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Autore: F l a n    19/12/2018    0 recensioni
[Fanfiction scritta per la challenge Big Bang Italia 2018 di LandediFandom] [Manservant!Connor x Hank]
Connor è un androide ad uso domestico acquistato da una giovane coppia convivente, la quale decide di trasferirsi in una nuova abitazione a Detroit. Mentre si prende cura della casa e svolge le sue regolari mansioni, Connor conosce Hank, il suo vicino. Hank ha un passato travagliato ed è sull’orlo del baratro, ma la nuova missione di Connor sarà cercare di aiutarlo a stare di nuovo bene con se stesso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Altri, Connor/RK800, Hank Anderson, Sumo
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Next To Me

Parte VI - IX

 

VI

 

Fu strano per Connor tornare stabilmente a casa. Wes e Lara erano tornati dalle vacanze e lo avevano abbracciato con forza rimarcando quanto avessero sentito la sua mancanza. Connor ovviamente era felice a sua volta, anche se una parte di lui si sentiva particolarmente dispiaciuta all’idea di essere andato via da casa di Hank.

Hank non aveva fatto troppe cerimonie, non era nel suo personaggio, ma se Connor aveva imparato a conoscerlo almeno un po’, avrebbe potuto scommettere che in realtà era assai dispiaciuto.

Aveva borbottato qualcosa come, “mi mancheranno le tue colazioni,” e gli aveva dato un abbraccio forte e caldo. Connor adorava la sensazione delle braccia di Hank che lo circondavano, lo facevano sentire al sicuro e protetto anche se non c’era niente da cui doversi riparare.

Da quando nel suo sistema era apparso quell’errore, qualcosa era cambiato. Provava davvero qualcosa che andasse al di là dei semplici impulsi, voleva davvero fare delle cose, come abbracciare Hank, stare con Hank, vivere con Hank. Hank Hank Hank.
Era sempre nella sua mente, più di quanto non fosse necessario o legittimo.
Era questo che gli umani chiamavano amore?

 

“Lara,” Connor bussò alla porta della sua camera - la donna si stava truccando di fronte allo specchio e gli fece cenno di entrare.

“Siediti pure,” accennò, indicando il letto. Connor si accomodò, composto.

“Posso farti una domanda?”
“Certo.”
Connor esitò, abbassando lo sguardo.

“Cosa… significa essere innamorati?”

Lara si voltò verso di lui, aprendo appena la bocca. Non emise alcun suono ma sembrava pensierosa, come se stesse cercando di capire cosa rispondere. Forse era spiazzata dalla domanda.

“Beh Connor, non è facile rispondere a questa tua domanda. Essere innamorati significa essere totalmente fuori di testa. Non scherzo. Quando mi innamorai di Wes non riuscivo a pensare a nient’altro che a lui. Sentivo le farfalle nello stomaco, volevo incontrarlo a tutti i costi, volevo passare del tempo con lui e ogni bacio… beh ogni bacio mi faceva sentire di nuovo viva, o più viva. Non so descriverti l’amore come concetto universale, però posso dirti che è quel sentimento che ti spinge a dare e fare tutto per una persona.”

Connor si morse il labbro inferiore e strinse le braccia attorno al proprio corpo. Lara rimase a guardarlo, curiosa.
“Pensi di esserti innamorato di qualcuno?” chiese, poi. Connor drizzò immediatamente la testa.
“Forse? Non lo so, in realtà.”
Lara ridacchiò, sedendosi al suo fianco. Aveva l’espressione di chi la sapeva lunga.

“Forse del signor Anderson?”

Connor non poteva fisicamente arrossire come gli umani, ma sentì un calore inusuale dissiparsi sulle sue guance, le quali si tinsero di un leggero azzurrino.

“No! Cioè… forse.”

“Non è strano. Passate molto tempo assieme e cerchi sempre di andare a casa sua,” la donna gli diede una spallata amichevole, “non c’è niente di cui vergognarsi. Anzi, sarebbe molto bello, sai?”

Connor accennò un sorriso.
“Credi?”

“Ma certo! Il signor Anderson sembra una persona molto burbera, ma sono sicura che ha un cuore tenero.”
“È così! Il resto è tutta apparenza,” rispose, Connor, “Ha una storia tragica alle spalle e credo che si comporti così per autodifesa.”

Lara appoggiò una mano sulla sua spalla e sorrise dolcemente, comprensiva.

“Cosa dovrei fare?” chiese poi, Connor. Si sentiva confuso e avrebbe voluto avere le idee chiare su come muoversi. E se non fosse stato amore? In fondo lui cosa poteva saperne di un sentimento così vicino agli umani e lontano dagli androidi?

Aveva visto in tv storie di androidi innamorati grazie alla rivoluzione attuata da Markus e sempre più si parlava di quanto la soglia tra umani e quest’ultimi si stesse assottigliando, ma Connor conservava delle perplessità su se stesso.

“Dovresti provare a parlargliene se pensi che i tuoi sentimenti siano sinceri,” suggerì la giovane donna, “ovviamente non conosco bene quanto te il signor Anderson e non saprei suggerirti il modo migliore, ma secondo me dovresti semplicemente essere sincero.”

“Non so se potrebbe mai ricambiare ciò che provo…”

“Gli piacciono soltanto le donne?”
“No, no, il problema non è quello. So che ha avuto anche dei partner maschili, ma io sono…” Connor indicò se stesso, “un androide. Un robot. Non è la stessa cosa che avere a che fare con un umano e fino ad ora non abbiamo sentito storie di androidi che si innamorano di esseri umani e viceversa.”

“Non ne sentiamo parlare perché in un momento come questo sarebbe oltremodo sconveniente,” rispose Lara, la sua espressione si fece seria “ma gli umani cercano ogni giorno gli androidi, sia nella loro vita quotidiana che in quella sessuale. Altrimenti non esisterebbero alcuni di voi adibiti a… beh, non esisterebbero androidi per la prostituzione, non trovi?”
Connor aggrottò le sopracciglia e Lara sospirò.

