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Autore: Spoocky    18/12/2018    2 recensioni
Ambientata alla fine di "Doppia Missione", subito dopo la battaglia navale.
Jack trova uno sconvolto Tom Pullings da solo nella stiva. Mentre lui e Stephen medicano le sue ferite, il giovane ufficiale spiega loro il motivo della sua agitazione.
Trigger warning: attacchi di panico e morti violente.
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Genere: Angst, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Disclaimer: Ho gli agenti di credito alle costole proprio perché non guadagno nulla da quello che scrivo.

Warning:
c'è una scena con un attacco di panico, fate attenzione se ne soffrite e se questo genere di cose vi disturba.

Buona Lettura ^.^

Il commodoro Aubrey, di norma malinconico dopo una battaglia, era di umore anche più nero del solito mentre si trascinava tra i detriti sul ponte di coperta della Bellone.
Attendeva ansiosamente il rapporto del resto dello squadrone e non si sarebbe dato pace finché non avesse avuto di nuovo la situazione sotto controllo, anche se sapeva di dover lasciare agli altri capitani il tempo di fare il punto dei danni subiti. 
Lui stesso, pur sapendo a grandi linee quale fosse lo stato della sua nave, ancora non ne conosceva i dettagli.

Una cosa in particolare non quadrava: con il quietarsi dello scontro aveva rintracciato tutti i suoi ufficiali, tranne uno.

“ Signor Bonden, avete visto il capitano Pullings?” gridò al suo timoniere, in quel momento impegnato a gettare fuoribordo un’asse alta quanto lui.
“No, signore. Sarebbe che anche il signor Harding lo stava cercando, prima.” Gli urlò Bonden di rimando.
“Ah! Sapete se lo ha trovato?”
“Non credo, signore.”
“Grazie, Bonden. Lo cercherò io.”
“Dovere, signore!”
 †


Se nessuno riusciva a trovare Thomas Pullings era principalmente perché quest’ultimo non aveva intenzione di farsi trovare.

Dopo la brutta esperienza con Clarissa Oakes si era autoimposto di imprimersi nella memoria ogni anfratto, anche il più nascosto, di qualunque natante si fosse mai ritrovato a comandare. Avendola visitata da cima a fondo mentre era alla fonda in arsenale, ormai conosceva la Bellone come l’interno delle sue tasche.  Poteva dunque ragionevolmente pensare che, nel caso in cui avesse deciso di nascondersi, sarebbero potute passare alcune ore prima che si riuscisse a trovarlo.
Il suo senso del dovere era troppo radicato perché si permettesse di fuggire in quel modo dalle proprie responsabilità, tuttavia, quando Truciolo aveva mandato a chiamare il signor Harding per fare rapporto sulle riparazioni nella stiva non aveva resistito al presentarsi di persona. Il carpentiere se n’era andato da un pezzo ma lui ancora indugiava tra i miasmi della sentina, tentando inutilmente di ritornare padrone di se stesso.
Nonostante potesse definirsi a buon diritto un veterano nel campo delle battaglie navali, quel giorno era accaduto qualcosa che lo aveva sconvolto oltre misura.

Nessuno doveva vederlo in quello stato.

Ogni oncia di rabbia, fomentata in realtà da una profonda preoccupazione, abbandonò Aubrey immediatamente quando si ritrovò faccia a faccia con Pullings, in un cantuccio seminascosto della sentina.
Il volto del suo capitano era quasi completamente coperto di sangue, tanto che per un momento pensò si fosse riaperta la sua vecchia ferita. Poi si accorse che in realtà stava sanguinando da un taglio sul lato della testa, anche se sembrava non rendersene conto.
Aveva un' espressione indecifrabile ma chiunque lo conoscesse avrebbe notato in lui un profondo turbamento.

Istintivamente Jack allungò un braccio per sorreggerlo: “Vi sentite bene, Tom?”
Pullings rabbrividì e nel rispondere continuò a fissare dritto davanti a sé, come se non vedesse il suo superiore ma qualcos’altro, qualcosa di inquietante a giudicare dal suo sguardo: “Credo di sì, signore. Ero venuto ad ispezionare lo scafo.”
“Sì.” Accondiscese il commodoro  “Truciolo me lo ha detto. Adesso però lasciate che vi accompagni dal dottore.”
Il capitano alzò le spalle: “Oh! Non credo ce ne sia bisogno.” E con un sorriso tirato aggiunse “Sto bene signore, davvero: sono solo stanco.”

