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Autore: crazy lion    24/12/2018    5 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Mancano diversi mesi alla pubblicazione dell’album “Confident” e Demi dovrebbe concentrarsi per dare il meglio di sé, ma sono altri i pensieri che le riempiono la mente: vuole avere un bambino. Scopre, però, di non poter avere figli. Disperata, sgomenta, prende tempo per accettare la sua infertilità e decidere cosa fare. Mesi dopo, l'amica Selena Gomez le ricorda che ci sono altri modi per avere un figlio. Demi intraprenderà così la difficile e lunga strada dell'adozione, supportata dalla famiglia e in particolare da Andrew, amico d'infanzia. Dopo molto tempo, le cose per lei sembrano andare per il verso giusto. Riuscirà a fare la mamma? Che succederà quando le cose si complicheranno e la vita sarà crudele con lei e con coloro che ama? Demi lotterà o si arrenderà?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Saranno presenti familiari e amici di Demi. Anche per loro vale questo avviso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Joe Jonas, Nuovo personaggio, Selena Gomez
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Salve a tutte!
Mi sono resa conto di aver scritto Battesimo minuscolo fino ad ora. Si può essere più deficienti? Vabbè, correggerò in seguito. Scusate per l’errore.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
105. UNA GIORNATA DIFFICILE
                       
Il pomeriggio seguente era arrivato e, strano ma vero, non c’erano stati problemi per nessuno. Andrew si era sentito molto meglio e aveva lavorato tanto. Demi era stata molto sollevata quando, dopo essere corsa da Michael nel momento in cui era arrivato ed essersi scusata mille volte assieme al suo team, lui le aveva sorriso ed era stato comprensivo. Gli aveva spiegato la situazione a casa, aggiungendo che comunque non era una giustificazione al suo comportamento e lui, dopo averle appoggiato amichevolmente una mano sulla spalla, le aveva detto:
“Ho figli anch’io, Demetria, e capisco che quando siamo preoccupati per loro noi genitori non riusciamo a concentrarci bene sul lavoro, per quanto ci proviamo. Non è sempre facile separare lavoro e vita privata, anche se bisognerebbe farlo.”
Poco dopo avevano provato la canzone un altro po’ di volte fino a registrare la versione finale. Dopodiché Demi e i suoi collaboratori avevano iniziato a pensare a come strutturare il documentario, a registrare qualcosa e a montare i video, andando anche dai genitori e da Dallas per porre loro alcune domande. Dianna aveva persino dato a Demi un video nel quale lei, da ragazzina, cantava “Hark The Herald Angels Sing”, dicendole di inserirne una parte in “Simply Complicated” e un altro nel quale suonava la chitarra e cantava una canzone scritta da lei. La cantante si era emozionata nel guardare tutto ciò. Erano molti anni che non lo faceva.
Adesso era ora di pranzo e Demi stava mangiando alcuni tramezzini seduta ad un tavolino lì in studio.
“Dio, grazie per aver inventato queste delizie!” esclamò a bocca piena e Phil, che era seduto accanto a lei, rise di cuore.
“Piacciono molto anche a me” commentò poi, “ma non ho mai pensato di ringraziare il Signore per questo.”
“Di solito non lo faccio, il che è brutto. A casa mia era un’abitudine, sia a pranzo che a cena” rifletté lei. “Pensi verrà un bel documentario?”
“Credo di sì. Abbiamo raccolto molto materiale oggi, più di quanto credevamo. Ora dobbiamo solo ragionare sull’ordine in cui inserirlo tra le parti nelle quali tu parlerai della tua storia e delle emozioni che hai provato.”
“Già.”
Lei sospirò, rilassandosi un po’ ma sapendo che quella sensazione non sarebbe durata a lungo. Dal giorno precedente ogni secondo le pareva durare un’ora o più e sarebbe stato così almeno fino a quello seguente. Temeva non sarebbe riuscita a sopportarlo.
“Tutto a posto?” le domandò Phil prendendole una mano.
“Devo cantare qualcosa per sfogarmi” ammise.
“Va bene.”
“No no, aspetta… oggi è martedì.”
“Sì, perché?”
Demi tirò fuori il suo cellulare e guardò l’agenda.
“I punti! Devo andare a togliermi i punti. Pensavo fosse domani mattina e invece è oggi a quest’ora.”
In un certo senso era meglio così, almeno non avrebbe dovuto spostare l’appuntamento visto che aveva il colloquio con la maestra di Mackenzie.
“Vai pure, però ti chiedo di restare oggi pomeriggio.”
“Fino a che ora?”
“Le 18:00 almeno. Abbiamo ancora tanto da fare.”
Lei annuì.
“Vado e torno, sperando mi facciano entrare subito.”
Mentre si dirigeva in macchina inviò un messaggio a sua madre chiedendole se avrebbe potuto andare a prendere Home e Mackenzie a scuola, portare quest’ultima dalla psicologa e poi tenerle a casa propria fino al suo ritorno. Le rispose che aveva un impegno inderogabile con Eddie e che avrebbe chiesto a Dallas. Poco dopo fu la sorella a scriverle: se ne sarebbe occupata lei con molto piacere.
Non c’erano tanti fan davanti allo studio di registrazione. Generalmente veniva investita da grida e richieste di autografi. Non che la cosa le dispiacesse, anzi, era sempre felice di interagire con loro, ma quel giorno purtroppo non aveva tempo e si rattristò nel dire loro di no.
“Perché?” le domandò una ragazzina, visibilmente delusa.
“Devo andare a togliermi i punti” rispose, tanto tutti sapevano ciò che era successo e il cerotto si vedeva, era inutile dire una bugia.
“Come sta Hope?” le domandò un’altra, facendosi largo tra le altre per farsi udire.
“Molto meglio, grazie.”
“E Mac?” volle sapere una terza.
E adesso lei cos’avrebbe dovuto rispondere? Mackenzie non stava affatto bene, ma non era il caso di entrare troppo nei dettagli. Soprattutto, non voleva si sapesse nulla della faccenda del bullismo. La piccola stava già male, non aveva bisogno di essere riempita di foto e domande.
“È  stanca ma forte” disse e la ragazza sorrise.
“Forte come te” asserì.
“No, molto di più.”
Firmò un po’ di autografi in fretta, poi salutò tutte e se ne andò.
C’era molta gente che aspettava di venir chiamata. Alcune persone avevano le stampelle, altre camminavano male, ad una spuntava una fasciatura al braccio da sotto la maglia.
“Cosa si è fatta?” domandò la donna a Demi.
“Ho sbattuto la testa su un sasso. Mi ero gettata in acqua per salvare la mia bambina.”
L’altra, un po’ anziana, rimase senza fiato e una ciocca di capelli bianchi le ricadde sulla fronte.
“Vuol dire che stava per…”
“Per annegare, sì.”
La voce di Demi si incrinò.
“Buon Dio, ma ora come sta?”
“Bene, non le è successo niente per fortuna.”
“Mamma, lascia stare la signorina” si intromise un uomo, più o meno dell’età di Andrew.
Aveva un’espressione un po’ austera, ma non severa e alla madre aveva parlato con gentilezza.
“Non si preoccupi, signore. Ho risposto senza alcun problema.”
Non voleva che la donna venisse apostrofata per nulla. Stava per chiederle come si fosse ferita ma venne chiamata da un’infermiera.
“Lovato?”
“Sì” disse a voce alta e chiara, poi si alzò e sorrise all’anziana.
“Pregherò per lei e per sua figlia” aggiunse questa.
“La ringrazio.”
Entrò. La stanza era la stessa dove era andata la scorsa volta a togliere la fasciatura. Il sole che dalla finestra aperta si rifletteva su uno specchio per un momento la abbagliò.
“Ora chiudo tutto” le assicurò la donna e tirò anche la tenda, così Demi non provò più quel fastidio. “Si stenda sul lettino, il dottore arriverà subito.”
Poco dopo arrivò un medico che la salutò.
“Farà male?” gli chiese lei mentre le toglieva il cerotto.
Aveva un po’ paura, doveva ammetterlo.
“No, non si preoccupi.”
La sua voce calma la rassicurò. Chiuse gli occhi e aspettò. Sentì che l’uomo prendeva qualcosa e poi un leggero fastidio seguito da un intenso calore lungo tutta la cicatrice che ora si era formata, poi il medico le passò sopra del cotone con, ipotizzò, del disinfettante, anche a giudicare dall’odore e dopo le applicò un altro cerotto.
“Ecco fatto!”
La ragazza si rese conto che per tutto quel tempo aveva respirato poco e a fatica. Si era fidata delle parole dell’uomo ma allo stesso tempo aveva temuto che comunque avrebbe sofferto, invece non era successo.
“Posso toccarmi la cicatrice?”
Voleva sentire com’era. Sarebbe stata la sua ennesima cicatrice, ma stavolta se l’era procurata non per farsi del male, ma per una giusta causa. Ricordare quel giorno le faceva paura, ma non le provocava dolore, non molto almeno visto che era andato tutto bene, invece le cicatrici che aveva sulle braccia riaprivano, quando ci pensava, profonde ferite nella sua anima.
“Non prima di essersi lavata le mani. Potrà togliere il cerotto la prima volta che si farà la doccia, gliel’ho messo solo per sicurezza ma il taglio è ben chiuso, stia tranquilla.”
“perfetto!”
Si alzò piano in modo che non le girasse la testa e poi scese dal lettino, salutò e ringraziò e infine uscì. Avrebbe tanto voluto tornare a casa e lavarsi i capelli, non li puliva dal giorno in cui si era fatta male e facevano letteralmente schifo.
“Che orrore” mormorò.
Tuttavia non poteva pensare a quello. Doveva tornare al lavoro.  Stava per salire in macchina quando le squillò il cellulare. Era Dallas.
“Dimmi che puoi ancora andare a prendere le mie figlie, ti prego!” esclamò la ragazza.
“Posso, sorellina, posso.”
“Dio sia lod…”
“Ma non mi è possibile restare ad aspettare Mackenzie mentre sta dalla psicologa. Il mio regista è un coglione e vuole che oggi pomeriggio provi ancora la mia parte di un film, perciò…”
“Non puoi dirgli di no” concluse Demi per lei.
“Ho insistito molto dicendo che avevo un problema familiare ma si è incazzato” le spiegò, abbassando la voce.
“E non l’hai mandato a cagare?” sbottò l’altra.
Si pentì subito di essere stata così diretta.
Dallas Rise.
“Lo sai che non posso. Comunque, se proprio vuoi saperlo, internamente l’ho fatto.”
“Okay, non importa. Accompagna Mac dalla psicologa, poi troverò un’altra soluzione.”
“D’accordo. Ciao!”
“Ciao, ti voglio bene.”
“Anch’io.”
Chiamò Selena, anche per dirle che non si vedevano da tanto e che avrebbe voluto incontrarla, ma l’amica le spiegò che proprio non poteva liberarsi quel pomeriggio. Per fortuna il capo di Andrew gli permise di uscire mezzora prima.
“Mi hai salvata!” gli rispose la fidanzata.
“Lo so, allora poi le porto a casa mia.”
“Sì, va bene. Grazie.”
“Demi?”
“Dimmi.”
“Ora vado a fare quella cosa di cui abbiamo parlato stanotte.”
La sua voce si era fatta più profonda nel pronunciare quella frase. Andrew era serio, serissimo. Ne avevano discusso a lungo, era stato lui a chiamarla nel cuore della notte dicendole che cosa intendeva fare e lei aveva cercato di tranquillizzarlo e di rassicurarlo.
“Sei sicuro? Non è presto?”
“Credo di sentirmi pronto. E se non lo faccio ora, ho paura che non accadrà più. Ti chiedo di non venire, per favore. So che ti risulterà difficile, ma ho bisogno di essere solo in questo momento.”
Oh sì, sì che sarebbe stato difficile, moltissimo a dire il vero! Stava già pensando di correre da lui quando Andrew le aveva chiesto di non raggiungerlo. E per quanto dura fosse, lei si impose di rispettare la sua volontà.
“D’accordo, ma ti penserò.”
“Grazie, ne avrò bisogno.”
Risolto finalmente il problema delle bambine, Demi tornò in studio pregando e una volta sistematasi cominciò a cantare, concentrandosi solo sul suo lavoro.
 
