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Autore: _Lisbeth_    17/12/2018    3 recensioni
Maylor (Brian May/Roger Taylor)
1969/1988
Dal primo capitolo:
- Roger, ti sei mai preoccupato per i sentimenti di qualcuno che non sia Tim? – lo interruppe Brian, calmo. Tranquillo, anche troppo, ma il suo cuore era sprofondato. Non riusciva più ad ascoltare le sue parole, le sue urla, i suoi attacchi e le autocommiserazioni. Per lui importava solo Tim. Era solo, lo aveva appena detto. Solo, senza Tim. E lui cos’era, allora?
Il ragazzo dagli occhi azzurri socchiuse la bocca, fermandosi. Deglutì. – Io… sì. Che razza di…
Brian gli si avvicinò, guardandolo negli occhi, toccandogli leggermente il petto con un dito magro. – Io invece penso proprio di no.
Lo scansò prendendolo per le spalle, facendosi spazio dietro di lui, uscendo dalla camera e chiudendo delicatamente la porta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 1 - You've hurt me.
 
1969.

 
- Rog.
 
Il ragazzo sentì la voce familiare provenire dall’esterno della sua camera. Con rabbia sbatté violentemente il bicchiere di vetro che era sulla sua scrivania contro il muro, afferrando dei vecchi spartiti, strappandoli e accartocciandoli. Si mise le mani tra i capelli biondi, tremando e digrignando i denti, mentre cercava di non impazzire. Si sedette sul suo letto, stringendosi i capelli tra le mani e appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
 
- Rog, per favore, posso entrare?
 
- Non rompermi il cazzo e vattene via. E’ inutile che resti. – strinse i denti lasciando scivolare le lacrime dai suoi occhioni enormi e del colore del cielo. La porta si aprì comunque, rivelando dei ricci crespi e un corpo magro e alto che era appoggiato all’uscio. Roger lo fissò con gli occhi spalancati, tremante, le occhiaie marcate e le labbra martoriate per i morsi che lui stesso si procurava quando era nervoso. – Esci immediatamente.
 
Brian sentì il cuore diventare un macigno. La camera era un campo di battaglia. Regnava il disordine, i vestiti giacevano buttati sul pavimento, la batteria era a terra. Gli spartiti strappati, piccoli cristalli brillavano sul battiscopa. Non aveva mai visto Roger in uno stato peggiore. Di certo non lo avrebbe lasciato da solo, per alcun motivo. – Rog, devi distrarti.
 
- Che cazzo vuoi, Brian? Vattene, non ho bisogno di te e delle tue attenzioni da… - strinse gli occhi, venendo interrotto da colpi di tosse che gli scuotevano forte il petto. Aveva gridato, urlato fino a graffiarsi la gola, e quelli erano i risultati. Brian gli strinse una spalla, mentre la sua schiena continuava a essere tormentata dai tremiti. – Roger. – sussurrò, accarezzandogli il braccio dolcemente.  Roger drizzò la schiena, tirando su col naso e scansando la mano di Brian dalla sua spalla. – Ho detto di andartene.
 
- No.
 
Il biondino gli lanciò un’occhiataccia, asciugandosi le lacrime, mentre Brian sospirava. – Rog, ti prego, devi dimenticare. Non è successo niente, andremo avanti senza Tim, troveremo qualcuno anche più bravo e più talentuoso. Devi fidarti di me. Sei il batterista migliore che io conosca. Hai una voce pazzesca e…
 
- Io lo amavo, Brian. – disse Roger, gli occhi fissi sul pavimento, le unghie che affondavano nel palmo della mano per via dei suoi pugni chiusi. Brian deglutì, respirando profondamente. – Lo so.
 
- Lo amavo e lui pensava a scoparsi chiunque, sbandierandomelo in faccia. Ma che lo dico a fare a te… Non ne hai di questi problemi.
 
Brian stette in silenzio. Si grattò la tempia con il dito affusolato, guardando Roger. Il respiro si stava calmando, ma poteva sentire la sua rabbia e la sua delusione solo sfiorandolo. – Rog, odio vederti così.
 