Grazie alla propria esperienza pluridecennale nel minimizzare il proprio malessere Aubrey non bevve una sillaba di quel discorso.
Però capì che avrebbe dovuto reggere il gioco a Pullings per capire cosa lo stesse davvero affliggendo: “Venite nella mia cabina, allora. Vi sciacquerete la faccia e berremo un bicchiere di vino: credo che ne abbiamo bisogno entrambi. Così potrete fare rapporto mentre aspettiamo gli altri capitani.”
Il commodoro sapeva che la posizione dell’altro non gli avrebbe consentito di rifiutare un invito esplicito, e infatti come risposta ottenne un rassegnato: “Va bene, signore.”

Aubrey accompagnò il suo secondo alla bacinella dell’acqua che usava per le sue abluzioni quotidiane e gli porse un asciugamano.
Quando Pullings si scostò il tessuto dal viso e lo vide tingersi di rosso ebbe un capogiro tanto forte che Jack dovette sostenerlo fino allo stipo sotto la vetrata di poppa, dove lo fece sedere.

Senza alcun preavviso, Tom si piegò in avanti e per poco non vomitò anche l’anima nel secchio che Killick avrebbe avuto intenzione di usare per pulire il pavimento della cabina. Se l’era lasciato dietro quando il commodoro lo aveva spedito alla ricerca di una bottiglia di chiaretto, una sbadataggine propizia.

Senza pensarci due volte Jack si chinò sull’altro e gli appoggiò una mano sulla fronte per sorreggerlo, con l’altra gli disegnava dei cerchi sulla schiena, cercando di tranquillizzarlo.
Mentre aspettava che gli spasmi cessassero aveva i lineamenti contratti dall’apprensione. Sapeva quanto Tom Pullings fosse forte: insieme avevano visto ed affrontato cose terribili, superandole brillantemente.  Non era certo un novellino sul campo di battaglia, e lo vedeva sorridere quasi ogni giorno nonostante la profonda cicatrice che avrebbe senz’altro condotto una persona meno resiliente alla malinconia.
No, pensò Aubrey, per farlo reagire così dev’essere successo qualcosa di tremendo. La ferita da sola non basta.

L’arrivo provvidenziale di Killick salvò il commodoro dallo sgolarsi per chiamarlo.
Nel vedere cosa stava subendo il suo povero secchio il famiglio sbiancò completamente ma Jack stroncò sul nascere il suo flusso di imprecazioni: “Mettere il vassoio sul tavolo e passaparola per il dottore: il capitano Pullings non si sente bene.”
“ ‘gnor sì, signore.”
Mentre andava a recuperare il medico, Preservato Killick snocciolò un brontolio confuso di bestemmie e maledizioni, meditando vendetta.
Un affronto simile bastava ed avanzava per inimicarselo in eterno e se il colpevole fosse stato un qualunque altro ufficiale avrebbe fatto voto solenne di sputagli nel caffè ogni mattina per il resto dei suoi giorni. Pullings tuttavia era un vecchio compagno di navigazioni che si era guadagnato tutta la sua stima se non addirittura il suo rispetto, bistrattarlo come avrebbe voluto sarebbe dunque stato contrario all’etica che si era autoimposto.
Non trovare una soluzione a quel dilemma lo mandava in bestia più del secchio in quanto tale.

Finalmente i conati si placarono e Pullings si accasciò stremato contro il vetro alle sue spalle.

Calciato via il secchio incriminato senza rovesciarlo Aubrey lo aiutò a sfilarsi la cravatta e gli versò un bicchiere di vino: “Ecco, Tom: questo vi tirerà un po’ su. Adesso cercate di stare tranquillo e riprendete fiato: il dottore sarà qui a momenti.”
Stringendo le palpebre contro una nuova ondata di vertigini, Pullings cercò di mettersi comodo, per quanto fosse difficile restare seduto su una trave larga appena un piede.
Vedendo che tremava, Jack prese una coperta dalla sua branda e gliela stese sulle spalle.

