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Autore: Atenah    19/12/2018    0 recensioni
Grindelwald è a Nurmengard e aspetta il momento giusto per attaccare. Nelle sotteranee prigionieri vengono torturati e implorano la morte, quelle sopravvissuti ormai sono dei vinti. Ma poi c'è qualcuno in mezzo a tutto questo terrore che cerca di capire, di scoprire e possibilmente di sopravvire senza essere vinta. Forse non è da sola, alla fine.
Dal testo:
"Nuove lacrime si aggiunsero. Non per dolore. Non per tristezza. Per offesa.
Ma poi si ricordo della neve. Bella, gelida e imprevedibile.
No, non era ancora vinta."
Gellert Grindelwald x OC
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gellert Grindelwald, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Faceva freddo. Uno spiraglio di vento gelato si insinuava senza pietà tra le sbarre e le catene, tra i pagliericci e le fughe delle pietre del pavimento.
Ma infondo il freddo non le era mai stato nemico, anzi si ricordava come da piccola passava ore intere a giocare nella neve fredda dell’inverno, fino a quando le sue labbra non diventavano blu senza che lei se ne accorgesse e sua madre la chiamava dalla finestra del salotto: “Tyrah! Tyrah! Vieni dentro che sembri un ghiacciolo ormai! Dai che sennò ti ammali!”.
Ma Tyrah non arrivava mai al primo richiamo e rubava minuti alla pazienza della madre per stare ancora un po’ in quel freddo incantato.
Quindi no. Non era decisamente il freddo a darle fastidio. La piccola e angusta cella in cui era stata rinchiusa puzzava di marcio e di sangue, i muri erano obliqui rispetto al pavimento e il soffitto era basso. Aleggiava lo sgradevole odore di paura, terrore e dell’oppressione nelle celle sotterranee di Nurmengard.
Nurmengard. Il nome di quel posto veniva bisbigliato da bocca a orecchio, come si trattasse come una mistica bocca dell’Inferno stesso.
Tyrah sapeva di come i fratelli maggiori raccontassero ai minori storie d’orrore su maghi che venivano torturati con la maledizione Cruciatus fino alla pazzia e i genitori disperati cercavano di calmare i bambini.
La verità era molto più cruda e straziantemente semplice. I maghi che giravano per i corridoi erano fin troppo abituati ad usare la bacchetta e le macchine da tortura babbane sembravano una divertente alternativa.
Infondo un semplice “Crucio” era fin troppo poco originale, pensò con amarezza Tyrah, con quegl’ingegni babbani si potevano sperimentare interessanti modo per estorcere informazioni.
Abbassò lo sguardo sul suo avambraccio destro, ormai aveva quel lungo taglio già da giorni e lo squarcio non si voleva chiudere, aveva assunto uno strano gonfiore, la strega temeva che non stesse migliorando.
Ma non le passò neanche per la mente di pensare che non ce l’avrebbe fatta. Mai si sarebbe abbassata a pensare cose così.
Le sue labbra spaccate si incresparono in un sorriso amaro, più amaro di caffè, più amaro delle più cattive pozioni Ossofast, quando pensò a che cosa potesse provocare un semplice nome di famiglia.
Von Aschenbach. Tyrah Von Aschenbach. Era stata la sua condanna alla cattura e alla sua prigionia a Nurmengard.
I Von Aschenbach erano famosi in Germania, si narrava un’antica leggenda su di loro. Si diceva che già dal tempo in cui l’Impero Romano fioriva, una famiglia delle popolazioni germaniche fosse da generazione a generazione potenti druidi che proteggevano la tribù dagl’attacchi delle legioni romane.
La tribù era stanziata vicino ad un piccolo fiume: Aschenbach.
Ora non c’era ovviamente niente di particolarmente preoccupante in questa dubbia discendenza, ma i maghi e le streghe di quella famiglia erano potenti, ma benevoli e così avvolti da fama.
E così, quando tra i seguaci di Gellert Grindelwald si incominciò a dire che la famiglia Von Aschenbach stava collaborando con il governo della Gran Britannia, beh… Tyrah fu la prima ad essere trovata.
E forse qualcosa sapeva… o forse no, ma le sue labbra erano rimaste sempre sigillate quando le avevano squarciato il braccio con una pietra bollente, quando l’avevano picchiata o maltrattata per noia con un semplice “Crucio”.
E lo sarebbero restate, si disse.
Vide subito che il mago si stava dirigendo proprio verso di lei. Krafft, si chiamava e non le piaceva. L’aveva visto torturare un ragazzo fino che lui non aveva pregato ai suoi piedi di ucciderlo.
“Alohomora” sibilò tra i denti con la bacchetta puntata verso la cella e Tyrah si compiacque quasi nel notare che non facesse uso della magia non verbale. Debole pensò.
Se la sua magia non era tanto potente, la stretta delle sue manacce nei capelli e attorno al collo era forte e grezza come quella di un gigante.
Tyrah incominciò a vedere scuro, le mancava l’aria, ma non avrebbe dato la soddisfazione a Krafft di sentirla rantolare.
 