Roger si scostò incrociando le braccia. – Come fai?
 
Brian aggrottò la fronte.
 
- Come fai ad essere così… Così fottutamente calmo… Come fai a perdonare in questo modo? – sussurrò il biondino, guardandolo con gli occhioni azzurri rossi per il pianto. Brian non sapeva cosa dire. La vista di quegli occhi lo stava confondendo, non sapeva cosa dire o cosa fare. Si limitò ad abbassare la testa. – Io sono semplicemente rassegnato a molte cose.
 
- A che cazzo sei rassegnato, eh?! – esclamò il più piccolo, alzandosi dal letto a pugni stretti, gli occhi azzurri bruciavano di frustrazione e rabbia. Ma Brian sapeva che non era arrabbiato con lui. Era arrabbiato con la persona che li aveva abbandonati in quel modo menefreghista ed egoista. – Brian tu sei perfetto! Hai una vita perfetta, un cervello straordinario. Suoni il tuo strumento come nessun altro al mondo. Sai fare fottutamente tutto e per questo a volte ti odio. E odio ancor più me stesso per l’invidia che provo. E io sono tanto, tanto stanco di essere solo uno stupido, invidioso, inutile Roger Taylor. Io sono rassegnato. Io. Non tu, che sei così perfetto da far schifo. Non Tim, che ci ha abbandonati così, lasciandomi ancora più solo. Sono stanco. Così stanco. – quando Roger finì di parlare, deglutì. Era sudato, ma tremava e tirava su col naso. Brian scosse la testa, si alzò, guardando fuori dalla finestra. Roger strinse più forte i pugni, graffiando la pelle delicata del palmo. – Reagisci, porca puttana! Non parli nemmeno più, ora? Sono troppo stupido per te, non è così? Troppo stupido per…
 
- Roger, ti sei mai preoccupato per i sentimenti di qualcuno che non sia Tim? – lo interruppe Brian, calmo. Tranquillo, anche troppo, ma il suo cuore era sprofondato. Non riusciva più ad ascoltare le sue parole, le sue urla, i suoi attacchi e le autocommiserazioni. Per lui importava solo Tim. Era solo, lo aveva appena detto. Solo, senza Tim. E lui cos’era, allora?
 
Il ragazzo dagli occhi azzurri socchiuse la bocca, fermandosi. Deglutì. – Io… sì. Che razza di…
 
Brian gli si avvicinò, guardandolo negli occhi, toccandogli leggermente il petto con un dito magro. – Io invece penso proprio di no.
 
Lo scansò prendendolo per le spalle, facendosi spazio dietro di lui, uscendo dalla camera e chiudendo delicatamente la porta.
 
 
 …
 
 
 - Me ne vado da questa band. Basta, ho bisogno di qualcosa che mi faccia arrivare in alto, mi faccia essere qualcuno. Questa roba non piace nemmeno a mia madre, figuratevi se può arrivare a qualcuno che non sa chi cazzo siamo. E’ finita, ragazzi. Avete talento, lo riconosco. Ma questo talento è troppo poco per me.
 
Quando Tim finì di parlare, diede gli spartiti che portava sempre con sé a Roger. Glieli sbatté sul petto senza preoccuparsi di non fargli male. Il ragazzo più piccolo restò zitto, fermo immobile, per un momento. E sentì il cuore bruciare di rabbia, il nodo alla gola sembrava tanto stretto da bloccargli il respiro e le parole. Non era da lui, doveva svegliarsi e riprendersi. Ma non riusciva a parlare.
 
- Cioè… Te ne vai così, di colpo? Senza preavviso? – sbottò Brian, guardando prima Roger, poi Tim. Il piccolo ragazzo dagli occhi azzurri, quello che aveva talmente tanta energia in corpo che la sfogava sulla sua batteria come se fosse l’antidoto a qualunque dispiacere e ferita. Lo stesso Roger, in quel momento, aveva il corpo scosso da tremiti, gli occhi spalancati puntati a terra. E nel vedere il ragazzo in quel modo, Brian aveva solo voglia di prendere il bassista e spaccargli la testa a forza di colpi di chitarra.
 
