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Autore: Kodocha    21/12/2018    4 recensioni
Akito Hayama, ventiquattro anni; in seguito ad una dolorosa ferita amorosa, inflittagli dalla donna con cui avrebbe dovuto convalidare a nozze da lì a breve, decide di abbandonare Los Angeles e ritornare in Giappone, dalla sua famiglia.
Nonostante sia disposto ad avere tante donne a scaldargli il letto e nessuna a scaldargli il cuore e convinto di non poter provare più alcun tipo di sentimento per il gentil sesso, gli toccherà fare i conti con lei, Sana Kurata, una furia dai capelli ramati, nonché la nuova governante assunta da Natsumi.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Negli anni  aveva fantasticato molte volte sul suo trasferimento a Tokyo e sulla possibilità di un futuro migliore che quella città avrebbe potuto offrirle, ma una volta giunta lì la realtà aveva totalmente deluso le sue aspettative.
Erano trascorse due settimane, non conosceva quasi nessuno del posto e l’unico lavoro che era riuscita a trovare era quello di governante presso la famiglia Hayama, una delle più benestanti dell’intera periferia.
Chiaramente non sminuiva quel lavoro, tutt’altro, anche perché le offriva vitto e alloggio gratis, oltre ad una paga piuttosto elevata, tuttavia avrebbe preferito di gran lunga poter dedicarsi ad un’occupazione più in linea con il campo di studi che aveva intrapreso e concluso con il massimo dei voti, ovvero quello del design d’interni.
Ma pazienza, per il momento si sarebbe accontentata, anche perché non aveva altra scelta.
Sospirò, richiudendo la valigia ormai vuota e si guardò intorno, in quelle quattro mura bianche in cui avrebbe dovuto temporaneamente alloggiare.
Era una stanza molto spaziosa ed illuminata, l’unica pecca era la mancanza di colori sgargianti, nulla a cui non avrebbe potuto rimediare con l’acquisto di peluche e decorazione varie, proprio come aveva fatto con la sua vecchia camera ad Hokkaido.
«Allora, ti piace la tua camera?»
Una voce alle sue spalle la fece voltare.
Sorrise, trovandosi faccia a faccia con la primogenita del signor Hayama, Natsumi, di anni ventisette.
Era stata proprio lei a farle sostene il colloquio di lavoro e tra le due era subito scattata una simpatia e complicità reciproca, come se si conoscessero da anni.
«Molto, è davvero deliziosa»
«Ne sono felice» sorrise, accomodandosi sul bordo del letto a due pizze «Sai, questa prima era la camera di mio fratello. L’abbiamo trasformata in una camera degli ospiti  dopo il suo trasferimento a Los Angeles»
«Si è trasferito per lavoro?»
Annuì «Ma anche perché Fuka, la sua fidanzata storica, aveva deciso di frequentare la facoltà d’infermieristica lì e lui è andato con lei. Ormai sono trascorsi più di cinque anni da allora»
«Devi sentire molto la sua mancanza»
«All’inizio sì, poi col tempo mi sono abituata a non averlo più in giro per casa» scrollò le spalle e si alzò, fronteggiandola «Bando alle ciance, ero venuta qui per avvisarti  che stasera io e mio padre ceneremo a casa di amici, quindi non dovrai occuparti della cucina»
«Oh, capisco» mormorò, pensierosa «Vorrà dire che mangerò anch’io qualcosa fuori»
«Se vuoi puoi unirti a noi, saresti la benvenuta, potrei present…»
«Ti ringrazio, ma per questa volta passo» l’interruppe, abbozzando un sorriso timido ed impacciato«Non mi sentirei a mio agio nel cenare in casa di persone che non conosco, spero tu capisca»
Natsumi annuì, sorridendo a sua volta «Tranquilla, capisco perfettamente. Adesso scusami ma devo proprio andare» alzò una mano in segno di saluto e si voltò, avviandosi verso l’uscita «A più tardi, Sana»
«A più tardi Nat, divertiti»
Erano le nove di sera quando Sana, terminate le pulizie, uscii da quell'enorme villa.
Aveva una fame tremenda, ma era troppo esausta per mettersi ai fornelli, così decise di recarsi nel locale in cui qualche giorno prima aveva fatto domanda come cameriera… ovviamente non era andata a buon fine, poiché non cercavano personale, ma il proprietario, un certo Tsuyoshi Sasaki, era stato così gentile e a modo con lei che aveva deciso di tornarci ugualmente, anche se per motivi diversi.
«Hei, ma tu sei la ragazza dell’altra volta»  l’accolse Tsuyoshi, sorridendole amichevolmente «Sana, giusto?»
