MERCY?
No, Mercer.
New
York è morta… è morta soffocata nel
cancro del virus.
Un virus virulento, aggressivo e implacabile che in poche settimane
aveva
stretto in una morsa più salda di un serpente, ogni singolo
essere vivente,
consumandolo fino a renderlo irriconoscibile anche dal punto di vista
genetico.
Il
male aveva vinto.
-La
speranza è l’ultima a morire.- Dicevano.
-Infatti,
muoiono prima quelli che sperano.-
Rispondevano.
Le
strade erano un agglomerato di rovine e carni
macilente, strappate e masticate, sputate con disgusto.
Lamiere
e ferro grigio di auto ed elicotteri abbattuti
erano l’attrattiva principale di quello spettacolo di
desolazione, accompagnati
da grida e strida di esseri immondi, non più umani ma morti
che si trascinavano
a un cieco camminare senza meta, senza desiderio.
In
quell’inferno, che un tempo immemore era la grande
metropoli della civiltà, vi stava un unico essere non
più umano, privo di
sentimento e calore.
Occhi
freddi e labbra serrate in un ghigno buio
addonavano il viso immorale, spento.
La
luce tremolante di un semaforo dava lo stop a un
traffico inesistente, fedele fino alla fine dei tempi al ruolo per cui
era
stato creato, per poi spegnersi debolmente.
L’umanoide
lo fissò con i suoi occhi cupi, si era spenta
per sempre.
New
York era morta e, con essa, l’isolamento fu totale.
Nell’oltreoceano la vita era normale, viva e di quotidiana
beatitudine di una
felice ignoranza.
L’area
di New York e limitrofi era stata considerata
“zona nera” dall’ex-governo degli Stati
Uniti. La grande potenza del mondo,
simbolo di benessere, di pari opportunità e
d’ipocrisia era divenuta un
letamaio di disperazione e gelida terra di nessuno.
Io
sono l’uomo che un tempo rispondeva al nome di Alex Mercer,
un importante
scienziato della GENTEK. Il mio passato è fumoso, confuso,
ricordo solo poche
cose… che non sono nemmeno sicuro se mi appartengano
davvero.
Io
sono il fantasma di quello che un tempo era la minaccia ZEUS,
un’arma vivente.
Astuto come una volpe, manipolatore come un serpente e libero come un
airone.
Il
mio temperamento non era normale; ero alienato dagli altri, ero
pericoloso e
conflittuale con tutti… non mi fidavo di nessuno, non
provavo affetto per
nessuno, odiavo e basta. Non avevo amici o familiari con i quali mi
sentissi a
mio agio, erano solo fastidi, paure da evitare.
Le
catene del vivere in società mi facevano male ai polsi,
allora decisi di
spezzarli con i miei stessi denti.
Codardo
e prudente contro tutti, non esitai a compiere quella scelta.
Il
mio io era libero, in continua evoluzione e inarrestabile…
come un germe che si
è sviluppato da solo e vuole crescere a spese degli altri,
sfruttarli,
dominarli e infine consumarli. Un virus.
Un
virus senza nome, che aveva preso me stesso e si era plasmato a mia
immagine e
somiglianza… dove iniziava il virus e dove finiva Alex
Mercer? I ricordi sono
chiari, ma non sono sicuro se siano proprio i miei…
Io,
per vivere, consumo gli esseri viventi; assorbo i loro ricordi, le
conoscenze,
come proteine di un piatto di verdure.
Ogni
volta che chiudo gli occhi vedo le facce agonizzanti delle persone che
mi
guardavano, come se fossi il diavolo in persona.
Forse
è così, io sono il diavolo e questo è
il mio inferno.
Sorrise
amaramente, prima di saltare in alto… molto in
alto. Seduto sul cornicione di una delle tante torri di vetro e acciaio
osservava in basso, come un re che osserva i propri possedimenti.
Il
brutto di essere senziente è quello di provare ogni giorno
delle emozioni, di
pensare su te stesso, tanto da diventare pazzo.
La
solitudine è la morte dell’uomo, nessuno
è solo in questo mondo.
Tutti vivono in una comunità e tutti hanno
necessità di scambiare ed essere compresi.
Anche
il più misogino prima o poi aprirà la porta anche
al cane più lercio.
Solo
per avere compagnia.
Ma
io non ho compagnia, non ho nessuno.
Non
posso morire perché il virus non me lo permette, non posso
vivere perché sono
Alex Mercer.
