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Autore: AleDic    16/12/2018    3 recensioni
[Shinsuke!centric ⎸952 parole]
Lo vede anche ora. Il suo riflesso non ha fatto che acquisire nuovi strati da avvolgerglisi intorno, nuovi pasti con cui la belva avrebbe potuto cibarsi senza mai essere sazia, diventando sempre più grande – finché non lo sarebbe stata abbastanza per far crollare il cielo.
{Storia partecipante alla “Challenge dalle Parole Quasi Intraducibili” indetto da Soly Dea sul forum di Efp}
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Takasugi Shinsuke
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Challenge Mania'
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Personaggi: Shinsuke Takasugi, Bansai Kawakami (accennato), Gintoki Sakata (sottinteso)
Pairing: nessuno
Generi: Slice of life, Introspettivo, Angst, Psicologico
Rating: Arancione
Avvertimenti: una sorta di what if?, anche se spero possa risultare più un missing moment; accenni a Contenuti Forti e Violenza
Contesto: da qualche parte dopo il Benizakura Arc, tuttavia bisogna essere arrivati almeno all’Arco dell’Assassinio dello Shogun per poterla comprendere
Prompt: Yakamoz = il riflesso della luna sull’acqua
Note d’autore: Ciao a tutti, eccomi approdata anche in questo fandom! Grazie alla Challenge di Soly Dea, sono riuscita finalmente a scrivere qualcosa su Gintama, anche se non sono per nulla convinta del risultato – e vi starete chiedendo: allora perché diamine l’hai pubblicata? Perché il 99% delle volte che scrivo è sempre la stessa storia e se mi facessi vincere dai dubbi, non pubblicherei mai nulla. È sempre meglio condividere un lavoro su cui hai spesso tempo e impegno e lasciare che i lettori e i colleghi(?) autori mi facciano conoscere il loro parere, così da poter sempre cercare di migliorare.
Ringrazio quindi chi passerà a leggere e chi sarà così buono da lasciarmi un commento.

 

Alla prossima,

Ale

 
P.S.: soprassedete sul titolo, non mi veniva in mente altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un riflesso è la finestra da cui si scorgono le deformità dell’anima

 

 

 

{ 952 parole }






 

La ferita all’occhio sinistro pulsa.

La luna si staglia alta nel cielo, così grande e maestosa da illuminare la notte senza bisogno di altra luce. Shinsuke la osserva riflessa sullo specchio d’acqua, seduto a prua della nave ammiraglia del Kiheitai. Le bende coprono come sempre un lato del suo volto, ma questo non basta a fermare quell’orrendo palpitare.
Sa che non è la realtà, ormai non c’è più nulla di vivo dietro quella palpebra chiusa - lì c’è solo il passato e tutto ciò che ha perduto, tutto ciò che, non importa cosa faccia, non riavrà mai più indietro. C’è un intero altro mondo a riempire quell’occhio vuoto, c’è la persona che glielo ha donato e quelli con cui l’ha condiviso - e poi c’è il momento in cui tutto è stato distrutto, gettato nell’oscurità perenne insieme a metà di se stesso.

Avrebbe voluto che fosse successo nello stesso istante. Avrebbe voluto che quel Naraku avesse lanciato il pugnale non appena l’avesse visto muoversi. Avrebbe voluto con ogni fibra del suo essere che l’ultima immagine impressa nel suo occhio sinistro fosse stata la testa di Shoyo che cadeva al suolo.

A volte, come ora - quando il pulsare diventa così fastidioso da non essere più in grado di ignorarlo - porta la mano al viso e inizia a grattare sulle bende: è come cercare di placare una bestia famelica dandole delle carezze, Shinsuke ne è ben consapevole e quasi ride di se stesso, se non fosse che la ferita inizia a bruciare e grida grida grida.
Tempo fa, Bansai l’ha rimproverato duramente per questo; è successo in una notte come quella, quando pensava che fossero tutti via per qualche missione e lui avrebbe potuto soccombere al demone che urla dietro il suo occhio chiuso: le bende giacevano a pezzi pendenti lungo il volto, macchiate di rosso scarlatto; la pelle della palpebra percorsa da scie vermiglie che si allargavano mentre le unghie continuavano imperterrite a incidere la carne, quasi a voler estirpare quella belva ruggente a mani nude.
Non si è accorto di Bansai finché non gli ha afferrato il polso, tirandoglielo via dal volto sfigurato - Shinsuke! - trascinandolo con forza fino all’infermeria. Quella volta, non ha lasciato il suo fianco per un’intera settimana, occupandosi personalmente ogni giorno della medicazione delle ferite.

