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Autore: KaterinaVipera    22/12/2018    3 recensioni
Amira si reca in un piccolo villaggio sperduto nella campagna inglese a trovare la cugina, in cerca di un posto dove iniziare la sua nuova vita, lontana da casa e da tutte quelle persone che le hanno voltato le spalle quando ne aveva più bisogno.
Ciò che cerca è la possibilità di ripartire e, soprattutto, la tranquillità che negli ultimi mesi le è stata negata.
Ma, la vita, ha in serbo per lei tutt'altro e fin da subito si ritrova in una realtà che non sapeva esistesse; le persone che, all'inizio le sembrano solo strane si riveleranno per quello che sono veramente: creature straordinarie che credeva fossero solo fantasia e lei dovrà decidere se essere solo lei, una semplice ragazza, o, al contrario, farne parte ed accettare ciò che le dice il suo cuore: lei appartiene a lui, è sua, solo che ancora non lo sa.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Poggio la testa al finestrino, trovando sollievo grazie al vetro gelato, coperto dall’interno da una patina di condensa, avendo però come controindicazione quella di farmi venire ancora più freddo.
Garreth aumenta il riscaldamento, mettendomi una mano sulla fronte per sentire la mia temperatura, spostandola sul mento per farmi girare verso di lui e tenere gli occhi aperti, cercando di farmi stare vigile.

“Ehi, ragazzina! Non dormire.”

Scala la marcia e accelera l’andatura del veicolo, prendendo le curve un po' strette.

Dio, quanta furia!

Ho solo sonno, per il resto sto bene, non ci sarebbe bisogno di fare tante storie come sta facendo lui.

“Shi… shi, shono sveglia.” cerco di parlare mentre sbadiglio, con una gran voglia di dormire.

Garreth frena bruscamente e io evito di impattare contro il cruscotto solo grazie alla cintura che non mi ero accorta di avere.
Gli rivolgo uno sguardo assassino per avermi quasi fatto sbattere la testa, ma non devo risultare minacciosa perché lui a fatica mi guarda e dopo essere sceso, mi aiuta a fare altrettanto, ma invece di farmi camminare – perché ne sono in grado… forse – mi tiene tra le braccia.
Vorrei protestare, dirgli che ce la faccio anche da sola, che sono una donna autonoma e un sacco di altre cose da femministe, ma quest’uomo ha un profumo così buono, intenso, anche più forte e travolgente di quello di Alan; quindi, io, colgo l’occasione per bearmene di nascosto, immaginando di essere in mezzo alla foresta dopo un temporale e strofino il naso contro il collo, nascondendoci il viso, attratta dal suo profumo e dall’innaturale calore che emana il suo corpo, nonostante abbia solo un maglione e faccia un freddo micidiale.

E, in un attimo di puro delirio, so per certo che non mi dispiacerebbe affatto rimanere per sempre vicina a lui.

Ci fermiamo davanti ad una porta bianca. Passano solo alcuni secondi da quando Garreth bussa a quando ci viene aperta, mostrandoci il farmacista che, dopo essersi infilato gli occhiali, ci guarda stupito.

“Lei sta male.” è tutto ciò che dice, ma è più che sufficiente per farci entrare in quella che, solo adesso, riconosco essere la farmacia del paese.

Noi oltrepassiamo il bancone e andiamo nel retro, percorrendo un piccolo corridoio.

“Cosa le è successo?”

“Credo che abbia preso i tranquillanti di Anna.”

“La dose?” chiede, rivolto ad entrambi.

“Non lo so, Eric.” dice abbattuto.

O forse sembra a me.

Mi guardo le dita delle mani fare capolino dalla manica troppo lunga del maglione, cercando di fare la somma delle goccioline assunte.
Erano dieci la sera… no, erano dodici e poi stamani…
Muovo le dita per contare, ma perdo il conto almeno un paio di volte.

Vengo sdraiata sul lettino, mentre i due uomini continuano a parlare di me.

“Ha preso altre medicine?”

“Sicuramente, ma non so quali.”

“Va bene. Tu falle bere dell’acqua, mentre io preparo la flebo.”

Li vedo affaccendarsi nella piccola stanza bianca e asettica; poi Garreth torna con un bicchiere pieno d’acqua che mi costringe a bere, dopo avermi aiutata a sollevarmi.

“Toglile il maglione.” Eric si avvicina con la sacca della fisiologica e un ago.

“Ma ho freddo!” mi lamento, sottraendomi alla sua presa, tenendo il braccio lontano da lui.

“Così impari, pazza incosciente!” mi rimprovera Garreth, sfilandomi l’indumento e afferrandomi l’arto, tenendolo disteso per aiutare Eric.