L’umanità
è stata foriera di errori e di conquiste, ma è
sempre andata avanti, io non ho
più umanità, destinato a un oblio senza tempo e
memoria.
Le
uniche persone che tenevano ad Alex Mercer erano morte e quelle che
comprendevano il virus sono dentro di me.
Non
posso comunicare con loro, non posso vederle, toccare, sentire la
voce…
È
una punizione peggiore della morte stessa.
Alzò
gli occhi al cielo; la volta celeste sembrava
l’unica cosa rimasta immutata in quell’inferno. A
New York sembrava fosse calato
un inverno perenne, forse un effetto dei vapori del virus?
Non
si poteva affermare con certezza.
Chissà
se Dana starà bene… l’ultima volta che
la vidi era su un tavolo operatorio del
patologo… come si chiamava? Ah… ho dimenticato il
suo nome.
Sorrise,
quasi schernendo…
Quell’uomo
aveva quasi rischiato la vita per aiutare un perfetto sconosciuto, che
cosa
strana.
Ma
la risposta era ovvia… Avevano collaborato con un
unico scopo… la distruzione della Blackwatch,
l’azienda farmaceutica che si
dilettava a fare dio.
Vollero
Dio e ottennero il diavolo.
Furono
spazzati via, uno dopo l’altro, come tante erbacce
secche. Erano uomini e donne di tutti i giorni, con sogni e speranze
per il
futuro… eroi senza volto che avrebbero portato la scienza e
la storia avanti
dell’umanità.
Al
prezzo di altrettante vite umane di uomini e donne ritenute inferiori e
sacrificabili.
La
città di Hope, dove viveva quella donna… Greene,
era
un esempio lampante…
Mille
e più mille persone furono fatte sparire
nell’ombra
della storia, senza un come e, tanto meno, un perché.
Elizabeth
Greene, la mia ”madre di virus”… Non
riesco a dimenticare la prima volta che la
vidi.
“Sono
tua madre…” cosi mi disse, così mi
aveva accolto nel suo abbraccio.
Meritava
di morire? Ora che era stata assorbita nella
mente del dottore Mercer, la risposta non era più tanto
scontata…
Era
una vittima come me, io ho scelto di diventare quello che sono. A lei
era stata
negata anche il poter scegliere.
Se
si fosse unita a lei, cosa avrebbero potuto fare?
Niente? O tutto?
Che
sciocchezze… il virus non ci avrebbe mai permesso di essere
una parvenza di
umanità.
Come
è finita adesso, era come doveva finire.
Si
levò il cappuccio, lasciando che il vento accarezzasse
la sua pallida pelle di morto.
Poco
meno di umano, qualcosa di più di un mostro.
Alla
fine era questo, un guardiano delle porte
dell’inferno.
Ormai,
persino il cacciatore più vorace si teneva alla
larga da lui, evitandolo quasi con riverenza: Era il loro dio, il loro
messia.
La
cosa lo riempiva di vuota boria, un orgoglio
insignificante.
Alla
fine, comprese.
Doveva
morire per trovare pace, il virus non ha scopo di
esistere… fu un ottimo mezzo, ma non un fine…
Se
il fine era noia, allora valeva tagliarsi la testa con
le proprie mani.
Uccidersi
da soli non avrebbe effetto… Solo un suo
simile, poteva ucciderlo.
Il
rumore degli elicotteri attirò la sua attenzione, si
alzò di tutta fretta il cappuccio.
Elicotteri?
Ci sono ancora sopravvissuti allora?
Mercer
decise di nascondersi nell’ombra, per più di un
anno.
L’umanità
andava rigenerandosi, rialzandosi sulle proprie
gambe e lo spirito di perseveranza.
Incredibile,
non importa quando duramente martelli, il ferro non si
romperà mai. Si curverà
ma non scompare.
Paragonò
l’essere umano al ferro. E calzò piuttosto bene.
Mi
lascerò guidare da Mercer, ancora una volta, dal suo gene
egoista.
Lasciò
New York per ritirarsi in Canada, nella più totale
solitudine. Certo, non cambiò molto ma almeno era un luogo
vivo e accogliente.
Il
Canada era una delle regioni più gelide e il virus ci
mise un bel po' per adattarsi, ma a parte qualche scompenso, non ci
furono
problemi di sorta.
Si
costruì con le proprie forze una piccola casupola, in
una zona del sottobosco e lì restò.
Non
aveva bisogno né di mangiare o né di bere, gli
bastò
assorbire un po' della fauna selvatica.
