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Autore: Alice_g1    23/12/2018    3 recensioni
Lentamente la cercai.
Consapevole che quel gesto, mi sarebbe costato molto caro.
Ed eccola li, più bella di come la ricordavo, più donna di quanto avrei voluto.
Sana, la mia Sana, stretta in un vestitino che, in un passato non poi così tanto remoto, mi avrebbe fatto salire il sangue alla testa.
Tutto di lei mi sembrava diverso, eppure, non sembrava fosse passato nemmeno un secondo, dall’ultima volta che l’avevo stretta tra le mie braccia.
ESTRATTO DAL CAPITOLO 16
Ho deciso di cambiare il rating in arancione su richiesta di alcune di voi =)
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Sana/Akito
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Eccomi tornata Carissimi miei, ovviamente con un ritardo spaventoso, ho scritto questo capitolo un milione di volte, ma poi un ispirazione nuova mi colpiva e correvo a cancellare e ricominciare tutto d’accapo e questo ha spaventosamente ritardato ogni cosa, ho deciso di dividere questo Epilogo in due parti ( sto già lavorando alla parte due non dovrei farvi aspettare molto), mi sono ripromessa di lasciare questa storia nel 2018 e voglio farcela!
Vi ringrazio dal profondo del cuore per essermi stata accanto in questa avventura che si è protratta all’infinito!
Non mi perdo in ulteriori chiacchere, vi voglio bene e vi auguro un felice Natale!
WE LOVE YOU
LallyQueen
Alice <3 

 







 
Ti odierò se potrò,
altrimenti ti amerò mio malgrado.

( Ovidio)

 

 

Correvo, correvo come non avevo mai fatto prima di allora, ogni passo, ogni movimento, ogni respiro, mi riportava alla mente tutte le tappe di quel viaggio incasinato e sofferto che era stata la mia vita, la mia infanzia solitaria, l’indifferenza della mia famiglia, la mancanza di una madre, i problemi a scuola, la mia insofferenza verso la vita, la stessa vita che lei mi aveva donato, per poi strapparmela brutalmente, gli anni del liceo con gli amici di sempre, fino a quel giorno, gli equilibri spezzati, i tradimenti, il dolore, la solitudine, la voglia di ricominciare ed andare avanti lo stesso, le notti spese a pensarla, a rimpiazzarla con un'altra che non sarebbe mai stata lei, i lunghi sfoghi con l’unico amico che mi era rimasto, le interminabili corse per cercare di togliermi il suo profumo dalla testa, i successi scolastici, quelli sportivi, ogni mio fallimento, ogni mia vittoria la dedicavo a lei, lei era sempre con me, per quanto mi impegnassi non riuscivo proprio a scrollarmela di dosso, lei, la mia condanna, la mia croce.
Scivolavo nel freddo tramonto di Tokyo pregando che non fosse tardi, che non fosse troppo tardi, era la mia ultima possibilità, l’ultima occasione di riprendere in mano la mia vita ed essere finalmente felice….
I miei piedi protestavano, il mio cuore batteva a ritmi eccessivi, lo sentivo in gola, mi rimbombava nella testa, ma non avrei permesso che il mio corpo mi tradisse proprio ora, proprio ad un passo dalla soluzione di tutti i miei casini, avrei lottato, avrei urlato, supplicato in ginocchio se fosse stato necessario, qualunque cosa pur di riaverla con me.
Sentivo le lamentele dei passanti, le loro imprecazioni contro di me, il pazzo che correva per riacchiappare il suo destino, se mi avessero conosciuto, se avessero ascoltato la mia storia, forse sarebbero stati più clementi?, io al posto loro lo sarei stato?, infondo non c’era mai stato niente di romantico, ne di eroico in tutta questa vicenda.
Pensai a noi, a tutti noi, non eravamo stati altro che pezzi di un puzzle difettato, ci eravamo dannati nel tentativo di far andare le cose come dovevano, ma non ci eravamo riusciti, nessuno di noi ce la aveva fatta. Cerano Tsu e Hisae, la loro unica colpa era stata non capire che amavano senza essere corrisposti, Gomi e Aya avevano scelto l’amore, quell’amore che non si guarda indietro, quell’amore che non ammette repliche, quell’amore che ti costringe a  mietere vittime in nome di una causa più grande, troppo egoisti, o forse, troppo coraggiosi per essere compresi, e poi c’era Fuka…la mia piccola Fuka, quanto male le avevo fatto, mi resi conto solo in quel momento mentre correvo come un pazzo per raggiungere un'altra che lei aveva sempre sofferto per colpa mia, da quando avevo poco più di 5 anni e scommisi con i miei amichetti che avrei baciato una qualunque bambina per qualche caramella, scelsi lei, vittima predestinata del mio immenso egoismo, allora non sapevo che quello stupido episodio avrebbe rovinato il suo amore con Takaishi, mi aveva odiato con tutta se stessa e io non so cosa avrei dato perché avesse continuato a farlo, se il suo cuore non avesse deciso di amare me, l’unico che non sarebbe mai riuscito a ricambiarla.
Ci provai con tutto me stesso, per due anni pensai perfino di esserci riuscito, quante notti mi ero addormentato tra le sue braccia e credevo di poter sopravvivere cosi per sempre, forse il problema era proprio quello, che io non volevo sopravvivere, io volevo vivere, e non avrei mai potuto farlo con lei al mio fianco, non avrei potuto farlo con nessun’altra se non con Sana, infondo era stata l’asse su cui ruotava tutta la mia vita da quando avevo undici anni, era più forte di me, più forte della mia stessa volontà, la volevo, l’avevo sempre voluta, non importava cosa questa corsa disperata avrebbe causato, non mi importava cosa mi lasciavo alle spalle, tutto il mio corpo, dalla punta dei capelli alla punta dei piedi mi spingevano a continuare.
Finalmente lo vidi, era li davanti a me, poche falcate e l’avrei raggiunto, l’ultimo ostacolo che ci separava, una volta superato, niente sarebbe più stato lo stesso.