“E quello come se l’è fatto?” domanda allibito il farmacista, fermandosi con le mani a mezz’aria.

“Cappuccetto rosso ha sparato al cacciatore!” gli rispondo, facendo una smorfia quando l’ago mi buca il braccio.

“Cosa?!” non capendo, Eric guarda Garreth in cerca di risposte.

“Ha sparato ad un cacciatore ieri sera, mentre cercavo di raggiungerla.” dice esasperato.

“Lo stesso che ci aveva quasi trovati?”

“A uno di loro tre, sì.”

“Certo che ha del fegato, la ragazza.”

“Attira solo guai. Su noi e su sé stessa.”

I due si guardano un attimo negli occhi, poi Eric mi poggia una mano sulla fronte e una sul collo.

“Il battito è regolare, però hai la febbre e non ci vuole molto per capirlo. Come ti senti?”

“Un po' meglio.”

“Ti ricordi quali medicine hai preso?”

Chiudo un attimo gli occhi, concentrandomi sulla sua domanda, ma il mio cervello per un attimo rimane attento sul liquido freddo che mi entra nelle vene e sulle gocce che dal sacchetto trasparente si fermano nella valvola.

“Amira, mi stai ascoltando?” chiede scettico Eric.

“Sì, scusa…” ritorno concentra su di lui, elencandogli le dosi assunte ieri sera e questa mattina.

“Mi sapresti dire i nomi e gli eccipienti?”

Annuisco, scrivendo sul foglio che mi porge quello che vuole sapere, quando glielo restituisco, annuisce a sua volta e sparisce oltre la porta.

“Si può sapere che ti è saltato in mente?” mi domanda furioso Garreth, mantenendo però il tono di voce basso.

“Stavo male e avevo bisogno di dormire.” rispondo guardandomi le dita delle mani.

“E drogarsi ti sembra un buon modo per farlo?”

“Sono riuscita a dormire, quindi credo proprio di sì.” rispondo a tono, guardandolo negli occhi.

Garreth se ne sta zitto, sorpreso per avergli rigirato contro la sua stessa frase, troppo adirato per potermi rispondere.
Per mia fortuna ritorna Eric che senza saperlo, evita un omicidio.

“Sei stata molto fortunata, Amira. Con quel quantitativo ingerito, poteva andarti peggio. Ora fammi dare un’occhiata alla spalla.”

Dopo avermi visitata, palpato la spalla, la schiena, e quasi fatto piangere per il dolore, mi da almeno una buona notizia.

“Non hai niente di rotto.” mi sorride, coprendomi con una coperta, presa da un mobile di questa stanza.

“Se Garreth non ha niente in contrario, ti vorrei tenere qui per qualche ora, solo per accertarmi che la flebo ti abbia ripulito il sangue. Ovviamente, per la febbre non posso darti niente.”

“Niente in contrario. Per me la puoi tenere qui quanto ti pare, basta che chiudi la porta a chiave.” risponde acido e serio.

Eric se la ride, lasciandoci da soli.

“Dove vai?” gli chiedo, prima che anche lui mi lasci da sola qui.

“Devo sbrigare alcune faccende.” risponde secco, quasi fosse infastidito dal dovermi parlare.

“Cose di alfa?” azzardo.

“Sì.”

“Che ovviamente non mi puoi dire.”

“Esatto.”

Smetto di guardarlo, troppo dispiaciuta per come mi sta trattando; inoltre avere un ago conficcato costantemente nel braccio, non mi aiuta ad essere più felice.
Quest’uomo e il suo comportamento, continueranno ad essere un mistero per me: sfonda una porta solo perché non gli rispondevo, mi rapisce obbligandomi ad andare con lui senza un motivo valido, però mi vuole mandare via e ora mi lascia qui da sola.

“Io...” si zittisce un attimo, in cerca di parole. “Ritornerò tra un paio d’ore. Poi ce ne ritorneremo a casa.” non aggiunge altro ed esce dalla stanza.

E a me, non rimane altro che coprirmi fino al collo e riposare, decisamente più di buon umore.

 

Mi risveglio, senza ricordarmi quando mi sono addormentata, ancora mezza rincoglionita e con i muscoli intorpiditi, vedendo per prima cosa, Eric che sta cambiando la flebo, mi riserva un sorriso gentile, anche se appena accennato.
Il cielo è grigio, come quando sono arrivata, con l’unica differenza che è iniziato a piovere.

“Come ti senti?” mi chiede a voce bassa, mettendomi una mano sulla fronte.

“Un po' meglio, grazie.”

Annuisce e fa per andarsene.

“Eric?”

Si volta verso di me, fermo davanti alla porta.

“Garreth è tornato?”

“No, al momento l’alfa ha tanto da fare. Cerca di riposare, io tornerò tra un po'.” e esce dall’infermeria.

