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Autore: Giuf8    23/12/2018    3 recensioni
Perdersi è fin troppo semplice. Ritrovarsi è la parte difficile. Spesso da soli nemmeno ci si riesce.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Affogare

L'ago gli pungeva la pelle facendone scaturire piccole gocce di sangue che venivano sostituite dall'inchiostro nero come la pece. Piccole scariche di dolore si irradiavano dal suo avambraccio a tutto il corpo facendogli corrugare la fronte.
"Tutto bene? Vuoi che mi fermi? Sto lavorando da parecchio tempo" gli disse il tatuatore preoccupato.
"No, no continua pure" annuì Alec, la voce arrocchita dopo essere stato in silenzio tanto a lungo.
"Come vuoi" fece spallucce l'altro tornando al suo lavoro.
 
Una mezz'ora buona dopo Alec era di nuovo immerso nel marasma delle strade newyorchesi. Il freddo di novembre gli aggrediva le parti lasciate scoperte dal giacchino leggero facendogli gelare le mani e rendendo le dita insensibili. Esalò un debole sospiro che si condensò in una nuvola di vapore, rimase assorto a guardarla finché questa non svanì nel buio. Il flebile dolore che ancora avvertiva al braccio andava via via ad attenuarsi proprio come il suo respiro nella notte. Guardò corrucciato il braccio stringendo il pugno tanto da farsi sbiancare le nocche, le mezzelune delle unghie impresse nel palmo.
Una volta quel dolore gli bastava, bastava a farlo evadere dalla realtà in cui viveva, dalle pretese di perfezione, dagli sguardi di disapprovazione.
Una volta quel dolore bastava a non farlo affogare. Ora non più.
Alec non era più certo se stesse cercando solo di evadere.
Era perso.
Aveva sentito dire che era normale sentirsi persi a venticinque anni, che a quell'età lo erano tutti, ma lui sembrava esserlo più degli altri.
Tutto era iniziato quasi per gioco anni prima, non avrebbe saputo dire esattamente ne come ne quando. Tutto era nato solo con un innocente affronto nei confronti dei sui genitori.
Perché no, non sarebbe potuto partire per quel viaggio con Jace, il suo migliore amico, mancando alla festa di Natale che organizzavano ogni anno, lui non era andato, né in viaggio, né alla festa.
E no, la boxe non si addiceva al figlio maggiore di una delle famiglie più importanti e influenti d'America e lui inizialmente li aveva assecondati finché si era ritrovato coinvolto in combattimenti clandestini nei vicoli più bui di New York.
Per nessun motivo avrebbe potuto fare il poliziotto, sarebbe entrato in politica come suo padre e il padre di suo padre prima di lui, lui non aveva fatto l'accademia di polizia, ma appena compiuti i diciotto anni si era arruolato.
No, i tatuaggi erano solo per i teppisti non di certo per lui, una quantità di inchiostro sempre maggiore, di cui quella sull'avambraccio era solamente l'ultima aggiunta, era andata a rivestire la sua pelle pallida.
E sicuramente mai, mai in nessun caso il figlio di una delle famiglie più importanti d'America poteva essere gay. Mai.
Aveva sentito dire che ciò che fosse davvero importante per un genitore era la felicità del proprio figlio, quello effettivamente non valeva se eri il figlio di una delle famiglie più importanti d'America.
Alec non si illudeva, solo quando era adolescente si diceva che davvero non gli stavano bene tutte quelle imposizioni. Non che ora a venticinque anni gli stessero bene, ma in fondo La vacanza con Jace poteva benissimo organizzarla in un altro periodo, erano solo loro due in fin dei conti, non dovevano rendere conto a nessuno. La boxe non lo aveva mai davvero attirato, gli piaceva si, ma non quanto il tiro con l'arco.
Così come dipingere gli piaceva, ma, dentro di lui, sapeva di essere un leader, per questo in pochissimo tempo aveva rivestito uno degli incarichi più alti dell'esercito. Ai tatuaggi non ci aveva mai nemmeno pensato, non fino a quando gli erano stati vietati. Ma essere gay... Quello non poteva cambiarlo, non poteva fingere che gli piacesse qualcos'altro, ci aveva provato, più di una volta e no, non poteva farcela, Non sapeva fingere così bene.
