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Autore: alessandroago_94    22/12/2018    3 recensioni
1518, coste della Groenlandia.
Un principe indeciso e insicuro vive in una fortezza di pietra immersa nei ghiacci eterni di una terra ormai inospitale. Discendente degli antichi navigatori vichinghi, gli è sempre stato detto che oltre a quella gelida landa non è rimasto più nulla. Almeno fintanto che non verrà spinto in una mirabolante avventura che lo farà diventare leggendario.
Il racconto si è classificato secondo al Contest “Senza tempo”, indetto da mystery_koopa sul Forum di Efp (attenzione; si tratta di un’ucronia). Racconto vincitore del premio speciale Rivelazione (Sigurd, miglior personaggio).
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Capitolo 1 mystery

L’IMPERATORE DEI DUE MONDI

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO UNO

 

 

 

 

 

Inverno del 1518, coste della Groenlandia.

 

 

 

 

 

Il vento gelido dell’implacabile Nord non offriva tregua agli abitanti delle Terre Verdi. O, meglio, di ciò che restava di esse.

Vinland, la patria promessa di un tempo, non era altro che una immensa distesa di ghiaccio che si estendeva fin sulle scoscese scogliere che sfociavano in un mare sempre in tempesta. Oltre, le banchise si estendevano implacabili e impossibili da affrontare durante la stagione invernale, mentre la rotta verso Sud restava l’unica affrontabile anche durante la cattiva stagione.

C’erano rischi, sicuramente, ma chiunque decidesse di intraprendere quel lungo viaggio ne era ben consapevole.

I Vichinghi di Vinland erano uomini intrepidi e decisi, l’oceano infinito era la loro casa e non temevano i cavalloni gelidi che mettevano a dura prova imbarcazioni ed esseri umani. Tuttavia, essi vivevano solo di lontani ricordi; erano quelli che tramandavano gli anziani, d’in generazione in generazione. Si trattava di leggende antichissime, la cui veridicità era andata perduta nel lento scorrere dei secoli.

Sigurd, il giovane principe dell’ultimo centro abitato delle Terre Verdi, stava ascoltando la narrazione di tali eventi quando il suo destino cominciò rapidamente a compiersi. Cosa ne poteva sapere del mondo, un ragazzino come lui? Un giovane di quattordici anni, che nessuno ancora considerava uomo e che si divertiva tutto il giorno ad allevare piccioni, gli unici uccelli domestici in grado di resistere al gelo intenso, se messi al riparo dalle intemperie durante i lunghissimi inverni?

Crescere piccioni e addestrarli era qualcosa di interessante per lui, probabilmente l’unico svago in grado di intrattenerlo piacevolmente.

Suo padre, il re Ragnar, venticinquesimo sovrano di Vinland, gliene aveva regalato una coppia il giorno del suo sesto compleanno; glieli aveva donati come animali esotici, poiché il bimbo potesse vederli e accarezzarne il piumaggio. Non avrebbe mai immaginato che essi si sarebbero adattati e riprodotti fino a dar vita a una ventina di esemplari gelosamente custoditi dal suo unico erede maschio, il pupillo della sua esistenza.

Re Ragnar adorava così tanto suo figlio da averlo isolato della roccaforte in pietra costruita nel bel mezzo della cittadina, mettendogli attorno numerose guardie fidate e permettendogli solo di aver contatti con il suo anziano precettore, che per l’appunto lo istruiva narrandogli continuamente le leggende e trasmettendogli le conoscenze delle rune. Di altro, gli era solo concessa la cura ai piccioni, e basta.

Sigurd era così cresciuto nella bambagia e di recente aveva anche smesso di ascoltare il vecchio bisbetico ricoperto da pellicce che gli stava sempre appresso; per lui era più importante Thor, il suo piccione maschio più giovane, ma che gli stava donando tante soddisfazioni e tanto affetto. Si trattava di un uccello d’indole particolarmente dolce, e nella piccionaia riscaldata sapeva apprendere tutto ciò che il principe gli insegnava.

Avendolo cresciuto il ragazzino con le sue stesse mani, per esso era come una sorta di genitore naturale, da imitare e da seguire ovunque nella piccola fortezza di pietra.

Ma io giorni scorrevano in fretta, e presto la buona stagione sarebbe tornata. Con essa, anche il momento delle partenze e dei misteriosi viaggi verso Sud.

 

 

 

Vinland, pochi mesi dopo.

 

 

 

 

Re Ragnar era un uomo di ferro, nel vero senso della parola. Vestiva ancora l’elmo dei suoi antenati, antichissimo, e faceva giungere da Sud tutto il materiale necessario per forgiare spade e curare l’attrezzatura bellica; sapeva che il ferro era l’unica cosa che poteva far la differenza, contro i nativi.

Eppure, nonostante la sua scorza dura e la sua parvenza implacabile, viveva per suo figlio; Sigurd era il maschio avuto in tarda età, dopo la morte delle prime tre mogli e a seguito di ben tredici figlie femmine, anch’esse venute a mancare pochi giorni dopo il parto. Era stato una sorta di premio, il dono che Dio gli aveva mandato dopo un’intera vita trascorsa ad attendere di lasciar estinguere la sua dinastia.

Per il Re, tenere il ragazzino lontano da ogni cosa che potesse nuocergli era stato importantissimo, e quando il giovane aveva cominciato a provare interesse nei confronti degli inutili pennuti che gli aveva regalato, be’, era stata davvero una soddisfazione, poiché non avrebbero mai potuto lederlo in qualche modo.

Se avesse invece cercato la spada, come facevano tutti i coetanei del loro piccolo popolo, sarebbe stato sicuramente peggio.

Sigurd valeva più di tutto l’oro presente a Vinland, e più di tutti i soldati addestrati di suo padre. Era un tesoro da custodire gelosamente, almeno fintanto che non avesse avuto figli, eredi a cui lasciare tutto quanto.

Fino a quel momento, il genitore si era ripromesso di preservarlo da tutto e da tutti, isolandolo in una grande stanza di pietra costantemente riscaldata da un crepitante fuoco e sempre sorvegliata da guerrieri di fiducia. Al suo interno era ammesso solo lui e l’anziano precettore, nessun altro.

Quando l’Assemblea degli anziani aveva richiesto che il giovane e futuro sovrano fosse educato per divenire Re, in un futuro sempre più prossimo, Ragnar aveva cercato di opporsi in ogni modo. Sigurd era più che mai vulnerabile, un vero disadattato, non era pronto a ciò che l’attendeva fuori dal palazzo reale.

Però, era anche vero che presto o tardi avrebbe dovuto fare i conti con la realtà, e l’anziano sovrano sapeva bene che non aveva più tante primavere di fronte a sé; gli anni si facevano sentire, aveva spesso le gambe gonfie e il respiro difficoltoso, con il clima estremo del territorio che non lo aiutava a stare meglio.

Quindi l’unica decisione sensata era quella di accogliere la richiesta dell’Assemblea, al fine di non inimicarsela e di non far spargere la voce che l’erede al trono era destinato a restare per sempre chiuso nel suo castello. Un inetto, in pratica.

Questo l’avrebbe solo reso ulteriormente vulnerabile al cospetto degli ultimi vichinghi, formato dal popolo di Vinland, non tanto numeroso ma molto feroce. E se così fosse stato, allora Sigurd avrebbe perso lo stesso, per essere soppiantato dal primo violento che avrebbe violato la fortezza dopo la morte del padre.

Ragnar allora sapeva che doveva parlare al figlio ed esporgli la situazione, per spiegargli per bene come si sarebbe evoluta la sua preparazione. Tuttavia, aveva il nodo il gola quando si presentò nella sua calda stanza, e lo vide mentre accarezzava con affetto il piumaggio del suo piccione preferito.

“Ah, siete voi, padre”, disse il ragazzo, sussultando lievemente quando si accorse che il genitore era lì con lui, a osservarlo alle spalle.

“Sono proprio io, figliolo”.

Sigurd sorrise, raggiante; era il sorriso più puro che esisteva, quello dell’innocenza e dell’ingenuità.

“Mi fa piacere che siate venuto a farmi visita. Sapete, ho molte cose da narrarvi, se avete un po’ di tempo a disposizione”, tornò a dire il ragazzino, in una maniera squisitamente gentile. Fu Ragnar quella volta a sorridere, riconoscendo che il precettore aveva indubbiamente fatto il suo mestiere.

“Ne ho un po’, sì”, ammise poi, “se ti va racconta, ma brevemente, perché poi ho anch’io qualcosa da dirti”. Sigurd rimase perplesso.

“Oh, no”, quasi esclamò, dopo un breve istante di riflessione, “allora parlate voi, avanti…”.

“Non ho fretta, racconta tu”, lo sollecitò il genitore con convinzione. Era certo che quello era uno degli ultimi istanti che avrebbe trascorso da puro, da ingenuo, da immacolato.

