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Autore: heliodor    18/12/2018    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Così carino

 
Roge fece appena in tempo a sollevare una mano e lanciare un dardo. Il proiettile di energia trafisse al petto uno dei due uomini, passandolo da parte a parte.
Era una ferita mortale e Roge si aspettava che l'uomo stramazzasse al suolo. Invece continuò a correre verso di lui come una belva lanciata contro la preda.
"Mira alla testa, amico Roge" disse Malbeth lanciando due dardi.
Uno colpì uno dei due al collo e l'altro all'addome.
"Cosa?" domandò Roge. "Che hai detto?"
Il suo cavallo lanciò un nitrito e si sollevò sulle zampe posteriori.
Sorpreso, Roge non riuscì ad afferrare le redini e cadde all'indietro. L'impatto tra la sua schiena e il suolo gli tolse il respiro.
Vide la bestia imbizzarrita danzare tra i due briganti che le si erano gettati contro.
Malbeth si chinò tendendogli la mano. "Andiamo amico Roge."
"Il cavallo" riuscì a balbettare.
"Approfittiamone ora che sono distratti."
Uno dei due assalitori era balzato sull'animale impaurito, ma non sembrava volesse impadronirsene come Roge aveva pensato.
Con un gesto impensabile spalancò la bocca e morse il collo del cavallo. La bestia lanciò un nitrito disperato e scalciò per liberarsi.
L'altro assalitore gli afferrò una zampa e diede un morso con tutta la sua forza.
Roge sentì il rumore dei denti che masticavano la carne. Scosse la testa in credulo. "Che succede?"
Malbeth lo afferrò per il bavero della camicia e lo costrinse a sollevarsi. "Andiamo. Ora."
Roge afferrò la sella e si tirò su. Nello stesso momento Malbeth fece scoccare le redini e partirono al galoppo nella direzione da cui erano venuti.
Ancora scosso, Roge non osava voltarsi. Immaginò che se lo avesse fatto avrebbe visto quei due divorare vivo il cavallo.
"Che cosa è successo? Che avevano quelle persone?"
"Una cosa brutta" disse Malbeth.
La sua risposta lo sorprese. "Tu che cosa ne sai?"
L'altro tacque.
"Mal, se sai qualcosa devi dirmelo. Adesso."
"Più tardi, amico Roge. Prima troviamo un posto sicuro."
Cavalcarono per una decina di miglia prima di decidere che avevano messo abbastanza strada tra di loro e i due predoni.
Un torrente scorreva nelle vicinanze. Roge ne approfittò per gettarsi l'acqua gelida sul viso. Quella sensazione lo aiutò a pensare in maniera lucida.
Sedette in riva al torrente, le mani e il corpo che non smettevano di tremare. "Ti ho chiesto se sai cosa avevano quei due" disse a Malbeth che era venuto a sedersi al suo fianco.
"Sono maledetti" disse l'uomo.
"Non ho mai sentito di una maledizione simile."
"È una maledizione negromantica. È molto rara e potente. E proibita."
"Negromanzia" disse Roge. "Quei due erano..." Non osava formulare quel pensiero. Era troppo orribile.
Ad un tratto tutte le cose orribili che aveva visto a Krikor gli parvero insignificanti davanti a quel pensiero.
Malbeth annuì grave. "Le maledizioni negromantiche funzionano solo con i corpi inanimati. Quei due devono essere morti da poco, forse meno di una Luna, visto lo stato in cui erano."
Roge si sentì sopraffare dalla nausea. Fece in tempo a piegarsi in avanti prima di rigettare la leggera colazione di quella mattina.
Malbeth attese in silenzio che svuotasse il contenuto del suo stomaco.
Quando Roge tornò a sedersi vicino a lui dopo essersi pulito la bocca, disse: "Dobbiamo andare via di qui, amico Roge."
"Non prima di esserci assicurati che quei due... quelle cose, siano morte."
"Sono già morti" disse l'altro.