 
 

TRE GIORNI PRIMA….
 
 
< Sto andando al Grow, Ryan deve parlarmi della nuova sceneggiatura!, chiamami quando hai finito con tuo padre > sorrido ricacciando il telefono in tasca, non potevo fare a meno di farlo ogni volta che la mia mente si soffermava anche solo un secondo a pensare a lei, quella ragazza che aveva completamente cambiato la mia vita, quella ragazza dai capelli rame, la mia ragazza.
Pensare a lei mi aveva fatto ricordare di mio padre e a quel segreto che inconsapevolmente condividevamo, volevo sapere, volevo capire chi era quella donna, Nicole…perché si erano lasciati?, cosa li fece allontanare?, e soprattutto volevo capire perché mio padre, il determinato maniate di Hollywood non era riuscito a tenersi stretta la donna che amava.
Camminavo tra le strade affollate di New York con una nuova spinta emotiva, dovevo sapere!
Dopo aver scoperto il suo segreto non avevo più avuto modo di incontrarlo, le nostre conservazioni di limitavano a qualche sporadica email, fu per questo che la sua chiamata mi stupii non poco, il nostro rapporto non era mai stato granché, in realtà, quando scoprii le origini della mia famiglia biologica non mi tolse ne mi aggiunse niente, ero cresciuto da solo e da solo avrei continuato la mia vita, avevo smesso di soffrire per quella mancata presenza tanto tempo fa, tuttavia una parte di me sperava che una volta aperto il discorso Nicole le cose tra noi migliorassero o che almeno, potessimo conoscerci un po’.

“ Si?”
“ Sono io papà…Naozumi”
“ Entra”
Il suo ufficio mi dava sempre la stessa impressione, tanto curato quanto freddo, lo rispecchiava perfettamente, un enorme spazio pieno di stile ma senza sentimento, non riuscii mai a comprendere a chi diavolo io assomigliassi, prima di conoscere mia madre ero certo di essere come lei, ma con il tempo scoprii che lei era ancora più meschina, due aridi consumati dal tempo e dall’ambizioni, sperai con tutto me stesso che non fosse una tarla genetica.
“ Ciao figliolo”
“ ciao papà”
“ Ti ringrazio per essere venuto con cosi poco preavviso”
“ Che succede?” sorrise beffardo mi conosceva, e conosceva il nostro rapporto, non c’era spazio per convenevoli tra noi, ne un come stai, ne un abbraccio, ne un come te la passi.
“ Ti ho chiesto di venire per farti visionare un copione” ecco appunto.
“ di che si tratta?”, guardami sono tuo figlio maledizione.
“ Un nuovo progetto a cui sto lavorando da un po’ e vorrei che tu, anzi, che voi partecipaste”
“ Voi?”
“ Tu e la tua ragazza”
“ Sana papà…si chiama Sana”
“ Lo so  come si chiama” meschino
“ E quindi?”
“ Quindi cosa?”
“ Che progetto sarebbe?”
“ Un progetto grandioso figliolo, abbiamo già firmato con una produzione milionaria di Hollywood, un contratto per tre film, musical, premier e un tour promozionale in tutto il mondo, e vorrei che tu e Sana foste nel mio team, come attori protagonisti naturalmente”
“ naturalmente”, l’unico erede maschio del grande Gary Hamilton che lavorava con papino, ero consapevole che voleva aiutare la mia carriera solo per ripagarmi degli anni in cui mi aveva lasciato da solo a crescere come un figlio bastardo che nessuno voleva.
“ che ne pensi?”
“ devo pensarci”
“ ovviamente…sottoponi la questione anche alla tua ragazza e al suo manager, è un occasione da non perdere”
“ Immagino ”
“ Fidati, questa cosa vi consacrerà definitivamente come star internazionali”
“ ci penserò…quanto tempo abbiamo per decidere?”
“ Non molto…una settimana, non di più”
“ Okay”
“ Ottimo”
“ Chi è Nicole?”, sussulta
“ Cosa?”
“ Non cosa….chi”
“ Non conosco nessuna Nicole, ora dovresti andare…ho una riunione”
Scuoto la testa rassegnato, era inutile, era sempre stato inutile con lui.
“ Era la mia ragazza”
Mi inchiodo sul posto con l’orecchio teso.
“ La conobbi a Londra nell’autunno del 1982…ero solo un giovane aspirante sceneggiatore pieno di ambizioni e boria, Nicole…era tutto l’opposto di quello in cui credevo, tutto l’opposto di quello che ero.
Nutrivo quotidianamente il mio orgoglio convinto del mio talento, niente mi sembrava mai abbastanza, ricercavo la perfezione ovunque, ricercavo la sfida in ogni situazione, lei invece era cosi…ingenua, peccava continuamente di ingenuità, quell’ingenuità che però ti scalda il cuore, in ogni minima cosa, dal più piccolo filo d’erba, al profumo di un vecchio libro, lei vedeva la bellezza, la felicità…mi innamorai perdutamente, senza possibilità di scampo…suona stupido lo so”