 
 
Dopo pranzo i bambini dell’asilo venivano messi a dormire in una stanza apposita. C’erano dei lettini, allineati l’uno a fianco all’altro e i piccoli riposavano per un paio d’ore. Quel giorno Hope non riusciva a prendere sonno. Aveva mangiato la minestra con la pastina e l’omogeneizzato, che tra l’altro era anche il cibo che preferiva, e poi un po’ di purè di patate. Aveva la pancia piena, eppure non riusciva proprio a fare un sonnellino. Una maestra sedeva un po’ lontana dai letti per controllare i bambini. Ogni tanto si alzava, usciva ma tornava quasi subito. Non si era accorta che la piccola era sveglia. Hope aveva capito che qualcosa non andava in quei giorni, anche se non sapeva cosa: la mamma era triste e anche Mackenzie, ma mentre la sorella era sempre tranquilla Demi non lo sembrava poi tanto. Parlava di cose, con Mac e con il papà, che la bimba non capiva. Ci provava, ma erano parole che ora non ricordava e che non avevano senso per lei. Questa situazione rendeva triste anche lei, però cercava  di non darlo a vedere e sorrideva sempre, anche perché i bambini così piccoli sono più portati al sorriso che alla tristezza. Hope ripensò a quando pochi giorni prima era finita nel lago. L’acqua era congelata, era stato brutto, aveva bevuto tanto e respirato ma a fatica, ogni volta che l’aveva fatto aveva bevuto ancora e ancora. La mamma l’aveva presa, lei stava bene e anche Demi… forse era per quel che era successo che era così triste? O c’era qualcos’altro? No, non era solo per quello. Se chiudeva gli occhietti, Hope si rivedeva ancora in acqua. Ma la mamma l’aveva fatta sentire al sicuro, le aveva detto di non aver paura, che sarebbe andato tutto bene. Sì, pensò prima di sbadigliare e prendere finalmente sonno, sarebbe andato tutto benissimo. L’acqua non c’era più, non doveva più temere nulla.
 
 
 