«Eh si, sono proprio io» esordì lei, ricambiando il sorriso «Ma questa volta sono venuta qui per mangiare, non per altro»
«Oh bene, allora tieni, scegli pure» prese il menù da sotto il bancone e glielo porse «Offre la casa»
«Sei molto gentile, non c’è bisogno che…»
«Alt! Non voglio sentire storie, stasera mangerai gratis» disse, con un tono che non ammetteva repliche «Almeno mi sentirò meno in colpa per non esser riuscito ad offrirti un posto di lavoro nel mio locale»
«Ma…»
«Niente ma. Sono il capo, decido io qui» le strizzò l’occhio, mentre con l’indice le indicò un tavolino a due posti libero «Accomodati pure, manderò un cameriere a prendere la tua ordinazione»
«Okay, se proprio insisti» sorridendogli, prese il menù «Vorrà dire che sarò molto generosa con la mancia, almeno mi sdebiterò in qualche modo»




Circa venti minuti dopo un’altra persona fece il suo ingresso nel locale di Tsuyoshi.
Si trattava di un ragazzo di ventiquattro anni, biondo, muscoloso e dagli occhi ambrati, caratteristiche che gli conferivano un fascino invidiabile, al punto tale da catturare l’interesse di tutte le donne prive d’accompagnatore presenti in quel posto.
«Akito» lo salutò l’amico, vedendolo comparire accanto al bancone «Mi stavo giusto chiedendo che fine avessi fatto. Avevi detto che saresti venuto qui alle otto»
«Ero impegnato» gli rispose semplicemente, facendo un’alzata di spalle.
«Fammi indovinare… con una donna, non è così?»
Akito annuì, ghignando con fare malizioso e l’amico  scosse la testa con disappunto.
«Questo nuovo atteggiamento che hai assunto con le donne, cambiandole con la stessa frequenza con cui si cambiano le mutande, non mi piace per niente»
«Non iniziare a seccarmi con le tue lamentele, Sasaki» sbraitò accigliato «Ho già sprecato fin troppi anni a fare il fidanzatino perfetto e sappiamo entrambi com’è andata a finire. Adesso, se permetti, vorrei solo pensare a divertirmi»
Tsuyoshi sospirò, ma non obiettò.
Conosceva Akito sin da quando erano bambini e sapeva che portando avanti quella discussione sarebbero sfociati in una lite e non aveva la benché minima intenzione di creare spiacevoli tensioni tra loro.
«Parlando d’altro, sei tornato a casa? E’ da una settimana che hai fatto ritorno in Giappone e la tua famiglia è ancora all’oscuro di tutto»
Questa volta fu il turno di Akito di sospirare.
Sapeva che era giunto il momento di tornare dalla sua famiglia ed affrontare una volta per tutte quella situazione, ma gli mancava il coraggio per farlo.
Come avrebbe fatto a dire a suo padre e Natsumi che Fuka, dopo quasi dieci anni di fidanzamento, e per giunta pochi mesi prima delle nozze, l’aveva mollato per un altro uomo conosciuto nel reparto d’ infermeria in cui lavorava?
E, soprattutto, come faceva a dir loro che, invece di accattare la cosa ed andare avanti con la sua vita a testa alta, aveva deciso di abbandonare tutto, lavoro, casa, città e amici, per allontanarsi dal dolore che quella rottura gli aveva causato?
«Non… non lo so. Credo che ci andrò stasera stessa, ormai non posso più permettermi di vivere in una stanza d’albergo, sto sprecando tutti i miei risparmi»
«Lo sai che la mia offerta è ancora valida. Puoi tranquillamente trasferirti a casa mia, in attesa che trovi un altro lavoro che possa permetterti di affittare un appartamento tutto tuo, per me non può essere che un piacere aiutarti»
«E fare il terzo in comodo tra te e Aya? No, grazie»
Sbuffò, voltandosi dall’altra parte e… la vide.
Lunghi capelli ramati, occhioni da cerbiatta e un viso acqua e sapone.
Talmente bella che era come se fosse stata messa in rilievo, mentre tutto il resto veniva miseramente retrocesso.
«E’ una nuova cliente?»
«Chi?»
«La rossa»
«Ti riferisci a Sana?»
«E come diavolo faccio a sapere come si chiama?»
«Scusa, hai ragione» ridacchiò, grattandosi la nuca «Comunque sì, è nuova. E’ la seconda volta che si reca qui, anche se la prima volta è stata per…»
«E’ da sola?» l’interruppe .
«Sì, perché me lo chiedi?»
«Secondo te?» gli strizzò l’occhio e, senza attendere una qualche tipo di risposta, le si avvicinò «Ehi, tu sei Sana, giusto?» ammiccò, dedicandole uno di quei sorrisi che in genere stendevano gran parte delle donne.
