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Autore: AlekHiwatari14    20/12/2018    0 recensioni
Sequel di Iris Harlock - una storia perduta nel tempo…
Margaret, avendo cambiato il corso dei tempi e impedito ai diavoli di impossessarsi del suo mondo, continua il suo ruolo da eroe mascherato, ma stavolta sotto un altro nome e con un aiuto in più.
Una nuova avventura l'attende e nuove sfide con nuove e vecchie conoscenze, oltre ad una novità in più.
Il suo cuore ormai è stato preso da qualcuno.
Non è più la Margaret di prima. È cresciuta e innamorata, ma quell'amore è destinato a non reggere per molto.
Il risveglio del Signore degli inferi fa tremare cielo e terra e la nostra Iris Nube deve mettersi all'opera per cessare l'inferno del suo mondo.
[La storia contiene: Gender Bender/ Tematiche delicate come il bullismo e il razzismo/ Possibile FemSplash e/o Splash]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate
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Raven.


«Francise...» Chiamo, cercando la sua mano per farmi strada verso la scuola.
Tutto è completamente buio. I miei occhi non vedono, ma percepisco con il tatto ciò che mi circonda.
Eccolo. Ecco il fantasma che mi prende per mano. Percepisco vivamente il suo calore, anche se è lieve. Comprendo che è lui a causa del leggero brivido che mi sale sulla schiena, accompagnato da un altro dettaglio abbastanza macabro per chi è nelle mie condizioni e non riesce a vedere nulla.
«Vieni, ti aiuto...» Mi sussurra all'orecchio, conducendomi verso il cancello di scuola.
La sua voce è sempre stata così leggera e sussurrante, anche se lui afferma di non averla così come la percepisco io.
Questa situazione mi pesa. Devo essere sincera.
Mi fa male non vedere nulla, ma soprattutto l'essere accompagnata ovunque. Mi distrugge il pensiero di non vedere i miei amici né il luogo in cui sto.
Mi verrebbe da piangere se non fosse per il mio cuore ormai abituato a questa vita.
Ho pianto in passato per questa mia condizione e ci soffro ancora, ma sono troppo orgogliosa per esternare questo mio dolore.
Sono una nuova persona. Sono una strega, una veggente, una sensitiva, insomma... tutto sono al di fuori della Raven di una volta.
Eppure, ricordo benissimo quel giorno in cui tutto cambiò e fu lo stesso giorno in cui persi la mia vista...

 
***

Tutto iniziò tre mesi prima. Mio padre era stato trasferito da Edimburgo a Glasgow e per agevolarlo con il lavoro decidemmo di comprare una casa poco distante dal centro.
La scuola per me non era un problema. Ero entusiasta e i cambiamenti non mi hanno mai spaventato. Insomma, come potevano spaventarmi?
C'erano biblioteche attorno casa mia, l'uniforme l'amavo terribilmente e poi, trasferirsi a Glasgow, è come fare un tuffo direttamente in una delle storie della J.K. Rowling.
Le uniformi ricordano molto quelle del suo ononimo romanzo di Harry Potter. Io avevo quella bellissima uniforme che ricordava molto la mia casata di corvonero, perché si. Ero una fanatica della saga, proprio come lo sono tutt'oggi.
Mi era appena arrivata quella splendida divisa e non vedevo l'ora di indossarla il giorno seguente per andare a scuola.
Era domenica quando entrammo nella nostra nuova casa.
Il mio sorriso e il mio entusiasmo si affievolirono poco a poco non appena misi piede lì dentro.
Avvertivo che c'era qualcosa che non andava, ma non capivo cos'era. Percepivo qualcosa, l'aria era pesante, ma nessuno se ne accorgeva. Ero l'unica ad essermene resa conto e pensai che fosse la stanchezza del viaggio a farmi sentire il peso del trasloco.
«La stanza di destra è la mia!» Urlò un ragazzo dai capelli corvini e corti con tanto di ciuffo lungo, pelle chiara, occhi marroni e fisico scolpito di soli venti anni, salendo le scale velocemente.
Lui era mio fratello maggiore,  Martin. Io e lui eravamo cane e gatto, sempre a litigare, ma insieme ci completavamo.
«Ehi, così non vale!» Esclamai, correndogli dietro per cercare di aggiudicarmi la stanza.
Quella casa, pur essendo in stile antico, era molto spaziosa.
Aveva dei mobili molto antichi. Probabilmente risalivano all'ottocento.