“Domani la mamma andrà a parlare con la maestra Beth” le disse Elizabeth quel giorno a pranzo. “Mi ha detto di sapere che siamo vittime di bullismo, avrà sicuramente parlato con tua madre.”
Immaginavo l’avrebbe fatto rispose Mac, sentendosi sollevata nel sapere che era stato così.
“Stavo per parlargliene io, comunque” ci tenne a precisare.
Nessuna delle due sapeva cosa aspettarsi dall’incontro del giorno dopo. Le cose avrebbero potuto migliorare come peggiorare, tutto dipendeva da cos’avrebbero deciso di fare gli insegnanti e il Preside, se ne fosse venuto a conoscenza - non sapevano come funzionasse in questi casi, ma pensandoci bene probabilmente sarebbe stato informato. Non avevano molta voglia di parlare quel giorno. I loro cuori battevano all’impazzata ogni volta che pensavano a quello seguente e dovevano fare un grande sforzo per tenere a bada l’ansia. Quella mattina a scuola non era stato facile: si erano deconcentrate spesso, perdendosi pezzi di discorso degli insegnanti e ritrovandosi come in trance, salvo poi risvegliarsi di colpo e chiedere alle maestre di ripetere, per favore, ciò che avevano appena detto. Nessuna di loro, tranne la Rivers, si era accorta del disagio delle bambine. Alla fine dell’ora le aveva chiamate fuori dall’aula.
“Siete preoccupate per domani, vero?” domandò a voce bassissima, in modo che gli altri bambini non potessero sentire.
Mackenzie ed Elizabeth avevano annuito senza dire nulla.
“Le vostre mamme mi hanno scritto cose molto simili. Mi dispiace che ci siano problemi, ma vi assicuro che qualsiasi cosa sia cercherò di fare il possibile per aiutarvi a risolverla, d’accordo? Andrà tutto bene!”
La sua voce era stata dolce come la carezza del sole quando fa capolino da dietro le nuvole.
“I miei sono molto nervosi. Anche i tuoi?”
Mac guardò negli occhi l’amica e vi lesse una profonda tristezza e tanta paura, le stesse che provava lei, e anche la sua voce era più grave del normale, segno che non stava bene.
Sì, parecchio. Papà riesce a nasconderlo bene, mamma un po’ meno.
Allungò una mano verso di lei fino a prendere la sua e gliela strinse piano, poi rimasero a lungo con le loro dita intrecciate, come se quel contatto fisico potesse rendere più forte il legame che già le univa e se in quel modo riuscissero a darsi più forza a vicenda.
Uscite dalla mensa Mackenzie disse di dover andare in bagno ed Elizabeth si offrì di aspettarla lì in corridoio.
No, vai pure. Ci vediamo in classe.
Mentre i suoi passi echeggiavano e parevano sempre più pesanti, Mac pensò che fortunatamente nemmeno quel giorno era successo nulla. James non l’aveva mai guardata, né - almeno così le pareva - aveva detto qualcosa di male sul suo conto, nemmeno alle spalle, e neanche Ivan e Brianna si erano comportati in quel modo. Tutto sommato quella era una giornata tranquilla… o forse no, pensò quando vide arrivare il bambino.
“Ehi, muta!” esclamò, le si parò davanti e le sbarrò la strada.
Lei non replicò. Era meglio non rispondergli nale per non peggiorare le cose.
“Non mi saluti? Che maleducata!” continuò, sorridendo. Sì, la stava terrorizzando e lo sapeva benissimo, ma sorrideva. Mentre il cuore di Mackenzie batteva a mille, il bambino proseguì: “Se non mi dici niente, parlo io. Volevo solo dirti…” abbassò la voce per non farsi sentire nel caso qualcuno avesse aperto una porta, “che spero tu non abbia detto a nessuno quel che io e gli altri ti facciamo e che la stessa cosa valga per quella.”
Mackenzie sentì montare in corpo una rabbia che poche volte aveva provato, un furore che non credeva ancora possibile vista la sua giovane età. Se avesse seguito l’istinto avrebbe dato un pugno a James, ma non voleva abbassarsi a tanto e non era una persona violenta, quindi rimase ferma dov’era ma rispose, perché non riusciva più a trattenersi:
Quella, come la chiami tu, è Elizabeth.
“Non mi interessa, tanto non ricorderei i vostri nomi, che sono anche molto brutti.”
Fece finta di vomitare.
Mackenzie lo guardò, un’espressione sbigottita sul volto. Davvero per lui e per gli altri due lei ed Elizabeth contavano così poco? Forse non avrebbe dovuto stupirsene.
Se per te siamo meno di niente perché ci prendi in giro? gli domandò.
“Perché è divertente!”
Ti piace giocare con i sentimenti degli altri? Farli star male? Perché è così che ti stai comportando.
Non sapeva dove stesse trovando tutto quel coraggio. Rispondere ad un bullo, a volte, è come scavarsi la fossa da soli perché se da un lato è vero che questi potrebbe capire che la vittima è più forte di lui e quindi smettere di tormentarla, dall’altro sarebbe anche capace di far peggio. E Mackenzie, sentendo un brivido glaciale correrle lungo la schiena, temette che James appartenesse a quella seconda categoria di bulli.
“Ma come cacchio stai parlando? Sembri un’adulta, non una bambina, e non ti capisco. Vai al diavolo, è meglio. Non hai parlato a nessuno di quel che ti facciamo, vero?”
Avrebbe voluto rispondere di no, ma non ce la fece. Tuttavia era troppo spaventata anche per dire di sì. Il coraggio che fino a poco prima l’aveva caratterizzata era improvvisamente sparito. Sentì le gambe molli e un sudore freddo che le fece provare una sensazione spiacevole. James le prese i capelli e glieli tirò forte fino a staccarne alcune ciocche.
“Questa la paghi. Non so come, non so quando, ma la paghi” sibilò prima di andarsene.
Mackenzie corse in bagno, vi si chiuse dentro e la prima cosa che fece fu vomitare. Buttò fuori tutto ciò che aveva mangiato e dopo si sentì ancora peggio. Bevve un po’ d’acqua, si sciacquò la faccia e tornò in classe con gli occhi lucidi. Ma non pianse, non voleva dare a James la soddisfazione di vederla star male. Avrebbe solo avuto un motivo in più per sfotterla.
“È successo qualcosa, vero?” le chiese Elizabeth allarmata. “Stavo per venire a controllare.”
In quel momento entrò l’insegnante. Mackenzie non scrisse niente ma annuì.
“Dio,” mormorò Lizzie, “fa che domani arrivi presto. Ti prego!”
Mac ricordò il sogno fatto il giorno prima in cui James l’aveva minacciata ed ebbe ancora più paura, perché quell’incubo si era appena trasformato in realtà.
 
 
 