"No, non lo sono, accidenti. Si muovevano e mordevano. Il cavallo... credi che si siano mangiati quella povera bestia?"
"Credo di sì."
Roge si passò una mano sul viso. "Perché? Se sono morti a cosa gli serve cibarsi?"
"La maledizione risveglia gli istinti più bassi, amico Roge. Finché hai un'anima e una coscienza a dominare quegli istinti, essi non prevalgono. Ma dopo la morte anima e coscienza spariscono e non rimane alcun ostacolo a frapporsi."
Roge inspirò a fondo. "Quindi per loro è indifferente se cercano di mangiare un cavallo o un essere umano?"
Malbeth scrollò le spalle. "È stata una fortuna che abbiano preferito quella bestia a te."
"Ciò non toglie che mi dispiace."
"Volevi sacrificarti al posto suo?"
"Certo che no" rispose lui esasperato. "Ma quella bestia mi piaceva. E ci era utile. Con un solo cavallo non andremo molto lontani."
"Continua da solo il viaggio" suggerì Malbeth.
"No" disse subito Roge.
"Amico..."
"Non ti lascio qui da solo, in compagnia di quelle cose" disse lui con tono perentorio. "Abbiamo cominciato insieme e finiremo insieme." Si alzò su gambe malferme e andò verso il cavallo.
"Che vuoi fare?"
"Cerchiamo un villaggio o una locanda e diamo l'allarme."
Ci vollero altre venti miglia per trovare un centro abitato, un gruppo di case addossate le une alle altre che si trovava in cima a una collina difesa da un fossato profondo alcuni metri.
Avvicinandosi Roge vi gettò un'occhiata e vide che sul fondo erano stati piazzati dei pali appuntiti.
Un paio di uomini erano di guardia all'unico ingresso. "E voi due chi siete? Che volete?" domandarono in modo sgarbato.
Roge cercò di dominare l'istinto di prenderlo a pugni. "Chi è che comanda qui?"
"Faccio io le domande" rispose uno dei due.
"Veniamo da Azgamoor" disse Roge.
L'uomo si accigliò. "E che volete? Non sembrate dei preti."
"Credi che nella città santa vivano solo religiosi?" fece Roge ironico.
L'uomo arrossì.
"Lavoriamo per i preti della cittadella" disse col tono di chi spiegava un concetto elementare a un bambino. "Portiamo messaggi tra un tempio e l'altro." Era una scusa che Deham aveva suggerito loro di usare se fossero stati fermati e interrogati.
"A Nergathel sono piuttosto sospettosi verso gli stranieri" aveva spiegato il priore. "Mostratevi calmi e sicuri. Di solito hanno rispetto per la Cittadella e chi lavora per suo conto. Di solito."
C'era un di solito di troppo in quelle parole ma in quel momento a Roge era parsa un'idea buona. Forse non la migliore, ma buona.
Adesso era il momento di metterla alla prova.
L'uomo sembrò soppesare le sue parole. "D'accordo, ma che volete? Qui non abbiamo un tempio."
"Ma un capo villaggio ce l'avete o no?" chiese Roge spazientito.
L'uomo fece un cenno vago con la mano. "C'è Zabadia Daro. È il segretario di lord Hoshav, il signore di queste terre."
"Portaci da lui" ordinò Roge.
L'uomo si guardò attorno incerto.
"Svelto" lo incalzò Roge. "È molto importante che io veda Daro immediatamente."
Zabadia Daro era un ometto dall'aria insignificante che viveva nell'unica casa a due piani del villaggio.
Quando bussarono alla sua porta venne ad aprire di persona. "Helo, per tutti i demoni degli inferi" esclamò alla loro vista. "Che ci fai qui? E chi sono questi due stranieri?"
"Dicono di venire dalla Cittadella" disse Helo imbarazzato.
"E allora?" fece Daro. "Io non aspetto nessuno da lì."
"Tu hai una qualche autorità qui?" domandò Roge.
