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Autore: LysandraBlack    16/12/2018    6 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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ATTO PRIMO



CAPITOLO 2

Gold, slavers and promises



 

Come da un anno a quella parte, aprì gli occhi sul soffitto polveroso della minuscola stanzetta sporca che divideva con il fratello e la madre. I ragni si erano dati da fare ultimamente e le ragnatele erano più maestose che mai.

Almeno una cosa in quel posto era fatta bene...

Si girò da un lato, la schiena indolenzita sul giaciglio che poggiava sul pavimento freddo. Quella notte era toccato a lui, la prossima avrebbe dormito sul materasso di paglia sfondato. “Che fortuna”, pensò, scostandosi le coperte di dosso e starnutendo per la polvere nel naso. Raggiunse il catino con l'acqua, quasi infilandoci dentro la testa nel tentativo di svegliarsi e farsi passare il mal di testa.

«Buongiorno, famiglia!» Annunciò spalancando la porta.

Come al solito, Carver grugnì una risposta assonnata, Leandra gli rivolse un sorriso stanco e Gamlen si limitò a bofonchiare qualcosa, il naso tra le pagine di qualche lettera.

«Altri debiti, zio?» Gli chiese beffardo, andando verso la cucina e prendendo un po' di pane e marmellata, dandone un pezzo anche a Bu, che sembrava l'unica davvero entusiasta di vederlo.

«Quali sono i piani di oggi, Garrett?» Gli chiese la madre, come tutti gli altri giorni.

Si strinse nelle spalle. «Cercare un qualche lavoro, farmi sputare in testa dai nobili e probabilmente finire sbronzo come una merda alla taverna.» Rispose infilandosi quasi metà del pane in bocca e masticando rumorosamente.

«Quando ti deciderai a mettere la testa a posto come tua sorella?» Lo rimproverò lei, incrociando le braccia. «Ieri sei tornato a notte fonda e puzzavi così tanto di alcol che credevo di ubriacarmi solo standoti vicino.»

«Beh, madre, ognuno ha le sue abitudini. Per esempio, tu è un anno che non fai altro che lamentarti, senza muovere un dito della tua nobile mano.» Ribattè piccato il mago, finendo il resto della colazione in due bocconi. «Non tutti possono essere dei cittadini esemplari come Marian.» Si voltò verso il fratello, che stava assistendo allo scambio con aria divertita. «Carver, vieni?»

«Sicuro!»

Si alzarono entrambi al volo, afferrando le rispettive armi e prendendo la porta.

Bu scodinzolò loro dietro, saltellando contenta.

«Credi che la smetterà di pressarci?» Gli chiese Carver quando furono abbastanza lontani.

Garrett si strinse nelle spalle. «Prima o poi se ne farà una ragione.» Stese le braccia, cercando di stiracchiarsi. «Merda, sto a pezzi.»

Il fratello si limitò a sogghignare. «Invidio seriamente Marian, nel suo comodo letto del dormitorio assieme alle altre reclute...»

«Le ho viste alcune reclute, non vorrei dormirci assieme nemmeno se non fossero templari.»

Scoppiarono a ridere, mentre salivano le scale che portavano al porto. Una coppia di elfi li guardò male, carichi com'erano di casse pesanti. Passarono davanti alla taverna dell'Impiccato, dove Garrett trascorreva la maggior parte delle sue serate.

«Sei per caso riuscito a lavorarti il nano?»

«Chi, Varric?» Chiese il maggiore, scuotendo il capo. «Suo fratello Bartrand è irremovibile... però abbiamo un piano, se riuscissimo a racimolare abbastanza soldi.»

«Se avessimo abbastanza soldi, non avremmo bisogno di un piano, ti pare?»

«Vero anche questo.»

Garrett sospirò, imboccando una vietta laterale che tagliava per il porto. Un bambino di circa sei anni corse loro incontro, tirandoli per una manica. Lo riconobbero subito.

«Hei, Jod. Che ci porti di bello oggi?»

Il bimbetto allungò a Garrett una lettera, chiusa con il sigillo di ceralacca. Lanciando al messaggero una moneta di rame cominciò a leggere, grattandosi la barba.

«Sembra che Athenril abbia qualcosa per noi... della merce rubata da riprendersi.»

«Chi è così scemo da rubare ad Athenril?» Chiese Carver, prendendogli di mano la lettera.

«Non è roba sua, infatti. Un contatto esterno.»

«Credi ne valga la pena?»

Garrett si strinse nelle spalle. «Andiamo a parlare con questo Anso e scopriamolo.»



 

Dopo qualche ora, erano di nuovo all'Impiccato.

La taverna era affollata come sempre, e per pranzo la cuoca aveva preparato una delle sue famigerate zuppe misteriose.

«Mh, ogni giorno ha un sapore diverso!»

Garrett scoppiò a ridere, mangiando di gusto e mandando giù tutto con della birra.

«Allora, questo nuovo lavoro?» Lo spronò il nano, incuriosito. «Non abbiamo molto tempo per racimolare i soldi che vi servono.»

Il mago sbuffò sonoramente. «Come se non lo sapessi...»

«Quello che ci ha assunti ha l'aria da incapace.» Rispose Carver per lui. «E la cosa mi puzza di trappola.»

Varric aggrottò le sopracciglia, fissandoli preoccupato. «Credete ci sia di mezzo la Coterie, o il Carta? Se è davvero lyrium quello che stanno trasportando...»

«Non ne abbiamo idea.» Lo fermò Garrett. «Ma ci pagherebbe bene, tre sovrane. Il che è meglio di qualunque cosa abbiamo incontrato finora. E per un lavoro di una serata.»

«Non lo so, Garrett, mi sembra strano.» Commentò il nano, accarezzando il manico della sua balestra. «Vengo con voi. Bianca potrebbe tornare utile, e a lei piace essere d'aiuto ai suoi amici.»

