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Autore: edoardo811    16/12/2018    1 recensioni
Un lungo viaggio da fare, un ignoto passato completamente da scoprire, un intero mondo da salvare.
La vita di Rachel è caduta a pezzi di fronte ai suoi stessi occhi, prima che lei potesse anche solo rendersene conto. Ma dietro ad una ragazza abbandonata, tradita, distrutta, si cela in realtà ciò che probabilmente è l’unica speranza di salvezza dell’intero genere umano. Perché lei non è una ragazza come le altre: lei è una conduit. Un demone, agli occhi dei più, un’eroina agli occhi dei meno.
In compagnia dei suoi nuovi amici, la giovane sarà costretta a dover agire al più presto, in una vera e propria corsa contro il tempo, prima che tutto ciò che con tanta fatica e sacrifici è riuscita a riconquistare venga spazzato via ancora una volta.
Ma essere dei conduit non è facile e lei, nonostante abbia raggiunto una consapevolezza del tutto nuova di sé, presto sarà costretta a scoprirlo.
Perché per raggiungere il controllo ci vuole tempo, tenacia, dedizione.
Per perderlo, invece, basta un attimo.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Sorpresa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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Capitolo 16: L'inferno in terra

 

 

Rachel riaprì lentamente gli occhi, mugugnando sommessamente. Per un secondo, pensò che attraverso la finestra avrebbe notato alcuni raggi del sole mattutino filtrare nella stanza, poi realizzò che quello sarebbe stato impossibile, visto che era quasi sera.

La ragazza si mise a sedere sul materasso, intorpidita. Le coperte le scivolarono da addosso, lasciandola a petto nudo. Non appena se ne rese conto, squittì sorpresa e si coprì con le lenzuola. La vista della sua carne scoperta le riportò alla memoria cosa fosse successo non molto tempo prima. Sentì le goti pizzicare, mentre i dettagli riaffioravano nella sua memoria.

Abbassò lo sguardo, pizzicandosi il labbro inferiore, ripensando alle mani di Rosso che percorrevano il suo corpo, spogliandola con delicatezza, e le sue labbra che assaporavano la sua pelle. Un lieve dolore, proveniente dall’interno coscia, non fece altro che confermare tutto quanto: era successo. Lei e Lucas… si erano davvero amati.

Un tenue sorriso illuminò il volto della corvina. Si erano amati… ed era stato bellissimo. Ridacchiò contro il proprio volere, come una ragazzina. Si sentì stupidamente infantile per quel motivo, ma allo stesso tempo, non poteva biasimarsi. Era passata dal non credere più nell’amore a trovare un’altra persona in grado di darglielo, in tutti i sensi. Se giusto un anno prima le avessero detto che si sarebbe trovata in quella situazione, non ci avrebbe mai creduto. E invece, eccola lì, sdraiata nuda nel letto che aveva condiviso con un ragazzo mozzafiato.

Nel letto di sua madre, tra l’altro. Quel pensiero la fece arrossire ancora di più. Chissà se l’avesse vista lì, in quelle condizioni, come avrebbe reagito…

Decidendo che era meglio non scoprirlo, la ragazza uscì dal letto. Lucas non c’era nella stanza, probabilmente si era alzato mentre lei era ancora assopita. Prima di vestirsi, tuttavia, Rachel decise di andare in bagno a darsi una rinfrescata, perché malgrado tutto quella mattina lei aveva pur sempre avuto un incontro ravvicinato con dei Corrotti, perciò il suo corpo non doveva aver emanato il migliore degli odori. Si sentì in imbarazzo per l’ennesima volta realizzando di essersi avventata su Rosso in quelle condizioni, ma lui non sembrava esserne rimasto particolarmente dispiaciuto. O forse aveva semplicemente fatto finta di nulla.

Rachel prese della biancheria pulita ed entrò nel bagno, dove cominciò a lavarsi le mani e la faccia al lavabo. Mentre si massaggiava il viso con l’acqua e il sapone, finì inevitabilmente con il guardare lo specchio di fronte a sé. Con una mano si accarezzò lentamente i lineamenti del viso, osservando il proprio riflesso compiere lo stesso movimento. Rimase inspiegabilmente incastonata nei suoi stessi occhi viola. Continuò ad osservare il proprio volto, ad accarezzarlo, a girarsi e rigirarsi per controllare entrambi i propri profili.

Si era già specchiata in passato, ma mai prima di allora si era sentita in quel modo. Fino ad allora aveva guardato lo specchio e non aveva provato altro che indifferenza, ma in quel momento, invece… le pareva quasi di essere carina. Bella.

Sapeva di non essere mai stata un mostriciattolo, anzi, all’epoca del collegio diversi ragazzi le avevano fatto la corte non per caso, ma lei non aveva mai dato loro particolare retta, non aveva mai creduto davvero che lei meritasse davvero certe avances, ma in quel momento, osservando il suo viso pallido e magro, i suoi occhi viola e le sue labbra carnose, doveva ammettere che, dopotutto, lei non aveva nulla da invidiare rispetto alle altre ragazze che conosceva.

