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Autore: Cecilia    20/12/2018    0 recensioni
Selene, Principessa del Regno e le altre sue amiche nobili tra cui Athena, Ares, Nike e Aphrodite sviluppano delle capacità e un senso di responsabilità tale da essere insignite del ruolo di "Guerriere del Sistema" titolo posseduto precedentemente ad altre Guerriere prima di loro.
Loro che per via della longevità normale sui loro pianeti, ma vista come "divina" sulla Terra, passano epoche ed eventi incrociando più volte la loro strada con la Confraternita degli Assassini che divengono in poco tempo gli unici custodi della loro storia ed identità e loro protettori e alleati.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Connor Kenway, Edward Kenway, Ezio Auditore, Haytham Kenway
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Più di 2.000 anni fa, mentre la Terra vedeva gli albori della civiltà la Luna era già abitata e su di essa vi era un rigoglioso Impero centro legislativo, esecutivo e giudiziario delle Colonie del Sistema Solare formato da tutti i pianeti che fanno parte dello stesso. Tutti tranne la Terra troppo primitiva e ancora all'inizio del suo processo evolutivo per poterne far parte.

Selene, Principessa del Regno e le altre sue amiche nobili tra cui Athena, Ares, Nike e Aphrodite sviluppano delle capacità e un senso di responsabilità tale da essere insignite del ruolo di "Guerriere del Sistema" titolo posseduto precedentemente ad altre Guerriere prima di loro. Il compito a cui sono chiamate è non solo di far rispettare l'ordine e la giustizia in tutto il Sistema e impedire qualsiasi approccio con la Terra. Il divieto di aver a che fare con il pianeta è dovuto al suo basso livello evolutivo per cui le loro somme capacità sarebbero viste come "divine" deviando così il loro normale e giusto sviluppo.

Tuttavia un elemento invisibile agli occhi della società, Eris, causerà una distruzione tale da impedire alla Guerriere di avere un luogo da chiamare casa e di fatto costringendole a ritirarsi sull'unico Pianeta ospitale dell'intero Sistema: la Terra.

Svanito però il periodo dell'antichità in cui Dii e Dei facevano da padroni e in cui le ragazze avevano ritrovato una parvenza di normalità e di similarità a casa, la loro storia inizia a perdersi e a viaggiare nel tempo fino a portare all'epoca attuale ove integrandosi con il nuovo tessuto della società capiscono che la loro missione non è mai finita. Loro che hanno visto le atrocità della storia e degli eventi e che sempre hanno cercato di portarvi giustizia, come promesso e giurato quando vennero rivestite di quel luogo. Le stesse conosciute come le "Guerriere della Notte", di cui nessuno conosce l'identità, ma che tutti sanno vigilano su di loro e la loro incolumità.

Loro che per via della longevità normale sui loro pianeti, ma vista come "divina" sulla Terra, passano epoche ed eventi incrociando più volte la loro strada con la Confraternita degli Assassini che divengono in poco tempo gli unici custodi della loro storia ed identità e loro protettori e alleati.

«Viviamo nel buio per servire la luce» dice il moto degli Assassini famosi per mantenere l'equilibrio nel mondo usando anche mezzi che il mondo non è pronto ad accettare. Grazie a una fonte dalle acque misteriose chiamata "Pozzo di Lazzaro" possono arrestare il proprio invecchiamento. La stessa potrebbe anche riportare in vita i morti, ma questa procedura non viene mai usata per la sua pericolosità e perchè va contro i principi della Confraternita.

Eris però non è persa come si crede, colei che le Guerriere non sanno essere la distruttrice delle loro case, colei che un tempo consideravano amica. La stessa che ora alleata con i Templari è decisa nella sua missione di aiutarli a portare il caos nel mondo, seppur loro lo chiamano "ordine" e poi perchè hanno un nemico in comune: loro la Confraternita degli Assassini e lei le Guerriere, entrambi alleati l'uno delle altre.

 

Ecco l'incipit di questa storia, che parte da qui. Dal presente e da molteplici avventure e relazioni da costruire insieme!

 

***

 

HAYTHAM

La situazione era caotica, ma la battaglia era a nostro favore e respingevamo Gli Assassini come fossero mosche. Molti dei nostri soldati cadevano, ma dopo aver portato con loro più uomini di quelli che perdevamo.

Urlavo ordini e combattevo a lama sguainata da quelle che mi parevano ore, ma tanto era distorta la percezione del tempo in una battaglia non c’era modo di dire se fossero passati solo pochi minuti.