Bill gli aveva chiesto di andare a pranzo insieme, ma lui aveva gentilmente rifiutato.
“Devo fare una cosa importante” gli aveva spiegato, “mangerò dopo.”
Era uscito dall’ufficio senza salutare nessuno e aveva preso un autobus quasi senza rendersene conto. Adesso si trovava davanti ad una chiesa e si fermò vicino alla porta.
Sono qui per questo. Coraggio.
Trasse un lungo, profondo respiro e poi entrò. La porta cigolò e lui la richiuse piano, provocando un rumore sordo. Si fece il segno della Croce con l’Acqua Santa e si genuflesse, poi si rialzò e andò davanti all’altare. Ebbe l’impressione che la Madonna col bambino in braccio e il Cristo crocifisso lo guardassero come per dirgli che sarebbe andato tutto bene. In quel momento non pensò solo a se stesso ma anche a Demi, a quello che avrebbero affrontato il giorno successivo, al dolore che le aveva visto dipinto in volto il precedente. La Madonna, o meglio quella Madonna, per quanto fosse bella non raffigurava tale sofferenza. Era tranquilla, sembrava in pace con tutto e tutti, e anche se Andrew credeva in lei e in Dio non vi trovò conforto. Pensò alla “Madonna dei Pellegrini”  di Caravaggio che aveva visto in una foto qualche tempo prima, così diversa da quella che aveva davanti, così vera, più simile ad una persona qualunque, stanca e sofferente, con un’espressione triste in volto, semplice e vestita in modo altrettanto semplice. Sembrava troppo reale per essere veramente la Madonna, eppure lo era. E proprio il ricordo della sua espressione infelice, simile a quella che probabilmente aveva avuto lui nei mesi passati e che aveva ancora lo fece sentire meglio; perché si prova sempre sollievo nel sapere di non essere soli nel proprio dolore, che c’è qualcun altro, molto più in alto di noi, che ha sofferto e proprio per questo comprende ciò che proviamo.
“Andrew?”
Era Padre Thomas. Gli era accanto e lui non se n’era nemmeno accorto. Doveva essere arrivato da poco. L’aveva chiamato per nome perché conosceva lui e Demi fin da piccoli: andavano sempre lì a messa.
“Padre” lo salutò.
Cercò di sorridere ma non ci riuscì.
“Non ti vedevo da un po’, figliolo.”
“Ho avuto i miei problemi e purtroppo non sono venuto molto in chiesa” ammise con non poca vergogna.
“Dio è dappertutto, Andrew. Se hai pregato a casa, lui ti ha ascoltato lo stesso. L’importante è che tu stia sempre vicino a lui e che la tua fede sia salda e forte.”
“Lo è sempre stata.”
Era vero. Quando aveva scoperto che Demi si tagliava, quando i suoi genitori erano morti, quando Carlie era andata in Paradiso, si era domandato perché Dio fosse così ingiusto. Si era risposto, dopo averci riflettuto a lungo, che lui non vuole il nostro male e che ci mette di fronte a delle prove. Dobbiamo farcene una ragione, anche se è difficile e se fa male. Ma è proprio il dolore la parte più complicata, perché bisogna accettarlo e superarlo, anche se non sempre questo è possibile.
“Ci sono sofferenze che non se ne vanno mai,” gli diceva spesso sua madre, “rimangono impresse nel tuo cuore come segni indelebili, ferite che sanguineranno sempre un po’. Ci saranno giorni in cui saranno più sopportabili, altri nei quali vorrai urlare perché la sofferenza sarà tanta che suderai e ti mancherà il respiro.”
“Cosa ti turba, figliolo?”
Avrebbe voluto mentire, dire che non c’era niente che non andava ma era nella casa di Dio e non se la sentiva; e poi con Padre Thomas poteva essere sincero, lo sapeva, e in tutta franchezza ne aveva anche un estremo bisogno.
“È che io…”
Il resto della frase non uscì, rimase incastrato in fondo alla gola ed Andrew provò la sensazione che il suo cuore pesasse come un macigno e di non riuscire a reggere a lungo. Un raggio di sole che entrava da una finestra aperta gli accarezzò il volto, ma a lui diede più l’idea di un bacio. Sorrise a quel pensiero.
“Se non vuoi parlarne con me, puoi farlo con Dio” continuò il Parroco.
“Io… io vorrei confessarmi, se è possibile” riuscì a dire infine. “Non ho controllato gli orari delle confessioni, forse ora lei non può Padre, mi dispiace disturbarla ma vede, forse se non lo faccio oggi non ci riuscirò mai più, è estremamente importante per me e…”
La mano dell’uomo sulla sua spalla interruppe il fiume di parole che si stava riversando senza controllo.
“Ho tempo, Andrew, non preoccuparti. Non devi essere agitato o intimorito, né temere Dio. Lui è buono, grande è la sua Misericordia, ti saprà ascoltare e perdonare anche se hai sbagliato e peccato. Qualsiasi cosa sia, affidati a lui.”
Padre Thomas conosceva Andrew. Non poteva aver fatto una cosa tanto grave, era un brav’uomo, veniva da una famiglia di persone perbene.
“D’accordo” mormorò l’altro, non riconoscendo nemmeno la sua voce, che assomigliava più a quella di un bambino spaventato.
Non devo avere timore di Dio. Mi ascolterà, mi capirà. Sono credente e non devo, non devo.
Questo pensava mentre seguiva il Parroco lungo una navata laterale, dove ad un certo punto si trovava il confessionale. Padre Thomas aggirò l’abitacolo ed entrò, Andrew invece aprì la porta in legno che gli si trovava davanti e poi la lasciò andare. Mentre questa si richiudeva con un tonfo cupo e sordo che, per un solo istante, lo fece tremare, l’uomo si inginocchiò.
“Bene figliolo, confessami i tuoi peccati.”
Padre Thomas si fece il segno della Croce e lui lo imitò.
“Perdonami padre perché ho molto peccato” iniziò.
“Ti ascolto.”
Passarono lunghi, eterni istanti di silenzio nei quali i due uomini si guardarono negli occhi, Padre Thomas aspettando la confessione, Andrew cercando negli occhi del Ministro di Dio un aiuto, un conforto. Gli occhi del Parroco erano dolci e sorridenti.
"Ecco, io…" La gola gli si era seccata. Tossì parecchio, avrebbe voluto un bicchiere d'acqua ma non lo chiese, non era il momento. "Io ho tentato il suicidio, Padre." Trasse un profondo respiro - da alcuni secondi non respirava, si rese conto - , vide la sorpresa negli occhi dell'altro uomo che però non proferì parola. "Anni fa, quando mia sorella è finita in coma, io ho cominciato a farmi queste." Gli mostrò le cicatrici. "Avevo smesso grazie all'aiuto di una psicologa, ma soprattutto alla mia forza anche se in tanti momenti penso di non averla, o di non possederne abbastanza per affrontare le prove alle quali mi sottopone la vita. Carlie è morta a marzo. Io soffrivo immensamente, ho allontanato persino Demi - stavamo insieme da qualche mese e non pensavo l'avrei fatto, ma il dolore in quel momento era più forte di qualsiasi altra cosa- e un giorno non ce l'ho più fatta. Pensavo non avesse più senso vivere e così mi sono tagliato le vene. Me ne sono pentito subito dopo, però. Ho provato a chiamare un'ambulanza ma ero troppo debole e sono caduto. Se non fosse arrivata la mia ragazza forse non sarei qui a raccontarglielo. Ho avuto pensieri suicidi per molto tempo." La sua voce si incrinò, come un ramo spezzato dal vento. Quello era senza ombra di dubbio il discorso più lungo che avesse mai fatto durante una Confessione e anche il più difficile, ma doveva terminare. "Non potevo confessarmi finché questi non fossero passati, dovevo sentirmi pronto e non lo ero fino a qualche tempo fa, mi creda. Avevo promesso a Demi che non mi sarei più tagliato, che non avrei più tentato e così ho fatto. Ma le voci nella mia testa a volte c'erano. Ora non sto bene, ma meglio. Non ho quei pensieri da un po', mi sento più forte e sono davvero pentito di ciò che ho fatto, non è una cosa di cui vado fiero. Se tornassi indietro non lo rifarei, mi creda. Inoltre vorrei anche chiedere perdono perché non mi confesso da quando ho quattordici anni e adesso ne ho trentatré."