E la sua bellezza non si fermava solo lì. Osservò il proprio petto e, allontanandosi leggermente, poté anche ammirare le proprie gambe e i fianchi. Non era perfetta, certamente, i suoi seni non erano molto grossi, ma erano sodi, così come i glutei. Le si vedevano alcune costole, soprattutto se si distendeva, e le sue gambe erano magre, ma non troppo, le provviste che avevano trovato a Sub City sicuramente avevano aiutato a mantenerla più in carne di quanto avrebbe potuto credere. La sua pelle era liscia, morbida e completamente glabra. Molto pallida, certo, ma era un colore che a lei non spiaceva, faceva risaltare di più il viola dei suoi occhi.

Sorrise. Non si era mai vista sotto quella luce prima di quel momento. Lei non era mai stata vanitosa, era un miracolo che quella parola fosse anche solo presente nel suo vocabolario, però doveva ammetterlo, era una bella ragazza. E il motivo per cui mai prima di allora aveva davvero compreso quel lato di sé, era che non si era mai sentita davvero apprezzata da qualcuno. Realizzò che Lucas non solo l’aveva aiutata a sentirsi di nuovo una ragazza normale… le aveva anche restituito la sua femminilità. Il fatto che un ragazzo l’avesse amata, le aveva fatto capire che lei poteva essere bella, o perfino sensuale, tanto quanto Amalia, Tara o Artemis.

E forse Lucas poteva aver sempre omesso complimenti riguardanti il suo aspetto, o il suo corpo, rivolti a lei, però era sicura che Rosso pensava che Rachel fosse bella tanto quanto lei lo pensava di lui. Perché era vero, lei pensava che Lucas fosse un bel ragazzo, nonostante lo amasse non solo per il suo aspetto, ma anche per come fosse interiormente.

L’aspetto fisico non era mai stato un argomento che aveva riguardato la loro relazione, o almeno, non in quel modo. Fu come se gli occhi di Rachel si fossero aperti tutto ad un tratto. Sicuramente il rapporto tra loro due non sarebbe affatto cambiato, anzi, ma per la corvina fu comunque gradevole riuscire non solo a sentirsi una ragazza, ma anche a vedersi come tale dopo tantissimo tempo.

«Rachel?» Una voce proveniente dalla camera da letto la chiamò. La ragazza non ci mise molto a capire di chi fosse. Indossò la biancheria intima ed uscì, ritrovandosi di fronte al partner, che la osservò sorpreso.

«Ehi…» mormorò, abbozzando un sorriso, gesto che venne subito ricambiato da lui.

«Ehi.» Rosso le si avvicinò, per poi posarle una mano sulla guancia, facendola avvampare. La accarezzò dolcemente con il pollice, suscitando una scarica di brividi dentro di lei. Rachel posò la propria mano su quella di Lucas e i due si guardarono negli occhi per un breve momento.

«Tutto ok?» ruppe il silenzio lui.

Rachel annuì. «Sì.»

Ancora silenzio. I loro sguardi rimasero ancora incrociati tra loro, fino a quando Rachel non si gettò contro al petto di Lucas, stringendolo in un forte abbraccio. La ragazza sospirò compiaciuta, premendo il proprio corpo contro quello del partner malgrado l’imbarazzo provato dall’essere ancora mezza nuda.

Dopo un attimo di stupore, Rosso ridacchiò, avvolgendola attorno ai fianchi. «Sei bellissima» le sussurrò.

Corvina distese il sorriso, appoggiando il mento sulla spalla del compagno.

Ancora in quel momento, ripensare ai fatti di prima, pensare che… che avesse fatto l’amore per la prima volta, le suscitava decine di emozioni contrastanti. Da un lato non credeva di aver davvero fatto ciò che aveva fatto, ma dall’altro… non poteva sentirsi più soddisfatta, e in pace con sé stessa. Di una cosa era sicura, non era affatto pentita, anzi.

«Scusa per… prima» continuò Rosso, allontanandosi momentaneamente da lei per tornare a guardarla. «Quando sei tornata a casa. Non avrei dovuto farti il terzo grado in quel modo.»

«No, Lucas, la colpa è mia. Ero… ero stanca e… ho esagerato.» Rachel posò una mano sul suo petto, strofinandola sulla maglietta nera. «Non ti meritavi quella reazione da parte mia.»

«Ti perdono… se tu perdoni anche me» propose Lucas, accarezzandola tra i capelli.

«Andata» annuì lei, appoggiando le labbra sulle sue. Il bacio che si scambiarono fu esattamente come tutti gli altri che si erano dati in passato, perciò fu fantastico come sempre.

Quando si separarono, Lucas accennò con il capo alla porta. «Tua madre mi ha chiesto di controllare che fossi sveglia, ti aspetta per la cena.»

«Mi vesto e scendo» affermò Rachel, sciogliendosi dalle braccia del partner.

«Hai… hai detto a mia madre che stavo dormendo?» domandò la ragazza, mentre indossava un paio di pantaloni puliti.

«Sì, ho detto che la ricognizione ti ha stancato molto» rispose Lucas. «Sarei voluto rimanere con te, ma non volevo che qualcuno si infilasse nella stanza e… beh, ci vedesse nudi.» Il moro sorrise divertito. «Pensavi che le avessi raccontato cosa abbiamo fatto?»

«N-No… certo che no…» mormorò lei, avvampando. «Solo… solo che…»

 «Rachel.» Lucas incrociò le braccia, il sorrisetto che si increspava. «Stiamo insieme, abbiamo dormito assieme per tutte le ultime settimane e ora abbiamo una camera tutta per noi. Pensi davvero che tua madre creda che stiamo aspettando il matrimonio?»

