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Autore: Yugi95    17/12/2018    0 recensioni
Quando si perde l’unica cosa al mondo che abbia davvero importanza; quando si perde una parte di sé che mai più potrà essere ritrovata; quando si perde l’amore della propria vita senza poter fare nulla per impedirlo… è in quel momento, è in quel preciso momento che si cede lasciando che il proprio cuore sia corrotto dalle tenebre. Si tenta il tutto per tutto senza considerare le conseguenze, senza pensare al dolore che si possa causare. Se il male diventa l’unico modo per far del bene, come si può definire chi sia il buono e chi il cattivo? Se l’eroe, che ha fatto sognare una generazione di giovani maghi e streghe, si trasforma in mostro, chi si farà carico di difendere un mondo fatto di magia, contraddizioni e bellezza? Due ragazzi, accomunati dallo stesso destino, si troveranno a combattere una battaglia che affonda le proprie radici nel mito e nella leggenda; una battaglia che tenderà a dissolvere quella sottile linea che si pone tra ciò che è giusto e ciò che è necessario.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Maestro Fu, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VIII – Voci dal passato

 
Non vi era altro che nebbia. Un opaco e sottile velo che si andava ad interporre tra i suoi luminosi occhi verdi e il mondo che lo circondava. Si sentiva fluttuare in quel luogo sconfinato: non vi era alcun punto di riferimento, nessun appiglio su cui far presa. Una strana luce, i cui raggi sembravano provenire da ogni dove, lo stava pian piano avvolgendo nel suo candido bagliore.

 Era incapace di percepire il proprio corpo: per quanto cercasse di muovere le braccia e le gambe, queste non gli rispondevano. Perfino il flusso dei suoi pensieri era scemato al punto tale che la sua stessa mente risultava ormai vuota. Non era rimasto più nulla, lui non era più nulla. Mera estensione di quello spazio bianco, di cui era diventato parte, rimase in attesa.

Cinque secondi, forse cinque giorni o forse ancora cinque secoli, non era in grado di capire per quanto tempo fosse rimasto in quella sorta di stasi. Del resto, non che gliene importasse molto: lui voleva solo tornare a casa, tornare dalla propria famiglia e abbandonare quel posto surreale e desolato. C’era unicamente quell’opprimente luce dai contorni indefiniti: impossibile da raggiungere e toccare. Erano solo loro due: un tutt’uno indivisibile; un tutt’uno privo di alcun significato logico; un tutt’uno che stava sparendo nel più assoluto silenzio. «Ti prego! Non farlo… ucciderai milioni di innocenti»

Una densa e soffocante polvere gli permeò improvvisamente le vie aeree fino ai polmoni. Sentiva il suo pesante odore all’interno del naso e il sapore acre, un misto di terra e ferro, sulla punta della lingua. Come fiocchi di neve, quei granelli grigi cadevano lentamente dal cielo adagiandosi al suolo. Tossì forte: quell’aria era irrespirabile. Si stropicciò gli occhi con la speranza di vedere oltre la punta del proprio naso.

Doveva muoversi, non poteva continuare a rimanere fermo in quel punto. Troppo pericoloso, ma come poteva dirlo? Non era nemmeno consapevole in che luogo si trovasse. Eppure, il suo istinto gli suggeriva di muoversi. Avanzò a tentoni in quella coltre fuligginosa: le mani tese in avanti e le orecchie pronte a captare qualsiasi tipo di rumore. Quella voce, quel grido di disperazione gli rimbombava ancora nella testa.

«Non può finire così! Torna in te, per favore.»

Ancora una volta: un suono chiaro, spezzato da una roca nota di pianto. Iniziò a correre. Per quanto fosse pericoloso, preferiva rischiare di inciampare piuttosto che continuare a vagare alla cieca. Si mosse verso destra, o forse sinistra: non lo sapeva, né gli importava. Il suo unico scopo era raggiungere il proprietario di quella voce. Il come e il perché potevano benissimo aspettare.

Man mano che proseguiva il velo di polvere si diradava sempre più. Il paesaggio circostante cominciava ad assumere una connotazione definita. Una collina si stagliava solitaria all’orizzonte, mentre alberi dall’alto fusto circondavano quella che sembrava una desolata radura. Il terreno era arido, privo di erba o piante. In lontananza fioche luci rossastre rischiaravano l’oscurità della notte. Corse verso di esse sperando che vi fosse qualcun altro ad aver avuto la sua stessa idea. Ormai erano vicinissime, poteva quasi toccarle.

«Ma cosa diavolo?! Non è possibile…»

Le parole gli morirono in gola. Si affrettò a coprirsi il naso e la bocca con entrambe le mani: la puzza era nauseabonda. Indietreggiò terrorizzato, chiedendosi chi avesse mai potuto compiere una simile barbarie. Dinanzi a lui una decina di cataste di cadaveri ardevano sotto fiamme crepitanti. Erano loro la causa di tutto quel fumo e della polvere: la cenere prodotta da quei corpi martoriati.