Padre Thomas non disse nulla.
Andrew iniziò a respirare con affanno, gli sembrava che i secondi fossero ore o addirittura giorni. La testa gli girava come una trottola impazzita e gli sembrava di precipitare verso il basso senza possibilità di fermarsi. Già si figurava il Parroco che lo sgridava e che lo cacciava dal confessionale, che gli diceva che Dio non l'avrebbe mai e poi mai perdonato, che sarebbe andato all'Inferno e molto altro ancora. Ricordava di aver letto una storia, una volta. Gliel'aveva consigliata Demi, l'aveva trovata su un sito di FanFiction anche se in quel caso si trattava di una storia originale. Una ragazza andava a confessarsi - ciò che aveva fatto secondo Andrew non era un peccato, ma secondo la Chiesa sì visto che era omosessuale - e siccome i suoi l'avevano cacciata di casa lei aveva avuto bisogno di parlare con qualcuno. Non pensava di aver commesso qualcosa di grave o brutto, voleva soltanto che una persona le stesse vicino, la appoggiasse, provasse a capirla. Ma aveva sbagliato. Il Prete si era arrabbiato, le aveva detto, anzi ordinato di redimersi, che il suo era un grave disturbo, una malattia e lei era fuggita in lacrime. Demetria ci era rimasta malissimo, aveva detto una cosa del tipo:
"Ma questo prete vive ancora nel Medioevo o cosa?"
e anche Andrew non l'aveva presa bene. Avevano iniziato e finito insieme quel romanzo, uno dei più belli di tutti quelli che avevano letto. Adesso l'uomo stava rivivendo la scena del libro come se ce l'avesse avuta proprio davanti agli occhi, ma in questo caso era peggio perché era stato lui a peccare. E il suo sì, era proprio un peccato, non l'avrebbe mai considerato giusto. Di una cosa però non si sarebbe mai pentito: di aver fatto l'amore con Demi nonostante non fossero sposati. Dio e la Chiesa lo consideravano sbagliato ma sapeva che per lui, per loro era giusto; e gli bastava.
"Figliolo, mi stai ascoltando?"
Si riscosse.
"Mi aveva parlato, Padre?"
"Sì, è la terza volta che ti chiamo."
"Mi scusi, mi perdoni, stavo solo pensando. Ma sono concentrato, eccomi, mi dica."
"Innanzitutto calmati."
"Ma io sono… Okay, non lo sono."
"Hai paura del giudizio di Dio?"
Fu sincero.
"Se le dico che ne ho un po' le do l'impressione di essere un uomo di poca fede?"
"No. Sei solo spaventato da tutta la situazione. Sì, tu hai commesso un peccato."
"Non serve ricordarmelo" si disse l’uomo, ma poi pensò che invece era necessario. Se lo meritava.
Il peso al petto si fece di nuovo sentire con più forza.
"Sì, hai fatto molti sbagli e ne sei consapevole, ma questo non ti rende una cattiva persona agli occhi di Dio. Lui è grande, è misericordioso e il peccatore può pentirsi di ciò che ha fatto fino all'ultimo secondo della sua vita. Se tu hai fatto tutto questo è perché soffrivi molto, non nel corpo ma nello spirito e Dio sa benissimo che esiste questa sofferenza che è più difficile da curare, da mandar via. Anche se pensi che Dio non ci sia stato nei tuoi momenti più bui, sappi che lui c'era. Ti è sempre accanto anche se tu non lo cerchi, ti tende la mano se te ne allontani. Ti ama."
A quelle ultime due parole Andrew sentì una lacrima rigargli la guancia.
"Non ho mai fatto questo, Padre."
"Lo so. Quello che voglio dire è che non devi mai dimenticare che Dio ha per te un amore infinito. Lui è come un padre che guida tutti noi, che ci aiuta a non perdere la strada, la retta via. Ci lascia liberi di decidere ed è questa l’espressione del suo immenso amore. A volte la vita, le situazioni che affrontiamo, ci allontanano da questo percorso. Lui ci lascia la libertà di scegliere; e tu nonostante i tuoi sbagli oggi hai scelto di avvicinarti ancora di più a lui, di pentirti, di confessarti per chiedere perdono."
Andrew pensò che sì, riteneva il suicidio o il tentato suicidio azioni sbagliate. D'altra parte, però, soprattutto da quando sapeva cosa si provava, non condannava chi commetteva atti del genere, anzi tentava di capire queste persone. E Padre Thomas attraverso le parole di Dio stava cercando di fare lo stesso: di comprenderlo, anche se parlava di errori e di perdono. Andrew non pretendeva di certo che tutte le persone che compivano questi gesti se ne pentissero, perché ognuno è libero di pensare e fare quel che crede più giusto. Tuttavia aveva sentito che per lui era quella la cosa più giusta da fare.
"Dio comprende il tuo dolore, sa quanto hai sofferto. E ti perdona. Andrew io ti assolvo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" concluse Padre Thomas facendogli il segno della Croce.
"Amen" rispose l'altro in un sussurro quasi inudibile.
Ancora non credeva di essere riuscito a confessarsi, non gli sembrava possibile. Aveva avuto così paura, e invece gli era bastato essere sincero e aprire completamente il suo cuore.
"Quando esci, inginocchiati e di' dieci Padrenostri e dieci Avemarie, poi puoi andare."
"Grazie Padre, arrivederci."
"Ciao caro. E ci vediamo stasera per il corso per il battesimo."
"Sì, certo!"
Nella confusione se l'era dimenticato, ma era vero era quella sera.
Una volta fuori dal confessionale si mise sull'inginocchiatoio e pregò con fervore, sorridendo e piangendo insieme. Lasciò un po' di soldi nella cassetta delle offerte e poi uscì. Una volta fuori sentì di avere le ali. Avrebbe voluto gridare al mondo quanto stava bene. Dopo mesi di sofferenza, tristezza, dolore e incertezze ora stava bene. Non sapeva quanto quella sensazione sarebbe durata, probabilmente poco, ma desiderava godersela a pieno. Si sentiva leggero e sereno in quel momento. Il sole gli sembrava più splendente, l'aria molto più pulita, gli pareva di respirare meglio. Il peso al petto sembrava un lontano ricordo. Continuava a sorridere e a piangere, un pianto sommesso ma continuo che però presto si trasformò per lasciare posto ai singhiozzi. Il sorriso  sparì per qualche attimo: le lacrime reclamavano il loro spazio per uscire. In quel pianto buttò fuori paura, dolore, tristezza e mille altri sentimenti negativi. Non si preoccupò dei passanti che lo guardavano straniti e che di sicuro si domandavano cosa gli fosse successo. Mentre tornava verso la macchina il sorriso ricomparve e fu come se il sole splendesse anche dentro di lui.
"In pace" disse ad alta voce. "Mi sento in pace."
 