Finito di indossare anche una nuova maglietta, Rachel abbassò leggermente lo sguardo. «Beh… no, però…» La corvina si interruppe, senza nemmeno sapere cosa dire con esattezza. Si rese conto che quelle preoccupazioni erano completamente inutili e non facevano altro che cercare di rovinare tutto quello che era successo. Lucas aveva ragione, non doveva preoccuparsi. Era una donna, ormai, e se lei per prima non riusciva a capacitarsene, allora nessun altro avrebbe potuto farlo.

«E poi, io sono più preoccupato per Tara e Amalia» proseguì Rosso, storcendo le labbra in una smorfia. «Quando lo scopriranno non ci lasceranno più in pace…»

«Perché, ora lo fanno?» domandò Rachel, sorridendo di nuovo.

«Giusta osservazione. Dai scendiamo.» Lucas sorrise. «Angela ha ordinato la pizza.»

«Pizza?!» esclamò Rachel, ogni traccia della femminilità di cui tanto aveva pensato poco prima che svaniva nel nulla. Quanto era passato dall’ultima volta che aveva mangiato la pizza, cento anni? «Perché non l’hai detto subito?!»

Rosso ridacchiò. Senza perdere altro tempo, i due ragazzi uscirono dalla stanza.

 

***

 

Rachel avrebbe potuto abituarsi a tutto quello. Il letto comodo di casa di sua madre, dormire con Lucas, la compagnia di Amalia e Tara e ora anche dei suoi colleghi di lavoro. Marianne, Simon e Allen erano persone per bene, e nonostante l’ufficiale fosse un po’ scostante, cominciò ad affezionarsi a loro, inoltre lavorare con una faccia amica come Komand’r era sicuramente gradevole. La mora era sempre pronta a ravvivare il morale di tutti con le sue uscite.

Le giornate trascorsero tranquille, stranamente, i Corrotti erano sempre sparpagliati attorno alla città, ma non videro altri Divoratori o Devastatori, il che era sicuramente un bene.

La sera la passava assieme a Lucas. Passeggiavano nella via centrale di Jump City, mano nella mano, cenavano fuori, una volta tornarono pure in quel locale a ballare insieme. Ormai la gente aveva imparato a riconoscerla al primo sguardo, la sua battaglia col corvo di luce bianca era arrivata alle orecchie di tutti. Erano lontani ormai i giorni in cui si nascondeva ad Empire, quando passava in mezzo alla folla senza che nessuno riuscisse nemmeno a vedere sotto al suo cappuccio. Alcune persone sembravano nutrire astio verso di lei, in quanto conduit, ma a parte brutte occhiate nessuno ebbe il coraggio di farsi avanti, scoraggiati anche dall'aspetto poco rassicurante del suo partner. Altri, invece, a volte la salutavano e le rivolgevano cenno di rispetto.

Era bello poter passare quel tempo assieme a Lucas. E, naturalmente, ebbero altri rapporti. Passarono alcuni giorni tra il primo ed il secondo, perché nonostante tutto Rachel si sentiva ancora insicura, ma Lucas non le mise fretta. Tuttavia, dopo essersi amati nuovamente, la corvina cominciò a sentirsi più a proprio agio.

Sapeva che c’era un’epidemia, sapeva che il Soggetto Zero era a piede libero, sapeva molto bene tutto quanto, ma cercava di non pensarci e di trascorrere ogni momento della propria giornata nel migliore e più positivo dei modi. Del resto, era passata solamente una settimana. Dopo i mesi trascorsi a lottare per sopravvivere ad Empire, e la terribile esperienza di Sub City, fu bello per lei staccare un po’ la spina. E lo stesso sicuramente valeva per i suoi amici.

Tara sembrava più a proprio agio con i propri poteri. Una sera era entrata in camera di Rachel per parlare con lei, e le aveva chiesto qualche consiglio su come tenerli sotto controllo. All’inizio la bionda era spaventata dall’idea di fare del male a qualcuno con essi, soprattutto ai bambini a cui doveva badare, ma grazie a Corvina e ai giorni tranquilli trascorsi assieme riuscì poco per volta a rilassarsi. Ancora, tuttavia, non voleva che le venissero cancellati. Sapeva che i Corrotti erano vicini e, se le cose si fossero messe male, era determinata ad aiutare, cosa che Rachel, in parte, ammirava.

Da un lato, avrebbe voluto che la bionda rinunciasse ai suoi poteri, così avrebbe avuto una preoccupazione in meno, ma era la sua vita, il suo corpo, Corvina non poteva decidere per lei. Poteva solo sperare che mantenesse davvero il controllo. Se non altro, era bello vedere Tara fidarsi di lei. Era bello poterla chiamare amica. L’amicizia con la Markov era una di quelle cose di cui Rachel non sapeva di aver bisogno fino a quando non l’aveva ricevuta, anche se la bionda, certe volte, sembrava essere un po’ schiva, soprattutto riguardo il proprio passato e la propria famiglia.