Io dovetti accontentarmi della stanza alla sinistra, leggermente più piccola, ma che aveva comunque tutti i comfort di cui avevo bisogno.
La sistemai come potevo, mettendo il mio mac, le bambole in porcellana che amavo e i vari film e romanzi fantasy che avevo.
Ordinai tutto, facendo assumere alla mia camera uno stile "Harry Potteriano", come lo chiamo io, visto che avevo appeso la sciarpa della casata da corvonero e messo i vari gingilli in tutta la stanza. Tra i romanzi non poteva mancare anche quella saga, insieme a tutti gli altri libri scritti di J.K. Rowling, perché si. Ero e sono una sua grandissima ammiratrice. Inutile dire che sognavo di diventare un giorno scrittrice, ma quel sogno ormai sembra essere andato al vento.
Il letto era estremamente grande e avrei potuto ospitare qualche altra persona, ma la cosa che adoravo di più era l'uniforme. Non vedevo l'ora che arrivasse il giorno seguente per mettermela e andare a scuola. Avevo un agitazione assurda e l'entusiasmo non mi mancava.
Quel giorno, dopo aver fatto del mio meglio per aggiustare la mia stanza, decisi di farmi un bagno caldo mentre i miei e mio fratello andavano a casa vecchia per controllare gli ultimi scatoloni da prendere.
Ero a mollo nella vasca da bagno, da sola e senza nessuno, eppure quella sensazione di sentirmi osservata e scrutata non andava via.
Sentii il cigolio della porta del bagno. Alzai la testa, guardando in quella direzione.
La vidi aprirsi pian piano, ma non c'era nessuno ad aprirla. Non riuscii a non urlare: «Chi c'è lì?!»
Non ebbi risposta e la tensione salì di botto, vedendola chiudersi violentemente.
Preoccupata e con l'ansia alle stelle, presi l'asciugamano, alzandomi dal bagno e dando un'occhiata in giro.
Aprii la porta, guardai nei corridoi, nella cucina e nelle altre stanze se ci fosse qualcuno, ma nulla.
Non c'era nessuno di visibile.
Stavo impazzendo.
Pensai che ero diventata matta o semplicemente la stanchezza mi stava facendo dei brutti scherzi.
I brividi salirono lungo la schiena e mi sentivo realmente male. La temperatura era calata di botto.
Sentendo quel freddo improvviso e stando solo con l'asciugamano che mi copriva, decisi di tornare in bagno ad asciugarmi.
Feci così e pensando a quell'accaduto arrivai ad un ipotesi: «Forse mi sto preoccupando per nulla. Probabilmente sarà stato il vento ad aprire e chiudere la porta...»
Mi asciugai i capelli bagnati con quei pensieri nella testa e ritornai in camera. Sinceramente non mi aspettavo di trovare quel biglietto sul scrivania. Incuriosita e voltandomi a destra e a sinistra mi avvicinai. Lo presi e lo lessi, credendo che fosse qualche mio appunto che l'avevo lasciato lì mentre mettevo in ordine i libri, ma non era così.
"Va via!" C'era scritto su quel foglio e la caligrafia non era la mia.
Inizialmente pensai fosse uno scherzo di Martin.
Strappai il foglio e lo riposi nel cestino, per poi andare a dormire.
L'indomani mi attese la scuola. Lo ricordo bene il mio primo giorno alla High School Of Glasgow,  27 Ledcameroch Road, proprio a due passi da casa mia.
Indossai quella uniforme e mi stava divinamente. Ero emozionata e non badai a molte cose strane che stavano succedendo, come il quaderno che avevo messo nello zaino trovato sulla scrivania, i libri messi in un ordine diverso da quello precedente e altre piccolezze del genere. Pensai che nella fretta avevo dimenticato di mettere le cose a posto o che avessi invertito l'ordine e l'avevo completamente scordato.
La giornata andò bene, mi feci un bel po' di amiche e mi trovavo davvero bene lì. Peccato che la giornata non terminò per niente bene. Quando tornai a casa ebbi nuovamente quella sensazione.
C'era un odore strano, come di sporcizia. Andai a controllare la spazzatura in cucina, ma non c'era nulla. I miei l'avevano già buttata. Pensai che era probabilmente la polvere ancora accumulata che mia madre non aveva ancora tolto.
Andai alla credenza, prendendo un bicchiere per bere. Lo appoggiai sul tavolo e andai verso il frigo per prendere la bottiglia d'acqua. Quando mi voltai, però, notai che il bicchiere non era più sul tavolo. Mi avvicinai pensando: «Che strano...»
