. Come se potessi tradire la fiducia del mio generale.

Vediamo più spesso mio zio l'Imperatore di Papà. Somiglia un poco a Maman, anche se è meno bello e meno giovane. A Maman piace passare del tempo con lui e lo ritiene un buon governante. Anche Monsieur Jennings lo crede e quindi il mio giudizio su di lui e le sue capacità di soldato si sta man mano ammorbidendo. Sembra che zio Joseph, come vuole che lo chiami, abbia emanato, nel corso degli anni, delle riforme ritenute giuste e buone e per questo è molto amato da tutti. A me non sembra giusto che per farsi amare dal popolo occorra fare delle riforme giuste, mi sembra innaturale. Tutti dovrebbero amare Papà perché è il Re e quindi sa qual'è la cosa giusta naturalmente. Come può saperlo un fornaio, un bottegaio, un cameriere o un avvocato? Provo a chiederlo a Monsieur Jennings, che però non risponde. Dice che per avere una risposta, devo studiare una cosa che si chiama "filosofia politica" ed è ancora troppo presto. Secondo me, non lo sa neppure lui.
Passa quasi un altro anno quando Maman ci dà la notizia: avremo una casa tutta nostra. Zio Joseph ci ha donato un palazzo e una rendita affinché potessimo tornare a vivere come nobili e non come fuggiaschi. Marie è completamente indifferente, mentre Louise piange disperata, infatti adesso che sono abbastanza grande per avere un precettore, il suo compito è finito e dovrà lasciarci. Forse si sposerà con un nobile austriaco, forse verrà accolta da zio Joseph e la sua corte. Non lo so e non è che mi interessi molto. Io, invece, sono contento, anche se mi mancherà la collezione di soldatini del Conte.

Partiamo per questa nuova sistemazione con un certo ritardo, sembra che Marie abbia deciso di impuntarsi su Louise. Piangeva e strepitava, dicendo che non sarebbe partita se Louise non fosse venuta con noi. Evidentemente, Maman l'ha rimessa al suo posto, perché alla fine, eccola salire in carrozza. Sembra quasi un fantasma, così smunta e magra. Sembra quasi più vecchia di Maman, anche se so che non è possibile. La degno di uno sguardo di spregio e trionfo, uno di quelli che sembra dire "ecco, visto che alla fine quella che disobbedisce a Maman sei tu?", ma non mi dà tutta la soddisfazione che credevo.
Il palazzo si trova in Sassonia, nel mezzo dell'Impero Austro-Ungarico. Questa volta posso guardare fuori del finestrino, ma non è molto divertente come quando mi era proibito.  Il paesaggio è piatto e noioso, solo prati e campi coltivati intramezzati da qualche villaggio. Alla fine, è un viaggio così noioso che non vedo l'ora di arrivare.

La vita nella nuova casa è come quella da ospite, gioco con i miei soldatini, mangio tre pasti al giorno e Monsieur Jennings mi fa lezione. Non vedo l'ora di diventare più grande, per poter andare in guerra con Papà. Perché sì, alla fine la guerra è scoppiata, in Francia. L'esercito di Papà è composto dalla fetta più fedele e "reazionaria", qualunque cosa significhi, dell'esercito francese; l'esercito regolare dell'Imperatore e i volontari "reazionari" dell'esercito spagnolo. Gli inglesi continuano a titubare, mandando messaggi contrastanti, non possiamo contare su di loro. L'esercito nemico, se così si può chiamare, è composto prevalentemente dal popolo e da volontari di tutte quelle minoranze che ci sono sempre in una monarchia vasta: piemontesi, liguri, lombardi, veneti, aostini, andorriani, belgi, olandesi e persino qualche ungherese. Io dico che Papà li spazzerà via tutti in una, massimo due battaglie, Monsieur Jennings non ne è così sicuro. Ormai, l'opinione di Monsieur Jennings su questioni politiche e militari non mi fa più né caldo né freddo, non credo che sappia nulla di tutto ciò.