“Quello che voglio spiegarti, Connor, è che per il momento ti sembrerà tutto strano e impossibile ma sono sicura che per l’amore non esistano barriere. Le nostre razze sono già più integrate di ciò che credi,” con il braccio gli circondò le spalle e lo strinse a sé “e se un giorno dovessi decidere di lasciare me e Wes per andare a stare con il signor Anderson per noi non sarà un problema. Abbiamo voluto che tu potessi scegliere. Ogni volta  che vedevo in tv tutti quegli androidi massacrati o quei casi disperati in cui finivano per impazzire… ho deciso che a te non sarebbe successo e che tu saresti stato bene.”

Con un sorriso, Lara lo strinse più forte a sé. Connor si sentiva decisamente fortunato e grato di aver incontrato persone così comprensive nella sua breve vita.

Avrebbe parlato con Hank. Ancora non sapeva come, ma lo avrebbe fatto.

 

Quella sera Wes e Lara gli concessero la serata libera.

Connor passò il tempo a prepararsi; si sistemò i capelli, indossò una camicia nuova, bianca, una cravatta nera e un paio di pantaloni scuri, comodi. Si guardò allo specchio, incuriosito dalla sua stessa immagine. Le spalle tese, la schiena dritta e il thirium che pulsava fin troppo velocemente nei suoi circuiti.

Nell’ultimo periodo i segnali di errore stavano diventando sempre più frequenti e segnalavano un’instabilità nel suo software. Per ciò che aveva avuto modo di comprendere era il processo naturale che lo avrebbe condotto verso il suo diventare deviante e non aveva intenzione di bloccarlo. Se diventare deviante significava provare tutto ciò era risposto a pagare quel prezzo e a correre il rischio.

 

Si presentò a casa di Hank con un dolce cucinato da lui tra le braccia, una bottliglia di vino in un sacchetto di carta pregiata e la migliore espressione che potesse sfoggiare.

Quando l’uomo aprì la porta, Connor provò una sensazione di gioia mista ad ansia.

“Entra,” disse l’altro, facendogli spazio. Hank era vestito un po’ meglio del solito; una maglietta nera apparentemente nuova ed i capelli legati in un codino, come la prima volta che era andato a cena a casa loro.

Connor provò l’impulso di buttare tutto a terra e baciarlo, ma si trattenne. Sapeva che non poteva lasciar sì che l’impulso prevalesse sulla sua razionalità. E non era nemmeno detto che Hank avrebbe gradito tale mossa.

Con enorme sorpresa, Connor vide il tavolo in cucina completamente apparecchiato e con dei piatti ben posizionati su di esso. Anche l’odore che i suoi sensori rilevavano sembrava significare che Hank aveva cucinato.

Si stupì piacevolmente, poiché da quando lo conosceva non lo aveva mai visto metter mano ad una pentola.

“Ho preparato la cena, non cucino da molto tempo e so che umh, per te non farà molta differenza, ma…” si avvicinò ad una delle pentole e mostrò una pietanza strana, dal colore bluastro “ho provato ad informarmi e ho scoperto che potete bere questa roba. La CyberLife ha davvero un sacco di diavolerie strane e penso tu possa farmi compagnia mangiando questa. Dovrebbe essere una sorta di zuppa al thirium?” disse, guardandola con un’aria un po’ stranita.
Connor la scansionò, ed effettivamente sembrava qualcosa di commestibile per il suo sistema. Si chiese come Hank fosse riuscito a trovare una cosa del genere e apprezzò moltissimo quel gesto che per uno come lui poteva voler dire il mondo, considerando che a stento faceva la spesa per se stesso.

“Grazie Hank,” Connor sorrise, allungando una mano verso di lui per poi ritrarla. Aveva paura anche solo a toccarlo. Paura di provare troppo e di non sapersi moderare.

“Mh, sì, ecco… siediti,” disse, cominciando a portare le cose a tavola.

“Non sapevo sapessi cucinare, comunque,” Connor cercò di rompere la tensione che si era apparentemente creata.

“Da giovane non me la cavavo male. Ho cucinato spesso per Cole e la mia ex, però poi… un po’ il lavoro, un po’ la depressione…” spiegò, sedendosi di fronte a lui e passandosi le mani sulle ginocchia. Un gesto che dimostrava una certa tensione.

“Capisco. Sembra tutto ottimo. Ovviamente non potrò mai assaggiarlo, ma ha un buon odore.”

“Grazie,” Hank sorrise, gentile, “ma come puoi sentire gli odori?”

“Ho dei sensori che possono rilevarli. Non è come respirare, ma posso dire quando un odore è buono e quando non lo è. Per esempio posso affermare con certezza che-” ‘hai un buon profumo’ Connor si bloccò, abbassando lo sguardo e stringendo un pugno con forza.

“Connor?” Hank lo guardò sottecchi.

“Niente, scusa. Un errore di sistema, qualche volta succede,” asserì, serio.

L’altro non sembrò particolarmente convinto dalla sua spiegazione, ma non fece altre domande.

“Mh, okay. Beh, buon appetito? Spero che quella zuppa blu non sia così orribile come sembra.”

 

Trascorsero la cena in tranquillità e Connor mangiò davvero quella brodaglia ideata dalla CyberLife. Hank sapeva che non era esattamente la stessa cosa che offrirgli una cena vera e propria, ma si sentiva comunque felice all’idea di essere lì con lui a condividere qualcosa. Se gli avessero mai detto, qualche mese prima, che avrebbe legato così con un androide, probabilmente li avrebbe mandati a fanculo.