- Sì, scusami, amico. Solo che ho bisogno di qualcosa di più. Non perdetevela, eh? – disse Tim, voltandosi. Brian gli afferrò il polso, costringendolo a guardarlo. – Ti rendi conto di quanti cazzo di sforzi abbiamo fatto per te e per questa band? Io e Rog abbiamo suonato fino a farci sanguinare le mani, abbiamo scritto giorno e notte senza dormire. E a che scopo? Per farci dire che non siamo abbastanza. Che abbiamo talento, ma… Troppo poco per te.
 
Roger guardò Brian, senza capire appieno ciò che stava dicendo. Il suo pensiero era solo uno, quello di essere stato abbandonato di nuovo. Gli girava la testa, gli occhi bruciavano per le lacrime trattenute.
 
Tim si liberò dalla stretta del riccio con uno strattone, guardandolo fisso negli occhi. – Datti una calmata, dottor May. Accetta e basta, e lasciami vivere. – gli voltò le spalle, andandosene con le mani in tasca, mentre Brian sentiva Roger battere i denti e ansimare, piano. Si girò verso il ragazzo, la persona più importante che aveva. E non aveva il coraggio di immaginare quello che stava succedendo nella testa del migliore amico, non voleva. Avrebbe fatto troppo male anche a lui, perché Roger non aveva il rapporto di semplice amicizia che aveva lui con Tim, Roger Tim lo amava. E pensarci gli faceva anche più male, lo colpiva al cuore come mille lame. Ma Brian neanche se ne accorgeva.
 
Sentì Roger singhiozzare, piano, silenziosamente. Vide il ragazzo lasciar andare gli spariti facendoli cadere a terra, lo vide stringere i pugni, tirare calci al muro e al loro furgone, lo sentì gridare di rabbia e lo vide sbattere le bacchette della batteria per terra, violentemente. Lo vide distruggere la grancassa, ammaccare i piatti. E non poté più sopportare. Lo prese tra le braccia, stringendolo forte, con le lacrime che si affacciavano dagli occhi scuri mentre il ragazzo tra le due braccia urlava, dimenandosi, gridandogli di lasciarlo andare.
 
- Stronzo, lasciami! Lasciami, stupido bastardo! – strillò, picchiandogli il petto con i pugni chiusi, facendogli male per l’energia che ci metteva ma senza fargli mollare la presa. Brian deglutì, stringendo gli occhi per non piangere. Gli accarezzò piano i capelli biondi, delicatamente e dolcemente. Sentì Roger continuare a piangere, smettendo però di dimenarsi. Le sue spalle continuavano ad essere scosse dai singhiozzi, ma le urla erano cessate. Brian sospirò, continuando ad accarezzargli la testa. – Va tutto bene, Rog. Resterò io con te. Torniamo a casa.
 
Il più piccolo singhiozzò, lasciandosi andare sul petto del chitarrista. – Torniamo a casa.
 
 

 …
 
 
 A Roger girava la testa. La luce forte del locale lo accecava e gli sembrava di avere un martello pneumatico che gli fracassava le membra. In quel posto c’era un baccano che gli spaccava i timpani e non gli faceva capire un bel niente. Non sapeva quanto avesse bevuto, sicuramente troppo per ricordare. Aveva voglia di suonare la batteria, o di cantare. L’ultima cosa che ricordava di quella serata, era lo sguardo deluso di Brian nella sua stanza, e gli faceva più male del trapano che gli stava torturando la testa. Si guardò intorno, confuso e stordito.
 
Qualcuno, probabilmente più grande di lui, gli si avvicinò, circondandogli le spalle con un braccio. Era un ragazzo alto e muscoloso, i capelli erano corti e scuri. Roger non sapeva chi fosse.
 