Feci per prenderlo nuovamente dalla credenza, quando lo vidi dentro al lavabo.
Chiusi le porte che avevo aperto per prendere il bicchiere, per poi prendere tra le mani il bicchiere nel lavabo.
«Ma... che...?» Mormorai tra me e me.
Un senso di paura mi pervase, ma non volevo cedere. Ero molto scettica e non credevo minimamente che potesse esserci un fantasma, nonostante girano parecchie leggende in Scozia.
Cominciai a pensare che la stanchezza mi stesse facendo dei brutti scherzi. Misi una mano alla fronte prendendo un respiro e dandomi coraggio. Avevo anche molti compiti arretrati da fare, essendo la nuova arrivata, così decisi di non farci caso più di tanto.
Presi il bicchiere e, dopo aver bevuto, andai in camera mia. Lì, mentre prendevo i libri e i quaderni dallo zaino per studiare, mi avvicinai alla scrivania e ciò che vidi mi fece cadere tutto da mano.
C'era nuovamente quella scritta, ma stavolta era con un rossetto rosso ben marcato e inciso sulla scrivania. Ancora una volta lo stesso avvertimento.
Avevo di nuovo la sensazione di essere osservata. Mi voltai di scatto verso la porta, dicendo: «Chi c'è lì?!»
Improvvisamente un rumore di piatti che cade mi fece sobalzare.
Corsi verso la cucina e vidi chiaramente quel bicchiere che avevo bevuto essersi frantumato a terra. La credenza era aperta.
La porta della cucina, una volta entrata dentro, cominciò ad aprirsi e a chiudersi da sola.
Come ho già detto, ero scettica e non credevo nei fantasmi.
«Martin, non è divertente!» Urlai, pensando che fosse uno scherzo di mio fratello.
Al mio grido tutto cessò ed io girai tutta la casa, convinta che mio fratello si stesse nascondendo, ma non vidi nulla. Non c'era nessuno.
«Se ne sarà andato forse...» Farfugliai tra me e me, però ero stanca di tutta quella situazione.
La cosa cominciava a darmi fastidio. Pensavo che Martin volesse prendersi gioco di me, ma la realtà ne era un'altra. Era quella che io non accettavo e non credevo minimamente che fosse possibile.
Lo vidi rincasare con mia madre e lui negò ogni mio pensiero. Disse che era stato all'università e mia madre diede conferma. Era andata a prenderlo essendo di passaggio di lì. Inoltre non c'era modo di andare e venire così velocemente. Era stato all'università tutto il tempo e non poteva essersi allontanato, anche perché è molto più distante rispetto alla scuola dove andavo io. Papà era a lavoro e mamma non era stata in casa poiché doveva provvedere alla cena e agli ultimi pacchi dimenticati.
Il dubbio si fece sempre più ampio nella mia mente.
Chi allora aveva scritto sulla scrivania? Chi aveva cercato di terrorizzarmi?
Cominciai a pensare e non trovavo una logica a quei strani eventi. Mi misi nel letto, piena di dubbi, quando, come un fulmine a ciel sereno, l'unica spiegazione plausibile mi venne data dall'unico contesto che non avevo considerato a causa della mia scetticità, il paranormale.
Non c'era alcun dubbio. Non c'erano altre soluzioni. C'era un'entità in casa. Questa era l'unica cosa vera di cui mi resi conto.
Il giorno seguente, dopo scuola, mi recai in biblioteca e presi tutti i libri sul paranormale, fantasmi e magie che trovai, anche perché non potevo fare la ricerca su internet visto che i miei dovevano ancora collegare la rete. Rimasi lì fino a tardi per leggere quei dannati libri, ma non trovai alcuna soluzione. Solo un prete avrebbe potuto risolvere la situazione, ma non era certo. Ogni spirito reagisce in un modo ed io non sapevo chi avevo di fronte.
Le cose di certo a casa non miglioravano.
Gli oggetti li trovavamo in posti diversi da dove li avevamo messi ed io cercai di far capire la situazione ai miei, ma non ci riuscii.
Pensai che il modo migliore fosse parlare direttamente con l'anima che risiedeva in quella casa.
Non appena avvertii la sua presenza o sentii semplicemente di essere osservata, parlai: «Ascoltami! So che tu non ci vuoi qui. D'accordo. Ce ne andremo, ma adesso non possiamo. Non abbiamo i soldi per un altro trasloco. Appena avremo raggiunto la somma ce ne andremo e ti lasceremo in pace, capito?»