Volto la testa di lato, guardando la pioggia che cade, rendendo tutto lucido e freddo. Provo a concentrarmi sul rumore lento e ipnotico delle gocce che cadono sul vetro, ma ormai non riesco più ad addormentarmi e la mente inizia a viaggiare.
Immagino che Garreth abbia davvero tante cose da fare, sia Judy che Anna me lo hanno ripetuto così tante volte ed io non riuscivo a capire.
A mia cugina verrà un colpo quando scoprirà tutto e il rimprovero è assicurato.
Sospiro sconsolata, perché in questo momento non mi importa niente di quello che potrà dirmi, la mia testa è concentrata solo su una persona e non c’è niente che mi faccia pensare ad altro.
È sbagliato, me ne rendo conto, pensare a lui, finché si trattava di una rispostaccia o di una brutta figura ci poteva anche stare, ma pensarlo in maniera così insistente non è normale, non nel mio caso almeno.
Sopratutto adesso che so chi è veramente, la differenza tra di noi è invalicabile.
Guardo il liquido della flebo scendere lento, al ritmo di un secondo, solo che invece di farmi venire sonno, mi procurano solo tanta noia e impazienza di andarmene da qui.
In questa stanza non c’è niente di interessante, solo qualche diploma di medicina, dei poster sul corpo umano, fogli e cartelle cliniche.
Sono incantata a guardare il vuoto quando, dalla finestra, una piccola e quadrata apertura, intravedo il pick-up nero di Garreth e lui che scende dal veicolo, scaricando un borsone nero dall’usura familiare.
Spalanco la bocca incredula dalla sua sfrontatezza, sopratutto quando lo porge ad Eric e mi rivolge a malapena uno sguardo fugace, per poi risalire in auto, scomparendo oltre la curva.
Aveva detto che sarebbe passato a prendermi, invece l’unica cosa che ha saputo fare è stata frugare tra la mia roba e lasciarmi qui.
Forse preferisce scaricarmi e non essere costretto a tenermi a casa sua, dal momento che non mi ha mai voluto, nemmeno nel suo villaggio.
Alla fine non è tanto diverso dalla maggior parte delle persone che ho conosciuto.

“E’ passato Garreth e mi ha lasciato questa per te.” posa la valigia a terra, avvicinandosi per ascoltarmi i battiti del cuore e per togliermi poi l’ago dal braccio. Tampona con un batuffolo di cotone il piccolo foro, tenendolo fermo con un pezzo di nastro adesivo bianco.

“Il tuo sangue si è ripulito, ma questo non vuol dire che puoi assumere altri farmaci né per la febbre, che...” misura la temperatura “è ancora presente: 38.” posa lo strumento e mi mostra una boccetta di plastica bianca con un’etichetta con scritto il mio nome sopra. “Né per questo bel tatuaggio.” ridacchia, indicandomi l’ematoma. “Potrai iniziare a medicarti credo a partire da…” ci pensa un attimo “Da domani.”

“Cosa?! Ma a me fa male.” mi lamento, guardandolo sconcertata.

Nel frattempo, mi infilo il maglione che era stato lasciato in fondo al lettino, rimanendomene seduta.

“Lo so, piccola, però credimi se ti dico che quella dose poteva far star male anche uno di noi.” mi poggia una mano sulla spalla, sorridendomi.

Annuisco sconsolata, per l’ennesima volta.

“Posso andare?”

“No, assolutamente. Non sei del tutto guarita e non puoi stare fuori con la pioggia e il freddo. Inoltre mi è stato ordinato di tenerti qui e ci starai fino all’arrivo dell’alfa.”

“E lui quando arriverà?” chiedo nervosa.

“Non lo so, in questo momento è molto occupato.” detto ciò, esce dalla stanza, chiudendo la porta.

Lo so che, in fondo, Eric sta solo eseguendo gli ordini, ma non posso fare a meno di avercela con lui, con Garreth e anche un po' con tutto il mondo.

L’alfa è molto occupato. L’alfa è molto occupato. L’alfa è molto occupato.

Borbotto infastidita, a mezza voce.

