Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: Asia Dreamcatcher    24/12/2018    2 recensioni
Johann Schmidt è tornato e con esso le ceneri dell'oscura Hydra, pronta a risorgere.
Ma Teschio Rosso non è solo e Steve Rogers e gli Avengers dovranno vedersela con nuovi nemici. James Barnes sarà costretto, ancora una volta, a lottare contro i propri fantasmi, sperando di non soccombere.
Mentre gli echi di una nuovo guerra risuonano, Captain America e Vedova Nera si ritroveranno ad affrontare una sfida inaspettata, che potrebbe cambiare tutto per sempre.
Terza parte di "Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti"
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
29

Capitolo Ventinove: Home sweet home

Home

a place where I can go

to take this off my shoulders

someone take me home”

~ “Home”, Machine Gun Kelly, Bebe Rexha & X Ambassadors


«Come siamo vivaci stamattina» sussurrò dolcemente Natasha Romanoff divertita dal suo stesso figlio, che aveva ben pensato di svegliarli all'alba. Ora se ne stava fra le morbide lenzuola del letto matrimoniale, sotto lo sguardo attento di sua madre, agitando le braccia e le gambe grassocce, emettendo versi eccitati.

«Si vede che ha preso da noi» ridacchiò Steve uscendo in quel momento dal bagno asciugandosi distrattamente i capelli; facendo attenzione prese il piccolo James e gli posò un casto bacio sul capo poi si prese posto accanto alla compagna.

Natasha sorrise, non aggiunse nulla e si appoggiò a lui, osservando con affetto sconfinato James, che li fissava meravigliato. Tutti pensavano che il bambino avesse nello sguardo una scintilla di consapevolezza troppo precoce per la sua età. Ma d'altronde James Samuel Rogers non era un neonato normale, il suo dna modificato prima o poi si sarebbe manifestato in modo palese.

«Non avrei mai pensato di poter amare un altro essere umano così intensamente» mormorò piano senza distogliere lo sguardo lucido dal figlio.

Steve si voltò a guardarla, lievemente sorpreso da quella spontanea e dolce confessione.

«Nemmeno io» replicò serio. Natasha si sporse a baciarlo, poi accolse James fra le sue braccia e lui iniziò a giocare con una ciocca di capelli fulvi, non comprendendo ancora bene la funzione delle sue mani.

Il capitano si limitò a guardare adorante suo figlio urlare divertito, nell'imitazione di una risata, mentre Vedova sfiorava delicatamente il nasino con il suo.

Avevano vissuto per ben due giorni in quello stato di grazia, occupandosi esclusivamente di loro e del loro bambino. Avrebbero voluto per farlo per sempre; ma se speravano di avere quella vita, quel futuro che avevano appena assaggiato, dovevano prima distruggere, eliminare la minaccia che gravava sulla loro famiglia.

«E' ora di tornare alla realtà» bisbigliò Steve; Natasha strinse impercettibilmente suo figlio a sé, in un istintivo moto di protezione.

«Lo so» sospirò, poi sorrise rivolgendosi a James «Gli zii iniziano a sentire la tua mancanza».

Si vestirono in silenzio, mentre il bambino – protetto dai cuscini – se ne stava placido, quasi avvertisse che qualcosa stava mutando.

Natasha si concesse una lunga occhiata al proprio compagno, gli passò con amorevolezza una mano fra i capelli biondo scuro, lo baciò sulle labbra sotto lo sguardo attento di lui; le sue dita callose accarezzarono impalpabili la bocca piena di lei.


«Signora Jenkins da quanto è sveglia?» esordì Natasha con James fra le braccia, osservando incredula l'infermiera, assunta ufficialmente come loro bambinaia sin dal giorno seguente il risveglio della russa. Vero era che fosse la balia di James ma la donna pareva aver preso a cuore l'intera squadra, viziandoli innanzitutto con la sua cucina.

Natasha circumnavigò il tavolo straripante di piatti dolci e salati pronti per essere serviti a colazione.

«Parola mia, bambina, non ho proprio idea di come non siate morti di fame finora!?» la spia si aprì ad un sorriso.

«Non deve disturbarsi tanto signora Jenkins» replicò Steve sconvolto da tanto cibo.

«Quisquilie!» celiò la donna agitando la mano in aria «Piuttosto come sta questa creatura?» sorrise osservando da vicino il piccolo Jamie, che nel mentre era interessatissimo a mettersi in bocca un lembo della camicia leggera della madre.

«Dorme poco, ma non ci lamentiamo» disse Steve, cercando disperatamente con lo sguardo il caffè in mezzo a tutto quel ben di Dio.

«Se non facciamo impazzire un po' mamma e papà dove sta il divertimento?» ridacchiò allegra la bambinaia rivolgendosi a James, che sembrò essere d'accordo con lei.

«Come procedono le cose qui?» si informò Vedova. Florence assunse un'aria cospiratoria e si avvicinò a lei;

«Voci di corridoio confermano un parziale cessate il fuoco da parte dell'agente Carter nei confronti del povero sergente Barnes» Natasha si trattenne dal ridere apertamente.

«Capitano il caffè è su quel ripiano».


