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Autore: PenCorner    15/12/2018    0 recensioni
La prima guerra mondiale tra le trincee di Ypres. La guerra doveva essere già finita.
I soldati ragazzi passano il loro primo natale lontani dalle loro famiglie ignari del fatto che saranno proprio loro a dimostrare al mondo, in un periodo storico in cui le speranze sembravano essere perse, come l'umanità possa superare anche una guerra più sanguinaria.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“I fucili rimasero in silenzio.
Parlammo, cantammo, ridemmo.
Giocammo a calcio insieme, nel fango della terra di nessuno.” (cit.)

Era ormai la vigilia di natale e io avevo già perso la cognizione del tempo. I piani alti avevano ordinato severamente di non cessare il fuoco e chi avrebbe disobbedito agli ordini sarebbe stato severamente punito per tradimento.
All'inizio della spedizione pensavamo che si sarebbe concluso tutto nell'arco di poche settimane, ottimisti e speranzosi. Nessuno di noi - e credo nemmeno gli ufficiali - ci aspettavamo di rimanere bloccati in questa logorroica situazione in cui si sprecava inutilmente vite su vite per l'avanzata o perdita di pochi metri di terreno giornalieri. Soldati, commilitoni, amici e fratelli ormai dai corpi freddi tra i fanghi ghiacciati d'inverno nella terra di nessuno.
La stanchezza aveva incominciato a rendere grigie l'animo dei soldati, mentre la nostalgia di casa ormai li rendeva ogni giorno sempre più insofferenti a tutto ciò che stava accadendo. Era come avere nel petto, al posto del cuore, una mela contaminata da un verme che, lentamente, continuava a far marcire il frutto dal suo interno.
Eravamo arrivati ormai tutti al punto di limite, ma ringraziavamo di poter avere ancora accanto i compagni con cui avevamo potuto condividere i momenti più bui della nostra vita e ringraziavamo per essere ancora vivi dopo tutti i proiettili sfiorati e le granate sfuggite, mentre io ringraziavo di avere ancora la speranza di poter ritornare da te... Chissà...? Magari con un paio di medaglie in più attaccate al mio petto al nostro prossimo incontro. Eri la mia unica luce rimasta in mezzo a tutta questa sofferenza apparentemente senza più nessuna via d'uscita ed eri l'unica forza che mi permetteva di non impazzire e di andare avanti. Ogni passo, ogni avanzata verso in avanti con gli stivali nel fango e col fucile tra le mani, ogni nemico caduto mi faceva avvicinare sempre di più a te.

_ E tu, fratello mio, mi avevi insegnato la lealtà e l'onore. Insieme, ridendo e scherzando, avevamo scommesso sul mio ritorno in patria da eroe. Avevo giurato davanti a te e alla nostra amata nazione che mai avrei mostrato pietà al nemico: ero dopotutto stato addestrato per essere una perfetta macchina da guerra. Ma fratello... Se l'avessi visto anche tu... Se anche tu fossi stato lì con me... Avresti gettato via pure tu ogni briciolo di lealtà e onore in quel momento. _