«Bianca è sempre la benvenuta!» Sogghignò il mago, brindando alla loro. «E anche tu, ovvio.»

«Eh, ci mancherebbe altro... piuttosto, ho buone notizie.» Varric abbassò il tono di voce fino a ridurlo ad un sussurro. «Per quelle mappe che ci servono, credo di avere una soluzione. Gira voce che ci sia un Custode Grigio in città.»

«Un-?» Per un attimo, Garrett ripensò all'elfa che aveva incontrato un anno prima a Lothering, prima che tutta la loro vita andasse allo sfacelo. Si diede dello stupido. L'Eroina del Ferelden era morta a Denerim ponendo fine al Flagello, non poteva essere lei. «Sei sicuro?»

L'altro bevve un altro sorso di birra. «Sono pettegolezzi, ma sì, abbastanza. Si dice che sia arrivato con un altro gruppo di rifugiati dal Ferelden qualche settimana fa. Lirene, una donna che gestisce gli aiuti ai nuovi arrivi in città bassa, potrebbe darci una mano. La conosco per sentito dire.»

«Un Custode Grigio... beh, questa sì che è fortuna!» Commentò Carver, sbattendo una mano sul tavolo. «Se trovassimo davvero un ingresso comodo per le Vie Profonde, possibilmente vicino ad uno dei Thaig... torneremmo in superficie ricchi sfondati in men che non si dica!»

Varric ridacchiò. «Frena l'entusiasmo, ragazzo, prima ci occorrono almeno altre cinquanta Sovrane.»

«Ci stiamo lavorando, fidati di noi.» Lo rassicurò Garrett, finendo la sua birra in lunghe sorsate.

Aspettarono la sera, perdendo tempo giocando a Grazia Malevola e bevendo qualcosa. Col favore delle tenebre, si avventurarono all'esterno, scendendo in città bassa fino al limitare del quartiere elfico, l'equivalente di un'Enclave. Il piccolo magazzino segnalato da Anso non era nemmeno sorvegliato. Garrett si scambiò uno sguardo carico di sospetto con gli altri due.

«Bianca, ci sarà del lavoro da fare...» Sussurrò Varric, acquattandosi contro la porta e scassinando rapidamente la serratura. Una volta aperta la porta, scivolarono silenziosamente all'interno.

La stanza era completamente vuota, le pareti spoglie e solo una torcia, spenta, sul muro. Il mago evocò una piccola fiammella, illuminando una porta di legno sulla parete opposta.

Fece segno agli altri di stare pronti, mentre con una sferzata dell'arco spalancava la porta, colpendo l'uomo immediatamente dietro con una potente scarica elettrica.

Il tafferuglio che seguì fu rapido e indolore, almeno per loro.

Carver, ripulendo la lama sporca di sangue sulla manica di uno degli uomini a terra, indicò l'unico forziere in vista. «Varric, è tutto tuo.»

Quando il nano spalancò il baule, la loro espressione trionfante mutò in delusione.

«Vuoto?!» Sbottò Garrett, colpendolo con un calcio. «Maledizione!»

«Era una trappola bella e buona.» Commentò Carver. «Se becco quell'Anso...»

«Magari è stato ingannato pure lui.» Suggerì Varric, ottimista come al solito. «Non ci resta che andare a chiedergli spiegazioni.»

Una volta usciti dall'edificio, però, non ebbero il tempo di rendersi conto di essere osservati che una dozzina di uomini calarono su di loro, le armi sguainate.

«Hei, non è l'elfo!» Urlò qualcuno, sorpreso.

Garrett ne approfittò per colpirlo dritto in faccia con l'arco, spedendolo a parecchi metri di distanza.

«Gli ordini erano di uccidere chiunque fosse uscito da quella casa!» Urlò una voce femminile che non ammetteva repliche.

Una freccia sibilò ad un soffio da Carver, che si acquattò dietro il muro della casa accanto. «Merda! Possibile che non troviamo mai un lavoro facile?»

«Alti i rischi, alta la ricompensa!» Gli gridò Garrett, spedendo una freccia dritta nel petto di uno degli assalitori. Quello crollò con un gemito, mentre il mago incoccava di nuovo.

Lo scontro fu più violento del precedente, ma ne uscirono ugualmente vincitori. Raccolsero velocemente ciò che poteva essere loro utile, nascondendo le tracce che potevano far risalire a loro.

Carver, con occhio critico, osservò uno squarcio fumante sulla tunica di uno dei cadaveri. «Fratello, dovresti imparare a controllarti...»

«Ops.» Ridacchiò Garett, afferrando una spada da terra e aprendo la ferita in modo che non si capisse più che fosse ad opera di un mago. Per la tunica, si limitò a calpestarla un poco, spegnendola, per poi strappargliela di dosso. «Ecco fatto, sistemato.»

Prima che Carver potesse ribattere, un uomo spuntò da dietro l'angolo. Era vestito con un'armatura a piastre, una grande spada tra le mani.

«E tu chi-»

«La domanda è chi siete voi, ma non importa.» Li interruppe quello. «Avete fatto uno sbaglio ad intromettervi, stupidi Fereldiani. Uomini, prendeteli!»

Nessuno rispose al suo ordine. Rimase lì, impettito, mentre la sua sicurezza svaniva mano mano che i secondi passavano. Lanciò uno sguardo alle proprie spalle, interdetto. «Uomini?»

«Urla quanto vuoi, i tuoi uomini sono tutti morti.»

Dal vicolo, comparve una figura dai capelli bianchi e scompigliati che arrivavano poco sotto un paio di orecchie a punta. L'elfo, vestito di cuoio scuro, trascinava un cadavere con un grosso squarcio sanguinante sul petto. Lanciò il corpo ai piedi dell'uomo, guardandolo truce. «La tua patetica trappola è fallita. Ti consiglio di strisciare dal tuo padrone, finchè puoi.»