“ No”, non era stupido, lo capivo in pieno, era successa la stessa cosa a me, con Sana.
“ Fu un amore folle, ma poi…”
“ ma poi?”
“ me ne andai”, strinsi con forza i pugni, meschino! Io non avrei mai anteposto me stesso all’amore, se avessi dovuto scegliere tra me e lei avrei sempre scelto lei “ allora non la meritavi”
“ Lo so”, per la prima volta lo guardai negli occhi, nel suo sguardo solo dolore, puro dolore, e il mio cuore perse un battito, era destabilizzante vedere un uomo cosi grande, diventare cosi minuscolo al ricordo di un amore finito, ma mai dimenticato.
“ cosa successe il 14 giugno?”
“ Nicole aveva avuto un offerta di lavoro…era un abile pittrice e il mondo doveva conoscere il suo talento, la spinsi con tutte le mie forze ad accettare, sapendo che questo ci avrebbe diviso”
“ Perché non sei andato con lei?...perché?”
“ Perché avvolte l’amore non basta”
“ cazzate”
“ Forse le sono…io volevo solo che lei fosse felice, e sapevo che se fosse rimasta con me, se avesse scelto me, non avrebbe potuto realizzare i suoi sogni”
“ E tu i tuoi, no?” meschino due volte
“ Si…il nostro amore non ci sarebbe bastato, ci saremmo amati sempre, ogni istante, ma per ogni giorno pieno d’amore, c’è ne sarebbero stati due pieni di odio, lei mi avrebbe bloccato e io, avrei bloccato lei, un istante prima di salire su quel treno, me ne resi conto, e bastò uno sguardo per capire che anche lei aveva compreso…non disse niente, mi sorrise con gli occhi lucidi e mi baciò…quando tornai nell’appartamento che avevamo condiviso trovai quel libro”
“ Lettere a Milena” lo dissi sottovoce più a me stesso che a lui.
Annuii, “ In mezzo trovai il mio biglietto, sapeva già che non sarei andato con lei”
Sentii un fortissimo nodo formarsi alla gola.
“ So a cosa pensi”
“ No, non lo sai”
“ Credimi…lo stesso sguardo che mi stai rivolgendo l’ho visto impresso allo specchio per molti, molti anni…ero giovane, pieno di speranze per il futuro, non compresi, io…non capii”
“Che con il tuo egoismo l’avresti persa?” incalzo sarcastico.
“ Che niente mi avrebbe mai più reso felice, felice come quando ero con lei…sono cose che capisci con il tempo, con l’esperienza, con i successi e i fallimenti, ho perso l’amore della mia vita Naozumi, sei troppo giovane per capire le mie parole, ma una cosa voglio dirtela”
Lo guardo…in attesa
“ L’amore non ha una sola faccia, ne un solo colore, si può amare da impazzire e non essere mai corrisposti, si può essere amati ma non amare mai, ci si può dannare senza via d’uscita, o trovare una via d’uscita solo amando, il primo amore non è detto sia l’ultimo o che non si dimentichi mai, si può stare insieme ed essere l’uno l’appiglio  dell’ altro, può esserci sentimento senza passione, o passione senza sentimento, e poi c’è quell’amore…dio quell’amore, non tutti possono averlo, non tutti sono destinati a trovarlo…sono in pochi loro”
“ Loro?”
“ I predestinati, le anime gemelle, quegli esseri che nonostante faranno o diranno qualunque cosa, saranno per sempre legati, non per forza insieme, ma mai divisi…Ho amato Nicole dal primo istante e l’amerò fino all’ultimo giorno, la terrò sigillata nel mio cuore e so che se dovessi rincontrala non sarei in grado di fare altro che stringerla a me, nonostante il male che mi ha fatto, che ci siamo fatti…Tu credi di averlo mai provato?, credi di poterlo comprendere un amore cosi?”
Certo che si, lo capivo, era esattamente quello che provavo per Sana, lei era senza ombra di dubbio la mia metà “ Si papà…lo comprendo”
“ E credi che Sana provi lo stesso per te?”, sobbalzai, non mi ero mai posto quella domanda, infondo, io ero nato per amarla, lei lo aveva imparato, con il tempo, con l’impegno, io la consideravo la mia anima gemella, ma era mai stata una cosa reciproca?
“ Non lo so”, e non lo sapevo davvero.
Sorrise amaramente e lessi nei suoi occhi, un profondo rammarico
“ Penso che tu lo sappia già…non credi?”
“ Che vorresti insinuare papà?” sorride di nuovo, e lo vedo avvicinarsi a me, mi stringe a se in un maldestro tentativo di abbracciarmi, non so se sono più sorpreso da questo gesto o dalle parole che mi sussurra all’orecchio, “ Non si può forzare il cuore figlio mio, il cuore, se ama, lo fa alle sue condizioni,”
Scoglie la presa dandomi una leggera pacca sulla spalla, “ Buona fortuna figliolo”
“ Ora devo andare”,
“Nao?”
“Cosa?”
“ Si felice”
Mi chiudo la porta dell’ ufficio alle spalle, sento il bisogno incalzante di incamerare nuovo ossigeno, avevo finalmente conosciuto mio padre, ma a che prezzo? mi rigettai tra la folla, di nuovo libero di respirare, il suono di protesta di un taxi mi spinge a muovermi, continuo a camminare per ore non sapendo bene dove andare, la mia mente sta per esplodere dai mille pensieri, penso a mio padre, a Nicole, al loro sentimento sprecato, al mio amore per Sana, al suo mai del tutto ricambiato, Si felice, è questo che vuole che faccia, essere felice…come avrei mai potuto esserlo senza di lei?, e lei? Sarebbe mai potuta essere felice senza di me?, una lacrima salata bagna le mie labbra, consapevole che la risposta a quella muta domanda stava assumendo la forma di due grandi occhi ambra…
 