"Non sono sicuro di aver udito il tuo nome, straniero."
"Mi chiamo Roge" disse. "E vengo dalla Cittadella per conto del Priore del Culto dell'Unico."
Daro sbuffò. "Mi hai preso per uno stupido contadino? Hai qualche sigillo da mostrarmi, una bolla, una lettera?"
"No" disse Roge. "Ma posso dirti quello che abbiamo visto venendo qui."
Daro si accigliò. "Di che parli, straniero?"
"Due uomini" disse Roge cercando le parole giuste. "Due che una volta erano uomini, che sono morti e che poi sono stati maledetti."
Daro fece per chiudere la porta. "Voi due siete pazzi. Andate via."
Roge lo bloccò e spinse verso l'interno.
"Fuori dalla mia casa. Helo, corri a chiamare aiuto" gridò.
"Non ti faremo niente" disse Roge alzando le mani. "Voglio solo che avverti chi è più in alto di te. Ci sono delle cose nella foresta e potrebbero essercene delle altre."
"Che sciocchezza. Io non ho mai..."
"Tu non le hai viste e non puoi capire" disse Roge. "Ma noi sì. Vero Mal?"
Malbeth annuì incerto.
Daro gli rivolse un'occhiata dubbiosa. "Ma chi siete voi due?"
"Avverti lord Hoshav."
"Il mio signore mi farà scorticare vivo se gli racconto una storia così assurda" protestò Daro.
"Tu fallo ugualmente" rispose Roge. "Dove possiamo trovare un letto in questo posto?"
Daro sembrò rilassarsi. "Il vecchio Inchal affitta delle stanze ai viandanti, quando ne capita qualcuno. Prova a chiedere a lui."
"Manderai un messaggio a Hoshav?"
Daro annuì. "Se insisti, lo farò. Ma se manderà qualcuno dovrai esserci anche tu qui per confermare quello che hai detto."
"Lo aspetteremo" rispose Roge. "Scusa per il disturbo" disse prima di girare e andarsene seguito da Malbeth.
Inchal era davvero vecchio e affittava delle stanze della grande casa dove viveva da solo.
"Una volta ci vivevo con la mia famiglia. Avevo una moglie e tre figli. Poi sono partiti per la capitale e dopo qualche anno anche Anah è andata via" disse mentre serviva loro una zuppa di verdure.
Almeno è ospitale, si disse Roge.
"Dov'è andata tua moglie?"
Inchav sorrise. "Scusami, forse tu non sei di queste parti e non capisci i nostri modi di dire. È andata via con Ningal e ora siede alla stessa tavola di Ayastal e Ayabil."
Roge ne sapeva quanto prima ma non aggiunse altro. Solo quando si trovò da solo con Malbeth questi disse: "Ningal è il dio della morte. Il dio nero, come lo chiamano da queste parti."
"Quindi la moglie è morta? È questo quello che voleva dire?"
Malbeth annuì.
Roge si sentì in imbarazzo. Sapeva davvero poco di quelle persone e la maggior parte del continente vecchio gli era sconosciuta. "Domani chiederò scusa a Inchal."
"Non ce n'è bisogno" disse Malbeth. "Credo che a lui non interessi. Credo che desideri solo che Ningal gli faccia visita al più presto."
"Credi che voglia morire?"
"È il destino di tutti noi, in fondo."
Roge brontolò qualcosa. Non gli piaceva quando Malbeth diventava triste e malinconico e iniziava a fare quegli strani discorsi sulla morte e il destino.
"E i due tizi con i quali la moglie sarebbe seduta a tavola?" chiese per cambiare discorso.
"I gemelli Ayastil e Ayabil? Una è il principio femminile della fecondazione, l'altro è il principio maschile della distruzione."
"E che hanno a che fare con Ningal?"
"Sono suoi figli. E anche amanti."
"Oh" esclamò Roge. "Io non pensavo..."