Inutile dire che rimasi delusa. Non percepii nulla e non c'erano risposte. Mi aspettavo qualche sussurro o qualcosa del genere, ma nulla.
Avevo letto che le entità hanno vari comportamenti, ma questo davvero non lo comprendevo.
I giorni passarono e la mia curiosità mi spinse in quel mondo magico pur non volendo. Rimasi affascinata dalla magia nera e soprattutto dalla tavola ouija.
Vidi vari video su Youtube del funzionamento di quella tavola e, una volta a casa, sentendomi pronta, improvvisai. Scrissi con una penna su di un foglio di carta tutto l'occorrente. Numeri, lettere, sole e luna, si e no e i saluti. Presi il tappo da una bottiglia per farlo da cursore, ma il primo contatto non andò bene.
«C'è qualcuno?» Domandai e a quella domanda seguì un forte bruciore sotto la tappo.
Spostai le dita di colpo e lo vidi prendere fuoco. Si bruciò. Era segno di una presenza arrabbiata ed ostile. Anche il foglio si bruciò, ma non prese fuoco. Era come se il tappo, il contatto dello spirito o qualche reazione chimica strana avesse bruciato tutto, ma il fuoco, una piccola fiammella, era uscita solamente dal tappo che riuscii a spegnere tranquillamente con la bottiglia d'acqua che avevo accanto a me.
Tutto era così strano e affascinante allo stesso tempo. Colma di curiosità e pronta a mettermi in contatto con quell'entità, decisi di andare in un negozio e acquistare quella benedetta tavola.
Pensai che con una tavola di legno e un cursore vero non avrei corso rischi di incendio. Avevo ragione infatti.
Ero sola in casa quel giorno e ci riprovai. Presi la tavola dallo zaino, posizionai tutto e misi il dito sul cursore.
Presi un respiro, feci fare due giro a quell'oggetto su cui tenevo il dito, posizionandolo sulla G, per poi pronunciare nuovamente quella frase: «C'è qualcuno?»
Stavolta la presenza fece spostare il cursore in modo molto violento sul si. Cominciai a chiedere il suo nome, l'età e quant'altro. Si chiamava Francise, aveva un figlio e una moglie, ma era morto negli anni cinquanta nel tentativo di salvare i suoi cari da un vampiro. Mi disse che lo risucchiò le energie ed era molto forte. Aveva preso di mira il figlio, ma essendoci lui di mezzo, riuscì a salvarlo. Nel salvataggio perse la sua vita, permettendo a sua moglie e suo figlio di scappare. Mi spiegò che così doveva andare. Era scritto nel suo destino.
Glielo rivelò lo Shinigami che prese la sua anima, ma era maldestro e perse quell'anima mentre si addentrava nel mondo di mezzo. Così rimase in questo mondo e si ritrovò a vagare solo e sconsolato. Trovò questa casa, la casa di suo figlio e di sua moglie, ma di loro non c'era più traccia. Non sapeva dove andare. Non sapeva cosa fare.
Era arrabbiato perché nonostante parlasse nessuno lo sentiva. Era invisibile a tutti e vedeva spesso le persone attraversarlo. Questa condizione non gli piaceva per nulla.
Da quell'istante io e Francise decidemmo di collaborare. Gli promisi che con me non si sarebbe mai sentito solo e ogni giorno prendevo quella tavola per parlargli, diventando sempre più abile in quella pratica.
Studiai tutto ciò che dovevo sapere sul paranormale e la magia in generale, diventandone esperta.
Certo, non era pieno di scintille e colpi di luce come quello che si vede nei film o nei romanzi della Rowling, ma mi piaceva. Vedevo i risultati pian piano e col tempo. Mi sentivo davvero come una di quelle streghe di Hogwarts, ma con la differenza che non c'erano magie come lumos o expelliarmus. C'erano magie di tutti i tipi, ma di certo non potevo trasformare l'acqua in fuoco o accendere la luce con uno schiocco di dita.
La magia nera era complessa. Richiedeva molte ore oppure giorni, ma altre volte anche mesi per fare una semplice magia.
Tutto dipendeva dal tipo di magia che si voleva fare. Amore, fortuna, riunione, separazione, morte oppure invisibile renderlo visibile.
Molte volte mi ritrovavo a bendarmi gli occhi e toccare le erbe per sentirne la consistenza e annusarne i profumi.
Non so perché, ma sentivo che non vedendo mi sarei avvicinata al mondo invisibile. Infondo è fatto di percezioni e sesto senso. Se si ha la vista e il razionalismo è tutto vano.