Rumori indistinti, spari e lame che cozzavano… li costringemmo alla ritirata, ma pagammo lo scotto.

Quando vidi Shay fuggire con il nemico, capii. Ne avevamo parlato, eravamo consci di questa possibilità, ma me l’avevano strappata dalle braccia ancora una volta. Con la caratteristica vigliaccheria nata dall’incapacità di affrontarla in uno scontro aperto, colpendola alle spalle come così bene sapevano fare. Corsi da lei, e la trovai a terra, adagiata come se addormentata.

Il mio animo si svuotò, e provai lo stesso dolore di tanti secoli prima, stringendola a me esanime.

Questa volta però una nuova determinazione mi animava, salvandomi dall’oblio della disperazione più nera, e agii come avevamo pianificato.

L’avrei riportata da me, a qualunque costo.

Il profumo di fiori proveniente dall’esterno della Loggia inondava la stanza, e a soli tre mesi dopo la battaglia il sole sembrava essere tornato a splendere. Feci appena in tempo ad impacchettare l’ultima missiva della giornata e riporla nel cassetto della mia scrivania, che un leggero bussare alla porta mi distolse dalle mie occupazioni.

«Atlas, lo sai che puoi entrare senza bussare.» Esclamai divertito, e quello che al primo sguardo poteva sembrare un nanetto da giardino fece capolino da dietro l’alto uscio scuro. Gli andai incontro, sorridendo, e lo presi per mano.

«Ho finito le occupazioni per questa mattina, per oggi sono tutto tuo.» Con un gridolino divertito Atlas si aggrappò più forte al mio braccio, quasi saltellando di gioia.

«Allora voglio andare a vedere Etere, papà!»

Ridacchiando annuii, continuando a camminare verso l’ingresso.

«Certamente. Ma prima forse sarebbe il caso di mangiare qualcosa, che ne dici? Dovrebbero esserci due belle focacce alle olive in cucina.» Dissi ad un Atlas in un primo momento indispettito dal non poter andare subito alle stalle, e in un secondo momento estremamente contento di poter mangiare uno dei suoi spuntini preferiti.

Arrivati a destinazione, lo issai su uno degli alti sgabelli e gli portai le due focacce in un piattino con un succo di frutta, mentre lui oscillava le gambe impaziente.

Il figlio che era nato dall’amore di Eris e me aveva giusto tre mesi di vita, venuto al mondo mentre la madre era immersa nella maledizione provocata dai Frutti dell’Eden, e nonostante ciò dimostrava 8 anni fisicamente e mentalmente. Fortunatamente eravamo entrambi consci che sarebbe stato una creatura speciale, il frutto dell’unione fra una dea e un uomo che possedeva la capacità di vivere più a lungo dei comuni mortali, ma comunque non avremmo potuto immaginare quanto Atlas potesse essere unico.

Soffrivo molto di non poterne parlare con la mia amata e condividere con lei meravigliosi momenti con nostro figlio, anche se andavamo a trascorrere regolarmente con lei il più tempo possibile, ma vedendo l’amore incondizionato che lui provava per la madre la determinazione a riportarla da noi cresceva in me sempre più.

Ero intento ad osservare Atlas mangiare, con i suoi particolari capelli grigio argento e un paio di brillanti occhi cerulei che mi ricordavano quelli pieni di meraviglia del mio pupillo Thomas, quando un mio sottoposto mi raggiunse per annunciarmi un ospite.

Congedandolo, mi alzai e diedi un buffetto affettuoso a mio figlio, raccomandandogli di raggiungermi in soggiorno non appena avesse finito di mangiare.

A passi misurati raggiunsi l’ingresso, e vi trovai ad aspettarmi una conoscenza di lunga data, che rivedere in quel contesto mi risollevava il morale ma che mi provocava anche sentimenti contrastanti.

Adrian era lì, dignitosamente eretto, con un leggero sorriso sul volto solitamente stoico.

«Vecchio mio, da quanto tempo.» Lo accolsi, allargando un braccio per invitarlo ad accomodarsi nel soggiorno adiacente.

«Mi avevi avvertito della tua visita nella tua ultima missiva, ma non immaginavo così presto.»

Esordii, mentre gli versavo un bicchiere di whiskey e glielo porgevo. Ricordavo che quel particolare tipo, invecchiato molti anni, era da lui particolarmente gradito per via del retrogusto affumicato.