 
 
Mackenzie fu molto sorpresa di vedere la zia Dallas con Hope davanti a scuola: non era mai venuta a prenderla. Le corse incontro e le si gettò fra le braccia.
"Che accoglienza!" esclamò la ragazza. "Andiamo a fare merenda, vi va?"
Dallas non chiese a Mac come si sentisse perché conosceva la situazione, e vedendola sorridente non voleva rattristarla o farle ricordare cose brutte. Se la bambina riusciva ad avere un po' di tranquillità, anche solo per qualche momento, non sarebbe stata di certo lei a rovinare tutto. Le portò nella stessa pasticceria dove le aveva accompagnate la nonna qualche tempo prima. Nonostante fosse solo la seconda settimana di novembre, in quel posto si respirava già aria natalizia. C'era un piccolo albero di Natale all'entrata, con qualche lucetta e un po' di palline e al bancone si trovavano biscotti fatti a renna o ad albero. Mackenzie ne volle qualcuno e la ragazza ne prese un paio per sé, poi ordinarono due cioccolate calde. Mac fu la prima a dare un pezzettino di biscotto a Hope e poi un altro e anche un terzo, rendendo la bambina felice.
Zia, come va al lavoro?
Mackenzie non aveva ancora visto un film in cui recitava Dallas, ma aveva una voce roca e un po' bassa che a lei piaceva molto ed era sicura che fosse una brava attrice. Avrebbe chiesto alla mamma di guardare qualcosa, un giorno, come quella sera in cui loro tre e il papà avevano visto "Camp Rock".
"Bene grazie, come mai me lo chiedi?"
Dallas era sorpresa. Mackenzie non le aveva mai domandato del suo lavoro e, per quanto fosse matura, non credeva che una bambina di sei anni si interessasse a quelle cose.
Così, per sapere. Lavori molto?
"Abbastanza."
Per questo non ci vieni quasi mai a trovare? E per lo stesso motivo non lo fa anche zia Maddie?
Dallas sentì un groppo alla gola così grande che per un momento temette sarebbe soffocata. Avrebbe voluto rispondere che gli impegni erano tanti e che la sera preferiva lasciare spazio a Demi e ad Andrew e non intromettersi troppo, ma il lavoro non era una giustificazione per non andare a trovare le sue nipoti, se n'era resa conto da un po' e si dava della stupida per essersi comportata così male con entrambe. Era la loro zia e Mackenzie e Hope avevano bisogno di lei, era questo che la bambina stava cercando di dirle.
"Mi dispiace di non esserci stata, piccola. Ti prometto che verrò più spesso, d'accordo?"
Giura.
Mac era serissima.
"Giuro."
Si strinsero la mano e Dallas si impose di mantenere quella promessa. Anzi, le venne un'idea.
Che fai? le domandò Mac quando la vide prendere il telefono.
"Aspetta e vedrai." Rimase in silenzio per qualche secondo, poi parlò ancora: "Ciao Owen. Senti, non posso proprio fare gli straordinari oggi. Ho avuto un problema in famiglia, un’emergenza e… Sì, lo so calmati. Ti ho già detto e lo sai benissimo anche tu che siamo a buon punto con le riprese, non c'è fretta, non credi? Ti prometto che recupererò tutto domani. Sì, lo giuro!" Capiva che quello era lavoro e che era importante, ma anche le sue nipoti lo erano. Se si fosse trovata in una situazione diversa, di urgenza, non avrebbe fatto quella telefonata ma allo studio non erano presi affatto male anzi. "Okay, grazie. Ti assicuro che riproveremo le mie scene domani, sarò puntualissima. Va bene, ciao."
Mise giù e tirò un sospiro di sollievo, mentre Mackenzie la guardava a bocca aperta.
L'hai fatto per noi?
"Sì, perché  vi voglio bene."
Ma non dovevi, non era necessario, insomma…
Si sentiva male ad averle indirettamente chiesto di essere più presente. Non voleva che la zia rinunciasse ad impegni di lavoro importanti per lei e Hope.
"Tranquilla, il regista è stato comprensivo. Oggi proverà le parti con gli altri. In questo film non sono la protagonista, la mia presenza oggi non è indispensabile."
Si abbracciarono stringendosi forte. Hope si trovò in mezzo a loro e riuscì ad allungare una manina per accarezzare la sorella.
Ti voglio bene, zia!  disse Mackenzie commuovendosi.
Avrebbe dovuto pronunciare quelle parole più spesso, soprattutto per quanto riguardava le zie e i nonni.
"Oh, anche io piccola!"
Il viaggio fino allo studio di Catherine fu tranquillo. Una volta arrivate trovarono Andrew a cui Dallas spiegò la situazione.
"Se vuoi andare posso restare io. Se hai da fare, intendo, non voglio mandarti via" si affrettò ad aggiungere e arrossì.
"Sono libero, ho già preso un permesso. Potremmo aspettare Mackenzie insieme."
"D'accordo."
Poco dopo dallo studio di Catherine uscì un bambino che avrà avuto circa dieci anni. Mac si accorse della sua espressione triste e si domandò cosa gli fosse successo. Riconobbe lei stessa in quegli occhi, nella sua espressione abbattuta e forse un po' senza speranza, o meglio la se stessa nei momenti di sconforto o di dolore. Fu come vedersi dall'esterno anche se nello sguardo di qualcuno che sicuramente - almeno lo sperava - aveva una storia diversa dalla sua. Non avrebbe mai augurato a nessuno di vivere ciò che aveva passato lei. Il bambino diede la mano ad una donna che gli chiese com'era andata e lui rispose:
"Abbastanza bene",
poi i due si infilarono la giacca e se ne andarono.
"Tutto okay?" le domandò il papà prendendole una mano.
Sì, è solo che quel bambino mi ricorda una persona che conosco anche troppo bene. O forse no, forse non del tutto.
Se Andrew capì che intendeva dire che quella persona era lei non lo diede a vedere e non parlò più, anche perché dopo alcuni secondi Catherine chiamò Mackenzie.
"Vuoi che ti accompagni dentro?" le chiese la zia.
Lei fece cenno di no e si diresse a passo lento verso la porta, pensando che anche se non poteva rimanere con Dallas per lei era importante che fosse lì. Le bastava questo. Catherine lasciò che entrasse prima di alzarsi e andarle incontro.
"Mackenzie" disse solo, poi la guardò. Aveva gli occhi stanchi e l'espressione di chi ha ricevuto troppi colpi dalla vita che hanno rischiato di spezzarlo. "Come stai? Ieri la mamma mi ha detto che non ti eri sentita bene."
Sì è così. Sono successe delle cose brutte in questi giorni.
"Ti va di parlarmene?"
Non saprei da dove iniziare.
"Di' la prima che ti viene in mente, il resto verrà da solo."
Hope ha rischiato di annegare martedì scorso e la mamma si è gettata in acqua per salvarla.
E così, pensò, aveva sganciato la prima bomba.
"Cosa?"
Catherine non riuscì a non alzare li tono e fece un'espressione sorpresa e spaventata assieme. Avrebbe voluto riempirla di domande, ma sapeva di dover mantenere la calma.
Mackenzie le raccontò tutto quello che era successo il pomeriggio in questione e anche la sera in ospedale.
"Quindi ora stanno meglio?"
Sì, Hope sembra più tranquilla e la mamma andrà a togliersi i punti in questi giorni, non ricordo quando.
