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Autore: Liquid King    20/12/2018    1 recensioni
Alex Mercer, dove inizia l'uomo e dove finisce il virus?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alex Mercer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MERCY? No, Mercer.

New York è morta… è morta soffocata nel cancro del virus. Un virus virulento, aggressivo e implacabile che in poche settimane aveva stretto in una morsa più salda di un serpente, ogni singolo essere vivente, consumandolo fino a renderlo irriconoscibile anche dal punto di vista genetico.

Il male aveva vinto.

-La speranza è l’ultima a morire.- Dicevano.

-Infatti, muoiono prima quelli che sperano.- Rispondevano.

Le strade erano un agglomerato di rovine e carni macilente, strappate e masticate, sputate con disgusto.

Lamiere e ferro grigio di auto ed elicotteri abbattuti erano l’attrattiva principale di quello spettacolo di desolazione, accompagnati da grida e strida di esseri immondi, non più umani ma morti che si trascinavano a un cieco camminare senza meta, senza desiderio.

In quell’inferno, che un tempo immemore era la grande metropoli della civiltà, vi stava un unico essere non più umano, privo di sentimento e calore.

Occhi freddi e labbra serrate in un ghigno buio addonavano il viso immorale, spento.

La luce tremolante di un semaforo dava lo stop a un traffico inesistente, fedele fino alla fine dei tempi al ruolo per cui era stato creato, per poi spegnersi debolmente.

L’umanoide lo fissò con i suoi occhi cupi, si era spenta per sempre.

New York era morta e, con essa, l’isolamento fu totale. Nell’oltreoceano la vita era normale, viva e di quotidiana beatitudine di una felice ignoranza.

L’area di New York e limitrofi era stata considerata “zona nera” dall’ex-governo degli Stati Uniti. La grande potenza del mondo, simbolo di benessere, di pari opportunità e d’ipocrisia era divenuta un letamaio di disperazione e gelida terra di nessuno.

Io sono l’uomo che un tempo rispondeva al nome di Alex Mercer, un importante scienziato della GENTEK. Il mio passato è fumoso, confuso, ricordo solo poche cose… che non sono nemmeno sicuro se mi appartengano davvero.

Io sono il fantasma di quello che un tempo era la minaccia ZEUS, un’arma vivente. Astuto come una volpe, manipolatore come un serpente e libero come un airone.

Il mio temperamento non era normale; ero alienato dagli altri, ero pericoloso e conflittuale con tutti… non mi fidavo di nessuno, non provavo affetto per nessuno, odiavo e basta. Non avevo amici o familiari con i quali mi sentissi a mio agio, erano solo fastidi, paure da evitare.

Le catene del vivere in società mi facevano male ai polsi, allora decisi di spezzarli con i miei stessi denti.

Codardo e prudente contro tutti, non esitai a compiere quella scelta.

Il mio io era libero, in continua evoluzione e inarrestabile… come un germe che si è sviluppato da solo e vuole crescere a spese degli altri, sfruttarli, dominarli e infine consumarli. Un virus.

Un virus senza nome, che aveva preso me stesso e si era plasmato a mia immagine e somiglianza… dove iniziava il virus e dove finiva Alex Mercer? I ricordi sono chiari, ma non sono sicuro se siano proprio i miei…

Io, per vivere, consumo gli esseri viventi; assorbo i loro ricordi, le conoscenze, come proteine di un piatto di verdure.

Ogni volta che chiudo gli occhi vedo le facce agonizzanti delle persone che mi guardavano, come se fossi il diavolo in persona.

Forse è così, io sono il diavolo e questo è il mio inferno.

Sorrise amaramente, prima di saltare in alto… molto in alto. Seduto sul cornicione di una delle tante torri di vetro e acciaio osservava in basso, come un re che osserva i propri possedimenti.

Il brutto di essere senziente è quello di provare ogni giorno delle emozioni, di pensare su te stesso, tanto da diventare pazzo.

La solitudine è la morte dell’uomo, nessuno è solo in questo mondo.  Tutti vivono in una comunità e tutti hanno necessità di scambiare ed essere compresi.

Anche il più misogino prima o poi aprirà la porta anche al cane più lercio.

Solo per avere compagnia.

Ma io non ho compagnia, non ho nessuno.