La sua voce era profonda, la rabbia ben chiara.

L'altro, rimasto solo, esitò un attimo, ma sembrò riprendersi in fretta. Si voltò di scatto, allungando una mano come per afferrare l'elfo. «Non andrai da nessuna parte, schiavo!»

Quello tirò indietro il braccio, il pugno che si illuminava di una luce sinistra, per poi trapassare l'armatura e il petto dell'uomo senza alcuno sforzo. Il corpo senza vita cadde a tera in una pozza di sangue, il torace squarciato. L'elfo lo guardò con disgusto, ripulendosi dal sangue che saliva fino al gomito. «Non sono uno schiavo.»

Garrett, Carver e Varric rimasero per un attimo senza parole.

«Vi porgo le mie scuse.» Disse loro l'elfo, indicando i corpi a terra. «Quando ho chiesto ad Anso di procurarmi un diversivo per i cacciatori, non immaginavo sarebbero stati così... numerosi.»

«E io che speravo in un lavoretto facile...» Scosse la testa Garrett, indicando i cadaveri. «Ben ci sta, ad accettare un incarico che puzza di trappola lontano un miglio.»

«Se avevate dei sospetti... perché?»

Si strinse nelle spalle. «Sappiamo cavarcela.»

L'elfo annuì. «Già, lo vedo. Mi chiamo Fenris. Questi uomini non erano altro che cacciatori di taglie dell'Impero Tevinter, venuti qui per recuperare la proprietà di un magister, ovvero il sottoscritto.»

«Proprietà...?»

Garrett scoccò un'occhiata in tralice al fratello. «Nel senso di schiavo. È uno schiavo fuggito.»

«Ti causa problemi?» Lo sfidò Fenris, incrociando le braccia.

Il mago sollevò un sopracciglio. «Beh... visti gli sviluppi della serata, a quanto pare sì. Ma sono disposto a passarci sopra, dare un calcio in culo a qualche schiavista è sempre un piacere.»

L'espressione dura dell'elfo si rilassò un attimo, arricciandosi in un accenno di sorriso. Si spostò più vicino ad una fonte di luce, che gli illuminò una serie di tatuaggi chiari che correvano su tutta la pelle in vista.

Garrett li indicò con un cenno. «Immagino che quei tatuaggi siano uno dei motivi per cui manchi tanto a quel bastardo.»

Fenris annuì. «Non sono stati una mia scelta, ma mi hanno aiutato a riconquistarmi la libertà. Una curiosità... cosa c'era in quel baule all'interno del magazzino?»

«Uno scarafaggio morto.» Rispose Varric. «Gran bel bottino. Oh, e della polvere.»

L'elfo sembrò deluso. «Non potevo sperarci troppo... vorrei chiedervi un altro favore, però. Il mio vecchio padrone li ha accompagnati qui in città. Devo affrontarlo, prima che scappi.»

I tre si scambiarono un cenno d'intesa. «D'accordo.» Rispose Garrett.

Fenris corrugò la fronte. «Così? Senza chiedere nulla in cambio?»

Il mago sogghignò. «Oh, non farti strane idee. Ci aspettiamo di essere pagati per il disturbo, ovvio. Ma lo faremmo anche solo per una birra, è una giusta causa.»



 

L'edificio dove doveva nascondersi il padrone di Fenris, Danarius, era situato in città alta. Una volta entrati, vennero attaccati da Ombre e Demoni, ma del magister nessuna traccia. Ripulirono la casa da cima a fondo, ma Danarius, se mai era stato lì, era ormai lontano.

Fenris, appoggiato al muro che dava sul vicolo secondario, rivolse a Garrett un'occhiata carica di sospetto. «Sei un mago, non è vero?»

Lui non se la sentì di negarlo. Allungò il braccio, accendendo una minuscola scintilla sul palmo della mano destra. «Già.»

L'elfo sospirò. «La terra di magia oscura dalla quale sono fuggito non smette di perseguitarmi. È come un marchio, inciso nella mia carne e nel mio spirito. E ora, mi ritrovo in compagnia di un altro mago. In suo debito, addirittura. Dimmi, mago, cos'è che cerchi?»

Gli occhi verdi dell'elfo si piantarono nei suoi, accusatori. Garrett sostenne lo sguardo. «Soldi per uscire dalla lurida topaia dove vivo da un anno, una vita tranquilla, un buon boccale di birra e una zuppa fumante, in questo momento. Di sicuro, non ho un segreto piano malvagio per conquistare il mondo.» Rispose strafottente. «E per quanto riguarda il tuo debito con noi, pagaci e sei libero di andare per la tua strada.»

Carver si fece avanti, minaccioso. «Se racconti a qualcuno di mio fratello...»

Fenris alzò una mano, fermandolo. «Non voglio apparire un ingrato. In realtà, tutto il contrario. Sono... sorpreso. Non sei Danarius, questo è chiaro, sono disposto a concederti il beneficio del dubbio.»

«Che gentile...» Commentò ironico Varric.

L'elfo si frugò nelle tasche, estraendone cinque monete d'oro. «È tutto quello che ho, ma è più di quanto Anso vi avesse promesso. Per il disturbo.» Sembrò voler aggiungere qualcosa, ma si limitò a porgere loro il denaro, che Garrett afferrò entusiasta.

I tre si voltarono per andarsene, lasciandolo lì. Dopo qualche passo, il mago si fermò.

«Se hai bisogno di aiuto, chiama. Anche solo per fare due chiacchiere, sai, potresti scoprire che ci sono anche maghi simpatici.» Ammiccò, salutandolo con la mano. «Ci trovi all'Impiccato!»

Tornarono verso la città bassa, fermandosi davanti alla porta della taverna.

«Una strana serie di eventi, eh?» Commentò Varric, precedendoli all'interno.