Mi devo scusare con Monsieur Jennings, perché alla fine, risulta che ha ragione. La guerra dura quasi otto anni. Otto anni che passiamo ospiti di zio Joseph. Fremo di rabbia. Ormai sono adulto, dovrei cavalcare di fianco a Papà e dimostrargli il mio valore. Ormai ho diciassette anni, è ora che la smettano di giudicarmi un bambino. Maman non vuole, dice che è una faccenda che deve risolvere Papà, che ne va del suo onore. E poi, non vuole che la lasci sola. Da quando Marie si è sposata, quasi sei anni fa, pretende la mia compagnia. Non le basta quella delle sue dame, le donne che zio Joseph le ha mandato, perché una regina non può stare senza corte. Ora non ho più molto tempo per giocare, le mie giornate sono fitte d'impegni sociali e regolate dalle lezioni di Herr Krazen, che ha sostituito Monsieur Jennings. Oltre alle esercitazioni d'arme e d'equitazione. Maman, inoltre, insiste che io abbia un'insegnate francese speciale, perché i miei futuri sudditi non devono trattarmi come trattarono lei, appena arriavata in Francia. A me non importa. Sarò il loro re, non importa che mi accettino. Alla fine, Monsieur Jennings è riuscito a dare una risposta all'antica domanda: la sovranità viene dal popolo, perciò è un dovere del re non rompere il patto sociale con i suoi sudditi. A me sembra una gran sciocchezza, anche se capisco che c'è un fondo di verità: se il popolo sta bene, sta bene anche il re. Abbiamo solo una concezione diversa su cosa s'intenda "benessere", che varia a seconda di chi si parla, secondo me. Monsieur Jennings sosteneva che, con questo atteggiamento, finirò appeso per il collo. Non ha considerato che ci sarebbe finito prima lui, mancandomi di rispetto.

Herr Kranzen cerca di spiegarmi i rudimenti della strategia militare, anche se dice che sono un allievo terribile. Sono indisciplinato e privo di qualunque logica. Lo so, perché ho letto la copia della lettera che manda semestralmente a zio Joseph. Maman crede che esageri, d'altra parte, sono un ragazzo intelligente. Dopo qualche ora, in cui leggiamo e ricostruiamo grandi battaglie del passato, da quelle di Giulio Cesare all'esercito di Elisabetta I, Herr Kranzen si arrende ed esce dallo studio borbottando. Quando Maman gli chiede spiegazioni, qualche giorno dopo, dice che sono un povero ingenuo, che forse dovrei davvero cavalcare a fianco di Papà, almeno imparerei come si sta al mondo. Maman si fa livida e lo caccia via. D'ora in poi, studierò da solo.

Poco dopo il mio diciottesimo compleanno, Maman mi annuncia che stiamo per tornare in Francia. Papà ha vinto.
Solo quando arriviamo, scopro la terribile verità: Papà non c'è più, è morto in battaglia, per garantirmi il trono. Grazie al generale Bonaparte, che ha tradito la propria fazione, abbiamo vinto la battaglia decisiva. Bonaparte, anche se è uno straniero e popolano, ha la mia gratitudine e la mia stima e come mio primo atto ufficiale, lo renderò un nobile, forse, se mi piacerà, diventerà mio consigliere. Nell'aprile del 1800, vengo incoronato ufficialmente: il mio nome, ora, non è più Luigi Carlo, ma Luigi XVII di Francia.

All'inizio, Maman non è particolarmente entusiasta delle mie scelte, come re. Sono costretto a ricordarglielo più volte, alla fine, esasperato, la mando in esilio forzato al palazzo delle Touileries, dove siamo rimasti prigionieri quando i rivoltosi hanno preso possesso della città. Che capisca che con me, non può prendersi le libertà che si prendeva con Papà. Con l'aiuto di Bonaparte e del marchese di Bouillè, reprimo il malanimo all'interno del Parlamento. Per ora, non posso far nulla, per abolire questa seccatura, voluta così fortemente da Papà, come garanzia della buona fede della monarchia. Ma sto progettando di farlo in futuro. In fondo, sono io il re, sono io che decido.

Anche se il mio soldatino è vecchio e sbiadito, rimane sempre con me. Solo grazie a lui, riesco a mantenere la calma. Non posso mostrarmi debole, di fronte ad un semplice generale. Sono il re, non posso mostrare debolezze.
-Sire, il popolo comincia a mormorare- mi sussurra il nuovo Cardinale d'Agoult, l'unico membro del clero della mia cerchia. Non sopporto i religiosi, così presuntuosi e pomposi. Ho persino litigato con il Papa, per questo. O per aver requisito qualche cattedrale e bene ecclesiastico, ora non ricordo esattamente. Il mio regno dura già da due anni e va tutto bene. Anche se al Cardinale non sembra così.
-Che mormori- dico con noncuranza.
-Sire, il cibo comincia a scarseggiare e non c'è una sentenza che non sia considerata troppo pesante- continua -Un uomo è stato impiccato perché ha rivolto la parola ad una nobildonna. Non è un po' troppo...-
-State dicendo che il nostro modo di governare non va bene?- il mio tono deve suonargli piuttosto minaccioso, perché comincia a sudare freddo.
-No, Sire. Forse troppo... restrittivo- quasi balbetta in risposta.
-Doniamo al popolo cibo, giustizia e un tetto sulla testa. Cosa può volere di più?- dico. Non capisco, davvero.
-Avete ragione, Sire- conferma, inchinandosi. Si allontana frettolosamente, uscendo rapido dalla mia vista e dai miei pensieri. 