- Ti ho visto suonare la batteria ieri. Non sei niente male, soprattutto per il tuo falsetto. - appoggiò una mano sull’interno coscia del ragazzo, stringendolo con delicatezza. Gli baciò il collo, mentre Roger lo guardava tremando leggermente. Non voleva che nessuno oltre Tim lo toccasse, ma aveva i riflessi rallentati dall’alcool e i sensi annebbiati. Non riusciva a muoversi, non era più in sé. Il ragazzo iniziò a mordicchiargli la pelle sottile e delicata della nuca, mentre con la mano si avvicinava sempre più al cavallo dei suoi pantaloni. Roger gemette.
 
- Hai perso la lingua? – sussurrò lo sconosciuto, mentre gli si avvicinava appoggiando le labbra sulle sue, tenendogli una mano dietro alla nuca. Roger strinse gli occhi, cercando di allontanare il ragazzo con le braccia, fallendo miseramente. L’altro gli strinse i polsi, facendogli male impedendogli di reagire. Roger era confuso, la testa lo stava uccidendo, ma sapeva di doversi riprendere. Era come se corpo e mente fossero separati.
 
Il ragazzo continuò a baciarlo, accarezzarlo, toccarlo, e per un momento Roger si lasciò andare. Pensò a Tim, pensò al dolore che gli aveva fatto provare, che nemmeno tutto lo schifo che aveva ingoiato gli faceva scordare e smise di opporre resistenza. Vide il ragazzo alzarsi, afferrargli il polso, trascinarlo in bagno. E Roger non fece nulla per fermarlo.
 
 
 
Quando uscirono dal bagno, la testa di Roger girava come una giostra. Vide il ragazzo con cui aveva appena fatto sesso scomparire, lasciandolo solo. A Roger non importava. Forse, semplicemente, non capiva. Zoppicò fino alla sala, la schiena e le gambe gli dolevano e lui era sul punto di perdere l’equilibrio e cadere per terra. Si sedette con difficoltà su un piccolo divanetto, da solo, sperduto, ubriaco, pallido e dolorante.
 
Vide un altro ragazzo avvicinarsi, non lo riconosceva, ma gli sembrava un volto conosciuto. Non era molto alto, i capelli erano lunghi, la dentatura pronunciata e la figura snella. Era vestito in modo particolare ed eccentrico, Roger lo trovò strano, ma non in modo negativo, nonostante nella sua condizione non capisse nemmeno cosa fosse positivo e cosa no. Il ragazzo gli si sedette accanto. – Tu sei il batterista degli Smile! Sono Freddie, Freddie Bulsara. Ho saputo… Di Tim.
 
Roger sentì il sangue gelarsi e il cuore fermarsi per un attimo. La testa gli doleva talmente tanto da non riuscire a parlare.
 
- Tutto a posto, tesoro? – lo sentì domandare. Con le gambe tremanti, prese un altro bicchiere e ne buttò giù il contenuto velocemente, che gli fece andare in fiamme la gola. Quel ragazzo assomigliava sempre di più a Tim. Freddie allontanò i bicchierini dalla sua vista. – Non ti fa bene bere così tanto. Hai un aspetto tremendo, caro.
 
- Tim… - sussurrò Roger, la voce solitamente alta e acuta era roca e raschiata. Il ragazzo davanti a lui era Tim, era tornato da lui. Era lì solo per lui e si stava preoccupando per lui. – Tim, scusami, io non volevo.
 
Freddie lo guardò senza capire. – Non so dove sia Tim… Ti chiami Roger Taylor, giusto?
 
Il biondo non lo sentiva neanche più. La vista si appannò, non si sentiva più le mani. Le iridi azzurre si ritirarono dietro alle palpebre, mentre lasciava cadere la testa a ciondoloni, e l’ultima cosa che sentì fu la voce del ragazzo davanti a lui chiamare il suo nome in modo insistente.
 
 
 …
 
 
 La batteria risuonava in tutta la stanza, forte, decisa e rumorosa. La precisione del ragazzo che la suonava era impressionante, il ritmo scorreva nelle sue vene come il sangue, mentre sul suo viso era dipinta un’espressione concentrata e compiaciuta allo stesso tempo. Era l’espressione di qualcuno che riconosceva il proprio talento, lo avrebbe riconosciuto sempre e mai lo avrebbe smentito.
 