Non posso morire perché il virus non me lo permette, non posso vivere perché sono Alex Mercer.

L’umanità è stata foriera di errori e di conquiste, ma è sempre andata avanti, io non ho più umanità, destinato a un oblio senza tempo e memoria.

Le uniche persone che tenevano ad Alex Mercer erano morte e quelle che comprendevano il virus sono dentro di me.

Non posso comunicare con loro, non posso vederle, toccare, sentire la voce…

È una punizione peggiore della morte stessa.

Alzò gli occhi al cielo; la volta celeste sembrava l’unica cosa rimasta immutata in quell’inferno. A New York sembrava fosse calato un inverno perenne, forse un effetto dei vapori del virus?

Non si poteva affermare con certezza.

Chissà se Dana starà bene… l’ultima volta che la vidi era su un tavolo operatorio del patologo… come si chiamava? Ah… ho dimenticato il suo nome.

Sorrise, quasi schernendo…

Quell’uomo aveva quasi rischiato la vita per aiutare un perfetto sconosciuto, che cosa strana.

Ma la risposta era ovvia… Avevano collaborato con un unico scopo… la distruzione della Blackwatch, l’azienda farmaceutica che si dilettava a fare dio.

Vollero Dio e ottennero il diavolo.

Furono spazzati via, uno dopo l’altro, come tante erbacce secche. Erano uomini e donne di tutti i giorni, con sogni e speranze per il futuro… eroi senza volto che avrebbero portato la scienza e la storia avanti dell’umanità.

Al prezzo di altrettante vite umane di uomini e donne ritenute inferiori e sacrificabili.

La città di Hope, dove viveva quella donna… Greene, era un esempio lampante…

Mille e più mille persone furono fatte sparire nell’ombra della storia, senza un come e, tanto meno, un perché.

Elizabeth Greene, la mia ”madre di virus”… Non riesco a dimenticare la prima volta che la vidi.

“Sono tua madre…” cosi mi disse, così mi aveva accolto nel suo abbraccio.

Meritava di morire? Ora che era stata assorbita nella mente del dottore Mercer, la risposta non era più tanto scontata…

Era una vittima come me, io ho scelto di diventare quello che sono. A lei era stata negata anche il poter scegliere.

Se si fosse unita a lei, cosa avrebbero potuto fare? Niente? O tutto?

Che sciocchezze… il virus non ci avrebbe mai permesso di essere una parvenza di umanità.

Come è finita adesso, era come doveva finire.

Si levò il cappuccio, lasciando che il vento accarezzasse la sua pallida pelle di morto.

Poco meno di umano, qualcosa di più di un mostro.

Alla fine era questo, un guardiano delle porte dell’inferno.

Ormai, persino il cacciatore più vorace si teneva alla larga da lui, evitandolo quasi con riverenza: Era il loro dio, il loro messia.

La cosa lo riempiva di vuota boria, un orgoglio insignificante.

Alla fine, comprese.

Doveva morire per trovare pace, il virus non ha scopo di esistere… fu un ottimo mezzo, ma non un fine…

Se il fine era noia, allora valeva tagliarsi la testa con le proprie mani.

Uccidersi da soli non avrebbe effetto… Solo un suo simile, poteva ucciderlo.

Il rumore degli elicotteri attirò la sua attenzione, si alzò di tutta fretta il cappuccio.

Elicotteri? Ci sono ancora sopravvissuti allora?

Mercer decise di nascondersi nell’ombra, per più di un anno.

L’umanità andava rigenerandosi, rialzandosi sulle proprie gambe e lo spirito di perseveranza.

Incredibile, non importa quando duramente martelli, il ferro non si romperà mai. Si curverà ma non scompare.

Paragonò l’essere umano al ferro. E calzò piuttosto bene.

Mi lascerò guidare da Mercer, ancora una volta, dal suo gene egoista.

Lasciò New York per ritirarsi in Canada, nella più totale solitudine. Certo, non cambiò molto ma almeno era un luogo vivo e accogliente.

Il Canada era una delle regioni più gelide e il virus ci mise un bel po' per adattarsi, ma a parte qualche scompenso, non ci furono problemi di sorta.

Si costruì con le proprie forze una piccola casupola, in una zona del sottobosco e lì restò.