Amalia continuava a tenere il suo solito atteggiamento, sprezzante, arrogante, irriverente, ma era impossibile non notare la tristezza nei suoi occhi nei momenti in cui rimaneva sola ed in silenzio, specialmente durante le pattuglie assieme al corpo di sicurezza. Sicuramente pensava a Ryan e a Kori e nessuno poteva biasimarla per questo. Cercava di nascondere il proprio dolore con i suoi sorrisi, ghigni e battutine, ma non sempre ci riusciva. Tuttavia la sua malinconia sembrava attenuarsi quando era assieme a Tara e presto cominciò ad aprirsi anche di più con Rachel. Una volta, durante un turno di pattuglia, le aveva raccontato di come si era sentita quando gli Underdog avevano rapito Tara, di cosa aveva provato e di come si era incolpata per il rapimento della loro amica. Era stato terribile per lei, ma per fortuna le cose si erano risolte. Poco dopo, le parlò anche di Ursula, una gentile donna che l'aveva aiutata e trattata come una figlia malgrado l'avesse appena conosciuta. Quando le aveva parlato della sua morte, perfino Rachel aveva provato una fitta al cuore. Da come Amalia l'aveva descritta, sembrava un angelo sceso in terra. Ancora una volta la crudeltà del loro mondo tornò ad abbattersi con violenza su di lei.

Corvina già era a conoscenza del lato più umano di Amalia, ma ogni volta che la mora raccontava scorci del proprio passato, il dolore provato per il rapimento di Tara, la morte di Ursula, o le difficoltà che all’inizio aveva avuto a causa dei suoi sentimenti e della sua sessualità, Rachel si sentiva più vicina a lei. Anche se avrebbe preferito che non le raccontasse delle sue avventure notturne nelle discoteche, ma era palese che Amalia amasse farla sentire a disagio e che pertanto non avrebbe mai smesso di tormentarla con le sue storie vietate ai minori. Certe volte, palesemente, si metteva a flirtare con lei, e Corvina non riusciva mai a capire se scherzasse o se fosse seria. Sicuramente, a Lucas non sarebbe piaciuto se l’avesse scoperto. O forse sì?

E poi… c’era sua madre. Nonostante fossero trascorsi diversi giorni, un alone di imbarazzo aleggiava ancora nell’aria quando erano sole. Ogni volta che Rachel avrebbe voluto domandarle perché l’avesse abbandonata, le parole le morivano in gola e Arella sembrava quasi voler evitare la questione a tutti i costi. Era frustrante, per Corvina, il fatto che un argomento così importante che riguardava le vite di entrambe fosse anche un simile tabù, ma allo stesso tempo, erano di nuovo assieme. Era davvero così importante ciò che era accaduto in passato? Del resto, aveva conosciuto i suoi stupendi amici grazie a quanto era successo. Victor, Garfield, Kori e Richard prima, Tara, Amalia e Lucas dopo. Aveva sofferto, aveva pianto, ma tutto quello sarebbe successo comunque, anche se fosse rimasta con Angela, perché le esplosioni avrebbero devastato le loro vite in ogni caso.

Se era cresciuta, se era diventata più forte, in parte era merito anche di ciò che Arella aveva fatto. Angela amava sua figlia, e Rachel amava sua madre, l’importante era quello, e nient’altro. La verità poteva attendere ancora un po’. Del resto, nemmeno Rachel era sempre stata sincera con gli altri.

La storia dell’epidemia ancora la turbava. Avrebbe voluto raccontare la verità, ma non ne aveva mai il coraggio. Lucas cercava di non tossire troppo in sua presenza, ma non sempre ci riusciva. Ed ogni volta che lo vedeva soffrire a causa di qualche strano dolore, Rachel sentiva gli occhi inumidirsi. Avrebbe tanto voluto fare qualcosa, per lui. Ma cosa? Quella domanda era la ragione per cui, molte notti, aveva faticato ad addormentarsi.

Poi, una sera, ricevette visite. Sua madre aveva bussato – grazie al cielo – e lei e Lucas si erano rivestiti in fretta e furia e si erano dati una sistemata prima di scendere in salotto.

Ancora un po’ imbarazzati, i due partner trovarono ad aspettarli Marianne ed Allen. Tara e Amalia erano fuori, chissà dove a fare chissà cosa, ma era palese che i soldati non cercassero loro. L’ufficiale teneva Zoey in braccio, sorridendo intenerita.

«Hai una figlia stupenda, Hester» le disse Allen, addolcito a propria volta.

La ragazza con i capelli color rame, seduta sul divano, sorrise. Quando non lavorava nel negozio, spesso andava a casa di Angela per tenerla in ordine, sempre su compenso della madre di Rachel, e non era raro trovarla a cena da loro. Era chiaro che, più che capo e dipendente, lei e Arella fossero ottime amiche.

Quando i due soldati notarono Rachel, l’ufficiale saluto la piccola. «Ehi, ora la zietta deve andare, ma tornerà presto, non…» Si interruppe quando la creaturina le tirò i capelli. «AHI!»

La donna posò Zoey tra le braccia della sorella, borbottando: «Devi fare qualcosa per Zoey, non può continuare a tirare i capelli di tutti!»

«Andiamo, Mary, è solo una bambin-AHI!» La piccola rise di gusto quando agguantò anche alcune delle sue ciocche rosse.

Hester guardò la figlia indispettita, mentre una risata si sollevava tra Angela e i due soldati, presto imitata dalla stessa giovane madre.