Non c’è bisogno che mi ripetano quanto lui sia importante, indaffarato, e quanto io e lui siamo così diversi; non sono scema, l’ho capito anche da sola ma non è una buona ragione per ripeterlo ogni santa volta.
Però, se tutti lo amano e lo lodano per come si comporta, per la sua attenzione verso tutti, perché non fa quello che mi aveva detto e mi viene a prendere?
In quanto umana, forse, non sono abbastanza importante per lui. Allora poteva benissimo evitare di disturbarsi tanto per me e lasciarmi dove mi trovavo.
Io sarei stata meglio e lui non avrebbe avuto di che preoccuparsi.
Scendo dal letto, sentendo le gambe stanche e indolenzite, mi affaccio alla porta per controllare che Eric non sia nei paraggi, non sentendo rumori, richiudo con molta cautela la porta, mi avvicino alla finestra, la apro e dopo aver scavalcato il davanzale, mi affretto ad allontanarmi prima che Eric si accorga della mia assenza e mi venga a riprendere.
Non ho la più pallida idea di dove andarlo a cercare, ma per fortuna il villaggio è piccolo e mi basterà girarlo tutto, per trovarlo.
Cammino sotto la pioggia, che si è intensificata, accompagnata anche da una bassa nebbia che sta, pian piano, coprendo ogni cosa, troppo dispiaciuta – e non so il perché – per sentire freddo o il dolore alla spalla, dato che ce n’è uno, di dolore, che inizia a fare molto più male e si dirama dal cuore lungo tutto il petto.
Incrocio le braccia al petto, mettendo un piede avanti l’altro, non guardando altro che la strada da percorrere, ignorando chiunque io incontri.
Sono stata all’edificio delle riunioni e al magazzino, ma non c’era; mi reco in piazza dove sono riuniti alcuni licantropi, che mi guardano con circospezione, benché sappiano perfettamente chi sono, ma di Garreth nemmeno l’ombra.
Sto iniziando a detestarlo seriamente e sto detestando anche me, perché è in grado di farmi comportare come una stupida, di farmi fare e pensare cose che non avrei mai creduto e sono uscita nonostante abbia ancora la febbre ma, si sa, quando uno è innamorato fa cose stupide.
Mugolo a voce alta, passandomi le mani sul viso per spostare i capelli e asciugarmi inutilmente dalla pioggia.
Vorrei evitare di tornare in farmacia, ormai se ne sarà accorto che sono fuggita e non ho voglia di sentire cose che già so, quindi, continuo a vagare senza meta, per le stradine del paese.
Sto per cambiare direzione, prendendone una totalmente a caso, quando dei movimenti e due persone a destra, catturano la mia attenzione.
Alzo la testa, concentrandomi sui due, riconoscendo all’istante la voce di Garreth ma non quella della donna.
Credo di averla incrociata qualche volta, ma non ci siamo mai presentate. È la stessa contro la quale mi sono scontrata la sera della festa a casa del licantropo.

“Per qualunque cosa, lo sai, mi puoi chiamare a tutte le ore.” le dice Garreth, in modo neutro.

Lei, in risposta, si tira dietro l’orecchio una ciocca di capelli neri e lisci, gli sorride grata, mostrando una schiera di denti perfettamente bianchi, con gli occhi lucidi, accarezzandogli una guancia.

“Grazie Garreth, sei sempre così tanto gentile con me.” e per finire, gli da un bacio dove prima aveva posato la mano.

Li guardo sconvolta, incapace di andarmene e infatti la donna si accorge di me, guardandomi con uno sguardo schifato e truce.

“E quella , che diavolo vuole?” domanda, facendo una smorfia con il viso, col tono di voce seccato.

Quando i suoi occhi incrociano i miei, si allontana dalla donna, e subito cambia espressione, indurendola.

“Amira, che ci fai qui?” mi chiede, tra lo stupito e l’adirato.

E certo, con me è sempre furioso ma con quella fa lo sdolcinato del cazzo.

“Dovresti essere in infermeria.” mi rimprovera, uscendo dalla tettoia e venendo verso di me.

Me ne vado prima che mi raggiunga.

Alle gocce di pioggia, si sono unite anche le lacrime e io non ho la forza per fermale.
La fitta al cuore si fa più forte, facendomi sentire una stupida per essermi fidata e per aver sperato in lui; lui che non mi ritiene importante, si dimentica di me e va con un’altra.

E poi, che cosa pretendo?!
Lui non ha mai detto o fatto qualcosa che potessi interpretare come un interesse nei miei confronti, quindi sono stata un’illusa se pensavo che potesse essere attratto da una come me.
Io, che sono SOLO un’umana.
Perché mi sono fidata? Come se l’ultima delusione non mi fosse stata già di lezione. Ci son dovuta ricadere di nuovo.
Se non altro, questa volta, non ho perso anni di vita ma solo tre settimane.

“Amira, aspetta!”

“Vai al Diavolo, Garreth!” non mi volto e continuo imperterrita per la mia strada.

Ad un certo punto, vengo girata bruscamente e tenuta ferma dalle sue mani e ciò intensifica il dolore alla spalla.

“Sì può sapere che cosa ti è preso?” chiede confuso, rincorrendo il mio sguardo.