Carver sembrava preoccupato mentre salivano al pian di sopra. «Credi che manterrà il segreto?»

«Non mi sembra nelle condizioni di denunciare nessuno... e poi, se dovesse farlo, canteremmo a nostra volta.» Riflettè Garrett. «No, credo possiamo fidarci.»

Il nano sogghignò, dandogli di gomito. «È un tipo interessante però, no?

«Un po' troppo... Drammatico.» Ridacchiò, facendo il verso all'elfo. «“La terra di magia oscura...”»

Risero tutti e tre.

«Chissà che non si rifaccia vivo, uno di questi giorni.»

«Fai un favore a tutti, Varric, tienilo d'occhio.» Ribattè il mago.

L'altro ridacchiò con l'aria di chi la sapeva lunga, mentre la cameriera arrivava con tre piatti di carne fumane e altrettanti boccali di birra scura.








 

Lanciò a Ser Thrask, il Templare a cui era stata temporaneamente affidata, uno sguardo interrogativo. Keran, Wilmod e Ruvena la chiamarono di nuovo.

«Vai pure, per oggi abbiamo finito.» Rispose quello, accennando un sorriso. Ma sii puntuale per il nostro incontro dopo cena.»

Marian ringraziò con un cenno del capo. Thrask le stava simpatico, era di ampie vedute rispetto alla maggior parte dei Templari lì a Kirkwall e le stava dando una mano a prepararsi per la sua Veglia. Nel giro di qualche mese, a detta della Comandante Meredith, sarebbe stata pronta.

“Ser Marian Hawke, dell'Ordine Templare.” Suonava bene.

Raggiunse le altre reclute, che la attendevano ridacchiando.

«Allora, come va con Thrask?» Chiese Wilmod, scoccando un'occhiata divertita al templare che si stava allontanando.

«È un ottimo insegnante.» Rispose prontamente Marian, scrollando le spalle. «Peccato che non gli interessi far carriera.»

Ruvena sollevò un sopracciglio, abbassando il tono di voce. «Davvero credi alle sue stronzate?»

«Sì, insomma, lo sanno tutti che non piace alla Comandante Meredith.» Aggiunse Keran.

«Lui e tutte i suoi discorsi sulla necessità di trattare i maghi come nostri pari...»

A disagio, Marian cercò di cambiare argomento. «Sì, beh, in ogni caso mancano solo pochi mesi e saremo Templari a tutti gli effetti anche noi, non dovrò sopportarmi i suoi farneticamenti ancora per molto.» Indicò con un cenno la scalinata che portava al cortile della Forca, sede dell'Ordine a Kirkwall. «Andiamo ad allenarci, o siete troppo stanchi a furia di spettegolare?»

Wilmod grugnì il proprio disappunto.

Ruvena gli diede una pacca di scherno sullo spallaccio. «Dillo che hai paura che Marian ti sbatta di nuovo col culo per terra!»

«Sì, ieri ha camminato storto tutto il giorno...» Rincarò la dose Keran, ridendo di gusto.

L'altra recluta borbottò qualcosa, offeso. «Vediamo se siete capaci di fare di meglio.»

Raggiunsero con calma il cortile di addestramento, a quell'ora poco frequentato. Era il momento migliore della giornata, poco dopo pranzo, quando il sole faceva capolino dalle due torri della Forca illuminando la strada sottostante.

Marian estrasse le due spade che portava alla cintura, una più lunga e l'altra più corta.

Lo stile di combattimento che aveva appreso negli anni era vario, degno di una recluta dell'Ordine. Aveva imparato a maneggiare i pesanti scudi a torre e le grosse spade a due mani, tirare con l'arco e muoversi sia in armatura pesante che schivare i colpi vestita solo di leggero cuoio. Lo stile che prediligeva, però, era quello del suo primo maestro, uno stravagante templare di origine Orlesiana: una spada corta per deviare gli affondi degli avversari e una più lunga per colpirli allo stesso tempo.

Keran, di fronte a lei, sembrava sicuro di sé. «Stavolta non mi freghi.» Disse, estraendo la grossa spada a due mani.

Marian sogghignò, invitandolo a farsi sotto.

Le lame cozzarono impetuosamente e il tempo sembrò volare. Smise di pensare, c'era soltanto l'avversario e la sua spada, i movimenti fluidi di attacco, difesa e contrattacco mentre piroettava su sé stessa, il respiro regolare nonostante il caldo sotto l'armatura.

Passarono così il resto del pomeriggio.

Mentre osservava Wilmod e Ruvena scambiarsi qualche affondo, non le sfuggì la figura che li osservava da una delle balaustre che si affacciavano sul cortile. Una donna in armatura pesante, le insegne del Comandante dell'Ordine che spiccavano come in fiamme sotto la luce del tramonto, lo sguardo duro e impassibile incorniciato da due ciocche di capelli biondi.

«La Comandante Meredith mi mette sempre in soggezione...» Commentò Keran, rabbrividendo.

Marian la guardò con la coda dell'occhio, annuendo. «Fa quell'effetto a tutti.»



 

Passarono tutto il pomeriggio nel cortile ad allenarsi e quando finalmente arrivò la sera tutte le reclute furono ben contente di ritirarsi nel dormitorio, spogliarsi dell'armatura e delle vesti sudate e, dopo una rinfrescata veloce, disperdersi tra i locali vivaci della città.

L'aria calda e fumosa dell'Impiccato portava con sé il profumo della zuppa del giorno, della birra spillata dalle grandi botti di legno e delle numerose persone al suo interno. L'argomento del giorno sembrava nuovamente essere il campo allestito al porto per contenere tutti quei Qunari che erano arrivati a Kirkwall. Il loro capo, chiamato Arishok, sosteneva che fossero naufragati e che avessero richiesto una nave per tornare a Par Vollen, la loro capitale, ma dopo due mesi erano parecchie le voci che circolavano sulle loro vere intenzioni.