«Ah, permettimi di presentarti mio figlio Atlas.» Proseguii, quando il bambino fece il suo ingresso dalla cucina, con qualche briciola ancora attorno alla bocca. Chinandomi vicino a lui, gli diedi una ripulita veloce e con un rapido occhiolino gli diedi il segnale.

Come piano d’azione, per determinati ospiti che potevano rivelarsi pericolosi in determinate circostanze, avevo insegnato ad Atlas a riconoscere un segnale che avrebbe significato di interpretare la parte di mio figlio adottivo e dunque di non menzionare per nessun motivo Eris o la natura celestiale della madre e sua.

«Come ben saprai non è stata una battaglia facile, e anche se abbiamo respinto gli Assassini molti valenti Templari hanno perduto la vita, come i genitori di questo piccolo. Da allora vive con me e lo tratto come un figlio, diventerà un guerriero formidabile in futuro sotto la mia sorveglianza.» Spiegai ad Adrian, alzandomi e sedendomi di fronte a lui, mentre il bambino prendeva un libricino dallo scaffale e si accomodava in disparte a leggerlo.

«Dunque, bando alle interruzioni, di cosa volevi parlarmi?» Conclusi, attendendo la sua risposta.

ADRIAN

Un tempo — decenni che sembravano secoli, vite intere — non avevo provato nient’altro se non il desiderio di ritirarmi in un posto simile, lontano dalla frenesia della città e circondato dalla natura, anche se decisamente meno immenso e sfarzoso — una casa di campagna, così ero stato solito visualizzarla nei miei pensieri, un luogo dove poter vivere in pace i meritati anni di riposo, insieme alle persone a cui più tenevo al mondo. Mi soffermai ad osservare l’esterno della Loggia per pochi minuti, gli unici che mi concessi, durante i quali mi permisi di portare, seppur brevemente, la mia mente al passato ; che certamente non rinnegavo del tutto, nonostante adesso riconoscessi fossi stato debole, in più di un’occasione, eccessivamente ingenuo e vulnerabile. Un tempo, infatti, avrei seriamente potuto considerare Haytham un

amico, al di là delle nostre divergenze di pensiero ( le quali non erano mai state troppo gravi, ad ogni modo, da precludere una collaborazione ), sarei stato disposto a fargli visita più spesso, forse, indugiando in serate che consistevano, per lo più, nel bere qualcosa mentre conversavamo di lavoro ( era un ottimo interlocutore, come avevo scoperto ), o addirittura qualcosa semplice, ma stimolante, come una partita a scacchi. I fantasmi del passato erano diventati, però, cicatrici dure e spesse sulla mia pelle, prive di dolore ormai, ma mai dimenticate del tutto e non ero più disposto a lasciarmi andare tanto, a formare una sorta di legame con quell’uomo, ulteriormente stretto rispetto a quello lavorativo che già avevamo stabilito. Non lo disprezzavo, anzi potevo dire di ammirare la mente analitica che dimostrava di avere, la forza di volontà nel mantenersi saldo nei propri principi, tuttavia io avevo i miei, ed erano altrettanto saldi, rappresentavano le fondamenta su cui avevo basato la mia vita — difficilmente, proprio per quel motivo, la nostra sarebbe potuta essere una collaborazione del tutto serena, priva di complessità.

Non ero lì in veste di un vecchio amico in visita, dunque, ma non sentii il bisogno di correggerlo con veemenza, quando il termine gli uscì dalle labbra, lo lasciai fare, piegando appena le labbra, in una curva avente un che di ironico. Prestai più attenzione al bambino che fece, inaspettatamente, il suo ingresso nella stanza, ed inarcai la fronte, quando Haytham lo chiamò “figlio” — non era un’informazione in mio possesso, dal momento che ero a conoscenza soltanto di un figlio, Connor —, salvo poi specificare fosse adottato poco dopo, quietando la confusione che aveva suscitato in me. Non credevo prudente lasciarlo nella stanza, vista la natura del discorso che ero giunto fin lì a fare, tuttavia non lo vedevo come un problema, né una minaccia, benché mi incuriosisse. Il sospetto, a me tanto familiare quanto una pacca amica sulla spalla, serpeggiò comunque, subdolo, anche se per il momento decisi di accantonarlo ; c’era altro di cui discutere. Per il momento mi feci bastare la spiegazione di Haytham.

