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Autore: Veronicariel    15/12/2018    1 recensioni
Cosa può suscitare una passeggiata in mezzo alla natura?
Questa piccola raccolta racchiude il resoconto di alcune mie passeggiate, un omaggio alla mia religione. La religione della Natura.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Natura naturans
 

L’antropologia distingue due concezioni differenti del tempo. La prima è quella che caratterizza l’umanità ed è detta lineare: inizia con la nascita e, passando per la vita, termina con la morte. La seconda invece è quella più propriamente naturale ed è chiamata ciclica. In essa la nascita e la morte non sono due punti contrapposti, un inizio e una fine, ma si avvicendano ciclicamente, garantendo così la sopravvivenza del grande calderone che noi chiamiamo Natura.

La natura è un avvicendarsi di varie fasi, si rinnova tornando su se stessa sempre uguale. Non so cos’abbia portato a questo scollamento tra il tempo dell’uomo e il tempo della natura, so soltanto che forse dovremmo cercare di assomigliare un po’ di più a quest’ultima. Forse vibriamo di due energie differenti, forse non ci crediamo neanche noi fino in fondo che ci sia qualcosa dopo la morte. Pensiamo solo ad andare avanti con la nostra vita, a raggiungere sempre il prossimo obiettivo a scuola o sul lavoro, a superare il dolore per trovare la felicità, quella vera. E la maggior parte delle volte essa non arriva perché ciò che ci contraddistingue dalla natura è la speranza di rinascita pur rimanendo coerente con la sua essenza più profonda.
 
Tuttavia, se questo scollamento esiste davvero, perché ogni volta che abbiamo bisogno di avere ispirazione o di recuperare energia ci facciamo una passeggiata in un parco, in un bosco, su una spiaggia o ci immaginiamo in una prateria deserta e sterminata sul dorso di un cavallo lanciato al galoppo? Forse anche noi uomini un tempo rispecchiavamo la concezione ciclica del tempo. Tornando alla natura quindi, torniamo in noi stessi.
Basta pensare al modo in cui scorrono le nostre giornate. Anche la nostra vita è fatta di stagioni: ci sono periodi in cui tutto è rigoglioso e emaniamo energia e positività, riuscendo così a raggiungere successi in ogni campo. Segue inevitabilmente un fase di declino, dove i risultati raggiunti sono così maturi da iniziare ad invecchiare, fino a che, ormai sterili, non cadono al suolo. Ci riscopriamo vuoti. Tutto si fa più grigio, più sterile, più sottomesso, allora ci diamo da fare, iniziamo a seminare, facciamo una gran fatica, senza però riuscire a raccogliere risultati concreti. Ma tornerà il calore delle belle giornate, tutto rifiorirà, tutti i nostri sforzi ci torneranno indietro. Dopo l’inverno tornerà la primavera.

Sempre l’antropologia poi, specifica anche che queste due concezioni vengono a coincidere il giorno della festa, con la sua sovversione delle regole e dei ruoli sociali. La festa, come il Carnevale ad esempio, è il momento per eccellenza in cui questi due tempi si uniscono fino ad azzerarsi. Tutto diventa immobile al di fuori della festa, piccola parentesi di gioia, assenza di problemi. Ecco, non credo che sia la festa a svolgere questo ruolo, ma la natura. Più che nella festa è nella natura che le due concezioni del tempo si annullano: tutto diventa immobile e basta osservare un bel panorama per recuperare uno spiraglio di eternità.
 

15/12/18
   
 
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