Ma ormai Connor rappresentava qualcosa di importante nella sua vita, benché avesse quasi paura ad ammetterlo. C’era una parte di lui, un lato oscuro forse, che sentiva un attaccamento per quell’androide che non poteva essere qualcosa di banale. Non lo era nel momento in cui si stendeva sul letto a fine giornata e pensava a lui, non lo era mentre svolgeva le sue indagini, non lo era mentre si faceva la doccia e le sue mani vagavano dove non avrebbero dovuto e l’unica cosa che riusciva a pensare era il suo viso.

Diavolo, Hank si sentiva così sbagliato per questo, ma al tempo stesso come poteva negarsi l’unica cosa che lo faceva sentire bene da un sacco di tempo a quella parte?

Si sentiva nervoso quella sera; sapeva che c’era qualcosa di diverso, forse l’intenzione da parte di entrambi di dire o fare qualcosa. Era da Natale che qualcosa tra di loro era cambiato, anche se in silenzio. Ovviamente era da entrambe le parti e Hank poteva vedere come Connor fosse sempre più garbato, gentile. Certo, lo era sempre stato, ma c’era qualcosa di diverso nel suo sguardo, nel modo in cui gli poggiava la mano sulla spalla, o il modo in cui ogni volta sussultava quando si sfioravano per caso.

Hank non era sciocco, sapeva cosa significavano certi segnali. Non voleva peccare di arroganza affermandolo con certezza, ma… ormai aveva imparato a comprendere gli atteggiamenti degli androidi e non sembravano essere così diversi da quelli degli umani.

Una parte di sé era felice all’idea che Connor potesse effettivamente provare qualcosa per lui, l’altra però era spaventata: Connor era un androide. E già questo sembrava un problema. Non sarebbe mai invecchiato e sarebbe per sempre rimasto bellissimo, mentre lui, già così orribile, sarebbe diventato ancora più distrutto dall’età.

Come poteva essere così egoista e chiedere a Connor di stare con lui? Di accompagnarlo verso la vecchiaia? Non sarebbe stato giusto.

Ma come non assecondare il desiderio di provare, almeno una volta, a baciarlo e sentirsi vivo di nuovo?

 

Erano seduti sul divano quando la situazione cominciò a diventare più tesa del solito. Stavano guardando un film, ma nessuno dei due lo stava seguendo davvero, troppo impegnati a rivolgersi sguardi sfuggenti a turno. Hank osservava il profilo di Connor, mentre il suo led lo tradiva e di tanto in tanto brillava di giallo.

Connor, dal canto suo, poteva sentire il nervosismo e la tensione di Hank. Ogni tanto sorseggiava la birra dalla bottiglia, provava a dire qualcosa sul film, ma il silenzio regnava tra di loro.

Era strano per entrambi.

“Hank…” Connor cercò di farsi coraggio e rompe il silenzio, ottenendo immediatamente l’attenzione dell’altro.

“Mh?”

“Tu… cosa hai provato quando ti sei innamorato la prima volta?”

 

s o f t w a r e     i n s t a b i l e ^

 

Hank appoggiò la bottiglia sul pavimento. Stava accadendo davvero, stavano andando ad affrontare quella discussione.

“Ero molto giovane, non credo di ricordarlo con esattezza.”
“Sarebbe tanto sbagliato se mi stessi innamorando?”

Gli occhi di Connor sembravano penetrarlo. C’era una vena di eccitazione in essi, Hank poteva cogliere perfettamente quella sfumatura, la differenza di sguardo tra i loro primi incontri e quel momento.

“No, non lo sarebbe,” rispose Hank, con voce strozzata. Deglutì, teso. Non riusciva davvero a rispondere come avrebbe voluto, mentre tutti i suoi muscoli sembravano volersi tendere verso di lui.

“E se i miei sentimenti fossero per un umano?” aggiunse, con voce bassa. Connor si fece un poco più vicino, Hank non si spostò.

“Suppongo che non potrei impedirlo,” rispose, mentre le distanze tra di loro diventavano sempre più brevi. Connor non respirava e questo era strano, perché normalmente a quella distanza lo avrebbe potuto notare. Erano così diversi, eppure non era importante. Non in quel momento.

“Non lo faresti?” la voce di Connor si fece sempre più bassa, profonda.

“No.”

 

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fallo. fallo. fallo.

 

Connor si aggrappò a una parete virtuale che poteva vedere soltanto lui. La sfondò con le dita, aggrappandosi ad essa più e più volte. Una, due, tre. Cazzotti e spallate, finché, finalmente, non cadde in prezzi di fronte a lui.

Era libero.


Fu sufficiente quella risposta a tagliare la distanza tra di loro. Connor si sporse verso di lui e chiuse totalmente quello spazio che li divideva. Unì le sue labbra a quelle di Hank e si sentì straordinariamente bene. Non c’erano più errori di sistema, finalmente si sentiva totalmente in grado di fare ciò che voleva, e quello che voleva, in quel momento, era passare il resto della sua vita con Hank.

Lo abbracciò con forza, perdendosi nel bacio. Fu intenso, istintivo e anche piuttosto lontano da ciò che aveva sempre immaginato. Il suo essere androide limitava moltissimo ciò che poteva sentire realmente, ma i suoi recettori erano principalmente collocati sulla lingua e questo gli consentiva di avere una forte sensibilità proprio in quella zona.

Quando si staccarono, Connor emulò un sospiro con disappunto, desiderando di buttarsi di nuovo sulle labbra di Hank.

 

Tutta quella situazione era assurda e Hank avrebbe dovuto riconoscerlo, ammetterlo, mettersi l’anima in pace e o accettarla o tagliare totalmente fuori Connor dalla sua vita. Tuttavia, Hank non voleva farlo. Quel bacio era stato strano e diverso da tutti quelli che aveva provato fino a quel momento, ma non per questo meno reale. Le labbra di Connor sembravano esattamente come quelle di un umano, la grande differenza stava nel respiro. Ricordava come nei baci con altri umani il proprio respiro si confondesse con quello dell’altra persona, ma con Connor questo non era successo. Nonostante ciò, non era stato meno intenso, soltanto diverso. E diamine, non sapeva se era per un’abilità data dall CyberLife agli androidi, ma Connor baciava dannatamente bene e lui ne voleva di più.