Nubi scure dai contorni grigiastri si innalzavano al cielo, portando con sé le urla di dolore di quei poveri sventurati. Erano stati arsi vivi, non vi era alcun dubbio. Alcuni di essi, nonostante fossero avvolti dalle fiamme, si muovevano, emettevano agghiaccianti rantoli. Non riusciva più a tollerare quel macabro spettacolo: voleva andare via, lontano da quel posto. Si voltò e, chiudendo gli occhi, iniziò a correre, o almeno ci provò.

«Perché non mi muovo?! Cosa mi sta succedendo?»

Una misteriosa e invisibile forza lo tenne lì, fermo in quel punto. Come se fosse stato pietrificato da una qualche fattura, non era in grado di muovere alcun muscolo. Il suo corpo non gli rispondeva. Immobile e privo di difese, era alla completa mercé degli eventi. Intanto, i cumuli di corpi fumanti avevano smesso di ardere e soltanto piccoli focali lambivano ancora le carni putrescenti.

«Devo andarmene, non voglio rimanere qui…» pensò tra sé, le proprie labbra incapaci di articolare le parole. «Forse se riuscissi a raggiungere la mia bacchetta…»

Nonostante lo stato di paralisi, fu in grado di muovere il braccio verso la tasca dei pantaloni. Per un attimo ebbe l’impressione che fosse la sua stessa bacchetta a richiamarlo. Quasi non avesse potuto compiere nessun altro movimento al di fuori di quello, ne afferrò il manico nero. Non appena fece ciò, provò una piacevole sensazione di leggerezza. Poteva nuovamente muoversi in totale libertà. Serrò la presa sulla bacchetta e, portatala all’altezza del viso, la esaminò con attenzione. «Perché mi hai portato qui? Cosa volevi mostrarmi?»

Si diede dello sciocco: sapeva bene che non avrebbe mai ricevuto alcuna risposta. Tuttavia, con suo grande stupore si rese immediatamente conto che le sue parole non sarebbero rimaste inascoltate. La punta del magico oggetto si illuminò di un’intensa luce verde smeraldo. Fu un attimo, senza rendersene conto, mosse il braccio in avanti. Il globo luminoso si separò dalla bacchetta e si mosse in avanti, a pochi metri di distanza da lui.

Un intenso bagliore lo investi in pieno viso, che coprì con le mani per evitare di accecarsi. La luce svanì in un secondo lasciando il posto a due figure umane intente a fronteggiarsi. Erano un uomo ed una donna, avrebbero potuto avere all’incirca una trentina d’anni. Vestiti con pesanti armature scintillanti, non davano l’impressione di essere dei cavalieri; ma piuttosto dei maghi dal momento che si combattevano a colpi di incantesimi. Entrambi non sembravano essersi minimamente accorti della sua presenza e continuavano a darsi battaglia indisturbati.

«Perché non vuoi capirlo?! Voi non eravate niente per me!» gridò la giovane, mentre lanciava pericolose maledizioni al suo avversario.

«Ti prego… sei ancora in tempo: torna in te!» la supplicò l’altro intento a difendersi da quei colpi mortali piuttosto che a farle del male.

«Questa è la mia scelta, la mia strada. Non tornerò mai indietro!»

«E sia, non mi lasci altra scelta…»

I due si posizionarono uno di fronte l’altra, le bacchette puntata all’altezza del petto. Per alcuni istanti si sentì solo il brusio del vento e il crepitare di fiacche fiamme, poi un solo urlo squarciò l’aria. «Avada Kedrava!»

Fu investito da un’intesa luce verde, mentre nella sua testa rimbombava di nuovo quella voce. «Salvala Adrien, salva tutti loro.» Non capì più nulla: la testa gli faceva male e le gambe non erano più in grado di sorreggere il suo peso. Si accasciò a terra, non sapeva se stesse per morire. Non gli importava, voleva solo che tutto quello finisse. Chiuse gli occhi e cadde in lungo sonno finché il suono della sveglia non lo fece sobbalzare dal letto.

Si ritrovò nel dormitorio dei Grifondoro. La fronte madida di sudore, il respiro affannato. Stropicciò gli occhi ancora assonnati, forse sarebbe stato il caso di darsi una sciacquata al viso. Facendo attenzione a non svegliare Plagg, beatamente appallottolato sul piumone, raggiunse in punta di piedi il bagno. Fu svelto, aveva paura che il suo vagabondare notturno potesse richiamare l’attenzione degli altri studenti. Chiuse la porta dietro di sé e si avvicinò al lavandino.