Anche Rachel sorrise, sciogliendosi di fronte a quella scena così dolce. Ma la felicità durò poco. Marianne si rivolse a lei, schiarendosi la voce: «Dovresti venire con me e Allen, se non ti dispiace. So che non sei in servizio, ma è urgente.»

«Perché? Che succede?»

«Un incendio» borbottò Allen. «Nella foresta, a quaranta chilometri da qui. Si sta allargando in fretta. È stata indetta una riunione per decidere cosa fare. Lui ha chiesto che partecipassi anche tu.»

«Lui… chi?»

«Il sindaco» spiegò Marianne, arricciando il naso. «Finalmente ha capito che la situazione sta degenerando.»

 

***

 

Rachel non sapeva cosa pensare. Avrebbe conosciuto… il sindaco? Lo stesso misterioso sindaco che non sembrava voler mai vedere nessuno? Non sapeva se sentirsi onorata o spaventata.

Naturalmente non permisero a Lucas di venire con loro. Era solo un soldato semplice, oltretutto già ammonito. Il poveretto non poté fare altro che incassare la testa tra le spalle ed annuire, per poi salutare Rachel con un rapido bacio, anche se la corvina avrebbe preferito non trovarsi di fronte ad Arella in quel momento. Il suo sorrisetto le ricordò quasi quelli di Tara e Amalia. Perfino sua madre doveva essere pettegola?

Ed ora erano lì, diretti a piedi verso il municipio. Molti soldati si erano diretti con i veicoli verso il luogo dell’incendio, il cui bagliore arancione ora si poteva scorgere all’orizzonte. Dovevano arrestare il suo cammino prima che divorasse ogni cosa, anche se Corvina non sapeva bene come avrebbero fatto. Si augurò che nessuno si facesse male.

Avrebbe mentito se avesse detto che, malgrado la curiosità di incontrare il sindaco, non avrebbe preferito trovarsi ancora in camera con Lucas. Ripensare al partner la fece sentire subito meglio.

Procedettero per un po’ in quel modo, senza parlare, fino a quando diversi colpi di tosse provenienti da Marianne fecero sussultare la ragazza.

«Ah, maledizione…» mugugnò l’ufficiale. «Questa tosse non vuole saperne di andarsene…»

«Ti sei presa l’influenza?» domandò Allen, con un sorrisetto divertito.

«Simon deve avermi contagiata… gliel’avevo detto di prendersi un periodo di pausa…» borbottò Marianne, infastidita.

«Probabilmente non voleva deludere il suo comandante» suggerì ancora Jones.

Mary grugnì. «Meglio delusa che ammalata… l’ultima volta che l’ho vista, perfino Artemis tossiva. Quel pazzo ci contagerà tutti.»

Allen ridacchiò. Corvina, invece, non se la sentiva affatto di ridere, perché lei sapeva benissimo cosa, in realtà, fosse la causa di quella tosse. Marianne, Simon ed Artemis erano stati già tutti contagiati. E chissà quante altre persone lo erano. Il peso della realtà tornò nuovamente a schiacciarla. L’effetto dell’isolamento nella bolla "Lucas" di poco prima svanì quasi istantaneamente. L’unica cosa rimasta, era il vago ricordo del tepore del suo corpo e dei suoi baci.

«Allora» esordì Allen, affiancandola. «Tutto bene?»

Rachel annuì, anche se non era del tutto esatto. Oltre ad essere angosciata, si sentiva ancora parecchio confusa riguardo ciò stava accadendo attorno a lei. «In… in che senso la situazione sta degenerando?» domandò, ricordandosi le parole esatte usate da Marianne poco prima.

«Nel senso che sembra che l’inferno sia arrivato in terra giusto a qualche chilometro da qui» spiegò l’ufficiale, indicando con un pollice verso l’orizzonte tinto di arancione.

«Abbiamo paura che si tratti di qualche conduit piromane» aggiunse Jones, con un sospiro. «Non serve dire che questo non fa altro che peggiorare le cose.»

Mesta, Rachel annuì una seconda volta. «Volete che vada in ricognizione?»

«Ci penseranno i nostri uomini, non preoccuparti» rispose ancora Allen. «Ora dobbiamo solamente andare a questa riunione ed attendere nuove direttive.»

«Va bene.» Rachel fece vagare lo sguardo sui due soldati. Il capitano sembrava piuttosto teso, anche se non lo dava molto a vedere. Mary, d’altro canto, non sembrava nemmeno provare a tenere celato il proprio nervosismo. Camminava con passo spedito, i pugni stretti e la mascella contratta. Era rigida come un chiodo, ed il fatto che si muovesse così rapidamente malgrado ciò era quasi buffo da guardare. Peccato che quello era il momento più sbagliato in assoluto per mettersi a ridere. Inoltre, osservandola, pensò ad Hester. Così, erano sorelle. Non sapeva se di sangue o meno, visto le loro differenze non poco notevoli eccetto il colore degli occhi, ma era anche vero che Marianne doveva essere più grande di cinque o sei anni. Un po’ le ricordarono Stella e Amalia, una rossa di capelli, l’altra mora. Tutto ciò non fece che angosciarla ancora di più.

«Che hai da guardare?» La domanda dell’ufficiale la fece sussultare. Imbarazzata, Rachel distolse lo sguardo. «Niente, scusa…» rispose. Tuttavia, quando un pensiero le attraversò la mente, ritornò a guardarla. «Tu… tu conoscevi Dominick?»

