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Autore: Selena Leroy    21/12/2018    2 recensioni
Non degnandolo più di uno sguardo, voltò il capo verso la finestra, osservando l'oscurità del cielo con aria meditabonda.
"Adesso devo andare, ho altre persone che mi aspettano" si congedò lo Spirito del Natale Futuro "Tuttavia voglio avvisarti di una cosa: tieniti pronto. Non sono l'unico che vedrai questa notte; lo Spirito del Natale Presente e del Natale Passato verranno da te molto presto" e concluse, con un sorriso sghembo "Sogni d'oro, Yusaku Fujiki"
Genere: Comico, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akira Zaizen, Aoi Zaizen/Skye Zaizen, Yusaku Fujiki/Playmaker
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGUE – L’UOMO CHE AVEVA DIMENTICATO IL NATALE


Il tempo di Yusaku Fujiki veniva scandito dal ritmo incalzante dei ticchettii che la tastiera produceva sotto il rapido lavorio delle sue mani. Gli occhi scorrevano sullo schermo in un tremore che denunciava la fugace lettura dedicata allo schermo, la mente per lo più concentrata su dove ogni lettera e ogni numero avesse luogo sotto le sue dita; aveva poco tempo, il ragazzo, e una mole di lavoro che altri, al suo posto, avrebbero volentieri delegato ad un periodo più fertile di libertà.
Fu un bussare improvviso a interrompere l'idillio tecnologico nel quale aveva deciso di sprofondare. Interrotto il lavoro, con la barra sottile a indicare la possibilità di inserire nuovi codici e lo schermo nero dalle cifre verdi, Yusaku staccò lentamente la sua mente dalla costruzione digitale che stava realizzando per prestare orecchio e occhi ad uno dei suoi coinquilini - e uno dei pochi amici che la vita gli avesse concesso.
"Yusaku-san, noi stiamo andando" furono le parole di Yuya Sakaki, le guance congestionate dal freddo e gli occhi lucidi di sonno. Quella mattina, in effetti, era stato costretto ad alzarsi alle prime luci dell'alba perché, nella sua sbadataggine, aveva rimandato all'ultimo l'impacchettamento dei vari suoi beni e della mole di regali da portare a casa - finendo di produrre l'assordante rumore delle valigie chiuse e degli scatoloni incerottati solo una decina di minuti addietro.
Alle sue spalle, il giovane non era da solo. Yuma Tsukumo, infatti, l'altro suo coinquilino e il secondo amico che la vita gli avesse mai concesso di avere, sorrideva con l'ottimismo che non lo abbandonava mai, gli occhi brillanti di gioia imminente e le mani avvolte in guanti di morbido cotone.
"Sei sicuro di non voler venire con me ad Heartland?" fu la domanda con cui si annunciò, ed era l'ennesima replica a cui Yusaku assisteva.
"Vi ringrazio, ragazzi, ma ormai ho deciso che voglio rimanere qui per completare il mio lavoro di tesi. Se riesco a finirlo entro la fine dell'anno, riuscirò senza alcun dubbio a laurearmi entro tempi brevissimi"
"E noi sappiamo quanto tu tenga alla puntualità per quella questione delle borse di studio, ma... Significa anche che ti rovinerai il natale" replicò Yuya "Ne sei davvero, davvero sicuro?"
Yusaku annuì, perché aveva già conosciuto le argomentazioni dei suoi amici nei giorni precedenti, e sapeva che quelle  a cui stava assistendo erano solo gli ultimi tentativi guidati più dalla disperazione di saperlo solo che dalla speranza di averlo davvero come compagno di viaggio.
"Non dovete preoccuparvi per me, io starò bene"
I due si guardarono tra loro, tutt'altro che convinti.
"Beh... se davvero hai deciso così... almeno permettici di..." iniziò Yuya, correndo a perdifiato nella sua stanza per prendere qualcosa che aveva evidentemente dimenticato.
"... permettici di darti questo" completando la frase del suo amico, in una previdenza che lo aveva reso, forse per la prima volta, attivo in riflessi che non avevano da riguardare sfide folli e ostacoli di studio insormontabili, le mani di Yuma andarono a recuperare - sembrava dal nulla, visto che apparve all'improvviso - un vistoso pacco rettangolare colorato di sfumature azzurrine.
"Un pensierino" si aggregò Yuya, stringendo tra le mani un piccolo involucro dalle tonalità dell'indaco.
Yusaku apparve imbarazzato, dinanzi a quell'insolita generosità.
"Scusate, ragazzi, ma... non ho nulla per ricambiare" e si diede dello sciocco, per non aver speso nemmeno un minuto del suo tempo a fare qualcosa di carino per loro. Sarebbe bastato anche un pacco di dolciumi - d'altronde parlava di due ghiotti di prima categoria - e invece doveva fare la magra figura dell'ingrato.