Con quello che gli aveva da spiegare, sul suo viso si sarebbero presto formate le prime rughe di preoccupazione, unite a un’espressione sicuramente un po’ turbata. Voleva godersi quindi quegli ultimi momenti così quieti e tranquilli, come se appartenessero a un altro mondo, a una realtà a parte.

“Vi ringrazio padre”, esordì allora il sorridente ragazzino, che fremeva dal desiderio di narrare. “Sapete, ho scoperto che Thor è veramente un signore dei piccioni, da come si comporta. Pare sia in grado di ritornare alla piccionaia anche da distanze ragguardevoli, e anche con il cattivo tempo o durante le tempeste di neve. Non teme nulla”.

“Come fai a saperlo?”, domandò il genitore.

“Be’, ho chiesto al signor precettore di liberarlo per conto mio al di là del nostro villaggio…”.

“Nelle terre dei nativi?”, tornò a interromperlo. Il figlio scosse il capo.

“Che importa, padre? Il signor precettore ha detto che era disposto anche a correre qualche piccolo rischio, pur di rendermi contento”, ammise il giovane.

Ragnar scosse il capo, contrariato, riconoscendo l’ingenuità evidente del figlio. Vinland non per nulla era rimasto l’unico centro abitato vichingo presente sulle coste di quella terra di ghiaccio e vento; gli altri villaggi erano stati spazzati via dal brutto tempo e dagli aggressivi nativi.

Isolata da tutto e da tutti, la cittadina era parzialmente protetta da una scogliera che si inabissava verso le furiose acque dell’oceano, che spesso durante l’inverno diventavano una rigida banchisa. Era stata eretta una protezione di pietre, ma non serviva sempre, specialmente durante la buona stagione, quando i nativi erano particolarmente agguerriti e non temevano nulla.

Era quindi necessario che Sigurd avesse almeno la concezione della pericolosità di ciò che lo circondava, e del fatto che il suo futuro e minuscolo regno non era altro che una sorta d’irto scoglio circondato da un nugolo di nemici.

“Figliolo”, cominciò a farfugliare il padre, da una parte irato, ma dall’altra tentennante, “non devi più far correre tali rischi a qualcuno che ti vuole bene, intesi? O a qualche tuo suddito. Questo era solo un capriccio… e sai cosa c’è di più brutto, eh? Che tu hai permesso che qualcuno di tanto importante per te e per la tua formazione rischiasse la vita per far affrontare delle prove a quella creatura che ti ostini a chiamare Thor”.

Il giovane alzò gli occhi dal piccione e li fissò in quelli del padre, all’improvviso; erano azzurrissimi e gelidi, in essi non c’era un barlume di pietà. Ragnar, per la prima volta, provò un brivido al cospetto del figlio.

“Thor è molto più di un semplice piccione, sapete? Lui è tutta la mia vita. L’ho cresciuto con le mie mani e mangia dalle mie labbra…”.

Il Re diede un pugno alla parete, facendola tremare.

Interrotto bruscamente, Sigurd rimase interdetto e il piccione volò via dalle sue mani, cominciando a volare in cerchio sopra la sua testa.

“Non ti permetterò più di dichiarare che quel pennuto è tutta la tua vita, intesi?”, sbuffò, quella volta arrabbiato per davvero. “Tu hai un regno, e i suoi componenti sono tutta la tua vita. Tu presto ti sposerai e avrai una brava moglie, che ti darà tanti figli sani e forti, e crescerai loro. E darai da mangiare a schiere di guerrieri…”, breve pausa, mentre il viso paonazzo del vecchio parve ingrossarsi, “… che poi comanderai e schiererai in battaglia contro gli esseri che vivono al di là del muro di pietre! Intesi? Questa è la tua vita, quella che io ho programmato per te, quindi smettila di osannare quel volatile che hai chiamato come un antico dio pagano, vergogna dei nostri avi!”.

Di fronte alla furia paterna, il ragazzino era rimasto basito. Non aveva mai affrontato la rabbia del genitore, e Ragnar stesso parve tornare in sé dopo aver notato quella parvenza di stordimento e di confusione che regnava sul volto del giovinetto. Tuttavia, non intendeva perdonargli il fatto di esser tornato a far leva su quel piccione, quando invece doveva prepararsi a fare grandi cose; gesta eroiche.

“Thor era un dio forte…”, fu l’unica osservazione che ebbe coraggi di sussurrare Sigurd, che pareva in procinto di mettersi a piangere. Il genitore tornò a interromperlo con prontezza e con voce tonante.

“Ciò che ci differenzia dalle bestie violente che sono al di là del muro è il fatto che crediamo nell’unico Dio e in Suo Figlio, morto sulla Croce per salvarci dal buio eterno. I nostri antenati sono giunti fin qui già dotati di crocefisso, e in esso hanno trovato la forza per tenere lontani i pagani…”. A quel punto, Ragnar perse il filo del discorso. Lasciò che tutto decadesse, prima di allungarsi e di abbracciare fortissimo il figlio, che rimase rigido al contatto.

“Tutto questo per dirti che partirai presto, figliolo”, sussurrò poi al suo orecchio, con dolcezza e rammarico, “rendimi orgoglioso di te, e fai capire ai tuoi sudditi che hai stoffa e coraggio”. +

“Partire?”, parve disgelarsi il giovane.

“Sì, non appena la stagione migliorerà lascerai Vinland; ti imbarcherai con i migliori elementi della nostra flotta e andrai con solo a vedere il mondo che ci circonda, così capirai quanto esso è vasto e quanto sia piccola la tua dimora”.

Ragnar sciolse l’abbraccio, mai ricambiato da quel figlioletto così scosso, nella sua innocenza infinita.

“Io…”, balbettò Sigurd, “… io…”. “… non so cosa dire”, parve concludere, dopo qualche altro balbettio.

Il padre gli rivolse un caldo sorriso, lottando contro i suoi lineamenti ancora tesi per la rabbia provata poco prima.

“Non c’è niente da dire. L’Assemblea ha così deciso, e noi seguiremo la sua proposta, poiché così avrai modo di formarti come uomo e riceverai con maggior diritto la corona delle Terre Verdi”.

Calò di nuovo il silenzio, con il più giovane che lasciava libero il suo sguardo. Il padre provò pena e pietà per lui; quanto avrebbe voluto proteggerlo… sarebbe stato disposto a partire egli stesso, pur di lasciarlo indenne. Ma a cosa sarebbe giovata una tale scelta? Il ragazzo doveva farsi le ossa, era giusto così.

Ragnar riconobbe per l’ennesima volta durante gli ultimi giorni che suo padre, quando aveva dodici anni, l’aveva condotto con lui oltre il muro di pietre e l’aveva fatto combattere contro i barbari, lasciandogli poi uccidere uno dei prigionieri della scaramuccia, in modo che potesse assaggiare il sangue e fare esperienza.

Era giunta l’ora anche per suo figlio di comprendere le leggi del mondo.

“Andrai, figlio mio, ben sapendo che tuo padre è sempre con te e non ti abbandonerà mai”, aggiunse infine, emozionato, “ma nel frattempo prega, stringi tra le mani la tua piccola Croce di legno. Ci sarà bisogno anche di lei…”.

Diede le spalle all’ammutolito giovane e se ne andò, ripetendo poi alle guardie posizionate all’ingresso della stanza di non lasciar uscire il figlio e di far entrare solo ed esclusivamente l’anziano precettore.

 

 

 

Primavera del 1518, coste della Groenlandia meridionale.

 

 

 

 

Sigurd aveva detto addio a suo padre. Nessun abitante di Vinland aveva mai visto un uomo piangere, tantomeno un re, eppure quel giorno Ragnar aveva lasciato che una lacrima scendesse lungo il suo volto. E anche in pubblico.

In sprezzo al suo dolore, il figlio era rimasto impassibile, e questo aveva colpito molto tutti i presenti.

Il principe aveva un’aria pura, illibata; un viso sbarbato e da bambino, due occhioni grandi e azzurri contornati da una pallidissima pelle di un bianco diafano. Era il colore di chi non aveva mai visto la luce del sole.

Su di lui neanche un’ombra di quel rossore che invece incupiva i marinai, ustionati dal vento gelido a cui erano costantemente sottoposti.

I capelli leggermente allungati del giovane erano biondissimi, come di tradizione. Era un vero figlio di suo padre.

Al di là dell’apparenza fisica inequivocabile, però, il temperamento lasciava a dir poco desiderare. Sembrava fatato, con quegli occhi a tratti socchiusi e le labbra incurvate all’insù, in una specie di sorriso destinato a non sbocciare mai.