Marian, liberatasi dei propri compagni con una scusa, era scivolata in città bassa alla ricerca dei fratelli minori. Avrebbe incontrato Thrask nel giro di un'ora, ma c'era abbastanza tempo per fare due chiacchiere. Inoltre, non vedeva i due Hawke più piccoli da un paio di settimane.

Li individuò in fondo al locale a conversare in toni accesi con il nano che avevano preso a frequentare in modo assiduo, un certo Varric Tethras, scrittore, mercante e probabilmente decine di altre cose meno lodevoli.

«Ah, sembrava che questo postaccio si fosse improvvisamente illuminato!» Esclamò Garrett, sollevando il boccale di birra verso di lei. «La Luce della Benedetta Andraste risplende finalmente su di noi, amici e compagni di malefatte!»

Marian scoppiò a ridere, spingendolo da parte e sedendoglisi accanto. «Se hai visto questo tugurio illuminarsi, Garrett, reggi meno di quanto vuoi far credere.» Gli strappò il boccale di mano, assaggiandone il contenuto prima di segnalare alla cameriera di portarne un altro. «Allora, novità?»

«Strano, ci degna della sua attenzione...» Sentì borbottare Carver, che nel frattempo l'aveva a malapena guardata, il naso nella ciotola di zuppa.

Ignorò il fastidio, cercando per una volta di non discutere nuovamente col fratello minore.

«Siamo un po' più vicini ai soldi che ci servono per la spedizione.» Annunciò Garrett, scoccando un'occhiata preoccupata ad entrambi.

Marian si lasciò sfuggire una smorfia. «Non c'è modo di farvi riconsiderare, vero?» L'idea di avere entrambi i fratelli persi nelle Vie Profonde a cercare chissà quale tesoro la riempiva di terrore. Non avrebbe potuto sopportare di perderne un altro per colpa della Prole Oscura. Il ricordo di Bethany era ancora vivido nella sua mente, così come il senso di vuoto e colpa che ne era seguito.

«Sappiamo badare a noi stessi.» Rispose asciutto Carver, sempre senza guardarla negli occhi.

«Vedrai Marian, non correremo rischi.» Si intromise Varric, cercando di rassicurarla. «C'è un periodo finestra, dopo un Flagello, in cui la Prole Oscura si ritira-»

«Sono solo teorie!» Sbottò lei, facendo sobbalzare la cameriera che arrivava con la sua cena. «Non potete esserne sicuri, e se per caso vi perdeste, o finiste dritti dritti nella tana di quei mostri...» Guardò Garrett, implorante. «Ci sono migliaia di modi per recuperare i soldi che ci servono per uscire dalla casa di Gamlen.»

«“Ci”, sorella?» rimbeccò Carver, piccato. «E io che pensavo che tu vivessi comodamente nei dormitori delle reclute...»

Fu il turno di Marian a quel punto di scattare. «Non mi pare tu ti sia ancora lamentato dei soldi che vi passo tutti i mesi, razza di-»

«Smettetela!» Sbottò Garrett, che per tutto il tempo era rimasto fuori dalla discussione.

Quando incontrò gli occhi blu del fratello, in cui avvamparono per un attimo piccolissime scintille di magia, il suo pensiero tornò a Bethany. A come l'avrebbe rattristata vederli discutere.

Discutevano di continuo, ultimamente. Dalla morte di loro padre le cose erano state difficili, e anche prima non era stato tutto rose e fiori, certo, ma da quando si erano imbarcati a Gwaren sulla nave che li aveva condotti a Kirkwall, la loro famiglia, o ciò che ne restava, era andata in pezzi.

E nessuno dei tre sembrava intenzionato a piegarsi per raccoglierli.

«Puoi tenerteli, quei soldi.» Disse Carver, secco. «Basta che passi una volta ogni tanto a salutare nostra madre.» Si alzò di scatto, lasciando la cena a metà e andandosene a passi larghi, sbattendo la porta d'ingresso.

Marian sospirò, guardandolo allontanarsi. Incrociò lo sguardo di Garrett, corrucciato quanto il proprio. «Dove sto sbagliando con lui?»

L'altro sollevò un sopracciglio. «Potresti provare a scendere dal tuo piedistallo, una volta ogni tanto. Getti una grossa ombra su tutti noialtri già di tuo.»

«Fottiti, Garrett.» Sbuffò, finendo la propria birra a lunghi sorsi. «Riconosco che dovrei passare più spesso a casa, però.»

«Se almeno quella topaia si potesse chiamare casa...»

«Credo sia una sofferenza persino per i topi che vivono sotto alla credenza.» Ridacchiò Varric, cercando di alleggerire la tensione. «E la cucina di vostra madre non aiuta.»

Marian scosse la testa, divertita. «Ancora non ti è andata giù la zuppa di verze eh?»

Il nano rabbrividì al ricordo. «Non nominarmela, ho ancora gli incubi. Ho sputato fuoco per giorni dai posti più improbabili. Non proprio una bella esperienza.»

«A proposito di sputare fuoco, ti ricordi quel favore?» Si illuminò Marian guardando il fratello. «Ho sentito di un Clan Dalish accampato nelle vicinanze della città, alle pendici del Monte Spezzato.»

«Saranno loro?»

Si strinse nelle spalle. «Quanti altri Dalish passeranno da qui?»

L'altro annuì. «Immagino dovrò andare io, te sei così impegnata ad allenarti ad uccidere pericolosi abomini e demoni di ogni sorta...»

«Hei.» Lo avvertì lei, irritata. «Non iniziare. Sai che lo faccio anche per tenervi al sicuro-»

«Nel caso qualcuno sospettasse qualcosa, sì, lo hai ripetuto mille volte.» La interruppe Garrett con un gesto della mano. «Non che tu non lo stia trovando divertente.»