« Non ne dubito. » non parlai con eccessivo calore, ma il tono fu sincero. Presi il bicchiere che mi porse e mi sedetti senza aspettare alcun invito, poi, piuttosto impaziente di cominciare a parlare di una questione che stava ad entrambi piuttosto a cuore.

« Non troverai piacevole la conversazione, temo. Dopo i risultati fallimentari con il Cristallo e le Guerriere, culminati nella disfatta di due mesi fa, non posso più lasciare il controllo ai Templari.

E’ necessario che la Trinity assuma il comando della situazione, sono certo ne comprenderai i motivi. »

«Non troverai piacevole la conversazione, temo. Dopo i risultati fallimentari con il Cristallo e le Guerriere, culminati nella disfatta di due mesi fa, non posso più lasciare il controllo ai Templari. E’ necessario che la Trinity assuma il comando della situazione, sono certo ne comprenderai i motivi.»

HAYTHAM

Adrian fu molto diretto, come suo solito, e parlò con precisione e cognizione di causa.

Sospirai, portandomi una mano al mento e osservando il vuoto prima di riportare l'attenzione al mio interlocutore.

«Immaginavo che fossi qui per questo... Non posso darti completamente torto, Adrian, ma puoi immaginare che non posso accettare un'arbitraria deposizione dei Templari. Ci sono stati dei fallimenti, ma anche molti successi come ben sai, e stiamo portando avanti altre operazioni che non posso delegare a questo punto.»

Parlai con calma, confidando nella comprensione di Adrian. Capivo perfettamente la sua posizione, ma sapevo anche che fosse conscio dell'impossibilità non solo personale ma anche tecnica di un mio passo indietro.

«E' vero, mi sono ammorbidito negli anni e ho permesso che un mio errore con Shay Cormac ci conducesse alla disfatta su questo fronte, ma non permetterò che accada ancora, non una sola volta di più.» Proseguii, intrecciando le dita e accavallando le gambe per accomodarmi meglio sulla poltrona.

«Propongo piuttosto un compromesso che porterebbe benefici ad entrambi: una collaborazione. I Templari condivideranno le informazioni sulla discrepanza in atto tra gli

Assassini e la conoscenza accumulata sul Cristallo e le Guerriere, mentre il Trinity potrà aver voce sui procedimenti da adottare e sulle missioni da intraprendere, tutto ciò in via generale -ovviamente valuteremo insieme altre proposte. Ne trarremmo giovamento entrambi, Assassini e Guerriere sono un nemico comune, e fare un solido fronte unico di contro alla loro frammentazione ci faciliterà le cose.»

Gli proposi sommariamente il mio piano, che avremmo discusso nei minimi dettagli se avesse accettato l'accordo. Sapevo che non poteva ignorare la minaccia che rappresentavano i nostri nemici comuni, e in parte mi pentii di non avergli proposto molto prima una parziale cooperazione fra i nostri ordini.

«Inoltre, per quanto riguarda la questione di Cormac... se non hai nulla in contrario avrei piacere ad occuparmene personalmente. Posso però assicurarti che dopo averlo incontrato non sarà più in grado di danneggiare alcuno.» Aggiunsi infine, ripensando al traditore.

Per il bene della mia famiglia e dell'Ordine, Shay non avrebbe conosciuto più alcuna pietà da parte mia.

ADRIAN

Sapevo non si sarebbe arreso tanto facilmente, abbassando docilmente la testa alle mie parole — le quali erano state sì dure, dirette, ma non crudeli — e l’ombra di un sorriso fece capolino sulle mie labbra, parzialmente nascoste dal bicchiere dal quale stavo bevendo. Il suo comportamento non mi aveva affatto deluso, nè spazientito — la sua era, dopotutto, la medesima reazione che avrei avuto io stesso, nel vedermi accantonato con tanta, apparente, semplicità. Eravamo simili, in quello, nella nostra determinazione nel mandare avanti ciò in cui credevamo e quello lo rendeva sia un possibile alleato prezioso che un rivale temibile ; nessuno dei due avrebbe ceduto, a dispetto di qualsiasi ostacolo potessimo trovarci davanti.

Ciò che diceva non era certamente impossibile, nè potevo escludere l’evidenza di un beneficio comune, se avessimo congiunto i nostri sforzi — la situazione era troppo delicata per poterlo fare, ancora di più alla luce dei nuovi, preoccupanti, sviluppi. Ero cambiato, ma non abbastanza da poter ingoiare la brutale morte di qualcuno del mio team, orribilmente mutilato da un essere alieno ( avevo informato personalmente la famiglia e mi sarei anche assicurato venisse consegnata loro il corpo, se solo non fosse stato troppo rischioso mostrare a qualunque civile quello scempio ). Mi trovavo lì anche per quello, di fatti, per fargli presente l’accaduto, nella

speranza che, come me, non tollerasse di trovarsi un’altra minaccia innaturale tra i piedi.