Alfred, il comandante della spedizione verso Sud, era invece un uomo ben oltre la sessantina; era il più esperto di Vinland, l’unico ancora attivo alla sua età. Di solito, i marinai venivano inghiottiti dalle acque dell’oceano ben prima di giungere ai quarant’anni, ma lui aveva sfidato la sorte con un’abilità eccezionale, che gli aveva consentito di essere ancora vivo e di venir onorato dall’Assemblea degli anziani con quel compito che si prospettava alquanto difficile.

Come avrebbe fatto a rendere uomo quel bambinetto disadattato? Il principe era indubbiamente un soggetto confuso, o così gli pareva di percepire. Eppure, avrebbe dovuto imparare nel solo arco di un anno ogni cosa che c’era da sapere sul mondo che lo circondava.

Nessun membro del suo equipaggio si era atteso un tale e brigoso impegno, per fortuna che non aveva accennato nulla, altrimenti avrebbe rischiato ammutinamenti di massa.

Ora, invece, con il nobile ospite che stava per accomodarsi sul drakkar principale, quello del comandante in persona, tutti lo osservavano rapiti. Nessuno protestava, nessuno aveva il coraggio di chiedere o di affermare qualcosa.

Padre e figlio si salutarono così, in un silenzio rassegnato che vedeva un disadattato che s’imbarcava frettolosamente, quasi come se quella fosse un’imbarcazione da sogno, e un anziano col cuore spezzato che non faceva altro che osservare ogni goffa mossa del più giovane.

Infine, Ragnar afferrò Alfred per una spalla e l’avvicinò a sé, come se volesse baciargli la guancia in segno di saluto cordiale e di buon auspicio, mentre invece gli parlò piano all’orecchio.

“Ti affido il mio regno. Se gli dovesse capitare qualcosa di brutto, ti farò dare la caccia ovunque fintanto che non avrò la tua testa e quella dei tuoi uomini”, sibilò il ferito sovrano, “non ha importanza quanto sarà uomo, ma solo quanto potrà vedere e imparare tramite la vista e l’ingegno. Ed entro un anno dev’essere di nuovo qui, puntuale, assieme al precettore”.

“Sarà fatto, sire”, sussurrò a sua volta Alfred, allontanandosi subito dopo dal suo re.

“Mio figlio compirà un viaggio epocale, degno dei nostri antenati!”, professò subito dopo Ragnar, a voce altissima e al cospetto dei curiosi e dei marinai che stavano assistendo all’imbarco, rigorosamente pubblico affinché tutti fossero certi che il ragazzo era partito alla volta del Sud.

“Il vostro futuro re vedrà terre a voi sconosciute, guidato dal più grande soldato, marinaio e pirata di tutte le Terre Verdi. Egli tornerà tra un anno, in veste di uomo forgiato dalla fatica e dalla conoscenza, e potrà raccontarci ciò che lui e il capitano hanno avuto modo di vedere durante la loro lontananza…”.

Il re interruppe il suo discorso. Una brezza sempre più intensa aveva cominciato a rendersi fastidiosa, e preannunciava un rapido cambio del clima, come accadeva spesso a quelle latitudini ormai estreme. Tutti conoscevano i venti dell’entroterra, ed era risaputo che bisognava salpare prima che essi diventassero troppo forti, altrimenti si rischiava di incappare in onde troppo alte o in altri disagi pericolosi.

Di nuovo in silenzio, Alfred fece un leggero inchino al suo re e si diresse verso la sua imbarcazione, con il precettore del ragazzino che a sua volta arrancava e si affrettava a salire a bordo, prima che essa fosse spinta in acqua a forza dai marinai.

E così, i quattro drakkar più celebri di Vinland salparono così tanto in fretta che il vecchio sovrano si ritrovò a piangere, mentre in cuor suo pregava affinché quel calvario finisse presto e il suo rampollo tornasse a casa sano e salvo.

Fu in procinto di bloccare le manovre iniziali con la scusa che i venti si stavano intensificando, ma così facendo avrebbe arrestato solo momentaneamente quel processo inevitabile. Era meglio lasciare le cose come stavano… quello era il viaggio di suo figlio, il suo e il suo soltanto. Non doveva più interferire, altrimenti l’avrebbe messo solo in cattiva luce al cospetto del suo popolo.

“Andiamo tutti a pregare”, ordinò quando il gruppetto di imbarcazioni si era allontanato all’orizzonte, e non poteva più seguirlo con gli occhi.

Avrebbe indetto una messa al giorno, e avrebbe pregato assieme ai suoi sudditi per aver salva la vita di quell’innocente, così preziosa per quel piccolo regno sperduto e isolato.

 

Ormai distanti da Vinland, il giovane Sigurd si volse indietro, cercando con lo sguardo il padre. Egli era tuttavia già lontano, seppur la costa fosse ancora così vicina.

L’anziano precettore era seduto a suo fianco, su quell’imbarcazione sprovvista di ogni possibile protezione e molto semplice, basata sulla forza umana, ma non gli bastava la sua presenza.

Fu in quel momento che Alfred gli afferrò il capo con la sua mano destra nerboruta e lo spinse a volgersi in avanti, dove guardavano tutti gli altri.

“Non sei più tra le braccia di tuo padre, ragazzino”, gli intimò il vecchio pirata, cacciandogli poi tra le mani un lungo e pesante remo.

“Lui mi ha fatto promettere che ti avrei fatto diventare uomo, un vero vichingo come i tuoi antenati. Per cui, rema”, aggiunse, mostrandogli in malo modo come fare.

Sigurd aveva già visto le mosse sicure degli altri marinai, quindi aveva già una vaga idea. Afferrò con forza il suo strumento e lo spinse in acqua con tutte le sue forze, facendo solo increspare la superficie del grigio oceano.

“Così, devi metterci più forza”, tornò a spronarlo il comandante della spedizione, afferrandogli ambo le mani e stritolandogliele contro il remo, forzandogliele.

“Ehi, questo è il principe ereditario. Il nostro Re ti ha chiesto di renderlo uomo, non di fargli male”, intervenne con prontezza il precettore.

Alfred rise, per nulla colpito dal tono con cui era appena stato ripreso.

“Si può diventare uomo solo grazie ai muscoli e alla forza fisica, mio caro vecchio”, lo irrise, poi.

Il precettore non replicò, chiudendosi in uno sdegnoso silenzio, mentre Sigurd si sforzò di fare ciò che il comandante gli aveva ordinato. Aveva timore di lui, avrebbe quindi obbedito ciecamente, anche al costo di farsi male.

 

Verso metà giornata, il principe era un ammasso di sudore. Grondava dalle tempie e la pelle del suo viso, l’unica a essere rimasta scoperta dalle folte pellicce di foca che parevano renderlo di dimensioni mastodontiche.

“Ehi”, lo richiamò Alfred, a un certo punto, “sei troppo coperto, principe. Togliti qualcosa di dosso…”.

Sigurd obbedì, sempre in silenzio. La sua timidezza era così estrema che non gli permetteva neppure di parlare, ora che era così lontano dalla stanza dove aveva vissuto fin da quando era nato.

“Non svestirti troppo, però, altrimenti ti ammali. Non vorrei doverti riportare morto a tuo padre dopo neanche mezza giornata di navigazione”, tornò a instradarlo il pirata, con strafottenza.

Fu in quel momento però che l’uomo si accorse che lo strato di pellicce che era rimasto addosso al giovane si muoveva… leggermente, ma si muoveva, all’altezza del ventre. Rimase sbigottito per un attimo, prima di lasciarsi andare a una serie di insulti e di bestemmie così veementi da attirare l’attenzione dell’intero equipaggio.

“Cazzo hai lì sotto, giovanotto? Sei gravido, forse?”, sbottò in seguito.

Per la prima volta, Sigurd alzò gli occhi e osò parlare con la sua vocina tremolante e femminea.

“Non ho niente”, mormorò, in un sussurro.

“Invece hai qualcosa, e me lo stai nascondendo. Avanti, fammi vedere”, tornò alla carica Alfred, lasciando la sua postazione a prua e dirigendosi con solerzia verso di lui.

Notando la reticenza del ragazzino, gli afferrò il petto e gli scostò con violenza le pellicce, mentre il vecchio precettore tornava invano a lamentarsi.

Accadde immediatamente qualcosa che ammutolì tutti i presenti; a seguito del forte strattone, un piccione grigio scuro sgusciò da sotto il corposo vestiario e salterellò spaventato sulle spalle del giovane.

Alfred sgranò i suoi occhi stranamente scuri, e parve per la prima volta ammutolito. Naturalmente, quando ruppe il silenzio lo fece con molta irruenza.

“Un uccellaccio! Dì un po’, principe delle mie brache, cosa credevi di fare con il pollastro? Noi quelli li mangiamo!”, gorgogliò, col suo piglio da troglodita.

Sigurd afferrò la creatura e la strinse con ambo le mani al petto, con evidente affetto.