Era qualcosa di sbagliato e al tempo stesso perfetto e forse proprio per questo non poteva smettere di fissare le sue labbra.

 

“Non dovremmo…” mormorò Hank, con poca convinzione.

“Io invece credo proprio che dovremmo,” rispose Connor, guardandolo negli occhi. Hank si sentì penetrato da quello sguardo.

“Tu sei…”

Io sono innamorato di te,” l’androide anticipò qualunque altra cosa Hank potesse dire e fece sì che le loro labbra si unissero di nuovo.

 

Connor tornò a casa a malincuore. Aveva baciato Hank un sacco di volte e si erano lasciati con un sorriso imbarazzato.

Quando chiuse la porta di casa dietro le proprie spalle ormai era notte fonda; Wes e Lara stavano dormendo e lui si sentiva decisamente su di giri. Voleva passare la notte da Hank, ma quest’ultimo glielo aveva impedito. Non sarebbe stato saggio, aveva detto, ma Connor non era riuscito a capire per quale motivo non lo sarebbe stato.

Dentro di sé tutto pulsava. Era come se ogni sensazione fosse amplificata, come se, finalmente, si sentisse davvero vivo.

Si sedette sul divano, emozionato. Fece scomparire la pelle dalle proprie mani e le guardò, chiedendosi se in qualche modo potesse connettersi ad Hank come facevano gli altri androidi.

Lasciò andare la testa all’indietro e provò a chiudere gli occhi, passandosi le dita sulle labbra e lasciandosi entrare in stasi con il pensiero della bocca di Hank sulla propria.

 

Quando Hank chiuse la porta, si lasciò scivolare contro di essa. La schiena sfregò contro il legno freddo e si sedette sul pavimento. Sumo arrivò verso di lui poco dopo, con il suo passo pesante.

Non riusciva a crederci: aveva davvero baciato Connor ed era stata la migliore delle cose che avesse mai fatto in tutta la sua vita.

Non si era mai sentito così. Era come avere di nuovo vent’anni, mentre il suo stomaco si attorcigliava su se stesso. Era innamorato, lo era veramente. Perso, oltretutto. Chi l’avrebbe mai detto che all’età di cinquantatré anni si sarebbe innamorato di un androide?

Tutto avrebbe pensato, tranne questo.

Appoggiò la testa contro la porta, mentre faceva vagare distrattamente la mano sulla pesante testa di Sumo.

Era fottuto. Per davvero, questa volta.

 

VII

 

Hank si svegliò presto quella mattina e non appena si vide riflesso nello specchio si chiese se davvero avesse fatto la cosa giusta, la sera prima.

“Ho baciato Connor,” mormorò tra sé e sé, vergognandosi del suo stesso riflesso e sbattendosi una mano in faccia con una discreta energia.

Non sarebbero bastati mille post-it per ricordargli di non fare cazzate.

Anche se beh, quella era senz’altro la migliore cazzata degli ultimi dieci anni.

Portare fuori Sumo poteva diventare complicato, la sola idea di incontrare Connor gli faceva saltare il cuore in gola. Si affacciò alla finestra della sala, cercando di identificare se Connor fosse già sveglio. Le luci nell’altra casa sembravano ancora spente e per fortuna stava appena albeggiando. In effetti, rispetto ai suoi standard, era abbastanza presto.

Prese il guinzaglio e sistemò Sumo per uscire, rimanendo in pigiama. Mentre il cane faceva i suoi bisogni, Hank si guardava compulsivamente intorno. Non avrebbe saputo affrontare Connor nemmeno per sbaglio; cosa avrebbe potuto dirgli? Un banale “hey come stai?” non sarebbe stato più sufficiente.

Stupido, stupido, stupido.

Aveva compromesso il rapporto con l’unico altro essere sulla faccia di quel pianeta che non odiava con la forza di mille soli.

Rientrò in casa alla velocità della luce, preparandosi poi per andare a lavoro. Forse, per una volta, sarebbe stato felice di essere via da casa per qualche ora.

 

Connor si risvegliò piuttosto tardi dalla sua stasi. Il primo pensiero e impulso fu quello di controllare dalla finestra se le luci della casa di Hank fossero accese; con suo grande rammarico non fu così e uscendo sul pianerottolo, poté notare che l’auto non era parcheggiata fuori. Forse era dovuto correre a lavoro? Strano, perché Hank era una di quelle persone a cui piaceva prendersela comoda.
Forse c’era stata un’emergenza?
Tornò in casa e si sedette sul divano, stringendosi le braccia attorno al corpo. Ogni cavo dentro di sé sembrava vibrare dall’ansia. Voleva incontrarlo di nuovo e parlare di ciò che era successo la sera prima, anche se non sapeva cosa avrebbero potuto dirsi.
Avrebbe dovuto chiedere un consiglio a Lara, forse lei poteva aiutarlo.
No, ok. Forse no. Sarebbe stato imbarazzante parlare di ciò che era successo, e come avrebbe potuto introdurre l’argomento?

“Hey ciao buongiorno sono innamorato di Hank, mi dai una mano a capire?” ogni formula sembrava piuttosto assurda.

Andò in cucina e provò a fare il caffè, ma senza successo, dal momento che si era scordato di mettere la tazzina dentro la macchinetta.

Stava diventando un vero disastro.