Nel frattempo, come la mia rabbia, anche la pioggia sta aumentando d’intensità.

“Ah, adesso ti interesso, eh?!” ringhio, guardandolo malissimo.

“Che cazzo stai dicendo?”

“Sto dicendo che tu sei come tutti quelli che ho conosciuto! Non te ne frega un cazzo di me. Ti basta solo sapere che sarò ai tuoi ordini, che li eseguirò come un cagnolino ammaestrato perché tu sei il ‘Grande Capo’” mimo con le mani le virgolette. “e poi ti dimentichi che ti stavo aspettando in un cazzo di letto di infermeria!” urlo fuori di me per la rabbia e la delusione cocente.

Mi libero dalla sua presa e continuo a camminare più veloce, non sapendo dove andare per nascondermi da lui.
Mi prende per un polso, facendomi nuovamente voltare verso di lui.

“Amira, avevo delle cose da fare.” dice serio, non lasciandomi.

E mi odio, perché nonostante tutto, adoro sentirmi chiamare dalla sua voce.

“Sì, certo! Cose da fare con la mora!” sbraito.

“Ci sono cose che non puoi capire...” dice abbattuto, senza guardarmi nemmeno più negli occhi.

“Oh no, io ho capito benissimo invece!” cerco di non gridare, ma la rabbia è così tanta. “Sai che ti dico, Garreth?” mi libero dalla sua presa e lo guardo peggio che posso. “Vaffanculo!”

Mi allontano da lui, scappo più che altro ma senza correre purtroppo perché la caviglia non è ancora al massimo delle sue forze e mi rifugio nell’unico posto dove so di poter trovare qualcuno che mi è amico.

 

“Amira, ciao!” dice sorridente Jack, cambiando subito espressione quando vede che sono bagnata da capo a piedi.

“Ciao Jack, io...” lo guardo senza trovare le parole.

“Entra in casa, forza!” mi fa entrare, facendomi immediatamente togliere le scarpe e dandomi le sue ciabatte che mi stanno tre volte tanto. Mi accompagna in salotto, indicandomi il caminetto acceso e la piccola poltrona accanto dove potermi riscaldare e asciugare.

“Che ti è successo?” chiede premuroso, prendendo la coperta che si trova sul divano e mettendomela sulle spalle.

“No, non mi è successo niente… mi sono solo trovata fuori mentre è iniziato a piovere.” in fondo, è quasi la verità.

“Amira, odori di infermeria.” dice serio Jack, non ammettendo repliche da parte mia e ammutolendomi con lo sguardo. “Perché non vai a farti un bagno caldo e poi mi racconti cosa ti è successo?”

Mi sa che ai lupi non si può mentire.
Mi fa segno si seguirlo nel bagno dove sono già stata e dopo avermi fatta entrare mi dice di aspettarlo per poi vederlo comparire nuovamente con dei vestiti asciutti di Judy.

“Fai con calma. Io ti aspetto in salotto.” mi sorride prima di chiudere la porta e andarsene.

Mi guardo intorno, spaesata nel ritrovarmi in un bagno di una casa che non è la mia. Per un attimo mi pento di non essermene ritornata a casa di Anna, anche senza la porta d’ingresso, poi ripensandoci, so che Garreth sarebbe venuto sicuramente a cercarmi lì per riportarmi in infermeria ed abbandonarmici, quindi, convinta di aver fatto la scelta giusta, inizio a togliermi gli abiti bagnati e a farmi la doccia, anche perché Jack ha ragione: puzzo di ospedale e il piccolo foro sul braccio mi ricorda da dove sono appena scappata.
Sono più veloce di quello che avevo pronosticato e circa mezz’ora dopo ne riesco lavata anche se con i capelli ancora umidi.
Indosso un paio di pantofole che mi ha dato Jack e in punta di piedi per non fare rumore, ancora a disagio a muovermi in questa casa, mi incammino al salotto dove mi fermo sulla soglia.

“Entra pure, non ti mangio.” scherza Jack, dandomi le spalle, mentre avvia il fuoco.

“Sai Amira, l’alfa ci ha raccontato quello che hai fatto...” inizia, indicandomi una poltrona per farmi accomodare e sedendosi a sua volta; prende un ceppo dalla cesta di vimini e lo butta tra le fiamme che subito iniziano a consumarlo e a farlo scoppiettare.

“Ah...”

“E devo ammettere che hai avuto davvero tanto coraggio. Anche se è stato incosciente da parte tua scappare in quel modo nel bosco.” mi rimprovera bonariamente, come un qualsiasi padre potrebbe fare con la propria figlia.

E non come un pazzo isterico, sempre arrabbiato con me, come Garreth.

“Ero solo spaventata...” gli confido, trovandomi stranamente a mio agio con lui.