“Lui è Thor, e non è un uccellaccio… signore”. La sua vocina femminea e dal tono molto basso fece scoppiare a ridere l’intero equipaggio, mentre anche gli altri tre drakkar li affiancavano.

“Ah, non è un uccellaccio? Vedrai che quando l’avrò messo allo spiedo, questa sera, ti parrà proprio un bel pollastrello dalla ciccia sfrigolante…”, e Alfred di seguito mimò un morso a una coscia di pollo. Il principe lo guardò con disgusto, attirando ancora tutta l’attenzione dei marinai.

“Non lo farete, lui è la creatura più importante della mia vita. Non vi darà fastidio, me ne prenderò continuamente cura”, affermò, quella volta con un piglio più deciso. Poi, estrasse un sacchettino da una saccoccia cucita all’ultima pelliccia che indossava, ed estrasse qualche chicco di grano. Se lo mise tra le labbra e si chinò a nutrire il volatile, come se nulla fosse.

Thor, ancora giovane e abituato a nutrirsi dalle labbra del padroncino come se fosse il becco di un genitore naturale, accettò l’invito al pasto con solerzia, cominciando a starnazzare con le ali mentre ingoiava i piccoli chicchi.

Alfred rimase ancora sbalordito per qualche attimo, assieme alla sua ciurma, prima di lanciare l’ennesima sfilza di bestemmie roche e dotate di una volgarità allucinante… eppure non riuscì a distogliere l’attenzione del giovane da quell’essere piumato. Era come se quel principe fosse stregato, intrappolato in una realtà che aveva qualcosa di incomprensibile e di folle.

“Io…”, borbottò, finito lo sfogo, “… io… non ti permetterò di fare questo, sulla mia imbarcazione. Non ti permetterò di comportarti da donnicciola e di fare da madre a… a un piccione!”, urlò.

Violaceo in viso, si chinò verso un componente della sua ciurma e gli diede un forte manrovescio. Poi, in un silenzio innaturale, scoppiò a ridere in modo sguaiato, come un qualsiasi ubriaco.

“Non so per quanto tempo andremo d’accordo, mio futuro sovrano, ma ho promesso a tuo padre di riportarti indietro integro, con tanto di vecchio e di pennuto appena aggiunto. Io mantengo sempre le mie promesse, però non garantisco di riuscire sempre a tenere le mani al loro posto, intesi?”, spiegò, apparentemente calmandosi.

“Sarà meglio… sarà meglio che le mani ci restino, a posto. Non vorrei… mica… dover narrare di un’esperienza negativa al nostro sovrano”, balbettò l’imbarazzatissimo precettore, sempre più piccolo al cospetto della marmaglia che lo circondava. A quel punto, tutti quanti risero forte.

“Sono io che decido qui, vecchio. E tu e quella merda di bamboccio che dà da mangiare al pollastro non siete altro che mie pedine, adesso; fattene una ragione”.

Alfred non smise un attimo di fissare il ragazzo intento a nutrire il suo pennuto, mentre egli nemmeno si degnava di alzare lo sguardo e di fissare la scena vergognosa nella quale si era calato, anzi, sembrava ancora estraneo a quel mondo… a quella realtà… allora il comandante provò una strana sensazione, unita a un brivido istintivo.

Smise di fissare il giovane e comandò alla sua ciurma di rimettersi a remare; nessuno rise più, né fece commenti. Smise anche di gemere di dolore quello che era appena stato colpito a tradimento.

Quella era la sua piccola flotta, ed era lui a dettar legge; tutti erano atterriti e non esisteva la protesta o l’ilarità, almeno quando non le permetteva.

Intuì che Sigurd altro non era che un fardello, e decise all’improvviso che l’avrebbe lasciato in pace. Era come se avvertisse un presentimento molto gravoso, ed era solo trascorsa mezza giornata da quando avevano lasciato Vinland.

 

Quella sera, i marinai trascinarono a riva i loro lunghi ma leggeri drakkar, prima di accamparsi per la notte. Non si erano mai allontanati troppo dalla riva, per non perderla di vista e non perdere la rotta.

Il principe aveva le mani gonfie e piagate in più punti, avendo remato con solerzia mettendoci tutto l’impegno possibile. Thor era ancora con lui, così come l’anziano precettore, che aveva giurato al cospetto del suo Re di non abbandonare mai il rampollo e di vegliare su di lui.

Alfred fece accendere un piccolo fuoco, che produsse immediatamente un fumo cupo e denso, poiché alimentato con legna verde e umida. Il precettore e il principe andarono subito a sedersi accanto a lui quando le fiamme furono sufficienti a scaldarsi almeno le mani, vincendo ogni paura.

Sigurd osservò il comandante; appariva particolarmente lurido, ancora più di quella mattina. La barbaccia lunga e grigia, sudicia e appiccicosa, e i capelli tutti scompigliati ma in parte domati dal berretto di pelliccia di foca che copriva la calvizie che dominava nella parte più centrale del cranio. I denti mezzi marci e il pessimo odore che emanava quel corpo molto sporco erano il culmine del disgusto per ogni cristiano per bene, tuttavia il giovane principe provò a continuare a ignorarlo, mentre estraeva il delicato Thor da sotto le sue pellicce e lasciava che il calore del fuoco scaldasse anche il suo corpicino.

“Pollo arrosto, questa sera? Che ne dici, principe?”, tornò a provocarlo il comandante, sornione.

Solo loro tre erano attorno al fuoco, poiché gli altri uomini erano alla disperata ricerca di altro legname combustibile.

Con la sua solita inerzia, miscelata a una buona dose di timidezza, il giovane lo ignorò.

“Non credo sia il caso di continuare a ironizzare, comandante”, rispose al suo posto il precettore. Alfred rise.

“Mi resta solo l’ironia, insegnante dei miei stivali. Quasi tutto il resto me l’ha portato via l’età e l’avventura”.

“A proposito di quest’ultima, non staremo rischiando troppo? Ci siamo accampati a caso, senza nulla a proteggerci, e abbiamo acceso un fuoco e sparpagliato gli uomini. Potrebbero esserci dei selvaggi”.

Il comandante sbuffò, tornando serissimo.

“Conosco questa parte di litorale come se fosse casa mia, sai? Ora siamo accampati su una spiaggetta deserta, che durante l’alta marea di questa notte sarà separata dalla terraferma. Anche se ci sono selvaggi nelle vicinanze, non oseranno mettere un piede nell’acqua gelida, altrimenti il freddo li ustionerebbe, quindi vedrai che attenderanno con pazienza altre notti, per provare di affettarci con le loro accette di pietra”.

Il comandante rispose con sicurezza e serietà, per la prima volta durante quella prima giornata di viaggio parve non essere semplicemente una bestia primitiva e prepotente.

“E tu, principino? Ti diverti a sprecare il raro grano che possediamo, per darlo da mangiare al tuo inutile uccellaccio?”, sogghignò poi all’improvviso, allungandosi e avvicinando il viso a quello di Sigurd, che, dal canto suo, era ancora estraniato dal mondo e nutriva il suo adorato piccione con quel po’ di granaglie che si era portato dietro da Vinland.

Tuttavia, si affrettò ad allontanarsi quando il pestilenziale e rancido alito del pirata giunse alle sue giovani narici.

Il principe gli dedicò poi uno sguardo di profondo disgusto, atteggiamento che fece ridere di nuovo il più anziano.

“Ma devi star tranquillo con me, sai? Can che abbaia non morde, ed io già ti voglio bene come se fossi tuo padre”, quasi lo canzonò, “per questo non mangeremo pollame, questa sera”.

Presto, tutti gli altri marinai tornarono a radunarsi e ingrandirono il fuoco, poi fu portata una piccola cassa e da essa furono prelevate porzioni di carne sotto sale.

“Deliziosa carne del Sud, principe! Tu non hai idea di quel che vedrai, dai retta a me, non ne hai idea…”, e così dicendo, di tanto in tanto, Alfred pareva rasserenarsi, quasi come se la notte stesse calmando i suoi umori.

Sigurd mangiò la stessa porzione del suo precettore, e bevve alcolici assieme a lui, poiché l’acqua dolce era poca e si doveva razionare.

Dopo poco, a fine del brevissimo e frugale pasto, gran parte dei marinai era ubriaca, e con essa anche il principino, che di alcolici non ne aveva mai bevuti. Si sentiva male, gli sembrava che il mondo vorticasse attorno a lui.

Afferrò il suo piccione e lo strinse forte a sé, assicurandoselo sotto le pellicce, mentre il precettore allungava un braccio per cingerlo alla vita, al fine di non lasciarlo scivolare al suolo.

A quel punto, Alfred si alzò in piedi e si avvicinò a uno dei suoi uomini, per poi dargli un bel ceffone sulle chiappe. Tutta la ciurma rise fortissimo, e la vittima del gesto ne parve alquanto compiaciuto.