"E tu? Tu come ti senti?"
Meglio, anche se ci penso ancora. Sai, quel pomeriggio ho avuto così paura! Avrei voluto gettarmi io in acqua. Insomma, i miei sono morti e non sono riuscita a far niente per loro, non ho protetto Hope quando quell'uomo ci ha fatto queste - si indicò le cicatrici - e qualcosa mi ha detto che avrei potuto agire quel giorno. Invece ero troppo spaventata e sono rimasta lì immobile.
Qualche lacrima le rigò il viso e Mackenzie ebbe l’impressione che quell’acqua le stesse scavando dentro, entrando nella pelle e nella carne.
Era ovvio che si sentiva in colpa, la psicologa lo capì subito.
"Tesoro quella che sto per dirti ti sembrerà una frase fatta, forse te l'avranno detta in tanti ma ti assicuro che voglio solo aiutarti. Tu sei stata molto forte in tutto questo tempo e sono seria, ci credo davvero. Conosco persone adulte che hanno la metà del coraggio che hai tu." Mackenzie fece un gesto con la mano come per sminuire la cosa - tipico di lei, si disse -, ma la psicologa proseguì parlando a voce un po' più alta: "Tu hai fatto tutto il possibile per proteggere tua sorella. E penso che quel che vi è capitato vi abbia in qualche modo unite ancora di più."
È vero scrisse la bambina, l'ha fatto. Non so che cosa percepisca Hope, ma io sento che il nostro legame è molto più profondo da quando i nostri genitori sono morti.
Mac era consapevole del fatto che la sorellina non ricordava niente di quanto accaduto, in fondo aveva solo un mese e mezzo quando John e Tamara erano stati assassinati, eppure qualcosa doveva aver capito. Forse non ricordava le varie case che avevano cambiato, le diverse famiglie dalle quali erano state, ma lei era convinta che nel suo inconscio Hope avesse trattenuto qualcosa di tutti quei cambiamenti. Nelle tre famiglie affidatarie Hope si era sempre trovata bene, in fondo la prima donna a lei non aveva fatto nulla di male. Era sempre stata una bambina solare, eppure… eppure non aveva mai sorriso ai genitori affidatari come sorrideva a lei. Mackenzie non lo pensava perché si credeva migliore di quei genitori - della prima mamma sì, in realtà, e anzi quella parola era troppo bella per lei, non se la meritava -, ma perché quando Hope le sorrideva le si accendeva qualcosa dentro, la piccola si illuminava, sembrava volerle dire:
"Mi fido di te più di chiunque altro."
E quello stesso sorriso l'aveva riservato a Demi e poi ad Andrew, cosa che a Mac aveva fatto piacere perché significava che si sentiva ancora più sicura con loro.
"Che altro è successo in questi giorni?"
Mia mamma ha ritrovato una sua vecchia  amica. È la mamma di Elizabeth, la mia compagna di scuola di cui ti ho parlato.
"Che cosa bella!" Catherine si entusiasmò e Mackenzie sorrise, stavolta però il suo sorriso era più largo, sincero, senza quel velo di dolore a coprirlo. "Dev'essere stato emozionante per loro rivedersi."
Lo credo anch'io. A volte il mondo è davvero piccolo. Insomma, quante possibilità c'erano che si ritrovassero dopo anni?
"Poche, hai ragione. Ma come si sono conosciute?"
Demi gliel'aveva spiegato brevemente.
In clinica, quando mamma ci è andata per i suoi problemi, ma non ho capito perché poi si sono separate. Penso abbiano litigato o qualcosa del genere, mamma sembrava molto addolorata nel rivederla, come se Mary in passato le avesse fatto qualcosa. Mi ha detto che mi spiegherà tutto quando sarò più grande.
"Capisco. Comunque ora si sono ritrovate, è questo l'importante."
Infatti! Quando la mamma mi porta a scuola lei e Mary si incontrano e si parlano. È molto bello vederle insieme, si vede che si vogliono bene. In quel pomeriggio io ed Elizabeth abbiamo giocato tantissimo. E la sera abbiamo iniziato a scrivere entrambe un diario.
Le parlò di quello che ci scriveva, le disse che riusciva a sfogarsi e a descrivere i suoi sentimenti.
"È una cosa positiva, continua a farlo" la incoraggiò la psicologa. "Ti aiuterà tantissimo!"
Poi è successa una cosa brutta. Sì, un'altra. Visto che la donna non diceva niente la bambina continuò: Si tratta di un fatto che è cominciato alcuni mesi fa, anche se non mi rendevo conto di quanto fosse grave. Non l'ho capito finché qualche giorno fa la situazione non è peggiorata. Prima ci stavo male ma non ci davo molto peso, per questo non ne ho parlato né con te né con nessuno, tranne che con Lizzie. Poi, dicevo, le cose sono andate peggio. La mia amica mi ha fatta ragionare, mamma si era accorta di qualcosa e venerdì mi ha spinta a parlare. Ti giuro, Catherine, che se mi fossi accorta prima di quanto questa situazione fosse pesante te l'avrei detto.
Se, se, se, erano tutti se; ma ormai era andata così. Mackenzie stava malissimo al pensiero di non aver capito prima che la situazione era seria e si dava della stupida.
"Okay, calma." La psicologa allungò una mano e le strinse la sua con dolcezza, finché quella di La bimba smise di tremare. "Dimmi tutto."
Sono vittima di bullismo.
Le parlò di com'era cominciato tutto, delle offese, dell'isolamento, di quanto questo avesse iniziato a farla sentire sbagliata e diversa.
“Io non mi ero accorta di niente” mormorò la donna. “Parlavamo, sapevo che c’era qualche problema ma non avevo idea, non credevo che la situazione fosse tanto difficile, che ci fosse questo tipo di problema e che per te anche il solo pensiero di andare a scuola risultasse intollerabile!”
Non è colpa tua. Io sono molto brava a nascondere le cose, non avresti potuto accorgerti di niente.
“Ma avrei dovuto,” si disse Catherine, “sono una psicologa.” Sospirò. "Sai che non sei tu quella sbagliata, vero? Sono loro ad equivocare. Significa che sbagliano."
Lo so cosa vuol dire precisò Mac, che conosceva quel termine nonostante fosse antiquato.
"I bulli ti hanno trascinata in un circolo vizioso dove qualsiasi cosa loro ti dicano tu ti senti in colpa, ma tu non hai colpa di nulla. Lo so che adesso ti sembra che non sia così, lavoreremo insieme su questo, okay?"
Ho cominciato a capire che non era colpa mia grazie alla mamma. Mi ha fatto un bel discorso su questa cosa. Ci ho messo un po' a comprennderlo, ma forse è vero che non hanno ragione loro, che vado bene così come sono.
Tuttavia non era convintissima di ciò, anzi in tanti momenti aveva dei dubbi.
"Ma certo che sì, vai benissimo! E lasciami anche dire che sei molto saggia."
Lei la ringraziò.
Purtroppo la seduta era finita. Il tempo era passato troppo velocemente e anche se la psicologa avrebbe voluto lasciare che la bambina si sfogasse ancora non poteva, perché era quasi ora di chiudere lo studio. Le disse che si sarebbero viste il lunedì successivo, poi fece entrare Andrew dicendo che desiderava parlargli.
 