Non appena pronunciò quel nome, qualcosa scattò dentro entrambi i soldati. Allen si schiarì la gola e si voltò verso un’altra parte, mentre Marianne parve incupirsi dieci volte di più. «Lo psicopatico che ha sposato mia sorella. Purtroppo lo conosco. Purtroppo, era mio amico. Se lo rincontrassi ora, tuttavia, penso proprio che lo ucciderei con le mie stesse mani. Perché me lo chiedi? Lo hai incontrato?»

«Io… sì. A Sub City. Ha cercato di uccidermi.»

Marianne fece schioccare la lingua. «Wow, che sorpresa. C’era anche Kevin con lui?»

«Sì. È stato un suo complice per un po’.»

Questa volta, la donna scosse la testa, quasi delusa. «Ancora non capisco perché lo abbia fatto. Lui era molto meglio di così. Spero solo che almeno stia bene.»

Quelle parole colpirono Rachel come un pugno allo stomaco. Avrebbe dovuto dirle la verità, dirle che Kev era morto, per mano dello stesso Dominick? L’idea di spezzarle il cuore in quel modo la ripugnava, però non poteva tenerla all’oscuro della verità. Inoltre… sperava che fosse proprio lei a raccontare ad Hester cos’era successo a suo marito. Erano sorelle, Mary la conosceva molto meglio di quanto invece potesse farlo Rachel, lei avrebbe saputo come dirglielo nel migliore e più delicato dei modi. Aveva paura di come Marianne avrebbe reagito sapendo di quella notizia, soprattutto considerando tutto quello che stava passando in quel momento, tuttavia la conduit non poteva più portare quel fardello dentro di sé. Inoltre, anche Allen avrebbe potuto essere di aiuto, in qualche modo. Sicuramente la sua presenza sarebbe stata di conforto, per Mary.

«Ascolta… Marianne. A Sub City… sono successe parecchie cose.»

Mary si voltò verso di lei, con un sopracciglio inarcato. Mentre il loro viaggio verso il municipio proseguiva, Rachel prese un profondo sospiro e cominciò a raccontare. Dapprima, la donna la ascoltò perplessa, ma man mano che proseguiva, le sue espressioni mutarono notevolmente. Passarono dal disgusto, quando Rachel parlò della sete di potere di Dom, alla ben più marcata tristezza quando le parlò dapprima della redenzione di Kevin, e poi della sua morte.

«Era una brava persona…» mormorò l’ufficiale, con gli occhi inumiditi. «Ha aiutato me ed Hester a raggiungere la comunità, sai? Nonostante riuscisse a malapena a controllare i suoi poteri, ci ha protette per tutto il viaggio. Avrebbe potuto restare con noi, ed invece ha deciso di seguire quel folle. Meritava molto di più di fare quella fine.» Strinse i pugni, con più forza. «E cosa è successo a Dominick?»

«L’ho sconfitto. E l’ho fatto ritornare in sé. Quando si è reso conto di quello che aveva fatto… ha quasi dato di matto. Mi ha spiegato cosa gli fosse successo e… mi ha detto di Rick.»

«Non è mai riuscito ad accettarlo.» Mary sospirò, per poi scuotere il capo. «Ma questa non era una motivazione valida per fare terra bruciata attorno a sé. Hester non si meritava quello da lui. Soprattutto considerando che la morte di Rick aveva distrutto anche lei. E soprattutto, perché all’epoca era anche incinta di Zoey. Nessuno di noi si è meritato ciò che lui ci ha fatto.»

«Alcune persone… sono più fragili di altre» osservò Rachel. «Non intendo giustificarlo per le sue azioni, però… trovo che sia sbagliato dargli la colpa di tutto.»

«Stronzate» sbottò Allen, rimasto in silenzio per tutto quel tempo. Sia Rachel che Mary si voltarono verso di lui, sorprese da quella reazione. Il sempre calmo e pacato Allen, ora stava mostrando qualcosa di completamente nuovo della sua personalità. «Io ne avevo quattro, di figli. E anche una moglie.» Le vene sulle sue braccia pulsarono, quando anche lui strinse i pugni. «E ho forse distrutto la vita dei miei cari, per questo? No. Dopo essere caduto, mi sono rialzato e sono andato avanti. Nonostante volessi semplicemente morire, sapevo che quello non era ciò che la mia famiglia voleva. Loro avrebbero voluto che continuassi a combattere, a resistere, perché anche se non c’erano più, loro avrebbero continuato a vivere attraverso di me. Sono arrivato alla comunità ed ho fatto ciò che andava fatto, mettendomi ad aiutare a ricominciare tutte quelle persone che, come me, hanno perso tutto. Non ho distrutto gli altri, ma li ho aiutati a ricostruire. È questo quello che si fa, perché nessun altro meglio di me, di noi, può comprendere il loro dolore.»

Rachel non sapeva cosa dire. Perfino Marianne, che doveva conoscere Allen da diversi mesi, sembrava sorpresa. Probabilmente nemmeno lei era mai stata a conoscenza di ciò che il soldato aveva perso. Jones chinò il capo, espirando profondamente, per poi scuoterlo. La donna gli posò una mano sulla spalla, facendolo raddrizzare. I loro sguardi si incrociarono, e lei gli rivolse un cenno, apprensiva come probabilmente non era mai stata con qualcuno al di fuori della sorella o della nipote. «Mi dispiace» mormorò. I due si osservarono per un breve istante, fino a quando Allen non annuì lentamente, e Mary allontanò il braccio da lui.