“Avanti, andiamo a riposare; domani sarà una giornata durissima…”, proclamò Alfred, poi dirigendo il suo sguardo verso il principe dall’aria assente e il vecchio precettore, “… e a voi, cari ospiti, consiglio di dormire assieme e di scaldarvi, perché qua fa molto freddo e non ci sono muri di pietre a proteggerci dal gelo”.

Detto questo, abbracciò l’uomo che aveva colpito poco prima e compì pochi passi, prima di distendere al suolo un paio di pellicce e di adagiarcisi sopra. Fecero lo stesso gli altri uomini, mentre l’anziano e il ragazzino restarono vicino al fuoco, che era ancora in grado di scaldare un poco.

Nonostante le sue perplessità a riguardo dell’atteggiamento del comandante, interpretando però quelle ultime azioni come scelte spinte dall’alterazione dei sensi a causa del troppo alcol che aveva tracannato, il precettore distese il suo protetto e lo coprì per bene.

Era evidente che il ragazzino aveva bevuto troppo ed era ubriaco e ancora più confuso del solito, quindi con istinto protettivo gli si sdraiò a fianco, stretto a lui.

Poco dopo, entrambi dormivano profondamente, con il piccolo Thor che creava una piccola cunetta sul petto del suo padroncino, che lo custodiva con grande effetto.

 

Quella notte, Sigurd fu svegliato di colpo da un forte senso di nausea, naturalmente accompagnato da un bisogno impellente di urinare.

Il ragazzo scostò il corpo dell’anziano dal suo, muovendosi con delicatezza; non era intimidito da quel contatto ravvicinato, anzi, era certo che l’avesse aiutato a dormire. Durante le notti più fredde dell’inverno, quando anche il fuoco non bastava a scaldare la sua grande camera dalle mura di pietra, il precettore stesso aveva dormito con lui tante volte, al fine di tenerlo maggiormente al caldo.

Pure suo padre, il grande sovrano, a volte aveva trascorso la notte nel suo stesso giaciglio. A quelle latitudini estreme, era meglio non dormire soli.

Si alzò e traballò, gli girava la testa e i pensieri frullavano nella sua mente come schegge impazzite. Alla fine, il bisogno di urinare lo spinse a muoversi con risolutezza, affrontando quel paio di passi che gli avrebbero permesso di non pisciare nel giaciglio condiviso.

Avvertì i movimenti di Thor, che si era risvegliato a sua volta, uniti a un altro rumore… a gemiti confusi, così strani che Sigurd pensò si trattasse di un qualche animale.

Eppure, erano umani… che fossero invasori?

Il ragazzino finì di urinare e strinse a sé il piccione, prima di compiere qualche altro passo e di notare due figure che si muovevano ritmicamente nel buio. La sagoma sfocata ma inconfondibile di Alfred pareva stagliarsi su un’altra, intenta a lanciare versi e lamenti che non avevano neppure la parvenza del dolore.

“Co… comandante?”, sussurrò il giovane, un po’ spaventato. Eppure, quel sussurro parve pietrificare le due figure, che smisero di agitarsi e di ansimare.

Alfred si volse verso il ragazzino, abbassando le pellicce e coprendosi le intimità nude.

“Principe”, disse ad alta voce. Si alzò e si diresse verso di lui.

“Cosa succede, non riesci a dormire?”.

Sigurd fu travolto da un conato di vomito, e lasciò che il suo stomaco si vuotasse.

“Per carità, dovevo immaginarlo che non avresti retto le nostre bevande. Da domani ti prometto che avrai a disposizione tutta la poca acqua che portiamo con noi, va bene?”, iniziò a dire il maturo comandante, avvicinandosi ancora di più e dandogli due pacche sulle spalle.

“Anche voi state male? Ho sentito i vostri lamenti…”, tornò a mormorare il principino, quando si fu asciugato le labbra con il panno lercio che il vecchio puzzolente gli aveva appena passato.

“Al contrario, sto benone”, si affrettò a precisare il comandante, con un tono di voce compiaciuto, “quello era il rumore della passione. Sai, mio caro ragazzo, non è semplice restare lontani per anni interi dalla civiltà, senza avere nessuna valvola di sfogo. La carne è una brutta bestia, lo dico sempre”.

Sigurd, non capendo, gli dedicò uno sguardo perplesso che fu inghiottito dal buio della notte. Avrebbe tanto voluto indagare di più su quelle parole che gli apparivano tanto criptiche, ma quel dialogo rispettoso fu interrotto dall’arrivo improvviso del precettore, che lo agguantò e lo attrasse a sé.

“Comandante, il ragazzo è ancora puro e illibato. Non vi permetto di parlare in questo modo al suo cospetto, oppure di lasciare che assista a tali nefandezze! Intesi? Che tutto questo non si ripeta mai più, altrimenti al nostro ritorno sarà mia premura dire al nostro sovrano che ha affidato suo figlio a un essere pervertito e contro natura”, declamò il vecchio, energicamente.

Sigurd non aveva mai riscontrato così tanta risolutezza nel suo maestro, soprattutto non si aspettava che avesse il coraggio di comportarsi in maniera così risoluta con quell’uomo che da quella mattina pareva averlo sempre intimidito.

“Io sono un pirata, un assassino, un viaggiatore. Sono un reietto, precettore, e questo il nostro Re ben lo sapeva, però ha deciso di affidarmi lo stesso il suo tesoro più grande. Non lascerò quindi che la tua presenza rovini le mie abitudini”, rispose Alfred, altrettanto risoluto.

I due uomini maturi parevano esser giunti a un punto di rottura, che fu comunque evitato dal più anziano, che trascinò il suo protetto verso il loro giaciglio.

“C’è tuttavia da aggiungere che non sapeva che foste un sodomita…”, buttò lì, prima di accomodarsi di nuovo assieme al principe. Se Alfred aveva udito, non lo diede a notare, poiché il silenzio calò sul gruppo di persone di nuovo distese a terra.

“Che cos’è un sodomita?”, chiese un po’ all’improvviso il più giovane, ma il suo maestro si limitò ad avvolgerlo nelle pellicce e a tacere.

“Che cos’è?”, insistette.

Il precettore fu costretto a rispondere, obbedendo alla richiesta incessante dell’allievo. D’altronde, era giusto che sapesse e che imparasse.

“E’ quando un uomo… va a letto con un altro, invece di trovarsi una moglie che possa soddisfare i suoi bisogni”. Il principe apparve perplesso.

“Anche noi abbiamo condiviso il giaciglio, e così pure tutti gli abitanti di Vinland durante gli inverni più lunghi”, sussurrò, nel timore di essere frutto di scherno. Infatti, l’anziano gli sorrise e gli accarezzò il capo.

“Sei così puro, mio principe”, affermò con dolcezza, “ma non basta condividere il letto con un uomo, per esserlo. Un giorno capirai”.

Invece Sigurd voleva capire subito, bramava la conoscenza e non voleva che qualcuno frenasse il suo processo di apprendimento. Era giovane, ma aveva imparato prestissimo a leggere e a interpretare le rune; assetato di sapere, aveva affrontato letture che i più anziani avevano considerato proibite per lui.

Aveva letto i testi che componevano le saghe degli antenati, dove i validi pirati vichinghi saccheggiavano villaggi e centri abitati di un territorio a loro ormai ignoto e andato perduto, poi radunavano tutte le donne che erano riusciti a razziare e si accoppiavano selvaggiamente con loro, in quelle che definivano orge frenetiche. Aveva fantasticato tante volte su quelle sintetiche descrizioni molto elusive, eppure così proibite.

Che praticare la sodomia fosse l’equivalente di ciò che gli antenati facevano con le loro novelle schiave, solo che tutto ciò si svolgeva tra soli uomini? Non ebbe il coraggio per insistere, anche perché ben presto i gemiti di poco prima ripresero a risuonare attorno a loro. Erano così colmi di passione e di affiatamento…

Sigurd udì un grugnito più deciso e profondo, sicuramente emesso dal comandante, e fu così attratto da quel che stava accadendo da spingersi a sollevare la testa da terra, nella speranza di poter scorgere qualcosa.

Fu il precettore a intervenire di nuovo e con prontezza, mettendogli le mani sulle orecchie per non permettergli di udire e bloccandogli la testa a terra.

Questo accadde anche durante le notti successive, e anzi, pareva che Alfred ci trovasse sempre più gusto a far rumore e ad ansimare, spesso si udivano addirittura i rumori emessi dai corpi che si sfioravano in fretta e con impeto, però il curioso principe fu obbligato dall’anziano maestro a dormire con le orecchie coperte.

Conoscendo ormai la sua infima curiosità da ragazzo, egli giunse persino a promettergli che avrebbe tirato il collo a Thor, se solo l’avesse beccato a origliare o a tentare di osservare quelle cose oscene che tanto spaventavano il suo saggio animo.