Nelle
fredde notti andava al paese, una piccola comunità
di poco più cento persone.
Si
intratteneva, con la bocca chiusa e le orecchie
aperte, e ascoltava la vita brulicante dell’unico locale
presente.
Curioso,
cercavo la compagnia e ora che l’ho, mi sento molto
più solo…
Alcuni
avventori si avvicinarono al nuovo arrivato.
-Jack,
giusto? Sei uno scrittore, vero?- Un uomo
piuttosto corpulento e dalla faccia simpatica si aggiunse alla
compagnia del
lupo solitario.
-Sì,
le voci corrono, eh?- Alex, anzi Jack annuì.
-Già,
spero che apprezzi la nostra ospitalità…-
L’uomo
parlò tanto, del tempo, delle spese e degli ultimi
avvenimenti.
Tutte
cose vacue che servivano più che altro a tenersi
impegnati e creare una sorta di collegamento tra individui.
Mi
ero ritirato qui per pensare, per osservare, capire il mio scopo in
questo
mondo… quest’uomo sembra fare al caso mio.
-Scusami,
se te lo chiedo… che ne pensi di New York?- Gli
altri avventori si voltarono sospettosamente verso Jack, un uomo magro
e secco
con una insipida barba di tre settimane.
-Oh,
non lo sai? Devi venire dall’Europa o dalla Russia,
per chiederlo.- L’avventore diede una pacca amichevole al
tavolo, chiedendo un
goccio di gin.
-Mettiamoci
comodi, è un discorso lungo.- Aggiunse mentre
il barman versava il liquido nel bicchiere.
Ho
viaggiato di paese in paese, ho osservato in silenzio la cosiddetta
umanità…
Luoghi di benessere non nascondevano le miserie umane: Pazzi, drogati,
infermi,
invalidi erano ai margini della società, trattati come se
fossero spazzatura.
Arroganti e presuntuosi, giudicano e non si lasciano giudicare da
nessuno.
Quest’uomo è uno dei tanti fortunati che nemmeno
si rende conto di essere
benedetto.
Da
chi? Da cosa? Non lo so…
Dio
sembra essere una risposta facile e sbrigativa, e io… come
scienziato non posso
accogliere questa teoria.
-Grazie
per le informazioni, devo tornare al capanno. Mi
è venuta un idea per scrivere.- Mentì, mentre
lasciò il posto e il locale
stesso, per lasciarsi inghiottire nella gelida tempesta di neve.
Passarono
mesi, Alex conobbe una piccola famiglia, un
vecchietto e una ragazza[1].
Sembravano
brave persone, eppure se non avesse quel
potere terrificante e spesso rivelatorio dell’assorbimento,
non avrebbe mai
scoperto la verità.
Il
suo potere era la macchina della verità: nessuno
poteva sfuggire dai demoni che celi dentro di te, riposano e mormorano
in
attesa di uscire fuori. Mercer era capace di osservare la
verità.
Ho
visto la verità e non mi è piaciuta…
Non
mi definisco più umano…
Non
ho più collegamenti con questo mondo.
Alex
l’umano era veramente morto? E ciò che vive ora
è
solo il virus nella forma di un umano?
Alex
Mercer, l’umano era un essere disturbato,
sociopatico e infelice. Nonostante avesse il dono di una mente
brillante, il
suo cuore era rotto.
La
psiche era rotta, devastata da un passato
incancellabile.
Chi
ero veramente?
Il
virus, come essente di una propria coscienza decise di
studiare sé stesso.
Scavando
nei ricordi…
Vide
un infanzia fatta di solitudine e violenze… “Alex
Mercer” era cattivo, non un eroe, o un antieroe, ma un
“villain”. Di quelli
carismatici e mossi unicamente dal gene egoista.
Il
gene egoista, come già accennato prima era un tipo di
gene “senziente”, che guidava l’intero
sistema vitale a selezionare e scartare
i fenotipi ritenuti inadatti e a replicare quelli giusti. Ma con quale
logica?
Quali erano i requisiti? Erano a breve o lungo termine queste scelte?
Poteva
ripensarci o la sua scelta era irrevocabile?
A
questo punto, secondo tale logica e funzionamento
l’umanità era prossima ad essere scelta e
rivoluzionata per la sopravvivenza
della stessa. Più forte e più perfetta di prima.
Il
virus doveva quindi scegliere un ristretto gruppo di
persone che soddisfacevano determinati requisiti per portare avanti
l’evoluzione della specie umana.