“Divertente?” Pensò lei, la chiara immagine del cipiglio gelido della Comandante Meredith che le compariva davanti. «Non credo che sia tra i primi aggettivi che mi salterebbero in mente per descriverlo, ma sì, ha i suoi lati positivi, lo ammetto. E comunque manteniamo l'ordine e la sicurezza, è un lavoro importante.»

«Anche la Guardia Cittadina lo fa, ma non se ne vanno in giro a vantarsene ai vostri livelli.»

«Ma fammi il piacere.» Lo zittì lei, colpita nell'orgoglio. «Se dovessimo avere una crisi come quella del Circolo nel Ferelden, la Guardia Cittadina potrebbe fare ben poco. Sai che ho stima di Aveline e la considero un'ottima combattente e una persona ancora migliore, ma da lì a poter fare qualcosa contro un branco di Abomini fuori controllo...»

«Nel caso succedesse, sorellona, mi aspetto che tu provi quantomeno a fingere di verificare la presenza di un demone prima di rompermi il naso a pugni.»

«C'è ben poco da ridere, lo sai benissimo.»

«Al contrario, sai che ho solo un grande rispetto verso il vostro onoratissimo Ordine.»

Sbuffò sonoramente, scuotendo il capo. «Sei allucinante.» Finì rapidamente la zuppa, tornando poi a fissare i due compagni. «Mi accompagnate ad incontrare il mio superiore?»

«Cos'è, una festicciola segreta e vi serve una vittima sacrificale?»

«Garrett!»

Fu Varric a metterli entrambi a tacere, afferrando la balestra appoggiata alla sedia e sfoggiando uno dei suoi sorrisi accattivanti. «Ma certo. Non si dica che Varric Tethras rifiuta di aiutare una fanciulla.»

Marian alzò gli occhi verso il soffitto, divertita. «Allora muoviamoci.»

L'aria della sera portava con sé l'odore salmastro della baia, l'umidità che si attaccava alle vesti e alla pelle come una patina.

Raggiunsero il luogo dell'incontro in leggero ritardo, ma di Thrask neanche l'ombra.

«Forse ha deciso di fare la ronda per conto suo?» Suggerì Garrett, il colletto della giacca tirato su a proteggersi dal vento fastidioso. «Beh, peccato. Torniamo dentro.»

Marian lo bloccò per un braccio, un brutto presentimento a stringerle lo stomaco. «Non è da lui. Qualcosa non va.»

«Hei, guarda qua.»

Varric, chinatosi a raccogliere qualcosa da terra, le porse un foglietto. Su di esso, in quella che Marian riconobbe come la calligrafia di Thrask, c'era scritto soltanto un nome.

«“Samson?”» Lesse Garrett da sopra la sua spalla. «Amico tuo?»

Lei scosse la testa. «No, ma da quanto ho sentito, si finge amico di tutti ultimamente...» Si guardò attorno, incerta sul motivo per cui il templare le avesse lasciato quel biglietto. Aveva davvero avuto così tanta fretta di incontrare Samson, oppure era successo qualcosa di più grave? Non avevano tempo da perdere.

«Si tratta di un ex templare che, a quanto si dice in giro, aiuta i maghi fuori dal circolo a scappare dalla città.» Spiegò mentre scendevano le scale che portavano ai moli del porto. Thrask aveva accennato a Samson più di una volta, ma non sapeva di preciso dove stesse.

Girovagarono a vuoto per almeno un paio d'ore prima che Garrett intravedesse una figura seduta su un muretto, intento a guardare le luci delle barche riflettersi sull'acqua sporca del porto. «È lui?»

Marian aguzzò lo sguardo. Corrispondeva alle vaghe descrizioni che aveva dell'uomo.

Si avvicinarono di soppiatto, sperando di non metterlo in allarme.

«Ser Samson?» Lo chiamò, facendolo voltare.

L'uomo non tradì alcuna sorpresa. «Nessuno mi chiama così da qualche anno, ragazza. Solo Samson, almeno quando non trovano termini peggiori.»

«Io-»

«Ah, mi chiedevo cosa fossi, ma mi è già chiaro. Una recluta che prova a fare il colpaccio e impressionare quell'arpia di Meredith sbattendomi in cella e confermando le voci sul mio conto... Non avete alcuna prova, ragazza, perché nessuna di quelle stronzate ha un fondamento.» Le rivolse un sorriso storto sotto la barba sfatta, gli occhi incavati che brillavano divertiti nonostante le occhiaie profonde e quasi violacee, la voce roca.

Rabbrividì. “Così questo è quello che succede quando smettiamo di prendere il lyrium...” «Stiamo cercando Ser Thrask. So che è venuto a parlarvi, poco fa.»

«Può darsi.» Scrollò le spalle lui. «Non ricordo bene, sai, l'astinenza fa brutti scherzi.»

Garrett le si affiancò con fare minaccioso, ma lei lo ammonì con un cenno della mano. «Non vogliamo causarti problemi. Se quello che fai per i maghi è vero... beh, avrai le tue ragioni.» Si frugò nelle tasche, estraendone dieci monete d'argento. «Thrask. Vi torna in mente qualcosa?»

Samson gliele strappò lesto di mano, sorridendo di nuovo. «Mh, sì, mi pare di averci parlato più o meno un'ora fa. Gli ho detto dove andare ma... l'informazione vi costerà un po' di più. E vi conviene fare in fretta, quello sprovveduto non sa in cosa si sta cacciando.»

«Dimmi quanto.» Tagliò corto Marian, prima che Garrett cercasse di spedirlo in acqua con un fulmine e richiamasse l'attenzione di mezzo quartiere su di sé.

«Almeno il doppio.»

Strinse i denti, trattenendosi dalla voglia di spaccargli i denti giallognoli. Contò rapidamente le monete, mettendogliele in mano con astio. «Venti. Ora rispondi.»