 
 


 

Cinque giorni che ti ho perso,
Quanto freddo in questa vita ma tu,
non mi hai cercato più.
Troppa gente che mi chiede
scava dentro la ferita
e in me
non cicatrizzi mai…
 


 
< Il cliente da lei chiamato potrebbe avere il terminale spento si prega di riprovare più tardi> sbuffo scorrendo l’infinità di chiamate senza risposta, dove cavolo era finito?
Iniziò a salirmi un po’ d’ansia, erano passate ore da quando ci eravamo salutati in quel bar e avevo visto lei corrergli dietro, che fosse finita bene e stessero risolvendo finalmente i lori problemi?, che fosse finita malissimo e si stesse autodistruggendo?, la sola idea mi fa rabbrividire, la suoneria del cellulare mi fa subito scattare, finalmente è…merda! Fuka.
Ignoro la chiamata inviandogli l’ennesimo messaggio
< AKITO DOVE CAZZO SEI? LA TUA RAGAZZA CONTINUA A CHIAMARMI, VAFFANCULO RISPONDI! >
Elimino la miriade di chiamate perse sapendo che appena quell’idiota si degnerà di rispondere, avremmo dovuto trovare una gran bella scusa da rifilare a Fuka e Hisae…
Non faccio in tempo a riporre il telefono che arriva un nuovo sms, giuro che lo ucciderò!
<< E’ stato bello conoscerti…fatti sentire se ti va, un bacio Yume >>
Yume?, non ricordavo di averle dato il mio numero, farmi sentire se mi va?, mi andava?, ovviamente no! non mi andava di fare niente di diverso da quello che facevo sempre, uscire con i miei amici, bere una birra con Akito, divertirmi con qualche bella donna, niente di più, niente di meno, cancello il messaggio senza pensarci due volte, non avevo la minima intenzione di instaurare un rapporto con nessuna ragazza fuori dalle quattro mura di una camera da letto, non riuscivo a superarla, non riuscivo a dimenticare il mio passato, ogni volta che provavo a farlo, l’immagine di Lei mi si ripresentava davanti, se le cose non fossero andate a puttane a quest’ora sarei sposato, a quest’ora, sarei un marito, e invece mi ritrovo a schivare le attenzioni delle donne come fossero proiettili.
Inizia a fare buio e nonostante sia sabato sera Tokyo sembra intenzionata ad andare presto a dormire, sbuffo maledicendo per l’ennesima volta il mio migliore amico per avermi cacciato in questo casino pazzesco, vorrei tornare a casa ma non vorrei peggiorare la situazione trovandomi davanti quelle due incazzate come iene, senza uno straccio di alibi per spiegare la mia sola presenza, decido di avviarmi verso casa di Akito sperando ti trovarlo li, pregai di avere la copia delle sue chiavi con me, se non l’avessi trovato, almeno mi sarei potuto nascondere, l’ennesimo suono,
<<Sei libero stasera? Ci vediamo? S.>>  sorrido, digitando velocemente un messaggio di scuse, emergenza Akito dobbiamo rimandare, Saori sapeva ogni cosa, era l’unica donna con cui ero stato che non avevo mandato al diavolo, ci eravamo conosciuti una sera in un ristorante, io e Akito stavamo cenando quando si avvicinò a noi, spudorata come nessun’altra prese una sedia e si versò un bicchiere di vino, ci guardò a lungo poi chiamò il cameriere e ordinò una zuppa, interdetti continuavamo a fissarla finché si mise a raccontarci una serie infinita di barzellette sconce, più o