Non
più umana ma superiore.
Con
quest’obiettivo, riprese ad infettare la città di
New
York, che al tempo si stava lentamente rivivendo.
La
Blackwatch era ritornata, in collaborazione con la
GENTEK di ripulire e massacrare civili innocenti con la semplice
motivazione di
eliminare le tracce.
Questo
non stava bene al virus, ma si poteva sfruttarli
per un fine superiore.
Ho
fatto un errore… Non riesco a trovare altra spiegazione,
nonostante esamini la
situazione sotto ogni punto di vista, sotto ogni lato della medaglia.
Perché
Heller si ribella a quello che è giusto?
Un
difetto spinto dal semplice desiderio di autodistruzione?
Così tipicamente
umano… Compassione? Paura? Rabbia?
Sono
questi? E perché? Se avessi detto la verità
invece di mentire, avrei trovato
comprensione?
No,
gli umani non comprendono, sono limitati dalla loro
piccolezza…
Cerco
di farlo ragionare, cerco di aprirgli gli occhi… ma ricevo
solo insulti di una
scimmia sottosviluppata.
Potrei
ucciderlo con un semplice schiocco di dita, eppure non lo
faccio… Come posso
spiegare questo? Come posso giustificarmi di fronte ai miei seguaci?
Non
hanno nemmeno compreso il mio quadro d’insieme… si
sono uniti a me, spinti unicamente
dal semplice desiderio di essere liberi dalle catene della
società… Così uguali
a Mercer.
Io
non sono più Mercer… sono Zeus, un nuovo
dio…
E
ora che mi sono avvicinato ad ottenere il corredo genetico perfetto per
la
nuova specie non mi servono più seguaci…
Gli
occhi di James Heller erano furiosi e disperati,
spinti unicamente dal forte sentimento paterno nei confronti della sua
unica
figlia.
È
bastato questo? Semplice ignoranza? L’ignoranza che da secoli
ha perseguitato
l’umanità e imposto alla saggezza immensi
sacrifici per essere accettata, ha di
nuovo messo lo zampino?
-Benvenuto
in cima alla catena alimentare…- Anche senza
braccia e ormai ridotto a piccoli pezzi, non smetteva di sfottere la
pochezza
dell’essere vivente.
Aveva
perso la battaglia, ma la guerra era ancora in
corso.
Alex
era finalmente morto, libero dalla prigione
dell’immortalità e della noia.
Alla
fine, tutto quello che era, fu semplice noia.
Il
peso del virus era troppo per l’umano Mercer, il cui
spirito si celava nella massa di anime urlanti delle vittime che il
virus aveva
consumato.
Finalmente
non sento più il virus… ero stanco di me stesso,
non ero destinato a una vita
normale, una vita insoddisfatta… non è vita.
Grazie,
chiunque tu sia… hai distrutto Legione e liberato il mondo
dall’inferno.
Ora
rido, perché ora sono cazzi tuoi.
Heller,
aveva assimilato i poteri del Prototype
originario e aveva liberato New York.
-Che
facciamo ora?- Dana Mercer, la sorella di Alex
osservò in silenzio il cielo che si illuminava alla luce del
sole.
-Alex
mi ha passato il suo lascito… devo fare qualcosa
per liberarmi di questa merda che ha portato così tanti
danni.- Borbottò James mentre
osservava con la propria figliola la stessa direzione della donna
scarlatta.
-Povero
Alex…- Sospirò… James aprì
i suoi occhi,
nonostante quel inferno passato per tutto il tempo, Alex era ancora una
vittima?
Il
militare non disse nulla, perché non poteva…
-Era
sempre stato una persona problematica, ma non era
cattivo.-
-Stai
dicendo sul serio? Perché non mi piacciono questi
scherzi.- Heller strizzò gli occhi, infastidito.
-Sì,
scusa. Abbiamo altre cose da occuparci.- Dana ridacchiò,
Heller era una brava persona, un po' grezza ma buona di cuore.
La
Blackwatch andava spazzata via, era un nemico molto
più spaventoso di Zeus; con le sue conoscenze e il potere,
poteva ricreare una
nuova HOPE dovunque volesse.
-Dovranno
consultarmi prima di fare qualunque cosa.-
Scroccando le nocchie guantate, Heller ghignò in tutta
risposta.
Nell’ignoranza
vi è la felicità.
Ma
è, nel sapere, il cambiamento.
Fine.