Brian ammirava il talento di Roger, ammirava tutto di lui. La perseveranza, la sfrontatezza, la testardaggine e la determinazione. Era un carattere forte, energico, e lo si poteva vedere dalla passione che ci metteva nel suonare quelle percussioni, dai colpi forti con cui colpiva il pedale per suonare la grancassa e dalla maestria che usava nel battere i piatti e il rullante. Quando terminò, respirò profondamente. Poi guardò Brian.
 
- Che ne pensi? – gli chiese. Il chitarrista sorrise al suo migliore amico, scompigliandogli i capelli. – Sei pazzesco, Rog. Puoi fare cose impressionanti, non ho mai sentito nessuno suonare come te.
 
Il biondino aggrottò la fronte, tirandogli uno schiaffetto sulla mano. – Non osare toccarmi mai più i capelli.
 
Brian sorrise, alzando le mani. – Va bene, va bene. Ti chiedo scusa per il disagio che ti sto creando, signorino.
 
Roger lo guardò come se fosse un alieno. – Ma sei ritardato? Perché parli come mia madre?
 
Il chitarrista alzò gli occhi al cielo. – Sei sempre così gentile con me.
 
- Oh, più di Tim sicuramente. – disse Roger, stiracchiando le braccia e sgranchendosi le gambe. Brian sospirò. Tim, Tim, Tim. Era sempre e solo Tim.
 
Roger prese una barretta di cioccolato dalla credenza dove tenevano il cibo, mangiandola lentamente e appoggiandosi al muro. – Cosa si prova?
 
Il ragazzo più alto inclinò la testa. – Mh?
 
- A scopare.
 
Brian inarcò un sopracciglio, ridendo appena. – Perché la fai proprio a me, questa domanda?
 
Il biondo alzò le spalle. – Sei il mio migliore amico. Sei l’unica persona a cui posso farla senza vergognarmi.
 
Brian non capì per quale motivo sentì il cuore sprofondare. Era il suo migliore amico, sì. Cos’aveva da rimanerci male, se era la pura verità anche da parte sua?
 
- Be’, ecco… Io non… Non so descriverlo.
 
Roger sospirò, buttando a terra la carta della barretta.
 
- Raccoglila. – disse Brian, serio. Il biondo si piegò, prendendo la carta e buttandola nel cestino. – Come sei palloso. Davvero non sai descriverlo?
 
- No.
 
- Vorrei tanto saperlo…
 
 

...
 
 
 Roger spalancò gli occhi di scatto. Cosa cazzo era successo? Si portò una mano alla testa, che gli faceva un male tremendo, pensando all’unico ricordo che aveva della sera precedente. O era quella prima ancora? Scosse la testa, infilando le mani tra i capelli, maledicendosi da solo.
 
- No… No, no, no. – sussurrò, la voce era graffiata, non era quasi la sua. Lo aveva fatto. Lo aveva fatto e non ricordava nemmeno con chi. Aveva perso la verginità, era l’unica cosa di cui era certo. Una fitta allo stomaco lo fece piegare in due, facendogli riversare anche l’anima sul pavimento. Tossì, guardandosi intorno. Quello non era il suo appartamento.
 
Brian… Era casa di Brian. Riconobbe le pareti chiare e la moquette. Gli aveva appena vomitato sulla moquette.
 
- B-Bri.
 
Si girò, vedendolo appoggiato sull’uscio, allo stipite della porta. La figura alta e sottile era stranamente minacciosa. Lo sguardo non era arrabbiato, ma era gelido, freddo e serio. Deluso. Roger deglutì, sentendo in gola un sapore che gli fece stringere gli occhi.
 
- Brian… Che ci faccio qui? Mi gira la testa.
 
- Un certo Freddie Bulsara mi ha chiamato, ieri sera. Ha detto che eri “schifosamente sbronzo e svenuto” in un locale di merda che io stesso ti avevo detto di non frequentare. Devo aggiungere altro?
 
La testa di Roger era sul punto di esplodere, così come lo stomaco. Guardò Brian, gli occhi gli si chiudevano da soli e non riusciva a tenerli aperti per la luce che lo accecava. – Freddie… Bulsara?
 