meno divertenti, quando il ristorante si svuotò e ci invitarono gentilmente a levarci dai piedi, lei uscii con noi prendendoci sotto braccio, camminammo per un tempo infinito finché arrivammo davanti al portone di casa sua, ci salutò abbracciandoci e se ne andò, parlammo di quella ragazza per giorni, interrogandoci su chi fosse e che cosa diavolo volesse da noi, la rincontrammo poche settimane dopo, sempre nel solito locale, seduta al solito tavolo, con due bottiglie di vino e un raggiante sorriso, fu cosi assurdo, parlavamo di tutto e di niente, era diventato il nostro insolito e tradizionale incontro, sapevamo solo il posto e l’ora, ogni volta con un sorriso sempre più splendente, ogni volta con una bottiglia in più sul tavolo, in quel modo assurdo diventammo amici, Fuka e Hisae non sapevano di lei, non avrebbero capito, una bellissima sconosciuta che si intratteneva con noi per intere serate, tenemmo questa cosa per noi, non c’era niente di male infondo, ma nessuno avrebbe capito, una notte ci ritrovammo a casa sua, aprii un numero imprecisato di bottiglie di alcolici e per la prima volta raccontammo a qualcuno che non fossero i diretti interessati la nostra storia, io gli raccontai di Aya, Akito di Sana, ci ascoltava in silenzio, annuendo ogni tanto o commentando con qualche imprecazione poco femminile, alla fine ci guardò e iniziò a ridere continuando a ripetere come una cantilena, “ Lo sapevo, me lo sentivo!, avete il cuore spezzato e chi meglio di una sconosciuta può darvi conforto?”, scoppiamo a ridere e da quel giorno era diventata la nostra più cara amica, certo non potevo negare che un po’ mi piacesse, era dannatamente sexy, un fisico asciutto ma con le forme al posto giusto, grandi occhi azzurri e lunghissimi capelli neri corvino, già, era quella la mia unica prerogativa, nessuna ragazza che avesse i capelli castani!, mi ricordavano dolorosamente Lei, sapevo che  non avrebbe avuto importanza il colore delle loro chiome, nessuna avrebbe potuto ricordarmi lei, perché nessuna sarebbe mai stata lei, ma era più forte di me, mi piaceva la sua compagnia, potevo essere me stesso senza nascondermi, potevo dare libero sfogo alle mie frustrazioni senza essere commiserato, quando la mancanza o il ricordo si faceva prepotente correvo subito al suo citofono, e finivamo a letto insieme, nessuno dei due era innamorato dell’altro, era solo…la mia migliore amica.
<<
Ancora Sana?>>, scuoto la testa e rispondo << E’ sempre Sana >>.
Giro la chiave nella toppa, apparentemente la casa sembra vuota, lo chiamo diverse volte ma nessuna risposta, dove cavolo era andato a finire? Un ombra all’angolo del salotto mi fa sobbalzare spaventato, afferro un candelabro e accedo di scatto le luci, pronto a colpire lo sventurato intruso.

“ Akito?”
La scena che mi si para davanti mi lascia non poco confuso, un vaso frantumato in mille pezzi, alcuni sopramobili riversi sul pavimento e lui rannicchiato a terra con le spalle al muro, una bottiglia quasi finita di Whisky stretta con forza, la camicia stropicciata, i jeans semi abbottonati, i suoi occhi dicevano solo una cosa, lei lo aveva lasciato…di nuovo!