"Non c'è generazione senza morte. E non c'è morte senza che venga generata nuova vita. Ecco perché le arti negromantiche sono così pericolose. Sovvertono questo equilibrio."
"Sembri saperne molto. Quindi sei davvero un negromante?"
Malbeth gli voltò le spalle.
"È bello parlare con te" disse Roge esasperato.
Si sistemarono sui giacigli che Inchal aveva preparato per loro.
Roge non riuscì a prendere sonno se non dopo un'ora. Dormì un sonno agitato dagli incubi e quando si svegliò si sentiva più stanco di prima.
Malbeth invece era già in piedi e non era solo.
Nella stanza c'erano altri tre uomini. Vestivano abiti neri come la notte, il viso celato da pesanti cappucci che lasciavano intravedere solo gli occhi. Ed erano armati di spade e balestre.
"Se dici una sola parola" disse uno dei tre puntandogli il dardo contro il petto. "Ti passo da parte a parte da questa distanza."
Roge alzò le braccia mostrando i palmi. "Vi manda Hoshav?"
L'uomo con la balestra si avvicinò. "Non capisci quello che dico o sei stupido? Non devi parlare."
Roge si azzittì.
Seguì i tre fuori dalla casa di Inchal. Prima di andarsene uno degli uomini allungò delle monete al vecchio. "Non dire che siamo passati."
Inchal annuì.
Fuori era ancora buio e il villaggio sembrava deserto. Si mossero in silenzio attraversando le stradine contorte fino ad arrivare al fossato.
Nessuno era di guardia.
Roge stava pensando a un modo per uscire da quella situazione, ma prima doveva essere sicuro di avere almeno una possibilità.
Con i dardi poteva colpire uno, forse due di quelli che li avevano rapiti, ma era certo che il terzo avrebbe fatto del male a lui o Malbeth.
Doveva aspettare e vedere.
Avrò la mia occasione, si disse.
I tre li condussero nel bosco e poi per altre decine di metri camminarono al buio rischiando di inciampare a ogni passo.
Solo dopo quasi mezz'ora di cammino rallentarono l'andatura e poterono fermarsi. Dall'ombra sbucarono altre quattro figure umane. Erano tutte vestite di nero e con cappucci che nascondevano il viso.
Chi è questa gente? Si chiese Roge. E che cosa vogliono?
"Sono loro?" domandò una delle figure con voce femminile.
Uno dei rapitori si fece avanti e indicò prima Roge e poi Malbeth. "Era come dicevano. Li abbiamo trovati da Inchal che dormivano."
La donna che sembrava a capo di quel piccolo gruppo di avvicinò a Roge. "Hai un viso familiare. Come ti chiami?"
"Roge" disse.
"Da dove vieni?"
"Valonde."
"Valonde" disse la donna. "Ci sono stata. Una volta. Servivo re Andew. Puoi descrivermelo?"
Roge sentì fiorire una speranza. "Sì" disse con entusiasmo. "Certo che posso. È un uomo alto e imponente, con una folta barba ben curata."
La donna sembrò annuire. "Tu lo hai visto? Che mi sai dire dei suoi figli?"
Che fortuna, si disse Roge. "Posso dirti molto. Se davvero sai stata al servizio del re di Valonde, allora mi avrai riconosciuto di certo. Io sono Roge di Valonde, figlio terzogenito di re Andew e della regina Marget."
La donna ridacchiò. "Quindi tu sei il figlio disertore. Io non ti ho mai visto prima d'ora, ma voglio crederti. Legatelo per bene, lo porteremo con noi. Penso che tuo padre sarà felice quando ti consegneremo a lui per avere la punizione che meriti."
"Aspetta" disse Roge. "C'è una cosa importante che devo dirti."
"Portatelo via" disse la donna con tono perentorio.
Roge si sentì afferrare da mani dalla presa ferrea. Non cercò nemmeno di lottare.
Mentre veniva portato via, sentì la donna dire: "Peccato, è così carino."

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