Nevicava e ci stringevamo rannicchiati nelle trincee cercando di scaldarci quanto potevamo strofinandoci le mani e scherzando sulla nostra situazione sperando di poter coprire così gli sussurri della morte che ci circondava. Anche in quel momento i nostri compagni più fidati erano i fucili alcuni raccolti dai soldati caduti, mentre altri ancora consegnati direttamente dai piani alti. Di tanto in tanto ci lasciavamo alle fantasie, immaginando cosa stessero facendo i nostri famigliari: sicuramente tutti uniti, attorno ad una tavola calda tra sorrisi, piatti caldi e regali.
Improvvisamente il Natale mi era sembrato così irraggiungibile, così nostalgico. A casa staranno pensando a me? Che pietanze avrà preparato mia madre quest'anno? Soliti piatti tradizionali, oppure avrà deciso di cambiare? Il solo pensiero riuscì a strapparmi via un sorriso intenerito senza nemmeno volerlo, scaldandomi così il cuore mentre il mio corpo tremava per il freddo col mio fucile stretto al petto e tra le gambe.
Improvvisamente sentii un lieve colpo alla mia spalla che mi fece alzare di colpo il volto per vedere chi fosse e vidi che era James che mi porgeva una ciotola fumante con un sorriso - scaldati con questo - mi disse e allungai le mani per prendere ciò che aveva da donarmi sentendo così finalmente qualcosa di caldo tra le dita per poi sentire il profumo di una zuppetta fare spazio tra le mie narici prendendo così il posto dell'oramai abituale odore di terra bagnata di cui i nostri stivali ne sono coperti da mesi.
- Grazie - dissi prima che l'altro mi diede un ultimo sorriso per ritornare poi alla piccola fonte di fuoco da dove stavano incominciando a distribuire il pasto serale.
Il cielo era ormai buio quando alzai il volto. Non vi erano stelle né la luna, ma solo nuvole che si confondevano con le nubi innalzate dai colpi delle armi da fuoco durante la giornata.
Guardai l'ora - erano quasi le otto di sera - mentre gli ultimi echi appena percepibili di spari risuonavano in lontananza prima che il silenzio della sera si facesse finalmente padrone dello spazio circostante.
Bevvi un sorso della zuppa sentendo il calore del brodo scendere giù lungo l'esofago scaldandomi lievemente dal mio interno rilassando lievemente così il mio corpo e la mente non vedendo già l'ora dell'arrivo della fine del mio turno di guardia. Ma i movimenti di un compagno d'armi poco lontano da me attento alla situazione al di fuori delle trincee catturò la mia attenzione; aveva gli occhi sull'attenti col suo fucile puntato verso le linee nemiche.
- Che succede? - chiesi preoccupato alzandomi quindi dopo aver posato la ciotola di zuppa sul terreno, facendo attenzione tuttavia a non esporre troppo la testa fuori dalla trincea nell'intento di vedere cosa gli occhi dell'altro stessero osservando.
- Che cosa stanno facendo...? - sussurrò in un'aria preoccupata col timore di possibili eventuali spari dall'altra parte della terra contesa con occhi fissi verso le trincee tedesche dove si incominciavano a vedere come delle luci fluttuanti uscire dal terreno una ad una: erano abbastanza chiari ad occhi attenti,nonostante il buio e la foschia, che erano dei piccoli alberelli di natale appena addobbate per essere esposti come decorazioni.
Non riuscii a nascondere un sorriso intenerito nel vedere una tale scena; persino i nemici, quindi, avvertivano la necessità, in qualche modo, di sentirsi a casa, di dimenticare di essere nel bel mezzo di una guerra in cui erano in prima linea. Forse erano dopotutto come noi, anche loro avevano bisogno di staccare un po' la spina ed immaginare di essere altrove in quel momento.
- Non credo vogliano aprire fuoco ora... - dissi abbassando con una mano il fucile del mio compagno - sono solo degli alberelli di natale, non vedi? - ritornai quindi seduto al mio solito posto dopo averlo tranquillizzato, anche se rimase comunque lì a controllare la situazione, o ad osservare incuriosito ciò che stavano facendo i tedeschi ora con alcuni altri soldati. E fu proprio in quel momento che le mie orecchie udirono una flebile melodia, proveniente da lontano, che non avrebbe mai dovuto esistere lì, nel mezzo delle trincee e dei corpi senza vita sparsi abbandonati sui terreni ghiacciati che separavano i due fronti. Qualcuno stava cantando Silent Night, ma non sembrava in inglese.
- I tedeschi... Stanno cantando... - fece un ragazzo dinanzi, sorpreso quanto me di sentire tale canzone che stonava così violentemente nel bel mezzo del regno della morte, quasi ci obbligasse a farci risvegliare dall'incubo in cui stavamo vivendo. Un incubo da cui tuttavia non tutti avranno la fortuna di svegliarsi.