“Sì, posso capire.” annuisce. “Perché non rimani a cena? Poi dopo Judy ti può dare uno strappo a casa.” mi sorride.

Guardo per terra, cercando le parole.

“Ecco, io… in realtà ero venuta per parlare a Judy di una cosa simile.” dico a mezza voce, adocchiando nella direzione dell’uomo.

Jack sta in silenzio, in attesa che continui a parlare.

“Io… avrei bisogno di un posto dove dormire… stamattina Garreth mi ha sfondato la porta di casa e...”

“Che cosa ha fatto? E perché?” chiede stupito e confuso il licantropo, guardandomi con occhi spalancati.

Sentiamo dei passi e delle voci provenire dall’ingresso e poi li vediamo spuntare tutti in salotto. I bambini, dopo un primo momento di incertezza nel vedermi, mi salutano e iniziano a giocare, già abituati alla mia presenza. Judy, non appena mi vede, mi sorride raggiante, chiedendomi come mai sono qui, se voglio rimanere per cena – evidentemente l’ospitalità è proprio di famiglia – e, stupita, chiede perché stia indossando i suoi abiti.
La donna, al contrario, non appena mi vede, si ferma in mezzo alla stanza, con una strana espressione nel viso.

“E’ una storia lunga.” borbotto, a disagio.

Speravo di poterne parlare sola con lei, ma a quanto pare, lo dovrò spiegare a tutta la famiglia.

Perfetto!

“Amira, ti voglio presentare Elizabeth.” dice la mia amica, con un tenero sorriso sulle labbra.

“Salve signora Morrison.” dico con un filo di voce imbarazzato.

La donna si avvicina, con un gran bel sorriso sulle labbra e non appena mi è di fronte, mi abbraccia così forte che credo mi romperà un osso.

“Sono così felice di conoscerti! Anche se noi, ci siamo già viste!” le trema la voce mentre parla. “Non sai quanto ti sono grata per quello che hai fatto.” continua a stringermi ed io mi ritrovo praticamente senza fiato, ma ricambio l’abbraccio.

“Sono felice di conoscerla anche io, signora.”

“Oh, per l’amore della Dea Luna! Chiamami Elizabeth o Beth.” si stacca, cercando di nascondere gli occhi lucidi.

“Amira mi stava raccontando che il nostro alfa le ha distrutto la porta d’ingresso.” ridacchia Jack.

Judy ed Elizabeth mi guardano sconvolte e dopo una serie di domande, mi decido a raccontare più o meno nel dettaglio tutta la storia.
Alla fine, tralasciando il mio stupido e molto immotivato comportamento di fronte a Garreth e alla mora antipatica, tutta la famiglia, bambini esclusi che non hanno prestato la minima attenzione a quello che dicevo, troppo occupati a giocare tra loro, mi guarda a dir poco sconvolta, tranne Judy che è impassibile.

“Io...” inizio, dopo una breve pausa di imbarazzante silenzio. “Mi dispiace davvero tanto chiederlo, ma… solo per stasera, però… avrei bisogno di un posto dove dormire...” dico sempre più a bassa voce, giocando con l’elastico della manica della maglietta.

Non faccio in tempo a finire la frase che le voci di Judy, Beth e Jack si sovrastano, invitandomi a restare non solo per questa notte ma finché non sarà tornata Anna; la signora Morrison, si offre di chiamarla, ma riesco a farle rinunciare a un tale e suicida proposito, assicurandole che ci penserò io ad informarla di tutto.

Certo, come no!

Per poi vederla piombare qui, come una pazza squinternata.

Non voglio morire giovane.

Mi basta Garreth che mi vuole uccidere.

“Non ti preoccupare, cara, puoi stare da noi tutto il tempo che vorrai.” dice Beth, alzandosi e sorridendomi raggiante. “Forza, ragazze, aiutatemi a preparare la cena.”

Così dicendo, si incammina in cucina, io e Judy la seguiamo, aiutandola nel preparare da mangiare per tutta la famiglia.
E all’improvviso, mi ritrovo estremamente a mio agio con loro, a raccontare delle mie abitudini in Italia, a sentire le loro inglesi, circondata da due bambine circospette e da un bambino estremamente più curioso.
I primi due giorni trascorrono così alla svelta che quasi non me ne accorgo, i più piccoli si sono abituati abbastanza bene alla mia presenza che ormai mi vedano come una di famiglia, per Jack e Beth sono di grande aiuto quando loro o Judy sono indaffarati con gli incarichi dell’alfa e si arriva in un baleno alla sera che senza accorgersene è già ora di andare a dormire; io mi sento stanca, ma gli eventi di questi ultimi giorni non riescono a farmi rilassare o prender sonno.
Mi rigiro nel letto, sommersa tra le coperte calde, voltando il viso verso la finestra, guardando il giardino illuminato solo da una pallida e lontana luna, per lo più coperta da spesse nubi.
Sollevo la testa, sorreggendola con una mano, cercando un diversivo che mi faccia prender sonno, quando, tra le ombre oblunghe e distorte delle chiome degli alberi mossi dal vento, intravedo una figura in piedi.
Scatto in piedi, davanti alla finestra, col cuore in gola e le gambe tremanti, ma quando provo a mettere a fuoco non vedo più niente o… nessuno.