E, ovviamente, quello era anche l'unico punto su cui i suoi genitori fossero intransigenti. Il motivo per cui gli stavano così tanto col fiato sul collo rispetto a sua sorella Izzy. Il motivo per cui erano così gelidi. Perché lo sapevano, eccome se lo sapevano, solo che non ne parlavano. Mai.
Alec in quel modo non trovava mai una valvola di sfogo, perché no, da brava famiglia quale erano nessuno avrebbe mai urlato tra le mura stantie della loro casa, non c'era bisogno di litigare.
Dio, quanto avrebbe voluto un bel litigio. Uno di quelli veri dove urli fino a farti esplodere le vene, di quelli in cui dici cose che non pensi davvero solo perché sei davvero molto arrabbiato, uno di quelli che ti lasciano ansante e sfinito che ti prosciugano da tutto: rabbia, dolore, incomprensioni. Invece Alec aveva soltanto due paia di occhi gelidi e schivi gesti di sufficienza con cui confrontarsi. Così era costretto a esplodere altrove e nulla riusciva mai davvero a lavare via la sua rabbia e il suo dolore.
Quelle ribellioni piccole o meno erano il suo modo per tentare di attrarre l'attenzione dei genitori, per suscitare in loro una qualunque emozione. O almeno quello era quello che gli avrebbe detto uno psicologo se solo ci fosse andato, era diventato molto bravo a psicoanalizzarsi.
Per molto tempo se le era fatte bastare, i suoi genitori si infuriavano e gli toglievano del tutto la parola per poi ritornare a rivolgersi a lui con quella gentilezza esagerata e terribilmente finta che lo faceva uscire di testa. Così ricominciava quel circolo vizioso che andava avanti da quando lui era abbastanza grande da riconoscere la sua omosessualità e capire che no, non era colpa sua, non era proprio una colpa, era così e basta. Non si sarebbe annullato per i suoi genitori, aveva provato ad avere delle storie, ma nessuna era mai durata abbastanza da poterla definire stabile o seria. Sapeva che poteva essere sfortuna, che non era facile uscire con uno come lui di nascosto, ma aveva sempre pensato che avrebbe incontrato una persona prima o poi che sarebbe passata sopra a tutto quello, o magari una persona per cui lui non avrebbe avuto paura di mostrarsi al mondo per quello che era.
Una corazza sempre più dura si formava intorno al suo cuore sempre più convinto che non sarebbe mai riuscito a trovare l'amore, quello vero. Non lo trovava a casa e sembrava non trovarlo in nessun altro luogo, i tentativi di Jace e dei suoi fratelli erano sufficienti solo a non farlo impazzire completamente, ma, per quanto Alec odiasse ammetterlo, non bastavano. Era così soffocante essere lui, annaspava per riuscire a tenere le testa sopra la superficie ma ogni giorno sembrava pesare un po' di più, ogni giorno sembrava sempre più attratto verso il fondo.
Il punto più basso lo aveva toccato quattro mesi prima, quando si era ritrovato a scopare, perché le cose bisogna avere il coraggio di chiamarle col loro nome, nel vicolo sul retro di una discoteca del quartiere gay con un tipo di cui nemmeno conosceva il nome.
Avrebbe voluto dirsi che non ci sarebbe ricascato, ma sapeva che sarebbe successo di nuovo ed era proprio quello che era successo.
Non importava quanto stesse male dopo, quanto si facesse schifo e come si sentisse solo un pezzo di carne usato, quei momenti in cui delle mani calde, labbra umide e un corpo sconosciuto sembravano prendersi cura di lui gli rendevano più semplice stare a galla, anche se solo per un po'.
 
 


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Questa non è ancora la storia che vi avevo promesso (parlo per quelle che hanno letto Heartbeat) è solo una breve parentesi di tre capitoli che pubblicherò ogni giorno fino a Natale. Un mio regalo, se vogliamo metterla così.
È una scrittura più introspettiva rispetto al solito, spero che non  vi risulti pesante e che vi piaccia comunque. È un Alec un po’ diverso rispetto a quello che sono io stessa abituata a immaginare, ma credo e spero di non essermi allontanata troppo dal personaggio “vero”.
Un abbraccio a tutti, a domani
Giuf8
   
 
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