“ Akito…?”
“ Se ne andata”
Mi siedo al suo fianco, togliendogli la bottiglia dalle mani e bevendo un lungo sorso
“ Forse è giusto cosi”, ero stanco di vederlo soffrire, il suo sguardo si posa su di me, riappropriandosi del Whisky.
“ Io la amo Tsu”,
“ Dovresti smetterla”
“ Non posso”
“ Lo so”, conoscevo i suoi sentimenti, li conoscevo da sempre, erano gli stessi di quando eravamo due ragazzini cotti della stessa ragazza, io l’avevo dimenticata, Lei me l’aveva fatta dimenticare, ma per lui, per loro, era sempre stato diverso, il ragazzo A, la ragazza S, vittime e carnefici di loro stessi, non avrei mai dovuto chiedergli di smetterla, di smettere di amare quella donna che l’aveva salvato e distrutto un infinità di volte, era come chiedere al sole di smettere di brillare, era impossibile! Al cuor non si comanda infondo e lui non era mai stato padrone di farlo.
Il suono del mio cellulare si propaga nella stanza per l’ennesima volta, sapevo già chi fosse, guardai il display e lo girai verso di lui chiedendogli un muto consenso su cosa fare, annuii e risposi senza sapere bene cosa dire.

“ Fuka…ciao”
“ Ciao?, è tutto quello che hai da dire?, mi stai prendendo in giro Tsu?”, avrei voluto risponderle che se qualcuno la stava prendendo in giro, quello non ero di certo io.
“ Scusa…avevo messo il silenzioso”
“ Ci avete fatto preoccupare, dovevate uscire per una birra e sono passate ore…dove sei?...Akito dov’è?”
“ E’ qui con me”
“ Passamelo, quell’idiota ha il telefono spento”
“ Ora è…”
Finalmente sembra riprendersi dal torpore e mi toglie il telefono dalle mani.
“ Fuka”
“ Stai bene?”
“ Sto bene”, disse in una smorfia, certe bugie le puoi dire solo attraverso una cornetta.
“ Va bene ciao”
“ Stanno venendo qui…vado a fare una doccia”
“ Okay”, mi alzo trascinandomelo dietro, vorrei potesse bastare cosi poco per aiutarlo, vorrei potesse bastare solo tendergli una mano, per metterlo in salvo.
 
 


 
Faccio male anche a un amico
che ogni sera è qui,
gli ho giurato di ascoltarlo,
ma tradisco lui e me
perché quando tu sei ferito non sai mai,

oh mai
se conviene più guarire

o affondare giù,
per sempre!

 
 
Dopo un infinità di balle pensate mentre rimettevo in sesto la sua casa, Hisae e Fuka si calmarono e decidemmo di finire quella maledetta serata davanti ad un film, ogni tanto lanciavo degli sguardi al mio amico, giaceva inerme sul divano, spento, svuotato, agli occhi degli altri sembrava solo molto interessato alla pellicola, ma io sapevo che in realtà, non stava minimamente prestando attenzione a quello che gli accadeva intorno, conoscevo quello sguardo, lo avevo visto ogni volta che lei non capiva, ogni volta che sceglieva un altro, ogni volta che il suo ottuso egoismo lo condannava ad affrontare la sua vita da solo, lo stesso sguardo lo avevo avuto anch’io per giorni, settimane, mesi da quando Lei mi aveva lasciato, allungai un braccio senza farmene accorgere e gli strinsi forte la mano, volevo confortarlo, volevo che capisse che gli sarei sempre stato vicino, che avrebbe avuto la mia spalla a sua disposizione in qualsiasi momento ne avesse avuto bisogno, lui lo aveva fatto con me, era ora di rendere il favore, continuò a guardare davanti a se, non una parola, ne uno sguardo, ma sentii chiaramente la sua mano tremante ricambiare la mia presa…
 
 
 
Amore mio come farò, a rassegnarmi a vivere
e proprio io che ti amo ti sto implorando
aiutami a distruggerti.
 
 