Non aveva bisogno né di mangiare o né di bere, gli bastò assorbire un po' della fauna selvatica.

Nelle fredde notti andava al paese, una piccola comunità di poco più cento persone.

Si intratteneva, con la bocca chiusa e le orecchie aperte, e ascoltava la vita brulicante dell’unico locale presente.

Curioso, cercavo la compagnia e ora che l’ho, mi sento molto più solo…

Alcuni avventori si avvicinarono al nuovo arrivato.

-Jack, giusto? Sei uno scrittore, vero?- Un uomo piuttosto corpulento e dalla faccia simpatica si aggiunse alla compagnia del lupo solitario.

-Sì, le voci corrono, eh?- Alex, anzi Jack annuì.

-Già, spero che apprezzi la nostra ospitalità…- L’uomo parlò tanto, del tempo, delle spese e degli ultimi avvenimenti.

Tutte cose vacue che servivano più che altro a tenersi impegnati e creare una sorta di collegamento tra individui.

Mi ero ritirato qui per pensare, per osservare, capire il mio scopo in questo mondo… quest’uomo sembra fare al caso mio.

-Scusami, se te lo chiedo… che ne pensi di New York?- Gli altri avventori si voltarono sospettosamente verso Jack, un uomo magro e secco con una insipida barba di tre settimane.

-Oh, non lo sai? Devi venire dall’Europa o dalla Russia, per chiederlo.- L’avventore diede una pacca amichevole al tavolo, chiedendo un goccio di gin.  

-Mettiamoci comodi, è un discorso lungo.- Aggiunse mentre il barman versava il liquido nel bicchiere.

Ho viaggiato di paese in paese, ho osservato in silenzio la cosiddetta umanità… Luoghi di benessere non nascondevano le miserie umane: Pazzi, drogati, infermi, invalidi erano ai margini della società, trattati come se fossero spazzatura. Arroganti e presuntuosi, giudicano e non si lasciano giudicare da nessuno. Quest’uomo è uno dei tanti fortunati che nemmeno si rende conto di essere benedetto.

Da chi? Da cosa? Non lo so…

Dio sembra essere una risposta facile e sbrigativa, e io… come scienziato non posso accogliere questa teoria.

-Grazie per le informazioni, devo tornare al capanno. Mi è venuta un idea per scrivere.- Mentì, mentre lasciò il posto e il locale stesso, per lasciarsi inghiottire nella gelida tempesta di neve.

Passarono mesi, Alex conobbe una piccola famiglia, un vecchietto e una ragazza[1].

Sembravano brave persone, eppure se non avesse quel potere terrificante e spesso rivelatorio dell’assorbimento, non avrebbe mai scoperto la verità.

Il suo potere era la macchina della verità: nessuno poteva sfuggire dai demoni che celi dentro di te, riposano e mormorano in attesa di uscire fuori. Mercer era capace di osservare la verità.

Ho visto la verità e non mi è piaciuta…   

Non mi definisco più umano…

Non ho più collegamenti con questo mondo.

Alex l’umano era veramente morto? E ciò che vive ora è solo il virus nella forma di un umano?

Alex Mercer, l’umano era un essere disturbato, sociopatico e infelice. Nonostante avesse il dono di una mente brillante, il suo cuore era rotto.

La psiche era rotta, devastata da un passato incancellabile.

Chi ero veramente?

Il virus, come essente di una propria coscienza decise di studiare sé stesso.

Scavando nei ricordi…

Vide un infanzia fatta di solitudine e violenze… “Alex Mercer” era cattivo, non un eroe, o un antieroe, ma un “villain”. Di quelli carismatici e mossi unicamente dal gene egoista.

Il gene egoista, come già accennato prima era un tipo di gene “senziente”, che guidava l’intero sistema vitale a selezionare e scartare i fenotipi ritenuti inadatti e a replicare quelli giusti. Ma con quale logica? Quali erano i requisiti? Erano a breve o lungo termine queste scelte? Poteva ripensarci o la sua scelta era irrevocabile?

A questo punto, secondo tale logica e funzionamento l’umanità era prossima ad essere scelta e rivoluzionata per la sopravvivenza della stessa. Più forte e più perfetta di prima.

Il virus doveva quindi scegliere un ristretto gruppo di persone che soddisfacevano determinati requisiti per portare avanti l’evoluzione della specie umana.