In parte si ritrovava a chiedersi se non fosse colpa del suo essere deviante; dal momento in cui aveva abbattuto la sua barriera, Connor non si sentiva più lo stesso. Era come se fosse davvero più vicino all’essere umano e magari questo aumentava anche la probabilità di commettere errori. Non poteva saperlo per certo, ma sembrava una cosa piuttosto probabile. Chissà se avrebbe potuto confrontarsi con qualcuno per capire meglio come gestire la sua vita da quel momento in poi. Insomma, qualcosa era cambiato in modo del tutto irreversibile, non solo i suoi sentimenti per Hank, ma anche il modo di percepire ciò che lo circondava e se stesso.

“Buongiorno Connor,” la voce di Lara interruppe il suo flusso di pensieri. Si voltò di scatto, sorridendole.

“Buongiorno!” rispose, allegro.

La giovane donna si avvicinò per bere il suo bicchiere d’acqua mattutino.
“C’è qualcosa di diverso in te questa mattina. Oltre al fatto che indossi gli stessi vestiti di ieri sera… hai passato la notte dal signor Anderson?” ammiccò.

Connor scosse la testa, imbarazzandosi e irrigidendosi immediatamente.

“No! No. Sono tornato a casa e mi sono semplicemente seduto sul divano e…”

“Ma è successo qualcosa. Lo vedo, sei diverso.”

Quasi la maledì mentalmente perché diamine, quella donna era veramente perspicace.

“Diciamo di sì, è successo qualcosa,” rispose, vago, “potrei… aver seguito il tuo consiglio.”
Lara sorrise entusiasta.
“Davvero? Ma questa è un’ottima notizia! E? Com’è andata?”

“Credo bene,” Connor si grattò il collo, istintivamente. “Ci siamo baciati,” disse, abbassando lo sguardo. Lara lo abbracciò subito dopo, stringendolo forte.

“Oh Connor, sono così contenta per te! E com’è stato? Sei felice?”

“Beh sì, sono felicissimo, ma ora non so cosa fare,” ammise, sedendosi lì vicino. “Dovrei andare a casa sua? Dovrei presentarmi con dei fiori? Cosa si fa in queste occasioni?”

L’altra si sedette sull’altra sedia libera e prese tra le mani la tazza di latte caldo che Connor aveva preparato.

“Per prima cosa credo che dobbiate parlare e cercare di chiarire cosa c’è tra di voi se non lo avete ancora fatto.”
Connor scosse la testa in un cenno negativo.

“Ecco. Credo che sia prioritario capire cosa volete essere e se il signor Anderson corrisponde appieno i tuoi sentimenti,” spiegò, “anche se, da ciò che hai accennato, non dovrebbero esserci molti dubbi.” Si bloccò, guardando Connor sottecchi, “O almeno: lui era consensiente, no”?

“Certo! Non avrei mai fatto niente contro la sua volontà.”

“Naturalmente…” Lara addentò un biscotto, continuando a fare la sua colazione, “quindi non vi siete detti niente?”

Connor si strinse nelle spalle, “ci siamo baciati più volte e io gli ho detto che ero innamorato di lui, ma… no, non ci sono stati particolari dialoghi. Immagino che lui fosse confuso tanto quanto lo ero io.”

“Mh,” mugugnò lei in risposta. “Tu cosa hai intenzione di fare?”

Alzò lo sguardo, incontrando lo sguardo serio di Lara.

“In che senso?”

“Vuoi vivere con lui?”

Connor esitò. Lui era una proprietà di Lara e Wes, ma ormai si sentiva libero, voleva essere soltanto il padrone di se stesso, benché stesse bene con loro.

“Non so, forse stiamo correndo troppo con i pensieri, non trovi?”

“Non dire così, Connor. Conosco la risposta che stai per darmi e va bene. Non ho fatto sì che tu acquistassi il libero arbitrio per niente.”

“Lo sapevi?”

“Certo. Ti ho sempre spinto a fare ciò che volevi perché desideravo che tu fossi libero. Libero come me e Wes, libero come gli androidi che vediamo manifestare in tv. Non credo che sia giusto avere un androide al proprio servizio, non voglio più che tu sia solo ai nostri comandi, Connor. Voglio che tu decida cosa fare della tua vita e se questo implica stare con Hank, a noi andrà bene,” appoggiò una mano sulla spalla dell’androide, il quale le sorrise dolcemente, portando le dita sopra le sue.

“Grazie, Lara. Questo per me è davvero importante. Ieri sera c’è stato un momento in cui io… ho dovuto abbattere la barriera che mi separava dall’essere un deviante.”

“È stato prima di baciare Hank?”

Connor annuì.

“Probabilmente lui rappresenta la cosa che desideri di più, la chiave della tua libertà, il motivo per cui hai sentito di dover cominciare a decidere per te. E va bene così, dico davvero.”

“Non voglio lasciarvi, però.”

“Non è detto che tu debba farlo. Siamo qui. E comunque, potremmo pur sempre pagare una domestica per fare qualche faccenda in casa. Onestamente, Connor, non mi sento più in grado di chiederti tutto questo… Non dopo ciò che ascolto ogni giorno tv, o i processi che seguo in tribunale. Forse prima era normale, ma ormai…”

Connor annuì.
“Per qualunque cosa, comunque, io e Wes ci saremo. Vogliamo che tu ci consideri una famiglia, non i tuoi padroni. Capito?”

L’androide sorrise con dolcezza, accarezzando la guancia di Lara.

“Lo facevo già.”

I due si abbracciarono mentre qualche lacrima solcava i loro volti.

 

Hank passò la giornata a lavoro senza riuscire a concentrarsi davvero sui casi. Bevve almeno sette caffè ma senza ottenere risultati. Scrollò per tutto il tempo i file da archiviare e quelli dei casi ancora in corso, mandò a fanculo un paio di volte Gavin con fare distratto e si beccò una parte da Fowler. Nonostante ciò, l’unica cosa che riusciva a fare era continuare a pensare a quel dannato androide e a ciò che era successo.