“Amira, che c’è? Ti senti male?” è la voce assonnata di Judy.

“Scusami, non volevo svegliarti.”

La sento muoversi tra la sua coltre di coperte e quando mi giro verso di lei, la vedo sollevarsi di poco, quel che basta per potermi guardare.

“Che ci fai in piedi?” chiede confusa.

“Io… niente, non riesco a dormire.”

C’è un attimo di silenzio, durante il quale credo che si sia addormentata.
Torno a guardare fuori, ma ormai di quell’ombra non c’è più traccia.

“Ehi, ti andrebbe un bicchiere di latte caldo e dei biscotti?” mi sento chiedere all’improvviso da una Judy in piedi e con la vestaglia indosso.

Non ci metto molto a risponderle e dopo essermi messa a mia volta una vestaglia, ci dirigiamo in punta di piedi in cucina, dove riscaldiamo due tazze di latte e iniziamo a mangiare i biscotti, in fondo che male potranno mai farmi, se non tirarmi su di morale?
Ce ne stiamo in silenzio, sorseggiando la nostra bevanda calda e smangiucchiando, quando, mi decido a porre alla mia amica la fatidica domanda.

“Tu la conosci la mora dagli occhi azzurri?”

“Chi, quella antipatica?!” chiede a sua volta Judy, sollevando la testa dalla sua tazza.

Fingo di non capire, ma sono estremamente contenta che stia antipatica anche a lei, vuol dire che non sono io quella che si è posta male nei suoi confronti.

“Se dici quella che fa il filo a Garreth, sì, la conosco.” risponde secca e inacidita lei.

Figurati io.

No! Non me ne deve importare niente.

Niente!

“Perché ti interessi di lei?”

“Così.” faccio spallucce, prendendo un biscotto dal barattolo. “Ho avuto quasi ‘l’onore’ di parlarci.”

“Non va a genio a molti, nel branco, ma suo padre era il beta del padre di Garreth e… il beta è la figura subito sotto l’alfa, in pratica.” mi spiega vedendo la mia espressione confusa. “Stavo dicendo… I loro padri erano alfa e beta, quindi per i buoni rapporti che c’erano tra loro, Garreth è costretto a mantenere queste apparenze.

Annuisco, poco felice della cosa, capendo adesso il motivo dei comportamenti di Garreth, mentre allungo una mano per prendere un altro biscotto.

“Comunque, non va molto a genio neanche a Garreth, infatti il suo beta è il marito di tua cugina. Ma, nonostante ciò, Julia, così si chiama, Miss-mi-do-tanta-importanza, si crede chissà chi e spera in un futuro con l’alfa.” immerge il biscotto nel latte, per poi addentarne un pezzo.

“Ah.” rimango con il cookies, l’ennesimo ormai, sospeso a mezz’aria.

“Non mi preoccuperei, fossi in te.” dice, con un mezzo sorriso sulle labbra.

“Infatti io non mi preoccupo affatto.” taglio corto, mettendo la tazza e il piattino nella lavastoviglie, seguita poi dalla mia amica.

Ce ne ritorniamo in camera, lei non fa nessuna fatica a prender sonno, io, al contrario, con la pancia piena e la testa pesante, non riesco a fare a meno di pensare a quello che mi ha detto.

 

La mattina mi risveglio con un gran mal di pancia e il mal di testa. Guardo il display del telefono per vedere che ore sono e noto che ho un messaggio.

‘Non potrai nasconderti da loro per sempre.’

Guardo pietrificata lo schermo, rendendomi conto che la figura che ho visto ieri notte, probabilmente era Garreth e che sa che io mi trovo qui. Spero solo che non li punisca per avermi dato asilo.

Perfetto.

Un bellissimo modo per iniziare la giornata.

Ci sarebbero anche altri messaggi, tra cui anche un paio nella segreteria telefonica, ma non ho nessuna intenzione di sentire le minacce o gli insulti di Garreth, ragion per cui, esco dal letto con tutta l’intenzione di vestirmi alla svelta per non perdere altro tempo ed essere di aiuto alla famiglia, trovando però solo le donne.