«Preferivo quando mi chiamavi Ser Samson...» La sbeffeggiò l'uomo, ma indicò loro una via laterale che portava ai vecchi magazzini. «Il terzo dopo l'edificio con le tende blu e verdi, sulla destra. Non potete sbagliare, ha un ariete disegnato a lato della porta.»

L'alito puzzava di alcol scadente e i vestiti di salsedine, sporcizia generica e altro a cui Marian non voleva proprio pensare in quel momento. Si voltò in fretta, strattonando il fratello per una manica. «Andiamo, qui abbiamo finito.»

«Se mai ti faranno Templare, ragazza, ricordati di passare per un saluto!»

Si inoltrarono nel vicolo buio, sentendosi addosso lo sguardo dell'uomo per tutto il tempo.

«Avremmo potuto convincerlo senza-»

«Avremmo perso tempo e attirato attenzioni inutili.» Ribattè Marian, cercando febbrilmente la tenda blu e verde. «E cercava di apparire molto meno pericoloso di quanto in realtà fosse. Ho sentito che era un ottimo templare, prima di...»

«Ridursi ad un rottame?» Suggeri Varric con una smorfia. «Bah.»

Garrett non demordeva facilmente. «Sfrutta i maghi in fuga per pagarsi la sua dipendenza.»

«L'Ordine fa poco o nulla per aiutare i Templari distrutti dal lyrium, figuriamoci quelli cacciati.» Spiegò il nano. «Deve averla fatta grossa.»

Marian non seppe ribattere. Era vero.

Trovarono il magazzino dopo qualche minuto. La porta era aperta, segno che qualcuno, “Thrask?”, era appena passato di lì.

Scivolarono all'interno, stando attenti a non fare rumore. Una rampa di scale conduceva al piano inferiore, dove uno sciabordio segnalava che vi era un accesso diretto al mare. Delle voci concitate provenivano dal basso.

«Se lo uccidiamo, avremo l'intero ordine addosso!»

«Saremo già lontani, dopo questi due carichi.» Rispose una voce imperiosa, dal forte accento Tevintiano. «Sbarazzatevi del corpo, quando avete finito.»

«Thrask!» Sibilò allarmata Marian, sporgendosi dalle scale.

Il templare era immobilizzato da due scagnozzi per parte, l'armatura insanguinata e il volto tumefatto. Davanti a lui vi era un uomo alto dalla pelle olivastra, le ricche vesti da mago ricamate alla maniera dell'Impero Tevinter. Dava loro le spalle.

Stavano per intervenire, quando un movimento alla loro destra li fece sobbalzare.

Da una pila di casse, proprio dietro le scale, emerse una figura vestita di nero, i piedi scalzi che non facevano il minimo rumore sul legno marcio del magazzino.

Quando il mago si accorse del nuovo arrivato, era già troppo tardi.

Marian sussultò quando il pugno guantato della figura si fece strada nel petto del Tevintiano senza alcuna difficoltà, strappandone via il cuore con un risucchio sinistro e rumore di ossa spezzate.

Il corpo cadde a terra con un tonfo, mentre tra gli altri si scatenava il panico.

«E ti pareva!» Sentì Garrett esclamare, una delle frecce già in volo che si piantava dritto nell'orbita di uno degli uomini che trattenevano Thrask.

Lei scese le scale a balzi, entrambe le spade già estratte, disarmando rapidamente un avversario e scagliandosi contro il secondo.

Il Templare immobilizzato, sfruttando la sorpresa dei suoi aguzzini, si liberò con uno strattone e una testata, rubando una spada dalla cintura di uno di essi e trafiggendo il più vicino.

Dopo un breve scontro, tutti gli schiavisti erano a terra, immobili.

«Che coincidenza incontrarsi di nuovo, eh Fenris?»

L'elfo, il braccio destro ancora zuppo di sangue, emise un sospiro quasi teatrale. «Chissà perché non mi sorprende affatto.»

Garrett si limitò a ridacchiare, mentre Varric accarezzava la sua balestra, riponendosela sulle spalle. Marian li ignorò, avvicinandosi a Thrask che si era allontanato verso la banchina, chino su qualcosa. Quando la ragazza realizzò cos'era, un brivido le fece accapponare la pelle.

Ciò che restava di quel mago o maga era ormai lontano da qualsiasi forma umana: escrescenze e gobbe erano cresciute sulla pelle, trasformando il corpo in un mostro deforme, mentre il sangue scuro e denso che si insinuava tra le assi del pavimento fumava ancora leggermente.

«Ser...?»

Nessuna risposta.

Si schiarì la voce, il braccio bloccato a mezz'aria a pochi centimetri dallo spallaccio dell'uomo. «Ser Thrask?»

Quando il Templare si voltò finalmente verso di lei, il volto era tirato dal dolore. «Non ho fatto in tempo a salvarla.»

«Ser, con tutto il rispetto, non possiamo salvare ogni Apostata-» Si interruppe di scatto, realizzando finalmente che cosa era appena successo. «La conosceva, Ser?» Chiese dopo un poco, titubante.

L'altro annuì, abbassando lo sguardo. «Se solo non avessi agito come un folle, ma seguendo la Chiesa... Olivia sarebbe ancora viva. Mia figlia...»

Non seppe cosa rispondergli. Guardò di nuovo ciò che restava dell'Abominio a terra, maledicendosi perché erano arrivati troppo tardi. Se soltanto non avesse perso tempo all'Impiccato, forse avrebbero potuto aiutare Thrask e la figlia sarebbe stata portata al sicuro al Circolo... «Mi dispiace.»