La canzone, inizialmente cantata solo da uno, lentamente, divenne un dolce coro. Il mio cuore tremò, mentre un groppo alla gola mi fece abbassare gli occhi ormai stanchi di vedere morti e bombardamenti da quelli del compagno dinanzi. Mi sentii in quel momento in subbuglio. Mai come prima di allora la canzone Silent Night mi fu così profonda e triste. Un sentimento non spiegabile con le parole cominciò a strapparmi dall'interno, pezzo per pezzo, dilaniandomi e facendo sanguinare la mia anima ormai già indebolita dal tempo. Cominciai a chiedere nel mio silenzio perché eravamo lì, nel freddo, a farci uccidere uno ad uno. Cosa avevamo fatto tutti noi qui per meritarci una fine così orribile. Avevamo tutti perso qualcuno, e qualcosa, in questa guerra. Perché la guerra? Perché bisognava pagare con le nostre vite le decisioni e le conseguenze politiche dei piani alti? Nella vita non avevo mai avuto grandi sogni, non avevo ambizioni; non volevo divenire né uno politico, né comunque famoso. Ero fiero ed orgoglioso della mia patria, ma mai avrei immaginato un giorno di dover vivere tale incubo.
Cercai di trattenere le mie lacrime anche se abbassai il copricapo abbastanza da poter nascondere così il mio volto, non essendo abituato di certo a mostrare il mio volto sofferente, quando sentii improvvisamente la voce del tenente delle guardie.
- Ci sfidano forse? Pensano forse di permettersi di gioire solo perché pensano di avere la vittoria in mano?! - urlò improvvisamente quasi irritato col volto verso la direzione della fronte nemica riportandoci tutti con i piedi per terra. Avevamo subìto ingenti perdite per mano dei tedeschi nei giorni precedenti e ciò lo infastidiva pesantemente, ma tutto ciò che temevo di più in quel momento era che ordinassero un altro attacco rovinando così quella delicata pace che si era instaurata in quell'istante grazie alla neve e ai cori dei germani, ma l'ordine che diede l'uomo in seguito mi lasciò senza fiato per alcuni secondi.
- Facciamogli vedere di cosa siamo capaci! Non voglio che pensino che siamo giù di morale per causa loro! Coprite le loro voci con un'altra canzone di natale! E' un ordine! -
Eravamo sorpresi e inizialmente pensammo che fosse solo uno scherzo, ma sapevamo bene tutti che il tenente non era un uomo da scherzi, nessuno di noi dopotutto lo aveva mai visto scherzare, né tanto meno sorridere o ridere. Ci guardammo l'un l'altro negli occhi, per qualche istante ci sentimmo persi, non sapevamo con quale canzone iniziare, ma, timidamente, un ragazzo iniziò ad intonare la canzone ''We wish you a merry christmas''. Lo seguimmo tutti, inizialmente incerti, ma non ci mettemmo troppo tempo prima di cominciare a gonfiare i nostri petti e a cantare poi con le nostre voci ora più sicuri riempendo così l'aria circostante con le nostre melodie. Quando finimmo la prima canzone, udimmo che i tedeschi avevano incominciato a cantare con più decisione rispetto a prima. Ridemmo. I tedeschi avevano accolto il nostri invito alla ''battaglia'', e ciò ci spinse a continuare con più forze con ''Joy to the world''. Se prima lo facevamo per ordine ricevuto dall'alto, ora era divenuto per noi una questione di principio, ossia quello di ''sconfiggere i tedeschi''. Fu quasi una reazione istintiva. Alcuni di noi presero a suonare, per la prima volta senza timore né tristezza, i loro cornamusa accompagnando e decorando così le nostre canzoni natalizie. Gli sorrisi improvvisamente si fecero larghi sui volti degli uomini, mentre il freddo, come per magia, si fece meno intenso dopo tanto tempo nonostante la neve che cadeva incessantemente su di noi. Poi, senza nemmeno accorgercene, iniziammo a cantare ''Good King Wenceslas'', sia nelle file inglesi che in quelle tedesche, insieme e all'unisono.
Come per miracolo, ci dimenticammo tutti della guerra che era ancora in corso. Eravamo lontani dalle trincee, dalla morte. Non vi erano ordini dall'alto, non vi erano nemici ed eravamo tutti fratelli, parte di una stessa grande ed immensa famiglia.
- BUON NATALE! - urlò più forte che poté un soldato delle nostre trincee di cui non riuscii tuttavia a distinguere chi fosse, ma non vi fu il bisogno di identificarlo, poiché dal suo augurio diversi altri fanti inglesi seguirono il suo atto, forse per scherzo o solo per divertimento, o forse ancora solo troppo presi dopo i canti che avevano saputo portare il senso di pace tra le trincee. Ma i tedeschi risposero agli auguri. Parevano incitati pure loro rimandandoci indietro gli auguri di buon natale in inglese, come se volessero essere certi che avremmo ricevuto il messaggio da parte loro.
- SE NON SPARERETE, NOI NON SPAREREMO! - si sentì poi tra le voci tedesche e scoppiammo un po' tutti a ridere per l'accento tedesco troppo pesante dell'uomo che aveva urlato la frase, senza tuttavia dare troppo peso a ciò che le parole volevano intendere. Dopotutto sapevamo bene che le parole nemiche non potevano mai essere prese troppo sul serio.
- INCONTRIAMOCI NELLA TERRA DI NESSUNO DOMANI! VA BENE? - urlò ancora una voce germana da lontano e noi ridemmo ancora divertiti rispondendo tuttavia con un - SI! - senza dare troppo peso.
Per la prima volta le risate riempirono il cupo vuoto delle fossa delle trincee, mentre le parole pronunciate per immettere calore nel cuore e non per timori delle conseguenze.




Ypres.
24 december 1914.
   
 
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