“Buongiorno Amira, dormito bene?” mi chiede Beth, bevendo dalla sua tazza.

“Sì, grazie.” sorrido a mia volta, mentendo.

“Vuoi fare colazione?”

Mi porto una mano sulla pancia, memore della notte agitata per colpa anche dei troppi biscotti mangiati.

“Mi basta del caffè, grazie.”

 

‘Howl
7 days to the wolves
Where will we be when they come
7 days to the poison
And a place in heaven
Time drawing near as they come to take us’1

 

Mi si gela il sangue nelle vene.
Le due donne si guardano spaesate intorno, poi capiscono che la fonte di tale strana musica è qualcosa di associato a me e si mettono a ridacchiare.

“Scusate, è il mio telefono.” borbotto imbarazzata.

“Complimenti per la scelta della suoneria.” mi dice Judy.

“E non rispondi?” mi domanda Beth.

“No, non è importante.” dico, gesticolando con la mano.

Le due donne mi guardano confuse ma appena la suoneria finisce, facendo piombare la casa nel suo silenzio naturale, tutto torna come prima, e io posso finalmente tornare a respirare con tranquillità.

“Io devo andare a lavoro, tu e Judy divertitevi.” ci dice Beth, raggiante, mentre afferra la sua borsa ed esce di fretta da casa.

“Ah, dimenticavo!” corre nuovamente verso di noi, affacciandosi in cucina solo con la testa. “Jack passava da casa di Anna a riparare la porta. Quindi lei non saprà niente.” mi manda un bacio al volo e scappa via.

“Ho delle cose da fare, oggi.” la mia amica mi porge la tazza con il caffè, ma mentre mi parla non mi guarda negli occhi. “Non ci metterò molto, tu fai come fossi a casa tua.” con un sorriso un po' forzato si allontana e dopo aver preso il cappotto dall'attaccapanni, se ne va.

Non mi ha dato modo di domandarle niente, ma il suo comportamento è molto sospetto. Vero che non la conosco da molto tempo, ma con me è mai stata così sbrigativa.
Cerco di non preoccuparmi anche di questo e dopo aver finito il caffè, decido di uscire per fare una passeggiata, benché ci sia la possibilità di incontrare Garreth, non voglio rinunciare alla mia, seppur minima, libertà.
Prendo il telefono solo per poter ascoltare la musica, dopo di che, esco di casa come al mio solito senza una meta precisa.

 

“Love's the funeral of hearts. And an ode for cruelty. When angels cry blood. On flowers of evil in bloom.”2

 

Bene, adesso ci si mette anche la mia playlist. Sembra una cospirazione contro di me.
Mi copro bene con la sciarpa, tirando fino in cima la zip del giacchetto, girovagando per le vie del paese, le mani in tasca e la testa bassa.
Mi sento molto meglio fisicamente rispetto a ieri, ma comunque sto uno schifo per come quel cretino di un lupo alfa si è comportato con me e per come io, me la sono presa.
Più cerco di non pensarci e più la mente mi riporta a quegli attimi.

Per qualunque cosa, lo sai, mi puoi chiamare a tutte le ore.” borbotto a mezza voce, imitando la voce del licantropo, sentendo la rabbia montare come la marea.

Puoi chiamare a tutte le ore… BLEAAAAH!!!”

Ma per favore! Si è almeno sentito?!

Ridicolo!

Dovrei pensare ad altro.

Devo pensare ad altro, ma non ci riesco e così facendo mi viene solo voglia di uccidere tutti gli uomini della terra e non credo che siano bei pensieri da fare.
Sospiro, sconcertata dei miei stessi ragionamenti.
Continuo a camminare, sentendo di tanto in tanto il volume della musica abbassarsi da solo, segno che qualcuno mi sta chiamando o mi sta mandando messaggi e che io, volontariamente, sto ignorando, quando, oltre alla melodia della canzone, sento, fin troppo vicino, una voce maschile che mi sta chiamando.

“Ehi, ehi… è così che saluti il tuo vecchio amico!?”

Il ragazzo lascia cadere a terra il suo borsone, spalancando le braccia e sorridendomi raggiante, come solo lui riesce a fare.

Spalanco la bocca, stupita di trovarmelo a pochi passi da me.

Oh Cristo Santo!

Edoardo!






*Angolino mio*
Le canzoni presenti sono:
1) Seven days to the wolves, Nightwish;
2) Funeral of hearts, HIM.

Non mi uccidete per un ritardo così lungo nella pubblicazione, sono stata imjpegnata nel ritorno a casa e nel trasloco... xD
Spero che il capitolo si adi vostro gradimento :-)
Vi auguro buone feste e di trascorrerle nei migliori dei modi <3 
Alla prossima ;-) 
un bacione, 
Nina 

  
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