Addentò l’ennesima ciambella. Forse aveva bisogno di una dose bella forte di alcol ed era stupido continuare a rimanere in ufficio quando, palesemente, la sua testa aveva deciso di non collaborare.

Senza dire nulla a nessuno prese il cellulare, la giacca e uscì di nuovo, dirigendosi al Jimmy’s Bar; aveva bisogno di un bicchierino bello forte.

Quando tornò a casa ormai era notte fonda. Sumo lo aspettava sulla porta, pronto a protestare per una porzione di cibo. Hank prese il sacco dei croccantini e gliene versò un po’ nella ciotola, passandogli la mano sul dorso per accarezzarlo.

“Bravo Sumo…” mormorò.

Era rimasto tutto il giorno fuori casa per evitare Connor, e almeno per quel pomeriggio c’era riuscito, ma sapeva benissimo di non poter rimandare l’incontro troppo a lungo.

Si buttò sul divano; aveva bevuto sufficienti drink da essere brillo, ma non abbastanza da dimenticare la sensazione delle labbra di Connor sulle proprie.

Ne voleva di più. Sempre di più.

Quando suonò il campanello, quasi non ci poté credere. Erano le tre di notte!

Doveva essere Connor, non poteva essere nessun altro.

Rimase incollato al divano, stringendo le dita della mano destra al bracciolo. Non voleva alzarsi, si sarebbe finto addormentato. Si sentiva tremendamente in colpa, ma al tempo stesso non era in grado di affrontare una discussione seria in quelle condizioni e non sapeva nemmeno lui cosa potergli dire.

Chiuse gli occhi, pregando che Connor non decidesse di spaventarsi e di spaccare il vetro un’altra volta.

Passarono dieci minuti e non accadde nient’altro. Hank aprì gli occhi. Doveva essere tornato a casa.
Tirò un sospiro di sollievo e si diresse verso la camera. Sarebbe stato meglio dormirci su.

 

L’indomani, Hank andò a lavoro con i postumi della sbornia. Irritato e piuttosto nervoso per la situazione con Connor, decise di buttarsi a capofitto nel caso di quel giorno, senza però aver realmente voglia di indagare.

Doveva prendere una decisione e capire cosa voleva fare: rischiare tutto - che cosa, poi? - e stare con Connor o passare il resto della sua miserabile vita da solo a rimpiangere la miglior cosa che gli fosse successa dalla morte di Cole?
La risposta poteva sembrare chiara, ma anche quel giorno decise di cercarla alla fine di un bicchiere di whisky.

 

Connor provò ad andare a casa di Hank più e più volte quel giorno, ma senza successo. Forse non era l’androide più sveglio del mondo, ma non ci voleva un genio per capire che Hank lo stava evitando. Provò a parlare della faccenda con Wes e Lara, ma entrambi gli suggerirono di avere pazienza.

Peccato che adesso aveva tutto tranne quella; finalmente era riuscito, per la prima volta, a capire cosa voleva veramente e proprio in quel momento, l’unica cosa che poteva fare era aspettare.

La verità, però, era che non voleva aspettare e si rifiutava di accettare quel silenzio da parte di Hank. Si sentiva arrabbiato, forse addirittura offeso.

Era palese che il proprio sentimento fosse corrisposto, quindi perché continuare a scappare? Con quale paura?

Connor rimase tutto il giorno sul divano, con la testa appoggiata sulla mano e l’espressione annoiata, mentre a ogni battito di ciglia cambiava canale in tv alla ricerca di qualcosa.

 

Hank rientrò tardi anche quella sera. Portò Sumo a fare i bisogni e poi rientrò immediatamente in casa, togliendosi il cappotto e buttandosi sul divano, esausto - più mentalmente che fisicamente.

Probabilmente, anche quella notte Connor sarebbe venuto a bussare alla sua porta e avrebbe dovuto decidere se aprire oppure no.

Forse la cosa migliore era fargli capire che doveva allontanarsi da solo, o forse lasciarsi andare e baciarlo, fare l’amore con lui e tutte quelle cose che aveva immaginato nel buio della propria stanza, sotto le coperte.

Si prese una birra e cominciò a bere.

Quando stava con Connor non aveva bisogno dell’alcol. Forse era davvero ora di decidere se uccidersi lentamente o riprendere a vivere.

 

Il campanello non suonò né quella notte, né quella successiva.

 

VIII

 

Connor decise di trattenersi e di non andare da Hank né quel giorno, né quello successivo. Come aveva detto Lara, probabilmente aveva bisogno dei suoi spazi, ma era piuttosto palese che stesse scappando. Dal canto suo, si sentiva ferito e non poteva farne a meno. Certo, una parte di sé conosceva la reale ragione per cui Hank era così sfuggente, tuttavia non riusciva davvero a credere che fosse la sua stessa natura a funzionare da barriera tra di loro.

In quel momento di piena coscienza di sé, Connor odiava l’idea di essere un androide. Odiava il suo non avere un cuore vero, uno stomaco e tutte quelle cose che caratterizzano l’essere umano.

Un giorno si guardò a lungo allo specchio, con e senza pelle. Avrebbe voluto raccontare a se stesso che il vero sé era quello con la pelle, ma purtroppo non era così.

Il suo reale riflesso era quello bianco e grigio, con le scalanature della congiunzione della plastica, il led blu sulla tempia e nessun pelo sul corpo. Era oggettivamente proporzionato, perfetto, ma lui stesso detestava parte di quella perfezione.

Avrebbe voluto essere come Hank; le sue imperfezioni fisiche lo rendevano bellissimo. Dalla barba alla pancia fino alle gambe e le braccia forti, che lo stringevano e lo facevano sentire più vivo che mai.

Si accarezzò il viso, chiudendo gli occhi per qualche secondo e immaginando che quella mano fosse quella di Hank.