«Tutto questo solamente per colpa di qualche gioco dei poteri più forti» proseguì Marianne, questa volta tornando ad essere disgustata. «Hanno deciso di bombardarci, di giocare con le nostre vite, per dio solo sa quale ragione. Ma non esiste ragione che tenga. Non avevano alcun diritto di rovinare così le vite di tutti. Le loro idee, i loro sogni, non sono affatto migliori dei nostri.»

Corvina si mordicchiò l’interno della guancia, pensierosa. Come avrebbe potuto spiegarle anche che, invece, le esplosioni erano accadute per cercare di salvare invece la vita di tutti loro?

Non è il momento, per quello, si ricordò.

«C’è dell’altro» disse ancora, attirando nuovamente l’attenzione dei soldati.

«Cosa? Ancora?» interrogò Mary.

Rachel annuì. «Dominick… è morto.»

Un gemito sorpreso scappò dall’ufficiale, che malgrado le sue parole di poco prima, parve davvero scioccata. «L’hai… l’hai ucciso tu?»

«No. Vedete…» La conduit si interruppe. Avrebbe dovuto raccontarle anche come aveva sognato Dominick? Tutte quelle informazioni in una volta sola forse sarebbero state eccessive. «… io… so solo che è successo. È stato un altro conduit, a farlo. E… gli ultimi pensieri, le ultime parole di Dom… erano rivolte ad Hester. Lui sapeva di avere sbagliato, si è pentito di ciò che ha fatto, ma sapeva anche che non esiste perdono, per lui. Voleva solo che… che Hester sapesse che lui l’amava ancora. Per quanto questo possa valere. Avrei voluto dirlo direttamente a lei, ma non credo di esserne in grado.»

Marianne scosse lentamente la testa. «Sia Kevin… che Dominick…» La donna sospirò pesantemente. «Non posso crederci…» Si voltò verso di lei. «Racconterò io ad Hester cos’è successo, non preoccuparti. Tu hai fatto già troppo. E poi… credo che anche Hester amasse ancora Dom, nel profondo. Non sarà un finale tutto rosa e fiori, ma sono felice che questa storia abbia finalmente una conclusione.»

Corvina trovò la forza di sorridere. «Grazie, Marianne. Davvero.»

«No, Roth, grazie a te.» L’ufficiale ricambiò il sorriso, sembrando quasi ammirata. «Ne hai passate tante, devo ammetterlo. Sei una con le palle.»

Una risatina fuoriuscì dalle labbra della conduit.

 

***

 

Rachel non era più entrata in quel luogo, a differenza dei suoi compagni di viaggio. La sua mansione le era direttamente stata assegnata in ospedale ed era diventata un soldato senza che potesse nemmeno dire qualcosa in proposito. Tuttavia, era abbastanza sicura che in quella stanza del municipio nessuno dei suoi amici fosse entrato.

Un grosso tavolo con otto sedie, tre per parte e due per i capitavola, riempivano la maggior parte dello spazio, occupato per il resto da diverse librerie riposte contro le pareti, ricolme di tomi e cartelline. Oltre a stanza per gli incontri, probabilmente fungeva anche da archivio.

Artemis, Simon, Konstantin e Roy erano già tutti seduti al loro arrivo. L’ufficiale era in cima, accanto al capotavola, seguito da Kovar e la bionda, mentre dall’altro lato Simon, senza bandana per l’occasione, era seduto da solo di fronte alla ragazza. Lian salutò Rachel con la mano, mentre Simon e Konstantin si limitarono ad un cenno del capo. Roy, dal canto suo, alzò a malapena gli occhi dal telefonino. Marianne andò a sedersi sul posto accanto al capotavola, esattamente di fronte a Roy, mentre Allen occupò il posto centrale tra lei e Lawrence. Rachel si accomodò sull’altro posto a capotavola, l’unico rimasto libero. La cosa la fece sentire piuttosto a disagio, considerando che il sindaco, con tutta probabilità, si sarebbe seduto esattamente di fronte a lei sull’altro lato.

«Allora, Simon…» cominciò Artemis, appoggiando i gomiti sul tavolo ed osservando il biondo con un sorrisetto. «Sicuro che sia una buona idea startene chiuso in questo spazio così stretto con tutti noi? Non sia mai che anche l’eroina della città si ammali per colpa tua…»

«Falla finita…» mugugnò Lawrence. «Io non c’entro niente, è stata la mia squadra ad ammalarsi per prima. Loro hanno contagiato me…»

La ragazza ridacchiò. «Sei bellissimo quando ti offendi.»

Simon grugnì infastidito, beccandosi una pacca di consolazione sulla spalla da Allen, che stava ridacchiando. Il ragazzo sospirò pesantemente, per poi rivolgere al capitano più grande un sorrisetto. Osservandolo e, soprattutto, notando lo sguardo del biondo, Rachel poté facilmente intuire che Jones fosse il suo mentore. Quella scena, malgrado tutto, riuscì a farla sciogliere leggermente. Non conosceva il passato di Simon, ma non si sarebbe stupita di sapere che anche lui fosse rimasto senza genitori e che pertanto vedesse Allen come una figura paterna.