 

I giorni successivi infatti furono tutti quanti uguali e monotoni.

Gli unici momenti interessanti per Sigurd restavano le notti, durante le quali avvenivano quelle cose che tanto attiravano la sua curiosità, mentre di giorno doveva solo remare come gli altri marinai e tacere.

Nessuno lo infastidiva, anche lo stesso Alfred lo trattava con maggior rispetto, dopo la notte in cui l’aveva interrotto durante gli atti tanto detestati dal precettore.

Thor stava bene e veniva protetto sotto le pellicce, con il viaggio che appariva veramente tranquillo.

Non tardarono molto a raggiungere territori dove non c’erano più i ghiacci, con grandi estensioni verdi e temperature decisamente più miti. Per Sigurd quel clima così caldo era qualcosa che lo destabilizzava; spesso si scopriva troppo, o doveva scansare le pellicce in modo da restare a torso nudo e non sudare troppo, col rischio che Thor si spaventasse e volasse via. Così, aveva legato il piccione con una cordicella alla zampa destra, assicurandola poi alla piccola panca su cui stava seduto tutto il giorno, nel timore che potesse prendere il volo e tornare indietro.

Se c’erano tanti inconvenienti, c’era anche da ammettere che non mancavano i benefici di quell’attività fisica prolungata e dell’aria aperta e mitigata dalle correnti delle latitudini inferiori. Lo stesso precettore di giorno in giorno restava scosso al cospetto dello sviluppo fisico del suo protetto, giungendo spesso a pensare che presto non sarebbe neanche più stato in grado di riconoscerlo.

Sigurd era cambiato in fretta e radicalmente, nel corpo, poiché la pelle era diventata più scura, i capelli un tempo finissimi erano ormai una matassa ispida, con le spalle che si allargavano senza sosta e i muscoli che premevano contro la pelle. Si stava tramutando in una sorta reincarnazione di una qualche antica divinità nordica.

Alfred quei cambiamenti li notava e li apprezzava, con ciò pure aumentava il rispetto che portava al principe. Ben sapeva però che un corpo forgiato dalla fatica e dall’aria aperta non bastava a rendere un vero uomo, quindi ci sarebbe voluto anche un cambiamento a livello mentale.

“Preparati, mio principe”, gli disse durante una tiepida mattinata, dove l’oceano era calmissimo e il tepore del sole scaldava i rigidi corpi dei vichinghi di Vinland, “presto sarai uomo anche nello spirito”.

 

Giunsero al cospetto di una spiaggia formata da sabbia giallognola, alla foce di un grandissimo fiume.

Ove l’acqua dolce si miscelava con quella salata, si formavano mulinelli vorticosi e insidiosi.

Alfred diede ordine di affrontare tale turbinio, e di risalire il corso del fiume; una mossa alquanto inattesa per il principe, che ormai era abituato a navigare senza sosta e a fermarsi solo la notte, su qualche isolotto poco distante dalla costa frastagliata e selvaggia, ma protetto dall’acqua.

Non ci volle molto prima che i drakkar potessero muoversi verso la riva, per la prima volta di giorno, dopo lunghissime settimane trascorse in mare. Là c’era qualcosa di sorprendente, poiché tra le frasche e le canne mosse dal vento apparve un villaggio, come se fosse stato un miraggio.

Sigurd e il suo precettore sbarcarono e aiutarono i compagni a portare a terra le imbarcazioni, poi con curiosità li seguirono verso l’agglomerato di abitazioni, che avevano una sembianza molto vichinga, come quelle di Vinland. Il giovane si sentì quindi al sicuro.

“Fratelli! Che Dio sia sempre con voi!”, urlò un anziano, venendo loro incontro. Parlava bene la loro stessa lingua, non era di certo un indigeno.

Da dietro alcune basse strutture in pietra, che parevano piccole montagnole difensive, apparvero altre persone, e ben presto molti uomini amichevoli li accolsero.

“Alfred, vecchiaccio! Nulla ti piega, eh?”.

La voce roboante aveva spento tutte le altre, all’improvviso.

Un uomo mastodontico, dalle caratteristiche somatiche tipiche dei vichinghi, fece scostare gli altri con la sua sola presenza.

Solo Alfred rimase impassibile, anzi, riconoscendolo sorrise.

“Fratello! È sempre un piacere rivederti”, disse, poi si scambiarono forti pacche sulla schiena, a vicenda. “Come va coi musi pitturati?”, gli chiese, dopo i primi rapidi saluti.

“Ma che si fottano!”, e l’omone si piegò di poco, dandosi un paio di forti sculacciate.

Tutti i presenti, che avevano gli occhi puntati su di lui, risero di gusto. Tutti, tranne il principe e il precettore.

“A parte gli scherzi”, tornò però a spiegarsi, alla fine del breve momento di ilarità generale, “qui si stanno facendo sempre più insistenti. Ma non parliamo di questo, vecchio mio! Dimmi com’è andato il viaggio…”.

“Veramente, non male. Altre volte abbiamo affrontato tempeste, e ho perso molti uomini; questa volta siamo stati fortunati. Sarà che a bordo avevamo un amuleto, il nostro benedettissimo principe”.

“Il principe dei pirati?”, domandò l’omone con ritrovata ilarità.

“Oh, no”, Alfred quella volta rispose con aria di chi la sa lunga, “intendevo il nostro principe, quello vero; il figlio del nostro amatissimo sovrano”.

Silenzio per qualche istante, mentre Sigurd restava impassibile.

“Fratello, ti presento Sigurd, figlio di Ragnar, nostro Re e signore per ordine e vocazione”.

Il comandante afferrò per un braccio il ragazzo e lo spinse verso il gigante.

“Cazzo, sei veramente il principe”, affermò poi esso con serietà, dopo averlo osservato per qualche attimo con attenzione.

“Lo sono”, rispose Sigurd.

“Bene, buon per te”, buttò poi lì il gigante, con un tono che lasciò sconvolto il più giovane. Nessuno gli si era mai rivolto così, neppure Alfred durante il primo giorno di viaggio.

“E tu chi sei?”, domandò allora con un pizzico di titubante autorevolezza. Il suo moto di stizza ricevette solo un’occhiata torbida da parte dell’omone.

“Sono solo tuo fratello. Ti basta sapere questo?”.

“Io non ho fratelli, quindi devi essere per forza qualcun altro”, tornò alla ribalta Sigurd, punto sempre più nel vivo. Non voleva che si facessero beffe di lui anche in quel posto che gli era ignoto.

Tuttavia, quella che aveva considerato come una dimostrazione di forza si rivelò qualcosa di improvvisamente irritante, poiché la situazione parve raggelarsi e gli autoctoni si lasciarono andare a borbottii nervosi, ai quali Alfred pose fine con poche e decise parole.

“Non sa chi siete, né lo saprà mai, quindi perdonate la sua sfacciataggine da bamboccio”.

Ferito e umiliato, Sigurd non ebbe più il coraggio per dire nulla. Il suo precettore, stranamente, non lo difese, eppure gli sfiorò il braccio destro e gli fece cenno di tacere.

Dopo quel momento imbarazzante, si riprese a parlare e lo fecero tutti, dirigendosi verso le abitazioni. Il principe e il suo anziano precettore fecero, naturalmente, lo stesso.

 

“Alfred ci ha portato direttamente in un importante covo dei Fratelli…”, sussurrò il precettore all’orecchio del discepolo, quando poterono allontanarsi un attimo da quella gentaglia che aveva tanto indispettito il più giovane.

“Non so cosa sono”, ribadì il cocciuto principe.

“Mio signore, si fanno chiamare Fratelli tutti coloro che hanno perso il nome e la dignità, e cioè gli espulsi dal regno del tuo saggissimo padre e dei suoi predecessori”.

Sigurd ci rimase di sasso.

“Espulsi… da lui, dal Re in persona?”. Gli era sempre sembrato che suo padre fosse molto magnanimo, ma probabilmente era stata solo un’impressione.

“Oh, certo, e da chi se no?”, rispose piccato il precettore, agitandosi sotto la pelliccia leggera che lo vestiva.

“Il pirata allora ci ha portati qui per farci un danno? Se è come dite voi, Maestro, loro sono tutti miei nemici. Persone che mi odiano”.

“Odiano tuo padre, non te”.

“E’ la stessa cosa, penso”. Il precettore fu costretto a convenire che non aveva tutti i torti.

“Mio signore, limitati a stare al gioco, va bene? Chiamali Fratelli, e fingi di essere sereno. Vedrai che ci lasceranno in pace”.

“E se così non fosse?”.