«Possibile si sia trattato solo di un sogno?» mugugnò tra sé, mentre dell’acqua gelida gli scorreva lungo le guance. «Eppure era così… così reale.»

Tornò nel dormitorio e si rimise sotto le coperte. Non aveva molta voglia di dormire: quell’incubo lo aveva profondamente turbato. Girò la testa verso il comodino sul quale era poggiata la propria bacchetta. Quante erano le probabilità che fosse successo tutto a causa sua? Possibile che il Preside Fu gli avesse dato un oggetto tanto potente e pericoloso? Quei dubbi lo tormentarono per tutta la notte, finché il sole illuminò le slanciate guglie di Hogwarts.

«Come sono eccitata. Non vedevo l’ora che arrivasse questo giorno!» esclamò, euforica, Alya saltellando allegramente per il passaggio che le avrebbe condotte al cortile esterno.

«Ehi, adesso calmati. Ci stanno guardando tutti.»

«Andiamo Marinette… È la nostra prima lezione di volo: non puoi non sentire quel fremito.»

«Sarà, ma io sento solo tanta agitazione» biascicò l’altra scuotendo la testa, «E se non riuscissi a far alzare la scopa? O peggio: se cadessi e mi rompessi il braccio buono?! Non potrei più usare la bacchetta, quindi nessuna magia. Mi bocceranno a tutte le prove pratiche e poi…»

La figlia del Signor Césaire le tappò la bocca con entrambe le mani. Ogni volta che l’amica partiva con le sue solite pare mentali, quello era l’unico modo per farla smettere. «Adesso calmati. Sono sicura che andrai benissimo e, qualora dovessi cadere, interverrà l’insegnante. Quindi stai calma.» Marinette, impossibilitata a parlare, fece un timido cenno di assenso con la testa. Alya sorrise, poi la prese sottobraccio ed entrambe ripresero il cammino.

Il cortile esterno, situato nelle vicinanze del campo da Quidditch, era il luogo ideale per le lezioni di volo. Isolato e ben attrezzato, permetteva agli studenti alle prime armi di fare pratica con le scope volanti. In quella mattina di inizio ottobre era stato chiamato a raccolta tutto il primo anno. Dopotutto, nessuno studente si sarebbe mai perso l’opportunità di sfrecciare a mezz’aria a cavallo di un manico di scopa.

«Finalmente siete arrivate. È mezz’ora che vi aspettiamo, ve la siete presa comoda» ridacchiò Nino andando in contro alle due ragazze.

«Marinette si è fatta prendere dal panico, come al solito del resto…»

«Ehi! Ero solo leggermente agitata» protestò la ragazza imbronciandosi, «Piuttosto, dov’è Adrien? Non lo vedo.»

«Ci sta tenendo il posto.»

«D’accordo allora muoviamoci, non vedo l’ora di iniziare!» sentenziò Alya afferrando gli altri due per le maniche delle loro cappe e trascinandoli con sé.

Per l’occasione erano state installate delle tribune mobili ai lati del cortile. In quel modo tutti gli studenti del primo anno avrebbero potuto assistere comodamente alla lezione senza doversi accalcare gli uni sugli altri. Il giovane Agreste, poiché alzatosi di buon mattino, era riuscito a trovare dei posti in prima fila. Questi erano strategici sia dal punto di vista teorico, perché permettevano di ascoltare in modo chiaro l’insegnante, che pratico. Infatti, i ragazzi davanti sarebbero stati i primi a cavalcare le scope.

«Buongiorno Adrien caro. Quei posti sono per me? Non dovevi scomodarti.»

«Veramente li stavo mantenendo per i miei amici, Chloé.» replicò, imbarazzato, il ragazzo arrossendo sulle guance. «Ma se ci stringiamo, forse riusciamo ad entrarci tutti insieme.»

«Non se ne parla proprio! Ho bisogno del mio spazio vitale, io» esclamò la figlia del Primo Ministro della Magia Francese con tono acidulo, mentre giocherellava con la sua coda di cavallo. «I tuoi amichetti si metteranno dietro.»

Chloé afferrò lo zaino di Nino per liberare la panca di legno, ma Adrien gliela strappò di mano. Fece un passo indietro spaventata: non gli aveva mai visto quell’espressione in volto. Per un’istante le sembrò di rivederlo: mai prima di allora erano stati così simili. «M-m-ma cosa stai facendo?! Devo sedermi.»

«Ti ho già detto che questi posti sono occupati. Se la mia proposta non ti sta bene, puoi anche andartene.» Lo sguardo truce del ragazzo tradiva la rabbia e la frustrazione accumulate durante il corso della mattinata. Era stanco, spaventato e deluso dal fatto di non aver ancora compreso il significato di quell’incubo. Si sentiva come una bomba pronta ad esplodere, ma ben presto si rese conto di quanto fosse ingiusto coinvolgere Chloé nei suoi problemi. Era stata la sua prima amica e, a prescindere dal suo atteggiamento, le voleva bene. «Ascolta… lì c’è Sabrina. Sono ore che si sta sbracciando, ti ha tenuto il posto. Va da lei.»