 
 
L'uomo andò dentro con Hope che sonnecchiava fra le sue braccia.
"Che è successo? Mackenzie è peggiorata?" chiese, la voce venata di preoccupazione.
"No. Non ricorda altro, ma per queste cose ci vuole tempo. Potrebbero passare mesi o anni. Il mese scorso come credo saprai aveva fatto progressi, poi si è fermata e sinceramente non riesco a capire perché. Tuttavia, visto quello che sta succedendo, credo che ora sia più importante per lei lavorare con me sul bullismo che subisce, sulle conseguenze che ha avuto - la vedo scossa e spaventata - e mettere, per un po' almeno, i ricordi in secondo piano. Sono importanti, ovvio, ma ritengo che adesso sia ancora più importante affrontare questo problema."
Andrew si ritrovò d'accordo.
"Parli tu con Demi di quello che ti ho appena detto?"
"Certo, ma penso che concorderà anche lei."
"Pensavo, se Demetria è d'accordo, che per un po' Mac potrebbe venire qui anche un altro giorno, per esempio" consultò la sua agenda "il giovedì sempre alla stessa ora. Forse venire due volte a settimana, in un momento delicato come questo, potrebbe farla sentire più tranquilla."
"Glielo dirò."
"Di' a Demi di chiamarmi per farmi sapere cos'ha deciso."
Si sorrisero, poi Andrew le chiese come stesse. Sapeva che Catherine avrebbe dovuto essere professionale in quel momento, ma la considerava ancora un po' sua amica e, visto anche quel che aveva passato si preoccupava per lei.
"Bene!" rispose. "Ho fatto dei controlli qualche giorno fa e il cancro non è tornato."
"È fantastico!"
Si abbracciarono. Non c’era bisogno di parole.
Quando uscirono, Mackenzie chiese se avrebbero potuto andare al parco.
"Non hai compiti da fare?" le chiese il papà.
Lei gli rispose di no e siccome, come tutti i genitori, Andrew non si fidava gli mostrò il diario e lui scoprì che in effetti non aveva niente né per il giorno seguente né per quello dopo. Era strano, di solito le sue maestre pretendevano molto, ma a quanto pareva avevano deciso di dar loro un attimo di tregua il che era in un certo senso positivo.
“E parco sia” rispose Andrew e avvisò Demi.
"Io allora vado" disse Dallas.
Baciò e abbracciò le sue nipotine con la promessa che sarebbe venuta a trovarle prestissimo, poi salutò l’uomo, salì in macchina e se ne andò.
Una volta arrivati, Hope volle salire sull'altalena e mentre il papà la spingeva guardava Mackenzie che si divertiva a fare su e giù dallo scivolo. Faceva fresco ma le piccole erano ben coperte. A quell'ora, erano quasi le sei di sera, al parco giochi non c'era nessuno a parte loro.
"Posso unirmi a voi?"
Una voce fece voltare sia lui che Hope.
"Mamma!" esclamò la bambina e cominciò ad agitare braccia e gambe perché il papà la facesse scendere.
Una volta a terra corse da lei che la prese in braccio. Demi era stanca, un po’ pallida e con i capelli scompigliati.
“Stai bene?” le domandò il suo ragazzo.
“Sono solo stanca e non ho ancora avuto tempo di lavarmi i capelli, che sembrano quelli di una strega. Sono orribile, vero?”
“Sei sempre bellissima!”
Non lo diceva per farla stare meglio, era quello che pensava.
"Mi sei mancata, principessa!" esclamò Demi, poi si avvicinò ad Andrew e lo ringraziò per quel che aveva fatto. "Sei stato gentilissimo."
"Alla fine c'era anche tua sorella."
Le spiegò cos'era successo e lei sorrise.
"Ringrazierò anche lei."
"Anch'io devo dirti grazie."
"Per cosa?"
"Per non essere venuta oggi, aver capito e lasciato che vivessi quei momenti da solo. È stato importante per me."
"Non è stato facile" ammise lei, la voce leggermente rotta.
"Lo so, ma l'hai fatto e anche questa è una prova d'amore."
I due si lasciarono un leggero bacio sulle labbra. Avrebbero voluto approfondirlo, renderlo più passionale, abbracciarsi, ma non se la sentivano con le bambine lì presenti, non pareva loro il caso.
Mackenzie vide la mamma e corse da lei, raccontandole quel che aveva detto alla psicologa e spiegandole, con un'espressione contrita in volto, quanto accaduto con James.
La ragazza ci restò malissimo.
"Domani tenteremo di risolvere  questa cosa, o almeno di iniziare a farlo" le promise.
Sperava che gli insegnanti e il Preside avrebbero agito, magari anche con l'aiuto della psicologa della scuola, per far capire ai bambini che quel che facevano era sbagliato e che feriva Mackenzie ed Elizabeth. Tuttavia sia Demi che Andrew avevano anche paura, vista l'esperienza della ragazza, che nulla sarebbe cambiato.
Mentre le bambine riprendevano il gioco, per spezzare la tensione i fidanzati cominciarono a parlare del Battesimo e ad organizzarsi meglio. Ne avevano già discusso, ma al momento non avevano altri argomenti di cui parlare. Decisero di fare il pranzo in un rinomato ristorante, avrebbero dovuto andare a parlare del menu con il proprietario, avevano già in mente una lettura per la messa anche se non erano sicuri e Demi disse che le avrebbe fatto piacere leggerla in quel giorno speciale.
"Domani pomeriggio dovremo andare a fare shopping. Io non ho un abito adatto e anche alle bambine serve qualcosa per quel giorno."
"Sì, anche a me" aggiunse Andrew. "Per il fotografo invece?"
"Ne conosco uno. L'ho incontrato qualche volta quando dovevo fare un servizio fotografico. Phil ha sicuramente il suo numero, lo contatterò."
"Per le bomboniere ho trovato un negozio dove potremo andare a scegliere."
"Oh, fantastico! Io direi di telefonare agli invitati e di non fare inviti, che ne pensi?"
"Va bene. Quindi invitiamo la tua famiglia, Selena e Joe immagino, magari anche Mary e i suoi. Posso invitare Bill? So che non lo conosci ancora, ma…"
"No, sono d’accordo. I prossimi giorni potremmo fare una cena a casa mia così lo conoscerò. Per la torta pensavo ad una pasticceria molto buona dove potrei farla preparare."
"Perfetto!" Mentre parlavano avevano tirato fuori due taccuini sui quali prendevano nota. "Facciamo un buffet?"
"Direi di sì, magari potremmo chiedere ai miei di aiutarci a preparare e a cucinare tutto, però."
"Sì, è meglio. Ad ogni modo mancano ventisei giorni: abbiamo fretta ma non così tanta."
"Aspetta, quanti?"
"Ventisei" ripeté lui, ricontrollando l'agenda sul telefono.
"Caspita è vero, il 30 novembre è giovedì e il Battesimo è il 10 dicembre. Perché credevo fosse il 30? Sono proprio confusa in questi giorni!"
"Tranquilla, capita di scordarsi le cose."
Andrew aggiunse che, visto lo stress di quegli ultimi giorni, non c'era da stupirsi che avesse la testa da un'altra parte.
"Il problema è che ce l'ho un po' troppo" commentò lei.
I quattro giocarono a rincorrersi per il parco ridendo come pazzi. Si rilassarono e dimenticarono i problemi e le preoccupazioni per dare spazio a un po' di divertimento e di gioia, cose di cui avevano bisogno.
Andarono a casa di Demi a cenare, poi i due adulti lasciarono le bambine a Dallas, alla quale la sorella aveva chiesto di occuparsene quella sera. Lei, felice, era corsa lì subito.
Al corso in preparazione al Battesimo incontrarono Eddie e Dianna, padrini di Mackenzie e quelli di Hope che erano Joe e Madison. Padre Thomas parlò loro dell'importanza dei genitori nell'educazione di un figlio e del loro ruolo e quello dei padrini nel cammino di fede del bambino, poi spiegò il significato del Battesimo e infine fece qualche domanda organizzativa ai genitori. Tutti sapevano già quelle cose, ma ripassarle fu interessante.
Tornarono a casa piuttosto presto.
"Le bambine sono state bravissime" disse loro Dallas. "Hanno giocato un po' con me e poi si sono addormentate, le ho portate a letto."
I due la ringraziarono, Demi lo fece anche per essere rimasta quel pomeriggio e poi la donna tornò a casa.
"Dormi qui?" chiese ad Andrew.
Erano già passati a vedere se i gatti avevano acqua e cibo, quindi accettò volentieri.
Demi andò a fare una doccia e poté togliere il cerotto. Il sollievo che provò stando sotto il getto d’acqua fu immenso. I giorni prima si era lavata ma a pezzi, nel lavandino e nel bidet. La doccia la aiutò a distendere i nervi. La cicatrice era ancora incrostata di sangue che però con l’acqua andò via quasi del tutto.
“Si vedrà” disse parlando allo specchio. “Questa la vedranno tutti.”
Ma non le importava.
Prima di addormentarsi lei ed Andrew pensarono che quella seguente sarebbe stata una giornata dura e, con il cuore pieno di paura, pregarono affinché tutto andasse per il meglio. Mackenzie, nel suo letto, provava le stesse cose. I genitori non sapevano però che quella notte non riuscì a chiudere occhio.
 
 
 
NOTE:
1. per chiarire: parlo di pomeriggio e anche di pranzo, ma non mi sono confusa e non ho fatto salti temporali. I personaggi si sono fermati alle 13:00, quando è già pomeriggio. Hope mangia a mezzogiorno, ma ho immaginato fosse sempre l’una quando si trovava a letto.
2. Lo so che Demi, in questo e nello scorso capitolo, è sembrata molto confusa. In situazioni di forte ansia e stress può capitare, o almeno a me succede, così ho pensato di farlo accadere anche a lei.
3. La minaccia di James purtroppo mi è stata rivolta da un bambino anni fa, poi però ne ho parlato con le maestre e loro hanno fatto un bel discorso alla classe e tutto si è risolto.
4. Ho riassunto un po' l'organizzazione del Battesimo e il corso preparatorio per non annoiare, non volevo rischiare di essere pesante. Anche aver parlato poco del corso preparatorio è una cosa voluta: Mackenzie sa già qual è l’importanza del Battesimo, ne ho parlato e Padre Thomas le ha spiegato anche l’importanza dei padrini (non ricordo se l’ho scritto, ma nel caso immaginiamo che gliene abbia parlato) e quindi non mi è sembrato opportuno ripetermi.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
sono tornata con un nuovo, lungo capitolo! Avrebbe dovuto essere più lungo, ma mi serve più tempo per trattare la questione del bullismo. Tuttavia non volevo che il precedente fosse l’ultimo aggiornamento dell’anno (in fondo non aggiorno da un mese e mezzo) così intanto ho scritto questo. La cosa buffa è che il capitolo con la cena con Bill è già scritto (era in programma da molto) ma non posso aggiungerlo perché nel prossimo ci saranno il colloquio e altre cose, mi dispiace. L Avevo pensato ad una possibile colazione con lui, Demi e le bambine, ma mi pareva una cosa troppo sbrigativa. Probabilmente lo aggiungerò dopo il seguente, o dopo due capitoli al massimo.
 
Posso dire che questo capitolo non mi convince pienamente? Non lo so, la parte della Confessione secondo voi è convincente? Padre Thomas ha detto cose sensate? Le emozioni di Andrew sono descritte bene? E come avete trovato la psicologa? Poi spero di non aver reso il finale troppo veloce, ecco, ma non sapevo cos’altro aggiungere. Non ho allungato molto la parte del gioco perché volevo dare più rilevanza alla tensione che si respira.
 
Auguro a tutte voi di trascorrere un sereno Natale con chi amate e che l’anno nuovo sia migliore di quello che sta per finire! Demi, Andrew, Mackenzie, Hope e gli altri personaggi mi fanno lo stesso augurio e saranno felicissimi di ritrovarvi tra qualche settimana.
   
 
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