Nonostante la coperta, Tom continuava a sentire freddo e altri sintomi si stavano aggiungendo ai brividi e alla nausea.
Il cuore gli batteva forte contro lo sterno, se lo sentiva come gonfio e ogni pulsazione sembrava colpire l’osso come un ariete, quasi che l’organo volesse sfondargli il petto per uscire. La cassa toracica invece sembrava ripiegarsi su se stessa, schiacciata da un peso abnorme che gli premeva inesorabile sul petto.
Aprì le labbra per cercare di prendere più aria ma la gola gli si contrasse in uno spasmo e si ritrovò a boccheggiare come un pesce spiaggiato.
La testa gli girava più di prima e la nausea era ancora forte.
Cercò di aprire gli occhi ma le palpebre erano troppo pesanti.
Non capiva cosa stesse succedendo ma ne era terrorizzato.
Pensò di stare morendo.

Intorno a lui sprazzi di una conversazione che era troppo confuso per seguire. Riconobbe la voce del commodoro e poi quella del dottore.
“Qualche minuto... ha vomitato... l’ho fatto sedere ma...”
“Questo cos’è?”
“Chiaretto. Gliene ho dato un bicchiere... riprendersi...”
“Gli hai dato... testa... Che diavolo c’è di sbagliato con te, Jack?! Ti... il vino annacqua il sangue!” Il dottore stava strillando e andò avanti a farlo per un po’, ma Tom era troppo stanco per seguire il dialogo.
Ad un certo punto gli sembrò che lo stessero chiamando ma non aveva la forza di rispondere.
Solo respirare stava diventando impossibile.

Una mano calda gli si avvolse intorno a un polso e si sentì appoggiare contro qualcosa di solido.
Era troppo debole per tenere su la testa e lasciò che si reclinasse su quel nuovo sostegno, qualunque cosa fosse.
Nonostante il cambio di posizione, aveva ancora il torace stretto in una morsa e non riusciva ad aprire gli occhi.
Ormai era sicuro di stare morendo.

Un dolore acuto gli trafisse il braccio destro e un liquido caldo iniziò a scorrergli sulla pelle.

Lentamente i sintomi iniziarono a retrocedere e quando finalmente riaprì gli occhi vide Stephen Maturin seduto accanto a lui, con il suo braccio allungato sulle ginocchia. Gli aveva inciso una vena e stava facendo colare il sangue nel secchio di Killick: “Credo che possa bastare.” Mormorò, passando un laccio emostatico appena a monte della ferita.
“Penso anch’io. Guarda: si sta riprendendo.”
La voce profonda del commodoro fece sobbalzare Pullings che solo allora si rese conto di essere puntellato contro il petto del suo superiore, con la testa sconvenientemente appoggiata sulla sua spalla.
Poco mancò che svenisse di nuovo.

Aubrey accolse con un sorriso il balbettio di scuse del suo capitano: “State tranquillo, Tom. Non è successo niente. Avete avuto...” esitò perché non sapeva come descrivere quanto accaduto “...un mancamento e il dottore vi ha dovuto cavare un po’ di sangue, ma vi riprenderete. Anche se... quanto gliene hai tolto, Stephen?”
“Poco meno di due once[1]. ” rispose il medico, mentre suturava l’incisione “Tra questo e l’altra ferita, mio caro, avete perso una pinta abbondante di sangue, quasi due[2] forse. Vi consiglio di restare a letto per il resto della giornata e anche domani, se possibile. Vi rimetterete presto.”
“Cos’ è successo?” mormorò Pullings, ancora disorientato.
“Niente di grave, Tom: a parte per quella ferita, fisicamente state bene. Probabilmente la stanchezza ha preso il sopravvento e avete perso i sensi per un po’. Vi ricordate qualcosa?“
“Non riuscivo a respirare e mi girava la testa. Sentivo che parlavate ma non riuscivo a rispondere. Ancora adesso mi sento molto stanco, faccio fatica a tenere gli occhi aperti.”
Stephen annuì: “Può succedere, soprattutto se ci si agita troppo. Chiudete pure gli occhi, se volete, ma cercate di stare sveglio:  avete preso una bella botta in testa e per ora è meglio se non dormite.” Finì di avvolgergli il braccio con la garza “Jack, riesci a metterlo seduto? Voglio dargli un’occhiata alla testa.”