Imparai la cartomanzia e riuscivo a leggere molto bene i tarocchi e le carte francesi.
In una di quelle letture decisi che avrei abbandonato quella pratica poiché usciva sempre e solo una carta. La morte.
Avevo paura, ma poi cominciarono a passare mesi e non accadde nulla. Tutta la tensione si affievolì e pensai che le carte non avevano predetto il giusto. Ero del tutto ignara che la durata della predizione dei tarocchi era di un minimo di tre mesi ad un massimo di tre anni.
Passarono sei mesi prima che arrivasse il giorno della tragedia. Quel giorno Francise mi disse che per lui potevamo rimanere in quella casa, a patto che gli parlassi tutti i giorni e non lo facessi sentire solo. Io accettai.
Era mezzanotte. Chiusi la seduta e riposi la tavola sotto al letto per poi mettermi sotto le coperte.
Ero serena. Non mi aspettavo minimamente ciò che stava per accadermi.
Mi addormentai, ignara che il vampiro di cui mi aveva parlato Francise era tornato.
Ovviamente, non sapevo che non era affatto un vampiro, ma un diavolo in cerca di anime.
Come già saprete i diavoli hanno sempre avuto la brillante idea di spacciarsi per vampiri e noi umani li abbiamo sempre temuti per questo.
Nella notte, quell'essere notturno aprì le porte di casa ed entrò. Non so come fosse fatto. Non so nemmeno se fosse maschio o femmina. So solo che Francise, per proteggerci, accese il gas in cucina per poi far provocare una scintilla che diede fuoco a tutto nell'intento di spaventare l'essere.
Ahimé, però, l'allarme anti-incendio era guasto. Non funzionò e quel vampiro, essendo in realtà un diavolo, decise di attendere tranquillo l'ora della nostra morte. Lui non era solo. Ce n'erano altri, ma erano fuori dal'abitazione, credo.
Era tutto così confuso e successe tutto troppo velocemente.
Mi svegliai di soprassalto, sentendo due mani che mi stringevano alla gola. Vidi un'ombra starmi proprio sullo stomaco. Feci resistenza e quell'essere si allontanò, infilandosi sotto la porta. Era immateriale.
La puzza di fumo era enorme. Mi alzai e corsi fuori, spalancando la porta.
Martin uscì anche lui, avendo la stessa e medesima esperienza mia.
Tossiva, mentre cercava un modo per estinguere le fiamme.
Andai nella camera dei miei, svegliandoli e cercando di portarli fuori di lì, ma una volta giù mio padre prese un estintore andando ad aiutare mio fratello.
«Martin, no! Papà!» Sbraitai, cercando di tirarli fuori e vedendo anche mia madre andare da loro per condurli fuori casa.
Corsi verso la loro direzione, quando sentii un sussurro: «No, non ti avvicinare!»
Non era la voce di Martin, non era la voce di mamma e nemmeno quella di papà. Era una voce sconosciuta. Mi bloccai di colpo, voltandomi a destra e a sinistra, cercando di capire da dove proveniva, ma non ebbi il tempo.
«Via! Vai via!» Sentii di nuovo quella voce.
Ero pietrificata. Non ebbi il tempo di realizzare quando, alzando il volto, le finestre a contatto con il fuoco esplosero. Era il segno che la mia vita era giunta al termine.
O meglio, era giunto al termine quella vita e quella Raven che ero stata fino a quel momento.
Con violenza i frammenti caddero su di me e molti entrarono nei miei occhi. Erano come proiettili. Vidi solamente sangue e fuoco. Vidi i corpi dei miei genitori e di mio fratello a terra, mentre pian piano diventava tutto poco chiaro. La vista si stava sfogando e nel giro di un attimo diventò tutto buio.
Compresi subito ciò che era successo.
Mi misi le mani agli occhi e cominciai a piangere, quando quella stessa voce continuò: «Raven, devi uscire di qui!»
«Non ci vedo!» Sbraitai, tenendo le mani sporche di sangue davanti a quegli occhi che sanguinavano.
Bruciavano atrocemente a causa delle lacrime e delle ferite. Mi sentivo debole e vulnerabile.
Non so bene cosa successe, ma mi sentii per la prima volta qualcosa prendermi per mano. Era una stretta leggera che mi invogliò ad alzarmi e mi conduceva verso l'uscita.
Mi fermai e sentii quella mano attraversarmi il braccio. Un brivido mi salì lungo la schiena, mentre piangendo pronunciai: «Non posso...»