Nonostante tutto, comunque, i due ragazzi risero di cuore.
"Credo di parlare per entrambi quando dico che non volevamo un ringraziamento" disse Yuma - e trovò concorde il suo compare con un energico cenno di assenso.
"Questo è un modo per dimostrarti che anche se sei un musone, stacanovista, fissato con i computer, taciturno il più delle volte e incapace di intessere delle normali conversazioni civili..." iniziò Yuya.
"Ehm... amico, non credi di stare un po' esagerando?" lo interruppe Yuma, in imbarazzo per lui.
"Quello che voglio dire" continuò l'altro, capendo di dover tagliare corto "è che sei parte della nostra banda, un nostro caro amico. E Natale è il momento perfetto per dimostrarlo"
"Senza tutti questi giri di parole, la penso come lui... quindi ecco a te. Confesso che mi sono fatto spiegare dal commesso che cosa stavo comprando, ma... spero che ti piaccia"
Ed entrambi con un sorrido a trentadue denti, misero i loro presenti sull'unico mobile di quella stanza spartana.
Ringraziandoli dal profondo del cuore - perché, al di là del regalo, era davvero commosso dal bene che gli dimostravano - si ripromise mentalmente di trovare, anche dopo Natale, il tempo necessario per restituire loro quella dichiarazione d'amicizia.
Yusaku Fujiki non avrebbe mai conosciuto Yuya Sakaki e Yuma Tsukumo, se le circostanze non avessero creato le giuste dinamiche per approfondire la loro conoscenza. Come Yuya aveva specificato, infatti, egli era incapace di intessere conversazioni normali, era diffidente verso il prossimo e il più delle volte amava restarsene per le sue. Era da anni che lo si considerava un misantropo, a detta dei più, e lui tanto ci aveva convissuto con quella parola da non trovarla più nemmeno denigrante. Anzi, si era ormai convinto che fosse l'unica capace di esprimere appieno il suo essere.
Originario della città di Den City, aveva fatto armi e bagagli quando un importantissima borsa di studio gli aveva consentito di continuare i suoi studi nella prestigiosa università di Miami, direzione facoltà di ingegneria informatica. Già abilissimo con i computer fin da quando ne aveva memoria, aveva visto in quell'occasione la possibilità di far fiorire il suo ingegno senza incorrere in strade sbagliate; già a sedici anni aveva rischiato di farsi coinvolgere in un gruppo di anarchici hacktivisti che lo volevano al loro servizio, a diciotto era stato costretto ad entrare nell'archivio della scuola per migliorare la pagella di uno che gli aveva promesso di pagare tutti i suoi debiti per il piccolo favore chiesto in cambio. In altre parole, aveva sempre avuto un piede nel mondo civile e uno in quello dell'illegalità, e stanco di una situazione in bilico che non lo soddisfaceva, aveva deciso di far fruttare il suo unico talento nella speranza che qualcuno lo notasse. Cosa che poi era successa.
Den City e Miami erano distanti anni luce, agli occhi di un ragazzo che non aveva nemmeno la patente; costretto da cause di forze maggiore a trovare quindi un alloggio a poco prezzo, era dovuto venire a patti col fatto che il suo desiderio di solitudine non sarebbe mai stato accettato, specie se si considerava che, quanto più era alto il numero di coinquilini, tanto minori erano le spese.
La loro convivenza non era iniziata subito; i due erano più piccoli di lui di un anno, e l'inizio della sua esperienza di fuorisede il giovane l'aveva trascorsa con un gruppo di medici squattrinati che, incapaci di reggere le dinamiche di una grande città, si erano infine ritirati altrove.
Yuma Tsukumo aveva il sogno di diventare archeologo, esattamente come suo padre. Di quel mestiere vedeva il piacere dei viaggi, delle scoperte, dell'avventura; disinteressato alla mole di studio che lo aspettava, aveva deciso di barcamenarsi in quella missione senza tener conto dei suoi limiti - limiti che, come avrebbe scoperto più tardi Yusaku, lui era comunque brillante nel superarli.
Yuya Sakaki, invece, non aveva avuto alcuna intenzione di formalizzarsi in un ambiente universitario. Aveva accettato di iscriversi alla scuola di recitazione di Miami solo perché le lezioni avvenivano nel meraviglioso teatro cittadino che aveva capienze di spettatori da far girare la testa.