Maman mi fa chiamare, una sera. Quando arrivo al piccolo castello, irritato e nervoso, capisco che è successo qualcosa. Maman sembra invecchiata di vent'anni, le rughe d'espressione sono più marcate che mai, il volto grigiastro, trema, come non ha mai fatto neppure nei momenti peggiori. Senza una parola, mi porge una scatola e una lettera. Viene dal Portogallo, probabilmente dev'essere di Marie. Ma non è così, è il principe ereditario, suo marito, che scrive. Marie è morta. Si è annegata in uno degli stagni che il principe ha fatto costruire per amor suo. Guardo Maman, per capire cosa fare. Cosa dovrei mostrare. Marie non è mai stata importante, per me. Da quando è andata via, è come se fosse sparita in quell'istante.
-Non hai nulla da dire, figlio mio?- ha la voce roca, come se avesse pianto.
-Marie non c'è e non potrà più tornare. Cosa posso dire?-
Maman mi dà le spalle ed esce. Attraverso la porta, sento che dà disposizione perché mi scortino alla reggia principale e dire, a voce così bassa che quasi penso di averlo sognato:-Ho sbagliato, è colpa mia, ho sbagliato tutto-

Una volta rimasto da solo, appena finita la cerimonia della messa a letto e dopo aver impedito ad un valletto di spegnere la candela, svolgo il pacco che mi ha messo tra le mani Maman. Si tratta di un plico di lettere e un piccolo diario. La scrittura è quella di Marie. Nonostante non mi interessi affatto, comincio a leggere. Ci sarà una ragione, se Maman me le ha date, penso. Scopro così i pensieri più segreti ed intimi di mia sorella e li trovo ridicoli e agghiaccianti. A differenza mia, ricorda la nostra fuga dal Palazzo delle Toulieries, con terrore e angoscia. Terrore delle conseguenze terribili che il nostro gesto avrebbe potuto causarci, una preoccupazione futile e inconsistente, a mio parere. Insomma, siamo la famiglia reale, siamo intoccabili, soltanto noi stessi siamo causa della nostra rovina. Angoscia, perché aveva il sospetto che sarebbe stata prigioniera per tutta la vita. Ed è così che si descrive, poi. Prigioniera del proprio rango, che non le ha permesso di sposare il sergente A, per esempio. Prigioniera nel paese di sua madre, un paese estraneo e difficile. Prigioniera in un matrimonio di convenienza e che non desiderava. Infine, sola e delusa. Delusa da noi, da sè stessa e dalla vita. Nelle lettere, scopro che aveva intenzione di fuggire con un amante, questa volta, un servitore. Tutto era pronto, ma lui non si è presentato. Così, dopo quest'ennesima delusione, ha deciso di morire. Come una debole. Prendo una decisione, chiudendo l'ultimo foglio: Marie non esisterà più. Tutto ciò che la riguarda, a partire da questi documenti fino al suo attestato di nascita, morirà con lei. Nessuna traccia.

Non credevo che governare richiedesse l'impegno di così tante persone, oltre all'impiego di figure terze, che non conosco direttamente neppure io, per controllare che i miei ordini vengano eseguiti davvero. Non mi fido di questi rivoltosi voltagabbana. Sono sicuro che anche il mio generale concorda con me. Lo porto sempre sul petto, nascosto dalla giacca. Mi dà conforto e mi ricorda chi sono. Della mia infanzia, è l'unico ricordo che portrò con me nella tomba.