“Alfred è un uomo di parola, non ti lascerebbe mai in pasto a queste carogne. Se ci ha portato qui c’è un motivo preciso, a noi ancora ignoto”, affermò l’anziano, sicuro di quel che stava dicendo. Immaginava, o, meglio, sperava, che il comandante non avesse alcuna intenzione di commettere un crimine tanto grave, che non gli avrebbe fruttato solo un espulsione da Vinland, bensì anche una bella taglia sulla sua testa.

Sigurd allora parve comunque calmarsi, e tirò fuori il piccolo Thor, arruffatissimo. Il suo piumaggio ormai era umido di sudore, poiché il suo padroncino lo teneva sempre sotto le pellicce e anch’egli stava sudando molto. Quello era un clima che non si poteva affrontare con abiti così pesanti.

Diede da mangiare al pennuto e lasciò che il suo sguardo si perdesse nel cielo limpido che li sovrastava.

“Non fate vedere il piccione, potrebbe attirare la loro attenzione e rendervi di nuovo un bersaglio per le loro prepotenze”, l’avvisò il maestro, ma questo il giovane già lo sapeva, e infatti tenne l’amico allo scoperto solo per poco tempo, giusto il necessario per alimentarsi e fare un paio di veloci bisogni. Poi, tornò a nasconderlo.

Poco dopo, Alfred andò a recuperarli.

“Non è bene imboscarsi in questo modo, questo è un territorio pericoloso”, li redarguì con nervosismo.

Senza dire altro, fece loro cenno di seguirlo.

Entrarono nel centro abitato, e Sigurd fece di tutto per evitare gli sguardi curiosi che si susseguivano al di là dei vani che fungevano da finestre.

Quel villaggio era così diverso da Vinland; non c’erano edifici in pietra, anzi, erano tutti una sorta di palafitte, dai tetti di canne e i muri di fango e sterpaglie.

Il comandante li condusse fin all’ingresso di una di esse, e li spinse dentro, gettando loro un mucchietto di vestiti stropicciati.

“Le pellicce d’ora in poi non servono più. Bisogna vestirsi leggeri”, spiegò, con un tono ispido e irritato, per poi andarsene chiudendo l’uscio. Sigurd lo seguì per qualche istante con lo sguardo, grazie all’apertura che faceva entrare la luce del sole in quell’ambiente che puzzava di umidità.

“Hai sbagliato a portare il principe così a Sud”, udì poi una voce, proveniente dall’esterno. Era quasi inconfondibile; doveva trattarsi del gigante di poco prima, solo che il ragazzo non riusciva a scorgerlo.

“E perché mai? Su, Fratello, ti garantisco che è come una donna. Adesso ha un po’ di muscoli alle braccia e al busto, ma due mesi fa era un coso rachitico che non si assomigliava neanche a un uomo!”.

Sigurd, che non poteva vederli ma solo sentirli, avvampò in volto.

“I nostri sovrani non devono mai sapere ciò che c’è oltre a Vinland”, sbraitò la voce roca, intensificandosi, “quello che nei secoli hanno costruito i reietti di quella città ostile e maledetta. Ci siamo fatti un culo così per rendere sicure le coste, e abbiamo prosperato grazie al nostro ingegno e alla nostra forza; i Re ci hanno cacciato, e noi abbiamo costruito una società parallela che nemmeno immaginano. Nessuno di loro dovrà mai provare a reclamare qualcosa, perché il sangue che scorre nelle nostre vene…”.

“… si interromperà bruscamente!”, interruppe con foga il comandante, prima di lasciarsi andare a una risata sboccata.

“Presto ci saranno lotte dinastiche che nemmeno immagini, Fratello. Vinland si distruggerà da sola, e tutti i fratelli che ormai popolano queste coste dovranno solo dimenticare la possibile insidia di una richiesta di riunificazione. Ragnar si è fregato con le sue stesse mani, come ha sempre fatto”.

Di fronte al silenzio del gigante, un Alfred che si allontanava non poté non aggiungere un’ultima frase, che lasciò senza parole il giovanissimo principe.

“Lui non diverrà mai re, vedrai. Il suo posto è in fondo all’oceano, e ci finirà prima di quanto pensi…”. La voce del comandante scomparve in lontananza, e lo stesso gigante se ne andò.

Sigurd rivolse uno sguardo atterrito al precettore, che era in ascolto anche lui e che quindi doveva aver origliato quella spinosa conversazione.

L’anziano si limitò a distogliere lo sguardo, tacendo grevemente.

 

Per un paio di giorni, allievo e maestro non parlarono. Non si parlarono proprio, lasciando che il silenzio lenisse ogni ferita provocata dalla moltitudine di brutti pensieri che mulinavano nelle loro menti quasi fossero stati mille o più coltelli.

Il giovane aveva tante domande in mente, ma non riusciva a esprimerle in nessun modo, quindi soffocava quella frustrazione con la sua solita estraneazione dal mondo. Giocherellava con Thor e gli dava da mangiare, stringendolo a sé e cercando di rinvigorire ogni giorno il legame di fedeltà che li univa.

Infatti, Sigurd percepiva quella creatura come un fedele amico, l’unico di cui potersi veramente fidare durante quell’avventura folle.

Si chiedeva quale fosse stato il reale progetto di suo padre; eppure, anche la sua mente pura e non abituata alla sporcizia dei brutti pensieri comprendeva che era stato ingannato. L’Assemblea degli anziani aveva richiesto quel suo allontanamento forzato non per renderlo un uomo o fortificarlo, bensì per darlo letteralmente in pasto ai criminali che l’avrebbero fatto a pezzi, così nessuno a Vinland si sarebbe dovuto sporcare le mani al momento opportuno.

Suo padre il re era malato e anziano, presto sarebbe morto e suo figlio non sarebbe più tornato indietro da un viaggio apparentemente d’istruzione; che situazione propizia per prendere il potere… e qualcuno nella città tra i ghiacci doveva aver tramato e preparato tutto.

Quella consapevolezza permeò così a fondo nei pensieri del principe che, dalla sera alla mattina, si accorse che qualcosa dentro di lui stava mutando. Come percepiva gli altri? Tutti avversari? Non l’aveva mai fatto, essendo stato cresciuto e educato con la più ferrea moralità cristiana.

Quando proprio non ne poté più, essendo ormai con il cuore a pezzi e la mente dilaniata da queste terribili consapevolezze, interpellò il precettore.

“Maestro, voi lo sapevate?”, si limitò a domandare, seccamente, con gli occhioni chiari luccicanti per via delle lacrime che stavano per scendere lungo le gote. L’anziano lo fissò a sua volta, ma ancora si dimostrò elusivo, e non rispose.

“Eh?!”, piagnucolò di nuovo il principino, tornando a incalzare una risposta che non sarebbe mai potuta giungere, anche perché la porta del loro rifugio fu spalancata all’improvviso e Alfred fece capolino all’interno.

“Muoviti, principe; oggi diverrai uomo”, disse, ridendo con aggressività e cattiveria. Incattivito a sua volta, ma anche spaventato, Sigurd titubò.

Allora Alfred si allungò e l’afferrò per un braccio, trascinandolo fuori di peso e chiudendo la porta dietro di sé.

“Il ragazzo deve venire da solo!”, precisò ad alta voce il comandante, rivolgendosi all’anziano rimasto chiuso dentro. Poi, tornò a rivolgersi in fretta al più giovane.

“Come mai non sei uscito in questi due giorni, principe? I nostri Fratelli sarebbero stati felici di conoscerti a dovere”, sghignazzò.

“Ah, sì? Per uccidermi?”.

La domanda atterrita del giovane bloccò il più anziano sul posto, e poiché ancora lo stava trascinando per un braccio lasciò sciogliere la stretta e gli rifilò un preciso manrovescio in pieno viso.

“Cazzo stai dicendo? E smettila di farti trainare e di piagnucolare, se vuoi guadagnarti il rispetto di tutti!”, poi imprecò vigorosamente. Il tutto al cospetto di numerosi occhi curiosi, che avevano cominciato a far capolino dalle aperture più vicine.

“Mi… mi hai ingannato”, borbottò allora il ragazzo, in lacrime, mentre si lasciava scivolare a terra. Il brusco contatto fisico pareva non averlo leso in alcun modo.

“Mi hai allontanato da casa solo… solo per uccidermi…”, la voce si ridusse a un sussurro quasi impercettibile, per far sì che altre orecchie non udissero a parte quelle del diretto interessato, “… quanto oro ti hanno promesso, a Vinland, per farmi sparire? Per portarmi… qui?”.

Alfred alzò la mano destra, come per colpirlo ugualmente, poi i suoi lineamenti divennero rapidamente tesi, come se avesse appena realizzato di aver udito parole non di suo gradimento.

Si chinò a suo fianco e gli alitò in pieno viso, per parlarli.

“Chi cazzo ti ha messo in testa queste cose? Il vecchio che ti accompagna?”, domandò, seccamente.

“Ho sentito ieri il tuo discorso… con il Fratello…”.