Nel momento esatto in cui sentii lo stridente suono delle ruote toccare il suolo, un enorme senso di disagio mi colpii in pieno, non volevo tornare, non volevo essere di nuovo qui, accarezzai piano il viso della donna che stava dormendo al mio fianco, sarebbe stata dura, tremendamente dura, ma avrei fatto di tutto pur di proteggerla dallo schifo che ci circondava, per due lunghissimi anni non avevamo fatto altro che nasconderci come delinquenti, soli, in una terra straniera che pian piano ci aveva accolti come figli, senza mai giudicarci, senza mai ripudiarci.
Per tutta la durata del volo cercai dentro di me la forza per affrontarla, lo slancio per difenderci dagli sguardi di quelli che una volta erano persone a noi care, pregai con tutte le mie forze che quei pochissimi giorni volassero in un secondo e senza troppi problemi.
La luce accecante di Tokyo ci colpii in pieno non appena uscimmo dal gate, immediatamente cercai la mano della donna che amavo, e lei mi sorrise, lo aveva sempre fatto, qualunque fosse il problema lei mi regalava un dolcissimo sorriso e tutto il marcio si ridimensionava fino a sparire, la amavo, dio se l’amavo, per mesi mi consumai nel dubbio, dubbio che per lei non fosse che un gioco, un passatempo per staccare da quella relazione cosi lunga, il tarlo della gelosia mi aveva messo in ginocchio cosi tante volte che ancora ora al solo pensiero, sento le gambe tremare, richiamai l’attenzione di un tassista che si affrettò a prendere le nostre valigie, era fatta, non potevo più tornare indietro.
Il traffico scorreva lento come sempre, e questo mi dava modo di osservare tutto quello che era cambiato da quando ce ne eravamo andati, mi chiedevo se anche loro, i miei amici, erano cambiati insieme alla città.
Tsu, Hisae, Fuka perfino Akito erano rimasti sempre i soliti?, facevano sempre la stessa vita?, andavano sempre nei soliti posti?, erano legati come allora?, e soprattutto, la domanda che mi tormentava da due lunghi anni, ci avevano perdonato?


“ Amore siamo arrivati”,  mi ridestai dai miei pensieri e potei constatare che il vecchio quartiere dove prima vivevo era rimasto sempre quello, curato nei miei particolari, ogni albero, ogni giardino, risultavano cosi dannatamente perfetti.
Bussai un paio di volte, per niente pronto ad affrontare quel momento.

“ Gomi”
“ Mamma”
“ Sei qui”, non un filo di felicità o commozione nella sua voce.
“ Sono qui”
“ Ciao Aya”
“ Salve signora Shinichi”
“ Entrate”
“ Come sta Satoshi?”
“ Meglio…qualche giorno e tornerà a casa”
“ Bene”, se stava bene perché sono qui?
“ Posate le valigie, vi preparo qualcosa da mangiare”
“ Preferirei andare prima da mio fratello” ero venuto per questo no?
“ Come vuoi”
Tornare nella mia vecchia camera fu una sensazione strana, quante volte mi ero addormentato soffocando la rabbia contro i cuscini, quante volte mi ero sdraiato tra quelle lenzuola al fianco della donna che sapevo di non amare, quante notti avevo stretto cosi forte i pugni per reprimere il senso di colpa verso il mio più vecchio amico, dovevo uscire immediatamente da li.
Decisi di andare a piedi, dovevo schiarirmi le idee e soprattutto scaricare tutta quella tensione che avevo provato tornando in quel maledetto posto.

 
 
 
Cinque giorni che ti ho perso,
mille lacrime cadute, ed io,
Inchiodato a te

tutto e ancora più di tutto
per cercare di scappare,
ho provato a disprezzarti

A tradirti a farmi male.
 
 
 
 
Quando lasciai l’ospedale faceva già buio, il silenzio regnava intorno a me, solo qualche rumore di clacson che riecheggiava da lontano mi faceva compagnia, se il rapporto con i miei genitori era difficile, quello con Satoshi era ancora peggio, lui era il figlio perfetto, il primo genito tanto desiderato che aveva sempre compiaciuto mamma e papà, sempre il primo della classe, un asso nello sport, laureato con il massimo dei voti, il pupillo degli insegnanti, lo disprezzavo con tutte le mie forze, qualunque cosa lui volesse fare gli riusciva alla grande, ed io, il piccolo e insignificante fratellino che non aveva mai primeggiato in niente, ero il disonore di tutti, l’unica obbiettivo che avevo desiderato ed ero riuscito ad ottenere era stata lei, ma questo non aveva fatto altro che aggiungere un ulteriore onta alla mia famiglia, sbuffai, mi mancava terribilmente Boston, il nostro piccolo appartamento pieno di fiori e di luce, mi mancava perfino girovagare tra i caotici vicoli di quella città senza sentire l’ombra del fallimento sempre con me, nessuno mi conosceva, ne conosceva il mio passato, ero solo lo scanzonato e estroverso ragazzo Giapponese che era andato via di casa per trovare la sua strada, nessuna pressione per cercare di compiacere qualcuno che non aveva mai voluto vedere il mio valore, nessuno sguardo di commiserazione per il povero fallito che ero sempre stato, li ero solo Gomi, qui ero Gomi il traditore, Gomi il perdente.
Iniziai a prendere a calci pezzetti di asfalto che si erano staccati dal suolo, finché il suono del telefono mi ridestò da quel flusso dannato di pensieri, “ Amore dove sei?”, il mio cuore si scaldò immediatamente e realizzai che infondo non mi importava di essere il ragazzo giusto, giusto per la mia famiglia, giusto per la società, giusto per i miei ex migliori amici, al diavolo ogni cosa, avevo lei, il resto, non contava.