« Concordo. Fallimenti o meno, sarei un folle a rifiutare un accordo del genere. Voglio, però, trasparenza assoluta, Haytham — voglio essere a conoscenza di ogni sviluppo, per quanto marginale. » era sottinteso il suo operato sarebbe stato monitorato attentamente, durante la nostra neonata collaborazione, dopotutto non potevo concedermi il minimo errore, nè dare per scontato qualsiasi cosa.

« Ma c’è altro di cui ti devo parlare. Le guerriere non sono l’unica minaccia aliena di cui dobbiamo occuparci. » posai il bicchiere, ancora mezzo pieno, sul tavolino vicino alla poltrona, dopo di che non aspettai molto altro ancora, prima di passargli un fascicolo contenente le foto del povero malcapitato che era stato mandato in Alaska e le poche immagini in nostro possesso di quella avevamo ragione di credere fosse la nave madre.

« Una nave è atterrata in Alaska, una settimana fa. Quelli sono i resti del nostro agente che ha provato ad avvicinarsi per ottenere informazioni. Ci è stato restituito così da un certo Principe Endymion di Haumea. »

HAYTHAM

Mi sentii sollevato dalle parole di Adrian, aveva accettato il mio compromesso e il mio orgoglio fu in parte ripristinato. Si aprì però un ventaglio di nuove problematiche, come la palese difficoltà di gestire la temporanea fusione tra la Trinity e l'Ordine, ed in primis la preoccupazione per Eris e Atlas: se Adrian avesse scoperto la loro vera natura, non avrebbe esitato. Avrei protetto la mia famiglia a tutti i costi, ma non potevo garantire di farcela senza spese contro di lui, anche se mi risollevava il pensiero di avere la minaccia direttamente sotto ai miei occhi piuttosto che lontana, senza armi per poter intuire le sue mosse.

«Ma c’è altro di cui ti devo parlare. Le guerriere non sono l’unica minaccia aliena di cui dobbiamo occuparci.» Continuò Adrian, al che mi sporsi in avanti corrugando la fronte, preoccupato ma incuriosito allo stesso tempo, mentre allungava delle cruente fotografie sul tavolino di vetro posto fra noi.

«Una nave è atterrata in Alaska, una settimana fa. Quelli sono i resti del nostro agente che ha provato ad avvicinarsi per ottenere informazioni. Ci è stato restituito così da un certo Principe Endymion di Haumea.» Concluse con voce roca, guardandomi intensamente negli occhi.

Esaminai le immagini, sospirando prima di raddrizzare la schiena e contraccambiare lo sguardo dell'altro uomo.

«Ci troviamo di fronte ad una forza sconosciuta, dal potere distruttivo che potrebbe rivelarsi maggiore delle Guerriere.» Commentai, dando voce ai miei pensieri. «Posso fornirti il supporto dell'Ordine per indagare, con la reciproca condivisione di ogni informazione ottenuta, questo caso merita al momento la priorità. Ospiterò volentieri te e i tuoi sottoposti scelti, forse questo Endymion non conosce la Loggia e potrebbe essere più sicuro renderla il centro operativo.»

Offrii, sinceramente desideroso di approfondire la questione.

Sarebbe divenuto molto più complesso continuare la ricerca dei Frutti per liberare Eris, ma forse ponendo la questione nel modo giusto avrei anche potuto sfruttare la Trinity per il mio scopo, o quantomeno tenerla strettamente in osservazione in modo che non interferisse con i miei piani su quel frangente, praticamente l'unico dal quale differivo con le idee di Adrian.

Contavo però di appoggiarmi all'aiuto di Thomas, che avrebbe gestito la ricerca dalla sua base difficilmente intercettabile dalla Trinity.

Al di là delle mie personali battaglie, però, dovevo ammettere che la scoperta di quella nuova minaccia mi metteva in agitazione: avrei fatto di tutto per trarre il più possibile dall'alleanza con Adrian, perché il presentimento che mi attanagliò le viscere bastava a sorpassare ogni attrito che potevo avere nei suoi confronti. Questo Principe era pericoloso, una minaccia che non mi sarei permesso di sottovalutare.

 

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