Aubrey aiutò il capitano a tirarsi su e gli fece appoggiare la schiena alla vetrata, con la coperta piegata sotto la nuca. Gli tenne le mani sulle spalle finché fu certo che non cadesse e si ritirò discretamente al suo scrittoio, per lasciar lavorare il medico. Si appoggiò con la schiena al mobile e incrociò le braccia, deciso a non perdere un particolare della scena che si stava svolgendo di fronte a lui.

Sotto il suo sguardo vigile le dita agili di Stephen si insinuarono tra i capelli del ferito e li scostarono, mettendo a nudo la lacerazione: “E’ davvero un brutto taglio, Tom. Come ve lo siete fatto?”
“Non lo so. “ sibilò Pullings, stringendo i denti mentre il chirurgo tastava e sondava la ferita.
“C’è qualcosa incastrato dentro, forse una scheggia.” Mormorò Stephen “Ora la tolgo. Continuate a parlare, Tom. Non addormentatevi.”
“Cosa vi devo dire?”
“Raccontatemi cosa vi è successo. Come vi siete ferito?”
“Ero... sul ponte di batteria. Stavamo ricaricando i cannoni e c’era un mozzo... Wilkins mi pare si chiamasse, che portava la polvere. “ Rabbrividì e ricominciò a respirare affannosamente “Dev’essere stato allora. Una delle loro bordate ci ha colpiti. C’era fumo dappertutto e... quel povero bambino... era proprio davanti a me... Dio mio! Una cannonata lo aveva... lo aveva...” emise un gemito strozzato e si interruppe, crollando contro la vetrata.

Stephen si guardò bene dall’insistere nella conversazione: conosceva gli effetti di una bordata e non gli occorreva un grande sforzo di immaginazione per capire che brutta fine avesse incontrato il ragazzino.
Proprio allora riuscì ad estrarre la scheggia dalla ferita, la esaminò e riconobbe un frammento d’osso. Intuì subito da dove provenisse, scosse il capo sconsolato e si affrettò ad infilarselo in tasca prima che il suo paziente lo vedesse: era già abbastanza sconvolto.

Fu Jack a porre fine al silenzio che era calato nella stanza: “Per questo eravate così scosso, quando vi ho trovato?”
“No, signore. E’...” di nuovo s’interruppe e, nonostante il pallore diffuso, arrossì per l’imbarazzo.
“Parlate liberamente, Tom. Se qualcosa vi turba tanto lo devo sapere.”
“E’ per il mio John, signore.”
“Chi?”
“Suo figlio, Jack. Il primo.”
“Ah sì! Giusto. Perdonatemi, Tom, continuate pure.”
“Vedete, signore, adesso John ha dieci anni e ha voluto fare domanda come allievo nella Marina. Io non lo sapevo ma sua madre ha convinto Babbington a prenderlo a bordo. Non fraintendetemi, signore, so che John è un bravo ragazzo e William sarà un ottimo insegnante, ma quando ho visto... quel ragazzino... ho pensato che potrebbe capitare a mio figlio e... Dio mio... non avrei pace se gli accadesse qualcosa del genere.”   
Aubrey rimase per un po’ in silenzio ad osservare Pullings che respirava affannosamente, cercando di ricomporsi e di restare fermo, nonostante l’ago di Stephen gli stesse causando un disagio notevole. Era molto pallido e anche a distanza lo si vedeva sudare freddo, ma non emise altro che sporadici brontolii o sibili. Questo fatto da solo bastava a dimostrare quanto fosse provato.