Brian annuì. – Tra una stronzata fatta da te e l’altra, ‘sto Freddie mi ha detto che gli piacerebbe entrare nella band. Al posto di Tim. Abbiamo parlato tanto, sembra molto più intelligente di te e di quello stronzo egoista con cui vorresti scopare.
 
- Non… Non prenderà mai il posto di Tim.
 
- Infatti, è troppo dignitoso per stare in una band in cui c’è un batterista stupido come te. E poi, lo hai sentito cantare?
 
- No, ma…
 
- Allora stai zitto.
 
Roger sbatté le ciglia, schiarendosi la gola dolorante. – Non… Non sei mia madre. Non permetterti a parlarmi in questo modo.
 
- Roger, tu dovresti solo tacere. Devi ringraziare che tu sta notte abbia avuto un posto in cui dormire, solo perché sono troppo buono per lasciarti in mezzo alla strada come il barbone a cui assomigliavi ieri sera.
 
Il biondo si alzò di scatto dal letto, pentendosi immediatamente quando sentì la fitta alla testa diventare insopportabile. Cadde di nuovo sul letto, mentre Brian, sebbene non volesse farlo vedere, gli stringeva le spalle con gli occhi carichi di preoccupazione.
 
- Parlami di nuovo così e io giuro che…
 
- Sì, sì Roger, tutto quello che vuoi. Ora stai fermo e non muoverti. Vado a prendere qualcosa per pulire lo schifo che mi hai lasciato per terra.
Roger lo vide uscire, mentre sospirava per il dolore che si stava estendendo in ogni parte del suo corpo. Brian tornò dopo dieci minuti con uno straccio e un secchio, pulendo la moquette, con lo sguardo dolorosamente impassibile. Il biondo lo guardò. – Sei… Sei arrabbiato con me?
- Macché, vorrei solo ucciderti.
 
- Perché te la prendi così tanto?
 
Brian smise di pulire, guardandolo. – Guarda, non lo so. Forse perché ho visto il mio migliore amico in condizioni improponibili, ieri sera? Non sono come Tim, Roger. A me interessa di te e mi interessa ciò che fai.
 
- Ma che cazzo t’importa? – sbottò il più piccolo. Brian respirò profondamente. – Non fa niente. Sei troppo stupido per capirlo.
- Potresti smetterla di insultarmi?
 
- Rog, io sono deluso. Sono deluso, dispiaciuto, amareggiato e inoltre, la cosa peggiore, è che mi sento anche responsabile. Io avevo promesso a me stesso, a te e a quel cazzo di bastardo di Tim che ti avrei protetto.
 
- Ho vent’anni, Brian.
 
- Evidentemente ne dimostri sedici. E poi io tengo a te. E credo tu debba solo ringraziarmi per questo, ma tanto… Come hai detto tu, ti lasciano tutti da solo, no? E quando uno si preoccupa di farti stare bene, gli sputi in faccia in questo modo. Sei incoerente da far schifo. Mi hai fatto prendere un infarto, quasi. Mi sono preoccupato a morte, avrei voluto uccidere Tim, avrei voluto morire io per quello che hai fatto a te stesso. Hai dato qualcosa di preziosamente importante a chi nemmeno si ricorda il tuo nome.
 
Roger deglutì abbassando lo sguardo. Perché Brian doveva avere sempre ragione? Lo faceva sentire così stupido, così piccolo. Se fosse rimasto con lui… Se non fosse andato in quel locale, sarebbe ancora vergine. Aveva perso la sua prima volta, l’aveva buttata nelle mani di qualcuno di cui nemmeno sapeva il nome. Poi ci pensò su, deglutendo. – C-come lo…
 
- Freddie ha visto tutto. Quel coglione aveva dimenticato anche di chiudere la porta del bagno. – la voce di Brian si spezzò.
 
Il più piccolo strinse gli occhi. Guardò Brian, temendo di averlo perso. – Vieni qui, Bri. Ti prego.
 
- No, Rog. Ora voglio solo restare da solo. Chiamami quando imparerai a non buttare all’aria la tua vita.
   
 
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