Alfred allora rise forte, tirandosi su in piedi e tornando a forzarlo per farlo rialzare a sua volta.

“Allora già sai con certezza che non diverrai mai un re, principino? No, te lo giuro sulla mia lunga barba e sul mio stesso sangue; non diverrai mai un re…”.

 

Lo condusse tra gli altri uomini, i Fratelli. Essi erano armati di spade, a lui non fu consegnato niente.

“Starai con me nelle retrovie, ma prima vedrai i tuoi avversari…”, borbottò Alfred, tesissimo.

Sigurd credeva che l’avrebbero ucciso, invece l’attenzione generale pareva incentrata su quella sorta di missione che li stava attendendo.

Tutti assieme, e nel silenzio più profondo possibile, si mossero uniti verso l’interno, tra la boscaglia che si tramutava presto in erba secca e caldo pareva farsi asfissiante. Là, un gruppo di capanne erano state erette in modo caotico.

Si avvicinarono di soppiatto, strisciando come serpenti tra l’erba alta, fitta e giallognola.

Alfred costrinse il principe ad alzare la testa per un solo, pericolo istante.

“Devi vedere il tuo nemico, prima di ucciderlo”, sibilò.

Sigurd vide numerose persone in fermento, che forse avevano già intuito che qualcosa non andava. Avevano piume tra i capelli ed erano seminude, con il viso dalla pelle scura e dipinta in più punti di un rosso acceso. Poi, i Fratelli diedero improvvisamente il via all’attacco a sorpresa.

Lo scontro fu rapido e micidiale; nonostante Alfred avesse messo un lungo coltellaccio tra le mani del ragazzo, non ci fu bisogno di utilizzarlo, poiché i nativi se la diedero a gambe.

“Stavano progettando di attaccarci a sorpresa, e noi abbiamo attaccato loro”, sghignazzò il gigante poco dopo, trionfante. Dei nemici ne erano stati uccisi pochi, però erano stati presi un paio di prigionieri, di cui due probabilmente illustri.

“Merce di scambio. Fintanto che li abbiamo in pugno, gli altri non ci romperanno i coglioni, anzi…”, sancì di nuovo l’omone, quando glieli presentarono.

Il terzo prigioniero, invece, era indubbiamente un soggetto molto umile, poiché il suo aspetto dimesso e privo di colori, piume e ornamenti parlava molto chiaro. Anche Sigurd, che osservava attentamente e ascoltava le varie conversazioni tra i vittoriosi, poté distinguerlo facilmente dagli altri due.

Fu proprio quel soggetto che Alfred strappò dalle mani robuste dei Fratelli, per condurlo al cospetto del giovane.

“Fallo inginocchiare e uccidilo”, ordinò, perentorio.

Il principe, che non si aspettava una tale mossa, andò quasi in confusione.

Attorno a lui, i Fratelli si stavano raggruppando come cani famelici, dopo aver legato gli altri due prigionieri e averli inginocchiati proprio di fronte all’altro malcapitato, ancora in piedi. Pareva che si fossero dimenticati della sua presenza, fintanto che la brama di sangue li aveva spinti nella loro missione, ma ora che si era concluso tutto erano tornati a guardarlo con aria torva, probabilmente odiandolo e giudicandolo.

“Hai ragione, principe; uno del tuo lignaggio non può uccidere con un coltellaccio arrugginito”, tornò a dire Alfred, alzando la posta in palio. Infatti, estrasse la sua bellissima spada con la mano sinistra, mentre con il braccio destro cingeva l’esile corpo del condannato a morte, e gliela porse.

“Giusto, e un futuro sovrano non si abbassa mai a far inchinare uno schiavo”, aggiunse, quando ancora il giovane era titubante.

Sigurd, confuso, afferrò la spada e la strinse con entrambe le mani, e prese altro tempo. Intanto il comandante diede una forte spinta all’indigeno e lo mise in ginocchio, tenendolo stretto per il collo con una morsa di ferro.

Fu in quel momento che il principe incrociò gli occhi di Alfred; ribollivano di furore. Il suo sguardo era eloquente… si stava giocando la propria vita.

La mente del più giovane comprese che quella era una prova, o uccideva il prigioniero, o veniva ucciso lui, nelle pratiche barbare ancora presenti a Vinland. Ne aveva sentito parlare, ma non aveva mai assistito a tali scene.

E come si faceva a uccidere un uomo? In un solo istante, le letture proibite tornarono a riemergere nella sua memoria. Esse non narravano solo di rapporti sessuali, ma anche di gesta eroiche, e, per l’appunto, di uccisioni di nemici e traditori. Tramite decapitazione.

Con il fiato sospeso, e con il viso che s’imporporava, Sigurd strinse forte l’elsa della spada con entrambe le mani, quasi fosse stato un remo, e la alzò verso il cielo. Era ora che la gente smettesse di ritenerlo un bamboccio; avrebbe ucciso non solo per salvarsi la vita, ma anche per preservare il suo orgoglio e la sua dignità, ben consapevole che i fuorilegge che lo circondavano lo stavano anche giudicando.

Abbassò l’arma con decisione, quando anche le braccia gli tremolavano e gli occhi restavano serrati. Li riaprì solo quando udì le grida strazianti del suo prigioniero; egli gemeva, era ancora vivo.

Gli aveva appena scalfito la pelle del collo.

Qualche risatina serpeggiò tra le fila dei Fratelli, mentre una rabbia incontenibile pervadeva all’improvviso il principe, che allora cominciò a colpire all’impazzata il prigioniero, facendolo letteralmente a pezzi con un modo di fare da indemoniato, da spirito d’oltretomba insaziabile di sangue.

Quand’ebbe finito, lordo di sangue come mai prima di quel momento, gettò la spada ormai vermiglia ai piedi del suo proprietario prima di cominciare a camminare con foga lungo il tragitto che lo aveva portato fin lì. Desiderava solo tornare dal suo precettore e sentirsi di nuovo protetto, col solo risultato che ben presto quei movimenti decisi si tramutarono in corsa frenetica, con le gote inumidite da silenziose lacrime amare.

Alfred, invece, rimasto fermo a fissare il ragazzo alla medesima maniera degli altri guerrieri, non fece poi altro che scrollare le spalle e tornare ad attirare l’attenzione su di sé.

“E’ un principe con il sangue infuocato dalla rabbia”, proclamò a voce alta, “merita ancora un’opportunità”.

Nessuno aggiunse altro; neppure il gigante, solitamente ciarliero.

 

Tornato con la coda fra le gambe dal suo protettore, il giovane si affrettò a scrostarsi di dosso il sangue che si stava raggrumando, senza spiegare nulla all’anziano.

Egli, da parte sua, si limitò a guardarlo grevemente, ma non chiese nulla. Forse, era soddisfatto del solo fatto che fosse tornato ancora vivo, anche se imbrattato di linfa vitale.

Thor gli si accoccolò sulla spalla destra.

A metà giornata, un po’ a sorpresa, il comandante andò a riprenderli e assieme agli altri suoi marinai ripresero la via dell’oceano; tutto accadde così, all’improvviso, esattamente come aveva avuto inizio.

Il principe fu felice di lasciarsi alle spalle la realtà dei Fratelli, di certo più prosperi di Vinland, ma ancora meno nobili di spirito. Tuttavia, avvertiva un qualcosa di strano dentro di sé, collegato a quel suo primo omicidio e a riguardo di quegli individui che ormai avevano colonizzato ampia parte della costa meridionale; percepiva che, molto presto, la sua vita sarebbe stata fatta di sangue corrente, con quei fuorilegge che sarebbero tornati ad avere un ruolo ben preciso in essa.

 

Il viaggio fu ancora lungo, e piuttosto monotono; altri villaggi vichinghi erano disseminati lungo le coste, ma erano di dimensioni più ridotte rispetto a quello del gigantesco Fratello.

Comunque, Alfred non sostò mai in nessun altro di essi, preferendo litorali isolati e dall’apparenza selvaggia.

Il clima cambiò ancora, diventando così caldo da far sì che il ragazzo si abituasse a indossare gli abiti che gli erano stati dati dai Fratelli.

Thor, ancora in ottima salute, ruotava costantemente ai suoi piedi, assicurato con un cordone alla zampa, mentre il precettore era sempre più silenzioso. Alfred e i suoi bisogni notturni parevano aver iniziato a piegare la sua rigidità.

Infine mutò anche il paesaggio, con gli alberi che avevano foglie e steli stranissimi, tutti abitati da bestie spaventose. Alcune avevano il pelo, sembravano grandi topi.

“Scimmie”, spiegò Alfred, notando lo sbigottimento del ragazzo. Lui aveva già visitato quelle terre, conosceva tutto. Per questo Sigurd gli si affidava ciecamente, pur temendo che prima o poi lo condannasse ad annegare nell’infinità dell’oceano.

   
 
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