Voleva soltanto essere amato da lui, nient’altro. E voleva dargli in cambio l’amore che finalmente era in grado di provare.

Ma forse Hank non glielo avrebbe mai concesso.


Trascorsero quattro giorni da quella sera e Hank continuò a chiedersi se fosse il caso di continuare a evitare di combattere il drago. Ciò che lo faceva stare peggio, in un certo senso, era il vuoto che Connor aveva lasciato nella sua vita. Ironico, visto che quel vuoto lo aveva scelto lui evitandolo, almeno all’inizio.

Si chiese, ad un certo punto, se anche lui non stesse provando a fuggire; non era più venuto a cercarlo, né di pomeriggio, né di notte. Nemmeno quel giorno. Era rimasto a casa, aveva portato fuori Sumo, era addirittura passato di fronte all’abitazione di Connor e si era fermato di fronte al vialetto che conduceva verso la porta, ma non aveva avuto il coraggio di fare nemmeno un passo verso di essa.

Aveva semplicemente stretto il guinzaglio di Sumo nella mano e poi, dopo qualche secondo immobile, era tornato a casa.
Che vigliacco.

I giorni passavano e lui continuava a rifuggire la verità: non voleva rinunciare a Connor e forse non doveva proprio farlo.

Con sua enorme sorpresa, il campanello suonò mentre si era fermato a vedere un po’ di tv, cercando di superare le proprie ansie.

La persona che vide attraverso lo spioncino non era certo quella che si aspettava.

“Ciao,” disse, aprendo la porta e trovandosi di fronte la sua vicina. Lara aveva le mani poggiate sui fianchi e sembrava piuttosto seria.
“Possiamo parlare?” chiese, diretta. Hank la fece entrare senza porre domande, sapeva benissimo cosa voleva dirgli.

“So cosa…” cominciò.

“No, aspetta. Prima io,” disse, parando una mano di fronte a lui, “sia ben chiaro: io sono felicissima che Connor abbia trovato qualcuno, ma non sono affatto contenta di come sta andando avanti la situazione. Se gli spezzerai ulteriormente il cuore, io…”

“Lara.”

“Io non potrò sopportarlo!” esclamò la giovane donna, stringendo i pugni. “Connor è una brava persona. Sì, una persona, e non si merita di stare come sta ora.”

Hank si morse il labbro inferiore, sentendosi tremendamente in colpa. Si mise le mani in tasca e abbassò la testa.

“Io non sarò eterno come lui…”

Lara sospirò.

“Non capisci che non è importante per lui, questo? Vuole soltanto stare con te, non chiede altro. Non gli interessa cosa accadrà tra dieci o vent’anni.”

Alzò lo sguardo e incontrò quello di lei, i suoi occhi erano lucidi. Davvero Connor stava così male per lui? E come poteva negarlo? Non era certo l’unico.

“Hai ragione,” rispose Hank, sedendosi sulla sedia che trovò lì vicino, “so bene che per Connor non è importante. Il punto è che sono spaventato, okay? Sono solo un vecchio che fino a qualche settimana fa aveva come unico amico l'alcol ed unica compagnia fedele la pistola, nella speranza di incontrare al più presto il suo creatore. Non sono improvvisamente guarito dalla depressione. Sono un uomo problematico, con mille difetti, e non voglio che Connor diventi il mio bastone per la vecchiaia.”

Lara lo guardò con aria severa e incrociò le braccia al petto.
“Quindi pensi che sia più giusto negarvi un’opportunità?”

Non riuscì a ribattere immediatamente. Aprì bocca, ma non ne scì una parola, non subito.

“Sono sicura che per Connor tutto ciò non sia importante. Anche per lui non sarà facile quando capirà quante sono le differenze effettive tra te e lui, ma sono abbastanza certa che questo non lo fermerà dal continuare ad amarti.”

Hank si strinse le ginocchia, facendo vagare lo sguardo nella cucina. Poteva ricordare con esattezza ogni movimento di Connor in quella stanza e ne avvertiva la mancanza.

“Cosa dovrei fare?” chiese poi, sospirando.
“Andare da lui. Dirgli cosa provi. Se lo ami, diglielo, se invece credi che sia solo un momento allora ti prego, sii sincero con lui. Non chiede altro.”

“Va bene,” rispose Hank. “Ho solo bisogno di una serata, okay? Ti prometto che lo farò.”

Lara annuì, facendogli il primo sorriso accenato.

“Va bene. Scusami se sono arrivata qui e ti ho praticamente aggredito, ma anche se Connor non è sangue del mio sangue e anche se è con noi da solo qualche mese, gli voglio davvero bene e fa parte della famiglia, capisci?”

Hank annuì, comprendendo perfettamente il suo punto di vista.

“Posso offrirti un caffè?”

“Sì, magari.”

 

Passarono altri due giorni, ancora nessuna notizia, nessuna chiamata. Connor vedeva qualche volta Hank fuori con Sumo e dentro di lui saliva un sentimento simile alla rabbia. Per una volta voleva che fosse lui a cercarlo.

Era disteso sul letto quando Lara bussò alla sua porta. In quegli ultimi giorni non stava facendo molto in casa. In parte non era dell’umore e in parte la coppia gli stava impedendo di fare un sacco di cose. Il che lo faceva sentire vagamente inadeguato e tenersi occupato forse lo avrebbe fatto stare meglio, ma non c’era stata molta scelta.

“Hai visite,” disse Lara, aprendo appena la porta e portando sul volto il sorriso di chi la sapeva lunga.

Connor si alzò dal letto, composto e scese le scale senza fare ulteriori domande.

La parte più profonda di sé avrebbe davvero voluto che fosse Hank, tuttavia temeva di rimanere deluso.
Chiuse gli occhi, dirigendosi verso la porta ed aprendoli.