La primavera del 1804 incombe sul palazzo, più rigogliosa che mai. Continuo a starnutire, i pollini mi fanno male, irritandomi la gola e rendendomi nervoso e inquieto. In questo stato, scopro che Maman non sta bene, ormai da settimane. Non voleva che lo scoprissi, ma il suo stato di salute è troppo precario, per tenermelo nascosto. Corro da lei, il fuoco della rabbia che mi cova dentro. Perché ha voluto che fossi l'ultimo a saperlo? Sono pur sempre suo figlio. La trovo a letto, più grigia e piccola che mai. Tossisce seccamente un paio di volte, la tosse che le squassa il corpo come delle percosse.
-Perché non mi avete mandato a chiamare prima?- chiedo, indignato. Non ottengo risposta, neppure un colpo di tosse o uno starnuto. Mi guarda, immobile e immota, bianca e fredda come una statua.
-Ci credevo davvero- dice, con un filo di voce -pensavo davvero di fare il meglio per la mia famiglia. Se me ne fossi accorta prima, forse... forse mi sarei comportata diversamente. Avrei cercato di renderti un uomo migliore, un re migliore. Credevo che innalzarti al di sopra della gente, ti avrebbe risparmiato tutta la sofferenza che ha dato a me, invece ti ha solo distanziato dalla condizione che dovrebbe accomunarci tutti, plebe, nobili e re: l'umanità. Ho sbagliato, spero solo che il Signore mi perdoni-
Le sue parole mi feriscono e al contempo almentano quel fuoco che arde dentro di me. Con un urlo, mi avvento su di lei, scuotendola forte. Maman comincia a ridere, facendomi infuriare ancora di più. In un secondo, le mie mani sono sul suo collo e stringono, stringono. Sotto i palmi, riesco a toccare il suo ultimo respiro.

Ho indetto un mese di lutto per Maman. La Francia deve onorare la sua regina, almeno finché non mi deciderò a prendere moglie.
-Sire, non vi sembra un po' esagerato?- chiede il duca di Lorena, uno dei pochi nobili che si azzarda a parlarmi, nei miei momenti bui.
-Esagerato, cosa?-
-Avete dato ordine che, chiunque non fosse vestito a lutto, debba essere colpito senza indugi- balbetta. Sono stufo di questi balbettii. Prima o poi, vieterò a tutti loro di parlare, mi irriterebbero molto meno.
-Colpito?- chiedo, quasi annoiato. Odio, quando i miei sudditi non parlano chiaramente, anche se so dove vogliono andare a parare.
-Sì... a morte- esita, ancora.
-Credete che nostra madre, la Regina Maria Antonietta di Francia, non meriti di essere onorata e ricordata?-
-No, mio Sire...-
-Avete ottenuto la risposta che cercate, Duca- taglio corto.

Tutti, intorno a me, sussurrano e tramano. Ma non me ne curo. Sono il Re di Francia, sono superiore a queste bassezze.

Il Cardinale d'Agoult mi scorta, annoiandomi a morte, di nuovo, con discorsi sulla condizione della plebe. Quando sto per arrivare al massimo punto di sopportazione, scorgo davanti a noi Bonaparte e il Marchese di Bouillè, faccio loro cenno di avvicinarsi. Sento che c'è qualcosa che non va, ma non me ne curo. Così come non mi rendo conto della preghiera appena sussurrata del Cardinale. La prima coltellata raggiunge lo stomaco. La seconda e la terza, il cuore. La quarta e la quinta mi colpiscono da dietro, mentre mi sto accasciando sul pavimento, il corpo in preda al tremore dato dallo choc. Sono stato tradito, come Giulio Cesare. Tradito dai miei stessi consiglieri.

-Doveva essere fatto- sento dire in lontananza, forse da Bonaparte. A fatica, prima che la vista mi si offuschi del tutto, estraggo il soldatino dalla sua dimora, nella mia tasca. Lo stringo, cercando il suo sguardo che è freddo e vuoto come il mio. Non prova compassione o ammirazione, anzi, sembra quasi soddisfatto. Il mio ultimo gesto, prima di morire, è coprire i suoi occhi con la mia mano.