Perfino Roy e Mary avevano sorriso, di fronte a quella scena. Rachel osservò poi Artemis. Voleva provocare Simon, ma era ben chiaro il suo nervosismo. Del resto, nemmeno lei doveva aver mai visto il sindaco, prima di quel momento. Nessuno dei capitani lo aveva mai visto.

La porta dal lato opposto della stanza si aprì all’improvviso. Konstantin si alzò in piedi, venendo tuttavia folgorato con lo sguardo da Harper. «Ma che cavolo fai? Siediti» sbottò il rosso. Il soldato avvampò, tornando a sedersi, mentre nella stanza faceva il suo ingresso il famoso sindaco. Il fatto che Rachel non avesse idea di cosa aspettarsi da quell’uomo fu probabilmente il motivo per cui, quando lo vide, non rimase particolarmente sorpresa. L’alone di mistero che per tutto quel tempo lo aveva circondato le aveva fatto credere che fosse chissà che cosa, invece era un semplice uomo con un completo elegante, sulla cinquantina, stempiato e con i capelli brizzolati. La mascella lunga, squadrata, gli occhi così chiari da sembrare cristallini, alcune rughe sul viso completamente glabro.

«Grazie per essere venuti» annunciò, con voce calma, morbida, molto di più di quanto Rachel avrebbe potuto aspettarsi. «Lieto di conoscerti di persona, signorina Roth» disse ancora, rivolto a lei, rivolgendole un sorriso. «Io sono Sebastian Sangre. Sono il sindaco di questa piccola comunità.» Il sindaco appoggiò entrambi i palmi sul tavolo, vicino al proprio posto, puntando il suo sguardo proprio su di lei. «Immagino che tu abbia già sentito la mia voce, diversi mesi fa, ad Empire City.»

Rachel annuì. «Sì, mi ricordo.» Era stato proprio grazie ad una soffiata del misterioso agitatore di Empire che lei aveva conosciuto Rosso. In un certo senso, era stato proprio quell’uomo a cambiarle la vita. «Ma come faceva a sapere di quelle provviste?»

«Beh…» L’uomo piegò leggermente il capo. «Può non sembrare, ma me la cavo piuttosto bene con i computer. Dalla mia tranquillissima postazione potevo accedere a qualsiasi terminale di tutto il paese e monitorare tutti i movimenti del nostro governo. Non hai idea di quante cose io abbia scoperto…»

Quando pronunciò quelle parole, Rachel notò qualcosa di diverso nel suo tono di voce. Uno strano luccichio aveva pervaso i suoi occhi, qualcosa che solamente lei parve notare. A quel punto, la corvina non ebbe più dubbi: anche lui sapeva dell’epidemia. E probabilmente sapeva anche che lei sapeva. Che fosse stato il dottor Smith a dirglielo? Non poteva esserne sicura, ma qualcosa le diceva che, no, il dottore non c’entrava nulla. C’era qualcosa in quell’uomo, Sebastian, che non la convinceva del tutto. Avrebbe fatto meglio a non abbassare la guardia.

«Taglia corto, Sebastian.» Marianne incrociò le braccia, diffidente. «Perché ci hai chiamati?»

«Suvvia, Marianne, non vuoi neanche lasciarmi il tempo di presentarmi? Perfino i nostri capitani mi vedono a malapena.» A quelle parole, Simon, Konstantin ed Artemis drizzarono il capo. Non Allen, però. Forse lui aveva già partecipato a quelle riunioni, in passato.

«Ha ragione, Sebastian» proseguì Roy.  «Cosa succede? Non hai mai convocato tutti noi in questo modo.»

L’uomo sospirò. «Suppongo che girarci attorno non farà altro che rendere ancora più difficile la situazione. Vedere, quello che devo dirvi sarà affatto semplice per voi da digerire, ma purtroppo è una realtà che non possiamo più ignorare. Inoltre, devo avere la vostra parola: ciò che sto per dirvi, dovrà rimanere dentro questa stanza.»

I presenti cominciarono a guardarsi tra loro perplessi, poi diedero la loro parola. Tutti, eccetto Rachel, che aveva il terribile sospetto di sapere già cosa Sebastian stesse per dire loro.

«Vedete, tutti noi… corriamo un grave pericolo.»

Ogni dubbio svanì in Rachel quando udì quella frase.

 

 

 

 

 

Salve ragazzi. No, non sono morto. Mi sa che questa frase l'ho già scritta diverse volte, ma non ricordo molto bene, è passato un po' di tempo. Scusate per l'attesa. E sì, è un po' scarno questo capitolo, ma sapete come si dice, la quiete prima della tempesta o quel che è. Perché sì, gente, la tempesta è molto vicina. Anche se "vicina" è una parola che stona un po' con l'attesa straziante a cui vi sottopongo, ne prendo atto, ma purtroppo la faccenda è questa. La storia continuerà con questi ritmi, ahimé. Spero che con il periodo natalizio io possa trovare più tempo per scrivere, ma non ci metterei la mano sul fuoco, perché potrebbe perfino darsi che io debba partire per un po'. Quindi... sì, se volete odiarmi per colpa dell'attesa a cui vi sottopongo fate pure. Io sono solo felice del fatto che questa storia venga letta da qualcuno. 

Bene, ho detto tutto, alla prossima!

   
 
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