Con un talento eccezionale e il centouno per cento di energie speso per ciò che più amava fare, Yuya Sakaki si era però dovuto confrontare con il grave problema degno dei figli d'arte: Yusho Sakaki era stato una stella nel firmamento di Miami, e molti credevano che suo figlio, per leggi naturali mai scritte né sentite, doveva per necessità essere una sua copia sbiadita. Era per questo che, nonostante Yuya fosse proprio nativo di quella città, aveva abbandonato in fretta il suo nido per cercare l'occasione giusta - l'occasione per dimostrare che lui non era suo padre, che aveva grandissime capacità e il desiderio di metterle in mostra.
In breve, se i suoi primi coinquilini avevano fatto presto a capire che il silenzio e il disinteresse erano gli unici modi per approcciarsi a Yusaku, con quei due terremoti la pace stessa aveva assunto un concetto relativo; incapaci di vivere senza combinare guai, incapaci di esternare i loro pareri divergenti senza urlare, incapaci di lasciare pulita la cucina o gli alti ambienti della casa dopo averli usati, per Yusaku, almeno in principio, aveva avuto inizio uno dei periodi più faticosi della sua esistenza.
All'inizio, invero; il tempo in cui aveva trovato irritante il loro chiacchiericcio, le loro risate, il loro modo esagitato di fare, l'incapacità di farsi i fatti propri, sparì nel giorno in cui fu nuovamente lasciato solo in quell'appartamento - un'altra festività ad obbligarli a esagerati festeggiamenti - e scoprì che i vuoti erano troppo desolati, i silenzi troppo inquietanti e i grigi troppo sbiaditi. Con sgomento, e pure una punta di rammarico, si era reso conto di aver riso in sordina alle loro sciocchezze, di essersi preoccupato quando uno dei due commetteva una sciocchezza e si ritirava con qualche arto fasciato, di essersi sentito a casa quando i due si mettevano intorno alla tavola - in attesa che lui cucinasse, perché era l'unico capace di prendere in mano un tegame senza far esplodere ogni tipo di ingrediente che passava in convento - e raccontavano minuziosamente quello che avevano fatto. Era stata un evoluzione così graduale che nemmeno l'aveva afferrata se non quando la realtà non aveva stravolto le carte in tavola.
E, da allora, nonostante i suoi sentimenti e la sua misoginia urlassero il contrario, sentì nel suo cuore il desiderio di far parte di quei colori, di essere parte di quei racconti e di non fare più lo spettatore di un duo, ma di essere parte di un trio. Era qualcosa che lo Yusaku Fujiki degli anni passati non se lo sarebbe mai sognato; forse avrebbe perfino prenotato un posto in una qualche clinica isolata, alla ricerca della sua tranquillità perduta. E invece, nel presente, non riusciva più a vedere del male nella semplice compagnia di due persone esuberanti.
Forse Yuma e Yuya nemmeno se ne erano accorti, di quel suo cambiamento, o forse sì. Yusaku non seppe mai dirlo, ma di certo la loro gentilezza nei suoi confronti non venne a diminuire nemmeno per un secondo.
Nel 24 dicembre dell'anno corrente, con loro due nuovamente fuori per godersi le vacanze con le rispettive famiglie, Yusaku aveva per un attimo temuto che la situazione iniziale, quello della claustrofobia che minacciava di ucciderlo all'interno di un minuscolo appartamento, sarebbe riapparsa minando tutta la sua determinazione e tutta la sua misantropia; però il ragazzo sapeva che, quella volta, avrebbe dovuto fare di necessità virtù.
La borsa di studio esisteva, certamente, ma aveva delle scadenze che imponevano agli studenti di non prendere nemmeno in considerazione la possibilità di andare fuori corso; era quindi una corsa contro il tempo, quella che lui doveva necessariamente fare, e benché sentisse il cervello a pezzi e le mani brucianti, aveva compreso che l'unica alternativa possibile era quella di preparare l'ultimo esame e allo stesso tempo gettare le basi per il nuovo programma che sarebbe stato oggetto della sua tesi. La mattina l'avrebbe dedicata ai libri, la sera ai codici binari che avrebbero permesso al suo computer una connessione maggiormente rapida sui server di ultima generazione.
Ciò che aveva fatto anche quel giorno; l'orologio segnava già le 22:45, mentre si apprestava a concludere un’ultima patch e salvava tutti i progressi messi in atto.
"Penso che sia ora che vada a letto" si disse dunque, alla chiusura dei programmi.
Si distese sul rigido materasso che amava tanto, sotto le pesanti coperte di flanella che l'amico Yuya aveva portato per lui direttamente dalla sua casa paterna.
Si ripromise di dormire profondamente, perché l'indomani sarebbe stata una giornata dura.
Non aveva alcuna idea che il peggio dovesse ancora incominciare.
   
 
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