L'uomo serrò la mascella. «Sono stato io ad ucciderla, con la mia debolezza. Ho lasciato che mi convincesse con le sue preghiere a non mandarla al Circolo. È soltanto colpa mia.» Si chinò nuovamente a raccogliere una piccola sacca di pelle, che appese alla cintura. «Grazie per essere intervenuti, Marian. Segnala alla Guardia Cittadina di ripulire questo disastro, io... sua madre deve saperlo.» Puntò gli occhi nei suoi, un dubbio che lo attanagliava. «Capirò se vorrai fare rapporto alla Comandante Meredith, ma preferirei-»

«Il suo segreto è al sicuro, Ser.» Lo interruppe Marian senza pensarci un attimo. «Non si preoccupi, non ne faremo parola con nessuno.»

L'altro annuì. «Ve ne sono grato. Metterò una buona parola con i miei superiori per accelerare la tua promozione, Marian, anche se non so quanto possa contare.»

Osservando il Templare che saliva le scale, le spalle curve e la testa bassa, Marian si chiese cosa avrebbe fatto se fosse venuto a sapere del suo segreto. Il suo sguardo si posò su Garrett, che stava scherzando su qualcosa con Varric e l'elfo dai capelli chiari. Il pensiero che anche suo fratello avrebbe potuto un giorno trasformarsi in un Abominio...

«State zitti un attimo.» Ordinò l'elfo agli altri due, le orecchie ritte a captare qualcosa. Si voltò verso una serie di casse abbastanza grandi da poter ospitare un uomo rannicchiato, picchiando con la mano sul legno.

«Mhpf!»

Allarmati, si precipitarono al suo fianco. Con qualche difficoltà, tolsero il coperchio inchiodato. Un ragazzino spaventatissimo fece capolino dall'interno, guardandoli con un paio di enormi occhi azzurri, la luce che si rifletteva in essi come quelli di un gatto.

«Non fatemi male, vi prego!» Li supplicò, sollevando le mani bloccate ai polsi da una sottile catena di ferro avvolta in più giri. «Mi hanno rapito, io volevo solo-»

«Sei un mago?» Tagliò corto senza troppi giri di parole Marian, incrociando le braccia e squadrandolo inquisitoria.

Dopo un attimo di incertezza, il ragazzino annuì. «Mia madre si è rivolta a quel templare, Thrask, vuole farmi rinchiudere nel Circolo... immagino che farete lo stesso.»

«Marian?»

Si voltò verso il fratello, che la fissava con un sopracciglio alzato. «Garrett, no.»

Lui allargò le braccia, avvicinandosi ulteriormente al prigioniero. «Sto solo dicendo che magari possiamo considerare altre ipotesi!»

«Mandatemi dagli elfi!» Pregò quello, gli occhi supplichevoli puntati su Garrett. «Loro non hanno Circoli e il Guardiano di un Clan può insegnarmi a controllare la mia magia, così da non essere un pericolo per nessuno! Vi prego, non rinchiudetemi nella Forca...»

Garrett sembrava aver già deciso. Varric alzò i palmi delle mani verso di lei, chiamandosene fuori.

«Assolutamente no!» Tuonò l'elfo, sbattendo un pugno sul legno della cassa e facendo sobbalzare tutti. «Questo ragazzino è un pericolo per tutti, anche se non se ne rende conto! E tu, che razza di Templare saresti, che-»

Non fece in tempo a fare un altro passo verso di lei che Garrett gli afferrò il braccio, una scintilla minacciosa negli occhi. «Non. Toccare. Mia. Sorella.»

L'elfo gli si rivoltò contro, strattonando a sua volta e liberandosi dalla presa, la mano che correva verso la grande spada fissata sulle spalle. «Non toccarmi!»

Prima che si potesse scatenare il putiferio, Marian si frappose tra i due estraendo in un attimo le proprie armi, la punta di ciascuna lama a pochi centimetri dal loro petto. «Calmatevi.» Non potè evitare di osservare incuriosita gli strani tatuaggi che correvano su tutto la pelle visibile dell'elfo, in risalto quasi quanto i capelli innaturalmente bianchi. «Decidiamo cosa fare come persone mature e non alla stregua di un branco di cani affamati.»

«Bu si sentirebbe offesa dal paragone.» Si intromise Varric, che aveva puntato la balestra sull'elfo.

«Non sei di aiuto.» Lo rimbeccò lei, abbassando le armi e scoccando un'occhiata gelida a tutti i presenti, che fecero altrettanto. Tornò a rivolgere l'attenzione sul ragazzino, che li fissava allarmato. «Perchè gli elfi dovrebbero prendere un umano tra loro?»

L'altro sostenne il suo sguardo. «Mia madre è un'elfa. Vive all'Enclave, si chiama Arianni, controllate pure. Solo perché non sembro un elfo, non significa che il mio sangue è del tutto umano.» Gli occhi brillarono di nuovo in quel modo strano, tipico degli elfi.

Sospirò. «Garrett, non avevi detto che volevi andare dai Dalish accampati qui vicino per quella commissione? Sembra che tu abbia anche un altro compito.»

Il mezzelfo si lasciò andare ad un'esclamazione incredula. «Davvero? Mi lasciate andare?»

«Ad una condizione.» Ribattè lei, frenando il suo entusiasmo ed ignorando le proteste irate di Fenris. «Se il Clan sul Monte Spezzato non ti vuole, tornerai con Garrett qui senza causare problemi a nessuno. Altrimenti ti verrò a cercare di persona con un manipolo di Templari armati fino ai denti.» Lo minacciò severa, cercando di evitare di incrociare lo sguardo divertito del fratello.















Note dell'Autrice: ed ecco che vediamo come se la stanno cavando i nostri Hawke a Kirkwall. Incantevole città, davvero, non so proprio perchè non la propongano nei pacchetti vacanze rilassati del Thedas, assieme alle terme di Orlais e le spiagge Antivane... 
Al prossimo capitolo c'è una sopresa, nel frattempo vi lascio con Marian. 
Dareth shiral!





  
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