«Raven...» Chiamò nuovamente. Di chiunque fosse quella voce, non potevo fidarmi. Non sapevo chi fosse e avevo una paura assurda. Come sapeva il mio nome? Come aveva fatto ad entrare?
Impazzii, mettendomi le mani tra i capelli e urlando: «Chi diamine sei!? Che hai fatto alla mia famiglia? Come diamine sei entrato qui?!»
«Raven, sono io... Sono Francise...» Rivelò, facendomi piangere ancora di più, mentre gli domandavo: «Perché?! Perché l'hai fatto? Avevi detto che ci avresti protetto, che non ci avresti fatto nulla... dimmi perché! Perché mi hai fatto questo?»
«Raven... io... non volevo... io...» Farfugliò, ma la mia rabbia era alle stelle.
Avevo perso tutto. Avevo perso la mia casa, la mia famiglia, la mia vista...
Avevo perso me stessa.
«Tu cosa? Se davvero non volevi, allora dimostralo!» Sbraitai, intimorita dal mio futuro.
Insomma, come avrei fatto senza i miei genitori? Come avrei fatto a cavarmela da sola? Come avrei fatto senza la mia vista?
Avevo mille fobie, ma la cosa che mi faceva più male era che avevo perso tutto.
Francise, in quei mesi, mi comprese molto bene. Sapeva che mi appoggiavo molto di più alla vista che alle percezioni esterne, sapeva il mio carattere e conosceva perfettamente ogni mia paura.
Comprese la mia voglia di farla finita, ma lui non voleva esserne l'artefice. Sapeva di aver sbagliato e voleva pagare il prezzo dell'azione compiuta, così non esitò: «Sarò i tuoi occhi.»
Guardavo a destra e a sinistra per capire da dove provenisse la sua voce, ma senza vista era difficile da capire: «Che?»
Ero confusa. Non capivo le sue intenzioni e completamente pietrificata dalla paura di non farcela, finché non fu un po' più chiaro: «Non temere. Sarò i tuoi occhi, ti guiderò ovunque vorrai andare. Vivremo in simbiosi e ti aiuterò attimo per attimo. Ripagherò il mio errore, facendoti da servo e da padre, incominciando da adesso.»
Mi prese per mano ed io ero talmente debole e vulnerabile da farmi trascinare fuori di lì. I vicini, nel frattempo, avevano visto le fiamme e chiamarono tempestivamente sia l'autobulanza sia i pompieri. Dovetti denunciare l'accaduto e chiarire tutto ciò che era successo, ma la verità è che non lo sapevo bene e lo ribadii più volte.
I medici scoprirono la causa della mia cecità, dichiarandomi clinicamente invalida a causa della mia vista.
A scuola non ero più amata come prima. Mi tenevano alla larga. Scoprirono la mia passione per la magia e misero delle voci in giro. Dissero che avevo dato fuoco a tutto con la mia magia e questa si era ripiegata su di me. Mi chiamarono strega e con Francise accanto che mi aiutava a camminare e vestire non era il massimo.
Ero considerata un mostro. Anche se non me lo dicevano apertamente, tutti mi temevano ed io persi tutte le mie amicizie. Non aveva più senso per me stare lì.
Questo mi spinse a chiedere di andare via da Glasgow, accettando di andare in un luogo a me sconosciuto come Detroit.

 
***

Lo ammetto. È stato difficile abituarmi, ma forse... in parte... è vero. Quelle voci su di me non sono del tutto false.
Tutto ha un prezzo. La magia stessa ha un prezzo, ma se non fosse stata per quella passione che ho acquistato pian piano, adesso non sarei qui.
La morte non è altro che la fine di una fase e l'inizio di un'altra. Non so dove mi stia conducendo il mio destino, ma finché ci sarà Francise al mio fianco, so che ce la potrò fare e poi, adesso, ho anche loro. Ho dei nuovi amici a cui appoggiarmi.
«Ehi, ciao Raven!» Mi saluta Fairy, venendomi dietro e dandomi una pacca sulla spalla sinistra per farmi voltare verso di lei.
Sorrido. Non sono sola e questo mi fa sperare in un futuro migliore.
Spero che presto ci sia una svolta per me e che questa mia condizione di invalidità non sia di peso a nessuno. Spero che non mi privi della bellezza della vita, proprio come non mi ha privato fino a questo momento.
Adesso vi lascio, cari lettori.
A presto e un saluto dalla vostra, Raven.
   
 
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