“Tenete duro, Tom: ho quasi finito.” Lo incoraggiò il medico.
Non potendo muovere il capo, Pullings gli fece un cenno con la mano, poi socchiuse gli occhi e li rivolse al suo superiore:“Perdonatemi, signore: ho parlato a sproposito.”
Allora toccò a Stephen ritirarsi in un silenzio rispettoso, fingendo di non sentire quello che stava dicendo Jack: “Non avete di che scusarvi, Tom. Dio sa se vi capisco.”
“Signore?”
Il figlio di Aubrey, George, era ancora troppo piccolo per prestare servizio in Marina e Tom lo sapeva bene, per questo l’intervento del commodoro lo lasciò sbigottito almeno tanto quanto sorprese Maturin, che però si trattenne dall’intervenire, limitandosi a bendare in silenzio la testa del capitano.
“Vedete, Tom.” Continuò Jack con un sorriso mesto “Credo di aver provato la stessa cosa sul ponte della Torgud, quando vi ho visto cadere.” Trattenne a stento un brivido “In quel momento ho temuto davvero di perdervi ed era un’eventualità che non ero pronto ad accettare, nonostante l’avessi prevista. Mi ha fatto pensare, Tom, e solo dopo ho capito che il vostro ferimento non ricadeva sotto la mia responsabilità, perché sapevo che conoscevate i rischi. Vostro figlio ormai è in grado di decidere per se stesso e se, come credo, ha preso dal padre se la caverà egregiamente, perdio!”
Raramente Jack condivideva i suoi sentimenti e ancor più raramente si confidava con gli ufficiali di grado inferiore, per cui quell’uscita spiazzò del tutto sia Stephen che Pullings, tanto che quest’ultimo non ebbe da rispondere se non un imbarazzato: “Grazie, signore, sono onorato dalle vostre parole.”
“E ne avete diritto, Tom. Ne avete pieno diritto.”
“Perdonami, Jack, ma se hai finito ora vorrei accompagnarlo alla sua branda: ha davvero bisogno di riposare.”  

Con cautela, e il dottore a sostenerlo, Pullings riuscì finalmente ad alzarsi ma subito si ripresentarono le vertigini e gli si piegarono le ginocchia.
“Datemi il braccio, Tom.” Gli consigliò Stephen con un sorriso, intrecciando il gomito con il suo e appoggiandogli una mano sulla schiena “Mi avete sorretto per tutti questi anni, lasciate che per una volta ricambi il favore.”
Lo guidò verso la porta e, lungo la strada, si fermarono perché Pullings potesse stringere la mano al commodoro: “Grazie, signore, per tutto.”
Aubrey ricambiò la stretta con entusiasmo e accompagnò il capitano fino all’uscita della cabina, congedandolo con un augurio: “Rimettetevi presto, Tom: abbiamo bisogno di voi.”
 

Stephen dovette aiutare Pullings, ancora malfermo sulle gambe, a spogliarsi e a stendersi sulla branda, dove si addormentò quasi subito, stremato dalla fatica.
Si attardò un momento a guardarlo dormire, finalmente tranquillo dopo tanta angoscia: in quanto padre, nel suo intimo capiva la preoccupazione che doveva provare per il figlio. Nel suo orrore per il mozzo ucciso, riconobbe il proprio dolore nello scoprire le difficoltà cognitive della figlia e l’ansia che le potesse accadere qualcosa di male mentre non era presente, quando non avrebbe potuto proteggerla.
Stavolta però Jack aveva ragione, bisognava riconoscerlo: i figli crescono, lasciano il nido e le ali protettive dei genitori per vivere la loro vita.
Non li si può proteggere per sempre, ed è giusto così.

Se non altro, concluse Stephen nel chiudere la porta sul giovane addormentato anche volendo la mia Brigid non potrebbe mai arruolarsi in Marina. Dio sia lodato!
 
- The End -

Note:
[1] Due once sono circa 0,5 litri, o 500 ml. Di norma in un salasso si tolgono tra i 350 e i 400 ml di sangue. https://www.emocromatosi.it/articoli/salasso.htm
[2] Due pinte sono un litro. Una pinta sono due once.

La frase che conclude la spiegazione di Tom "non avrei pace se gli accadesse qualcosa" è il punto di partenza per la storia. L' ha pronunciata una sera mio padre riferendosi a mio fratello, mi aveva colpito molto perchè credo sia il cuore di un rapporto padre/figlio: si tormentano a vicenda e spesso non si sopportano ma nel profondo si amano. 
Almeno, così dovrebbe essere.

Grazie per aver letto.
Nell'uscire attenti al secchio: se lo rovesciate è davvero la Fine! 

Alla prossima ^.^


 
  
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