 
 
Perchè quando tu stai annegando non sai mai
oh mai
se conviene farsi forza
o lasciarsi andare giù
nel mare
amore mio come farò a rassegnarmi a vivere
e proprio io che ti amo ti sto implorando
aiutami a distruggerti.

 
 
 
 
 
< Sto tornando da te > strinsi forte il cuscino a me, era stupido lo so, ma ogni volta era cosi, il mio cuore perdeva un battito a sentire quelle parole che potevano sembrare banali, ma per me, per noi, non lo erano per niente, avevamo lottato e sofferto cosi al lungo per poter vivere il nostro amore, per poter essere liberi di dirci queste parole alla luce del sole, tornare a casa era stato difficile, sperai e pregai per giorni di ricevere una chiamata che avrebbe annullato il nostro rientro, mi mancava la mia famiglia, mi mancava la mia città natia, ma ormai Boston era la mia città, Gomi, era la mia famiglia, tutti si erano opposti alla nostra partenza, nessuno ci aveva appoggiati, i miei genitori non mi parlarono per settimane, eravamo solo due ragazzini lasciati in balia del mondo, eravamo stati buttati fuori con prepotenza dal caldo grembo dei nostri affetti come figli non desiderati.
I primi mesi in America furono duri, terribilmente duri, quante notti lo osservavo dormire chiedendomi se il nostro amore era davvero cosi orribile, da meritarci tutto questo, eravamo dei traditori è vero, eravamo dei bugiardi, ma infondo eravamo solo poco più che adolescenti innamorati, Sana fu l’unica che ci aiutò, lei era l’unica che aveva compreso, forse perché sperava infondo al suo cuore che se noi c’è l’avessimo fatta, ci sarebbe stata speranza anche per lei, per loro…
Guardai per l’ennesima volta il grande orologio appeso al muro, ci stava mettendo una vita a tornare, sbuffai, mi sentivo tremendamente a disagio a stare qui, non riuscivo a tollerare gli sguardi di sufficienza di suo padre, non sopportavo le occhiatacce di sua madre, scesi velocemente le scale, acchiappai un maglione e uscii, forse era buona educazione avvisare, ma non mi importava, volevo solo andarmene da li, gli sarei andata incontro, sperai di trovarlo presto, volevo solo farmi stringere tra quelle braccia forti che erano sempre state la mia scialuppa di salvataggio.
Illuminata dalla luce della luna Tokyo mi sembrò più bella che mai, bella e maledetta, come noi due, come il nostro amore, persa a guardare il cielo pieno di stelle mi resi conto troppo tardi di dov’ero andata a finire, erano passati due anni, eppure non appena mi ci ritrovai davanti, non mi sembrò che fossero passati nemmeno due minuti, casa sua, casa Hayama, feci velocemente dietro front, le luci erano ancora accese nonostante fosse quasi mezzanotte, non potevo rischiare che mi vedesse, non potevo rischiare che sapesse del mio ritorno, lo avrebbe sicuramente detto a lui, Tsu…inevitabilmente il suo sguardo distrutto e tradito mi si ripresentò prepotente davanti, lui mi aveva regalato il suo cuore e io, lo avevo distrutto, ero un ipocrita ma la realtà è che mi mancava, mi mancava il mio dolce Tsu, lo avevo tradito, umiliato, e ferito ma volevo sapere come stava, se mi aveva dimenticato, e se soprattutto fosse felice, veramente felice…

 

 
Se un giorno tornerò nei tuoi pensieri
mi dici tu chi ti perdonerà
di esserti dimenticata ieri
quando bastava stringersi di più
parlare un po'…
 

 

< A…Aya?>
Mi paralizzai sul posto, restai immobile dando le spalle al mio interlocutore, alla fine che senso avrebbe avuto voltarsi?, sapevo bene chi fosse, avrei riconosciuto la sua voce tra mille, il suo profumo era sempre lo stesso, una folata di vento lo aveva librato nell’aria.
Nessuno dei due disse una parola per un tempo che mi sembrò infinito, una lacrima testarda e insolente scivolò sulla mia guancia posandosi sulle mie labbra, le stesse labbra che lui catturò prima di chiunque altro, le stesse labbra che si erano incurvate in un infinità di sorrisi rivolti a lui, e a lui soltanto, le stesse labbra che avevano saggiato ogni centimetro del suo corpo la notte in cui feci l’amore per la prima volta, le stesse labbra che sentenziarono la fine, la nostra fine…


“ Tsu”.
  
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