Sana lo guardò, masticando l’ultimo boccone del suo panino, lo inghiottì e solo allora gli chiese «Ci conosciamo?»
«No, ma rimediamo subito» prese posto di fronte a lei, senza smettere di guardarla come un lupo che fissa la sua prossima preda «Io sono Akito Hay…»
«Non m’interessa chi tu sia, voglio solo sapere come fai a conoscere il mio nome e chi ti ha dato il permesso di sederti al mio tavolo»
«Accidenti, sei sempre così acida o questa è solamente una giornata storta?»
Sana si accigliò, soprattutto quando vide quei due occhi ambrati scendere sulla sua scollatura «In genere non sono acida, e questa giornata andava alla grande fino a qualche secondo fa»
«Non ti sembra di esagerare? In fin dei conti volevo solo presentarmi»
«Non mi piace il modo in cui mi guardi»
Akito sollevò un sopracciglio, ghignando «E, sentiamo, come ti starei guardando?»
«Come se già mi vedessi sul tuo letto e di certo non per fare una lotta con i cuscini» borbottò e lui rise, passandosi una mano tra i capelli.
Le piacevano le donne difficili, trovava gusto nel sedurle.
«Beh, effettivamente sarebbe parecchio divertente. Per entrambi, s’intende»
«Ne dubito» replicò, storcendo il naso.
«Ti assicuro che fino ad ora nessuna si è mai lamentata, anzi»
«Ah sì?» gli sorrise, furba, sporgendosi verso di lui «A me, invece, qualcosa mi dice che sei tutto fumo e niente arrosto»
Hayama affondò i denti nel labbro inferiore, saettando lo sguardo su quelle di Sana, ormai a pochi centimetri di distanza dalle sue «Per esserne sicura dovresti provare, non credi?»
Sana accentuò il suo sorriso e, sporgendosi maggiormente verso di lui, ad un soffio dal suo viso gli sussurrò «Piuttosto che venire a letto con un cafone montato come te, preferirei farmi il bidet con l’acido muriatico» e ridacchiò quando vide l’espressione presuntuosa del biondino trasformarsi fino a divenire, nel giro di pochi secondi, imbestialita.
«Come prego?» ringhiò.
«Hai capito benissimo» si allontanò, aprì la borsa ed appoggiò una mancia generosa sul tavolo «Adesso devo proprio andare, spero di non rivederti mai più» gli alzò il medio, cacciò fuori la lingua, gli diede le spalle ed ancheggiando se ne andò, lasciandolo senza parole.
Akito era frastornato, oltre che imbestialito.
Non gli era mai capitata una roba del genere in ventiquattro anni di vita.
Ma chi si credeva di essere quella lì?
Miss Giappone?
Certo, era molto bella, motiv per cui aveva provato ad approcciarla, ma ne aveva viste di migliori.
«Stupida ragazzina» borbottò.
Ordinò un super alcolico, lo inghiottì in un sorso, ignorando il bruciore alla gola e si alzò da quel tavolo, dirigendosi verso un altro, occupato da un gruppo di tre ragazze.
Di certo non si sarebbe lasciato rovinare la serata da quella stupida ragazzina acida e bisbetica; aveva un assoluto bisogno di scollegare il cervello, se non l’avesse fatto era certo che si sarebbe trovato di nuovo sul punto di pensare a Fuka, e non poteva permetterlo.
Doveva smettere di pensare a lei e al dolore che gli aveva causato, ne andava della sua stabilità mentale.
Trascorse l’intera notta a bere e a rimorchiare donne, finendo  a letto con quella che più di tutte si era dimostrata disponibile a divertirsi e a lasciarsi andare, senza pretendere inutili coinvolgimenti sentimentali, finché, stanco ed ubriaco marcio, chiamò un taxi e si recò nella villa in cui aveva vissuto fino a cinque anni prima.
A causa del pessimo stato in cui si ritrovava ci mise un bel po’ per riuscire ad infilare la chiave nella toppa e ad aprire la porta d’ingresso, depositare la valigia accanto all’appendiabiti, trascinarsi al piano superiore senza essere visto da anima viva ed entrare nella sua vecchia camera.
Non sapeva ancora cosa avrebbe detto l’indomani alla sua famiglia per giustificare la sua presenza lì, ma in quel momento poco gli importava.
Si spogliò, nel buio della stanza, rischiando più volte d’inciampare e si lasciò andare sul letto, addormentandosi subito, senza neppure rendersi conto della presenza di un’altra persona che, beata, dormiva proprio accanto a lui.
   
 
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