Avrebbe voluto parlargli di quel pulsare insopportabile e delle urla del demone dietro la sua palpebra chiusa, non fosse che quelle lacrime impresse a fuoco nel suo occhio vuoto l’obbligavano al silenzio ogni volta.

Nessuno si è accorto di quell’episodio: i graffi si trovavano sulla parte del viso sempre nascosta a tutti dalle bende, perciò nessuno ha notato qualcosa d’insolito; per loro quello era il solito volto di Takasugi Shinsuke. Anche Bansai non ha chiesto nulla, né ha voluto sapere il perché di quel gesto; tuttavia, gli ha detto che se avesse provato a rifarlo, avrebbe lasciato il Kiheitai seduta stante.
Alla fine, le cicatrici sono sparite nel giro di qualche settimana e, bende o meno, di ciò che è successo quella notte non è rimasta traccia.

 

La ferita all’occhio sinistro pulsa.

Dovrebbe aver imparato a conviverci ormai, dovrebbe aver imparato a sopportare quella vista, a udire quella voce – dovrebbe, ed è tutto lì il problema, nel dovere che non è riuscito a rispettare, in quelli che ha infranto e continua a infrangere nonostante quello che vuole davvero proteggere ormai non ci sia più (o sia troppo lontano, distante una vita in un altro mondo che non è in grado di dimenticare anche se non ne è rimasto che cenere).
Non sono che fantasmi – lui e quei ricordi – ombre di un passato che l’ha stretto in una morsa mortale dalla quale sembra impossibile fuggire – e la follia non è altro che cercare di andare avanti quando ancora nulla è davvero giunto al termine, e quell’uomo e questo mondo sono ancora vivi, ancora integri, ancora a progettare di distruggerli tutti.

Stava osservando il suo riflesso, quella volta. Di solito sale a prua per guardare il cielo – lì dove si trova il suo vero obiettivo, il corvo a cui avrebbe tarpato per sempre le ali e fatto precipitare sulla Terra; quel giorno, invece, si è messo a osservare la luna nello specchio d’acqua: la pallida imitazione della luce, l’irregolarità della sfera, la superficie frastagliata mal esposta.
Così come la luna riflessa nell’oceano, anche il suo riflesso rivelava la sua vera natura: la falsità di cui era ricoperto, tutti quegli strati di menzogne cucite su se stesso che gli si attorcevano all’anima quasi a soffocarla – e il demone dietro al suo occhio sinistro urlava sempre più forte, riempiendo tutto il suo campo visivo, la sua mente, il suo cuore.

Lo vede anche ora. Il suo riflesso non ha fatto che acquisire nuovi strati da avvolgerglisi intorno, nuovi pasti con cui la belva avrebbe potuto cibarsi senza mai essere sazia, diventando sempre più grande – finché non lo sarebbe stata abbastanza per far crollare il cielo.

 

La ferita all’occhio sinistro pulsa.

Non sa il perché, però adesso, quando la mano si poggia sulle bende a quel palpitare e il desiderio di stridere e graffiare affiora violento, gli torna in mente quel giorno – il suo nome pronunciato da Bansai, la stretta ferrea intorno al suo polso, il bruciore delle cure che gli ha prestato – e, in qualche modo, la mano scivola via dal suo viso e torna a stendersi lungo i fianchi.

Il mondo dietro alla sua palpebra vuota era un mondo in cui non era mai solo. Che fosse Shoyo, Zura, Gintoki o chiunque altro dei suoi compagni, era sempre circondato da volti amici. Volti in cui poteva vedere il suo riflesso da qualche parte, così da non perdere mai di vista se stesso.

La ferita all’occhio sinistro continua a pulsare, e il demone continua a urlare; eppure, la sua mano resta immobile.

   
 
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