Non più umana ma superiore.

Con quest’obiettivo, riprese ad infettare la città di New York, che al tempo si stava lentamente rivivendo.

La Blackwatch era ritornata, in collaborazione con la GENTEK di ripulire e massacrare civili innocenti con la semplice motivazione di eliminare le tracce.

Questo non stava bene al virus, ma si poteva sfruttarli per un fine superiore.

Ho fatto un errore… Non riesco a trovare altra spiegazione, nonostante esamini la situazione sotto ogni punto di vista, sotto ogni lato della medaglia. Perché Heller si ribella a quello che è giusto?

Un difetto spinto dal semplice desiderio di autodistruzione? Così tipicamente umano… Compassione? Paura? Rabbia?

Sono questi? E perché? Se avessi detto la verità invece di mentire, avrei trovato comprensione?

No, gli umani non comprendono, sono limitati dalla loro piccolezza…

Cerco di farlo ragionare, cerco di aprirgli gli occhi… ma ricevo solo insulti di una scimmia sottosviluppata.

Potrei ucciderlo con un semplice schiocco di dita, eppure non lo faccio… Come posso spiegare questo? Come posso giustificarmi di fronte ai miei seguaci?

Non hanno nemmeno compreso il mio quadro d’insieme… si sono uniti a me, spinti unicamente dal semplice desiderio di essere liberi dalle catene della società… Così uguali a Mercer.

Io non sono più Mercer… sono Zeus, un nuovo dio…

E ora che mi sono avvicinato ad ottenere il corredo genetico perfetto per la nuova specie non mi servono più seguaci…

Gli occhi di James Heller erano furiosi e disperati, spinti unicamente dal forte sentimento paterno nei confronti della sua unica figlia.

È bastato questo? Semplice ignoranza? L’ignoranza che da secoli ha perseguitato l’umanità e imposto alla saggezza immensi sacrifici per essere accettata, ha di nuovo messo lo zampino?

-Benvenuto in cima alla catena alimentare…- Anche senza braccia e ormai ridotto a piccoli pezzi, non smetteva di sfottere la pochezza dell’essere vivente.

Aveva perso la battaglia, ma la guerra era ancora in corso.

Alex era finalmente morto, libero dalla prigione dell’immortalità e della noia.

Alla fine, tutto quello che era, fu semplice noia.

Il peso del virus era troppo per l’umano Mercer, il cui spirito si celava nella massa di anime urlanti delle vittime che il virus aveva consumato.

Finalmente non sento più il virus… ero stanco di me stesso, non ero destinato a una vita normale, una vita insoddisfatta… non è vita.

Grazie, chiunque tu sia… hai distrutto Legione e liberato il mondo dall’inferno.

Ora rido, perché ora sono cazzi tuoi.

Heller, aveva assimilato i poteri del Prototype originario e aveva liberato New York.

-Che facciamo ora?- Dana Mercer, la sorella di Alex osservò in silenzio il cielo che si illuminava alla luce del sole.

-Alex mi ha passato il suo lascito… devo fare qualcosa per liberarmi di questa merda che ha portato così tanti danni.- Borbottò James mentre osservava con la propria figliola la stessa direzione della donna scarlatta.

-Povero Alex…- Sospirò… James aprì i suoi occhi, nonostante quel inferno passato per tutto il tempo, Alex era ancora una vittima?

Il militare non disse nulla, perché non poteva…

-Era sempre stato una persona problematica, ma non era cattivo.-

-Stai dicendo sul serio? Perché non mi piacciono questi scherzi.- Heller strizzò gli occhi, infastidito.

-Sì, scusa. Abbiamo altre cose da occuparci.- Dana ridacchiò, Heller era una brava persona, un po' grezza ma buona di cuore.

La Blackwatch andava spazzata via, era un nemico molto più spaventoso di Zeus; con le sue conoscenze e il potere, poteva ricreare una nuova HOPE dovunque volesse.

-Dovranno consultarmi prima di fare qualunque cosa.- Scroccando le nocchie guantate, Heller ghignò in tutta risposta.

Nell’ignoranza vi è la felicità.

Ma è, nel sapere, il cambiamento.

Fine.



[1] Consiglio di leggere il fumetto Prototype The Anchor

   
 
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