NdA: Ok, la scelta di utilizzare il punto di vista di Luigi Carlo, all'epoca della fuga appena un bambino, è stato giusto un po' paracula di comodo. Nei miei progetti originari, la storia si sarebbe dovuta concludere con l'arrivo dei reali in Austria, ma poi, che ucronia sarebbe stata? E perché non inserire anche Napoleone, povero caro, dandogli pure un ruolo da tirannicida, alla Bruto/Jaime Lannister "Sterminatore di re"? 
Piccole precisazioni storiche (più o meno, dai):
-Marie: Maria Teresa di Francia, ultimogenita della famiglia reale, è esistita davvero, ma era una neonata, all'epoca della fuga. Ho accorpato la sua figura a quella della sorella del re, Madame Elizabeth, anche se, così facendo, le linee temporali di Maria Antonietta e re Luigi si sfasano un po', per motivi anagrafici e temporali, appunto. (Sono pronta ad una eventuale penalità, me ne sono accorta troppo tardi, quando ormai non avrei dovuto cambiare l'impostazione della storia per fare le dovute modifiche per integrare al meglio le due figure distinte; oltre al fattio che mi sono un po' affezionata alla mia povera Marie)
-Louise: Marchesa Louise Elisabeth de Croy, era la vera governante dei "figli della Francia", come venivano chiamati i figli dei reali. Era una donna estremamente devota alla monarchia, tanto da far incidere, all'interno di un anello, da cui ha rifiutato di separarsi, la seguente preghiera: "Signore salva il Re, il Delfino e sua sorella". Venne proclamata Duchessa dopo la Restaurazione, pubblicò le sue memorie riguardo la fallita fuga reale. Nel corso della sua vita, venne spesso avvicinata da uomini che affermavano che Luigi Carlo fosse scampato alla ghigliottina. Sua figlia, anch'essa devota alla monarchia tanto da aver diviso la cella con la più intima amica di Maria Antonietta, divenne una delle dame di compagnia di Maria Teresa di Francia, fino alla sua morte.
-La fuga: non ho fatto grandi ricerche, usare il punto di vista del Delfino, mi ha dato modo di limitarmi a Wikipedia, per intenderci. Lo ammetto candidamente e spudoratamente. Comunque, quando mi sono avvicinata a questo episodio storico, mi hanno colpito alcuni punti, che ho ritenuto folli, del piano escogitato da Re Luigi XVI e Maria Antonietta: 1. la carrozza troppo vistosa e riconoscibile per una fuga. 2. la mancanza di una scorta interna, preferendo ad essa disseminare gruppi di soldati lungo il percorso; anche qui, molto poco discreto 3. la scelta di delegare l'organizzazione della tratta a giovani nobili e non ad esperti del settore che, forse, avrebbero cambiato il tragitto, in quanto molto usato in quel periodo da nobili in fuga e perciò spesso sotto sorveglianza  4. il ritardo mostruoso di Maria Antonietta, che ha scatenato una serie di contrattempi che avrebbero poi portato alla cattura.
Ho tentato di correggere alcuni di questi punti, non entrando nei dettagli geografici anche se, da quanto ho potuto capire, molti storici attribuiscono il fallimento della fuga reale al tradimento del Marchese di Bouillé che avrebbe spiattellato al generale LaFayette la posizione della carrozza, anche se tra essi, c'è chi ritene che le sue scelte tattiche fossero solo frutto di inesperienza e di mancanza di istruzioni in caso di ritardo della carrozza reale (Maria Antonietta fece ritardare la partenza di più di mezz'ora).
-Il Delfino: inizialmente, volevo ritrarlo solo come un bimbo viziato e confuso, poi con il proseguire della storia, ho preferito renderlo un ragazzo dissociato dalla realtà, al limite della psicopatia, legando il tutto attraverso la sua passione per i soldatini giocattolo. Banale? Forse.
-Il Re e la Regina: credo che Luigi XVI, se avesse potuto vivere di più, avrebbe compreso i propri errori, come politico e regnante e che avrebbe cercato di aggiustare il tiro. Forse sono stata un po' influenzata dal ritratto che ne è stato fatto in Lady Oscar, non lo so (più attendibile a livello storico della mia storia, credo). Per quanto riguarda la regina, credo che Maria Antonietta abbia raggiunto il limite, con la prigionia. L'hanno sempre trattata come la straniera, una parassita e credo che, alla lunga, sarebbe diventata più spietata nei confronti di tutto il popolo francese. Spero di aver reso questa "interpretazione" nel modo migliore.
-Luoghi e persone: ho cercato di mantenere un certo bilanciamento tra luoghi e persone reali con "variazioni sul tema" o mantenendomi sul vago quanto possibile per evitare sfondoni enormi. Controllare di aver scritto correttamente i nomi e le poche parole francesi che ho inserito, ha richiesto, paradossalmente, più tempo di tutto il resto. Anche per questo, non ho inserito alcun riferimento preciso all'Impero Austro Ungarico, un po' perché ho immaginato che a Luigi Carlo non ne sarebbe assolutamente interessato.
E dopo questo sproloquio lunghissimo e probabilmente senza capo né coda, direi che è il caso di chiuderla qui. Grazie mille a chiunque si sia fermato a leggere e soprattutto a mistery_ koopa e al suo contest, che ha dato modo a questo delirio di prendere forma, nel bene e nel male.   
   
 
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