«D-d-d’accordo.» balbettò l’altra senza aggiungere altro. Raggiunse la sua compagna di stanza. Aveva gli occhi lucidi e il morale a pezzi. Ignorando le attenzioni di Sabrina, rimase in silenzio fino all’inizio della lezione. Rimuginò su quanto accaduto chiedendosi cosa l’avesse spinto ad agire in quel modo. Forse i suoi nuovi amici lo stavano condizionando? Oppure era effettivamente colpa sua: possibile avesse esagerato? Quei dubbi la tormentarono per diversi minuti, ma non fu in grado di venirne a capo. Di una cosa era però certa: aveva soltanto Adrien e non avrebbe mai permesso che qualcun altro lo allontanasse da lei.

«Cosa voleva Miss. “miopadreèilprimomistroquindiqualsiasitortomifateluiloverràasapere”?»

«Niente…» biascicò il giovane Agreste, mentre faceva spazio ai tre sulla panca. «Aveva bisogno soltanto di un’informazione, tutto qui.»

Sebbene non fossero pienamente convinti della cosa, i tre presero posto accanto al loro amico. Di lì a poco l’insegnante di volo, il Professor D’Argencourt, guadagnò il centro del cortile. Era accompagnato da alcuni studenti del sesto e settimo anno. Tra questi, una pimpante ragazza dalla carnagione scura si voltò verso Marinette e Alya facendo loro l’occhiolino. La prima fu molto sorpresa del gesto, la seconda al contrario si rannicchiò dietro il parapetto degli spalti a causa della vergogna. «Ehi, ma la conosci?»

«Purtroppo sì, è mia sorella maggiore: Nora» mugugnò la figlia del Signor Césaire in preda all’imbarazzo.

Intanto due file di manici di scopa erano state disposte sul verde prato dagli assistenti dell’insegnante. Questi, non appena i preparativi furono ultimati, iniziò a spiegare alle matricole i fondamenti del volo. Fu una lezione piuttosto breve. Dopotutto, D’Argencourt era un uomo di azione: preferiva la pratica piuttosto che la teoria. Di conseguenza, non trascorse molto tempo prima che gli studenti delle file davanti fossero invitati ad affiancarsi alle scope.

«Non vedevo l’ora di iniziare. Sono sicuro che a breve sfreccerò sul tetto della scuola!»

«Calmati Nino. Se non presti attenzione, l’unico posto dove sfreccerai sarà l’infermeria» esclamò Adrien trattenendo a stento le risate. «E poi, non credo proprio che già alla prima lezione ci faranno alzare da terra.»

«Bene, adesso stendete il braccio in direzione della scopa e dite “SU!”» spiegò l’insegnante coprendo con la sua voce il brusio degli studenti. Un coro di “SU!” riecheggiò nell’aria. I primi risultati, come c’era da aspettarselo, furono abbastanza deludenti. Nessuno era riuscito a far alzare il proprio manico da terra. Qualcuno aveva ottenuto dei piccoli sobbalzi; altri, come Marinette e Nino, non erano riusciti neanche in questo. «Lo sapevo! Sono una frana, non sarò mai in grado di volare a cavallo di questo aggeggio» piagnucolò la ragazza, mentre ripeteva in continuazione la parola “SU!” senza alcun risultato.

«Marinette adesso calmati. Ti mostro io come si fa, non è complicato.»

Sentì improvvisamente una pressione sul fianco sinistro. Un dolce profumo di cannella la avvolse con delicatezza. Adrien era dietro di lei, la bocca a pochi centimetri dal suo collo. Un brivido le corse lungo la schiena. Era una sensazione strana, ma piacevole. «N-n-non voglio farti perdere tempo: anche tu non sei riuscito nell’esercizio, non preoccuparti per me» farfugliò la figlia del Signor Dupain in preda all’imbarazzo.

«Tranquilla, il mio manico può aspettare» le sussurrò l’altro prendendole dolcemente il braccio, «Vedi… i manici di scopa sono intelligenti, capiscono se chi li usa ha paura o poca fiducia in sé.»

«D-d-davvero? Non lo immaginavo.»

«Devi essere decisa quando ti approcci a questi oggetti. Non mostrare paura e vedrai che tutto andrà per il meglio!»

La ragazza annuì, poi affiancata dall’amico cercò di concentrarsi. Doveva riuscirci: non lo avrebbe deluso. Entrambi esclamarono “SU!” e questa scattò immediatamente nelle loro mani intrecciate.
 
   
 
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