Quando ormai la sua visuale si stava ricoprendo di puntini neri, il mago lasciò la presa e lei cadde in avanti su quello che capì essere un tappeto.
Tenne la testa bassa per un istante in modo da prendere aria senza essere vista.
“Alzati.” disse una voce. E Tyrah obbedì, non le erano mai piaciute i romanzi che raccontavano storie di eroi e lei di certo non avrebbe rischiato la pelle per fare la parte dell’eroina ribelle.
La spinta arrivò comunque. Violenta. Le fece mancare il respiro per un attimo, ma si resse in equilibrio e alzò lo sguardo sperando che non si potesse leggere nei suoi occhi la sfida e la fierezza.
Gellert Grindelwald aveva gli occhi di due colori diversi: uno scuro e l’altro di un azzurro chiarissimo, quasi bianco.
Tyrah pensò che in quello scuro si nascondevano i pensieri, le emozioni. E quello chiaro… era una sorta di maschera si disse, una maschera in cui il mago oscuro ti faceva leggere ciò che lui riteneva più opportuno per ingannarti.
Lei si salvò così: fissando quegli occhi, in modo che non si potessero leggere i suoi.
“Tyrah Von Aschenbach, mi dicono.” sussurrò Grindelwald. Lei sapeva benissimo che non „glielo avevano detto“, ma che lui semplicemente sapeva e probabilmente avrebbe rigirato gli occhi in una situazione del genere. Ma era Nurmengard, non libera. Prigioniera. A Nurmengard.
“Sì” rispose perciò. Calma si disse: calma e sangue freddo.
“E non vuoi raccontarmi veramente nulla sui bei discorsi che i tuoi cari famigliari hanno avuto con il ministero della Magia?” soffio ancora Grindelwald.
E a questo punto Tyrah pensò stupido e non poté trattenere le sue labbra dall’incresparsi, troppo tardi, ora doveva parlare: “Non credete che se avessi voluto raccontarvi dei “bei discorsi” l’avrei già fatto molto prima?” chiese e frenò con tutte le sue forze il tono insolente che le stava per uscire dalla bocca.
Fu abbastanza lo stesso.
Ne aveva sentito parlare in libri e storie d’orrore, in tedesco si chiamava “Daumenquetsche” ovvero “schiaccia pollici”. Da piccola aveva avuto incubi di come durante le persecuzioni di streghe, esse venivano torturate con quell’aggeggio.
Il principio era semplice: due tavolette di legno erano collegate tra di loro da delle viti, man mano che si stringevano queste viti le dita di colui che veniva torturato si schiacciavano fino a rompere la pelle e le ossa.
 All’inizio strinse i denti, ma poi si morse la lingua e percepì il sapore di sangue.
Sentì che parole che non voleva dire stavano per scivolare dalle sue labbra e allora urlò.
Urlò e le sembro che si stessero per rompere le sue corde vocali. Ma era l’unico modo. Urlare per tacere ciò che non voleva dire.
Il tempo sembrò fermarsi come con una giratempo. Capì perché quel ragazzo avesse implorato di morire.
Poi vide una scintilla nella sua mano libera, era magia non verbale.
“Basta.” disse il mago oscuro.   
Tyrah sentì come Krafft stesse allentando le viti e per un attimo ringraziò Morgana e Merlino.
Ma poi un calcio le fece sputare sangue su tappeto su cui era nuovamente caduta. Vide la manaccia di Krafft alzarsi sopra la sua testa e resistette all’istinto di pararsi con le mani.
Ma lo schiaffo non arrivò. Il braccio del bruto fu fermato dalla stretta ferrea di Grindelwald: “Ho detto basta. E tu non alzi le mani verso nessuno a meno che io non te lo ordini.” sibilò fermo.
 
Una mattonella pungeva la sua schiena. Tyrah osservava la sua mano ferita, era piena di sangue e non si capiva cosa fosse dito e cosa semplicemente carne schiacciata. Nuove lacrime si aggiunsero. Non per dolore. Non per tristezza. Per offesa.
Ma poi si ricordo della neve. Bella, gelida e imprevedibile.
No, non era ancora vinta.
 
 
 
   
 
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