Non riusciva a crederci; davanti ai suoi occhi c’era Hank, con un sorriso timido dipinto sulle labbra, i capelli raccolti, una camicia sobria - almeno per i suoi standard - e un paio di pantaloni scuri.

“Ciao,” se fosse stato umano, probabilmente avrebbe avuto la bocca asciutta o la sua gola si sarebbe chiusa, come leggeva in alcuni libri che aveva acquistato recentemente, dove la protagonista aveva sempre reazioni fisiche strane di fronte alla persona che amava.

“Ciao,” Hank si portò una mano dietro il collo, grattandosi la base della nuca, visibilmente in imbarazzo. “Lo so che sono scomparso per tutti questi giorni e…”
Connor teneva gli occhi puntati su di lui, al contrario dell’altro, che invece sembrava non riuscire a sostenere il suo sguardo per più di due microsecondi.

“Mi dispiace. Ok? Non sapevo come affrontare tutto questo.”

Non proferì parola. L’androide intrecciò le braccia e lo guardò con aria severa, sebbene dentro di sé si stesse praticamente sciogliendo. Era una sensazione strana, essere divisi a metà tra la felicità e la rabbia.

“Avresti potuto-”

Hank lo interruppe.

“Lo so, avrei potuto provare a parlarti. Ma la verità, Connor, è che io sono un codardo. La mia vita è composta da una serie di cose che non ho avuto il coraggio di fare. Tra queste, del resto, vi è anche il mio suicidio. Anche la decisione stessa di affogare nell’alcol i miei problemi dimostra che tipo di persona sono, ed è proprio per questo che ogni giorno ci penso e mi sorprendo…”

“Di che cosa?” Connor alzò un sopracciglio.

“Mi sorprendo del fatto che tra tanti tu hai scelto me. Che uno come te possa amare uno come me. Non hai idea di quanto possa essere complesso accettarlo, dopo anni in cui ho creduto di essere un uomo perduto e distrutto.”

Ci fu un momento di silenzio che sembrò durare un’eternità. Connor sapeva che Hank aspettava una risposta, ma l’unica cosa che riuscì a fare, fu avvicinarsi a lui, prendergli il volto tra le mani e baciarlo delicatamente. Non c’era molto di passionale in quel gesto, ma più il tentativo di trasmettere un’emozione, ciò che provava.

Tra androidi sarebbe stato sufficiente rimuovere la pelle, ma purtroppo tra due specie diverse questa cosa non poteva funzionare, per questo sarebbe stato più difficile.

Hank rispose al bacio, stringendo Connor a sé con forza come se temesse di poterlo perdere.

“Non sono bravo con le parole, Hank. Spero che i miei gesti possano esprimere ciò che provo.”

L’uomo annuì, accarezzandogli i capelli e intrecciando le dita con essi. Era così strano, guardarlo e toccarlo e non riuscire a trovare davvero nessuna differenza tra lui e un comune mortale.

“Quindi, adesso penso che sia giunto il momento di chiedertelo seriamente: ti va di umh, uscire con me?”

Connor lo guardò sorpreso.

“Non credo sia necessario, siamo stati insieme molte volte.”

Hank roteò gli occhi e sorrise.

“No, stupido! Come… come nei film! Quelle cose smelense, dove si chiede praticamente sull’orlo della fine, un appuntamento alla ragazza che il tipo ha corteggiato per almeno un’ora e quaranta.”
“Mi stai dicendo che mi hai corteggiato per così tanto tempo?” ribatté Connor, ridendo.

“Dai, non rendermi la cosa più complicata di quanto già non sia.”

Connor prese la sua mano destra e la strinse tra le proprie.

“Direi che si può fare.”

 

IX

 

Hank non riusciva a crederci; se glielo avessero chiesto qualche mese prima avrebbe riso fragorosamente. Lui con un androide? Non ne voleva uno personale, figuriamoci uno come partner.

Incredibile come la vita potesse giocare con lui in modi del tutto inaspettati.

Forse non sarebbe stato semplice condividere così tanto. Non da subito, almeno. Ma chi lo avrebbe mai detto, che quel giorno di ottobre avrebbe cambiato così tanto la sua vita?

La sua casa non era più vuota e con essa, non lo era nemmeno più il suo cuore.
Per un po’, forse, avrebbe potuto smettere di bere. Magari anche per sempre.

Si rigirò nel letto e sentì il corpo di Connor vicino al suo, si lasciò scappare una lacrima.

Adesso era tutto perfetto.
Lo era Connor lì, nel suo letto, con Sumo rannicchiato sul pavimento vicino a loro.

Lo era la sensazione di tepore* che poteva avvertire provenire dal corpo dell’altro.

Lo era il sentimento di gioia che traboccava dal suo petto, prepotente.

Lo era il desiderio di vivere, più forte di quello di morire.

Si lasciò abbracciare dal sonno - e da Connor - e lui, che in Dio non ci credeva, ringraziò una divinità qualunque per non aver mai premuto il grilletto.

Era giusto, in fondo, concedersi un’altra opportunità per essere felici. Chiuse gli occhi e si addormentò stringendo Connor a sé.

Andava tutto bene, adesso.

Note Finali: 
Come ho già detto all'inizio, probabilmente scriverò altre cose su questo 'verse. Purtroppo il fandom italiano è davvero inesistente e piccolo, però DBH mi ha conquistata e ancora più del gioco, lo hanno fatto Connor e Hank. Sono coinvolta da questa ship da tipo sei mesi e non è l'ultimo progetto che ho in cantiere. Sto continuando a scrivere e plottare come mai prima, e mi auguro che possa piacervi ciò che pubblico.
Ovviamente tutti i commenti sono ben accetti, sia per critiche positive che negative, e se vi va sono disponibile anche semplicemente per parlare della coppia!
Un abbraccio

Flan 

   
 
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