Ci vollero pochi minuti per riunire l'intera squadra, più Pepper, Laura e i bambini interessatissimi al piccolo Jamie, Jace, Niko con Alexandra.

Nemmeno a dirlo Tony, Sam e Clint si erano fin da subito abituati alle attenzioni materne di Florence Jenkins.

«Miss Jenkins non dovrebbe viziare così Tony, non è a lui che serve una bambinaia» disse Pepper osservando male il fidanzato.

Il miliardario alzò il volto da un piatto strabordante pancakes con aria innocente, i suoi occhi sembravano dire “Perchè no?”.

Steve si aprì ad un sorriso indulgente, guardò i suoi compagni uno ad uno, per una volta rilassati, quasi non esistesse nessuna minaccia che gravava su di loro. Quanto tempo era passato? Da quanto tempo non avevano un momento così? Il suo sguardo scivolò dolce sulla figura di Natasha: seduta sul divano cullava il figlio prima di lasciarlo alle cure di Miss Jenkins e tornare da loro. A costo della sua vita, si disse Steve, avrebbero avuto una vita di momenti così.

«Quali notizie ci siamo persi?» chiese il capitano, una volta che tutti furono pronti a concentrarsi su ciò che aspettava loro, in un futuro ormai sempre più vicino.

«Lo S.H.I.E.L.D. ha scoperto le basi segrete dell'HYDRA, grazie alla chiavetta lasciata dalla giovane Munroe» esordì Clint prontamente «Sono quasi certi che in quelle basi producano in serie lo psychotron. Dovremmo riunirci presto con loro per decidere come muoversi. Vogliono sicuramente piazzarlo sul mercato, e nessuno è bravo come Allegra Belgioioso in questo campo»;

«Quella stronza, ormai è chiaro che è in combutta con Sinthea Schmidt» borbottò Sharon, scambiandosi un cenno d'intesa con Natasha, il cui sguardo si accese. Aveva un conto in sospeso con quelle due, e l'avrebbero pagata cara per aver solo volto lo sguardo al suo bambino.

«Abbiamo difficoltà a monitorarli, troppe basi. Anche se al momento sembrano essersi ritirati, c'è troppa calma» ragionò Bucky.

«A tal proposito io e la piccola Skye stiamo studiando i movimenti del Bus. Come faccia a muoversi evitando qualsiasi radar, invisibilità a parte...» replicò compito Tony sorseggiando il caffè.

Steve annuì grave, incrociò le braccia al petto e cominciò a ragionare sulle varie informazioni.

Se l'HYDRA stava davvero tenendo un basso profilo, allora dovevano mettersi in moto il prima possibile. Dio solo sapeva cosa stessero architettando.


Prima di te ero solo un pazzo

ora lascia che ti racconti:

avevo un'ascia già sgualcita

e portavo tagli sui polsi

oggi mi sento benedetto e non trovo niente da aggiungere

Questa città si affaccia quando ci vedrà giungere

ero in bilico tra l'essere vittima, essere giudice

era un brivido che porta la luce dentro le tenebre

e ti libera da queste catene splendenti, lucide”

~ “Torna a casa”, Måneskin


Era calata la notte sull'Avengers Tower, quasi tutti si erano ritirati nelle loro stanze, James Barnes aveva appena lasciato Steve e Natasha, dopo aver augurato la buonanotte al nipote già addormentato tra le braccia del papà.

Incredibile come un bambino cambiasse la prospettiva di un'intera vita; anche se non era figlio suo Bucky provava un forte senso di protezione nei suoi confronti, come verso Jace.

Si piazzò accanto alla porta della stanza di Sharon, come quasi ogni sera. Era assurdo, lo sapeva bene, finiva ogni notte con l'addormentarsi sul pavimento e svegliarsi prima che lei lo vedesse. Le mancava terribilmente, quella era la sua giustificazione, la realtà dei fatti.

Come sempre perdeva la cognizione del tempo, forse non erano nemmeno passate un paio d'ore, quando Bucky, tendendo l'orecchio, sentì Sharon agitarsi pesantemente nel sonno. Non sapeva che fare, non voleva che lei si risentisse per aver invaso la sua privacy, non ora che finalmente aveva ricominciato a rivolgergli la parola. Ma il suo istinto alla fine ebbe la meglio.

Aprì la porta con attenzione, anche se al buio riuscì immediatamente a distinguere la figura della sua ragazza.

«James» mormorò lei. Il Soldato si bloccò immediatamente, convinto di averla svegliata.

Si rese subito conto che l'agente 13 non era affatto sveglia ma era preda di un incubo, che la stava agitando e la faceva rigirare nel letto in una vana ricerca di pace.

Ben addestrato non fu difficile per James esserle accanto senza produrre il minimo rumore. Si chinò su di lei trattenendo il respiro e con sconcerto vide una scia di lacrime bagnarle il volto contratto in una smorfia angosciata.

«James» ripetè flebilmente, sbuffò e si strinse al cuscino.

Bucky fece una smorfia triste: era lui la causa del suo dolore; sapeva di averla ferita andandosene senza una parola, dopo averla quasi uccisa... Si odiò davvero, ma non poteva cambiare ciò che aveva fatto e nemmeno l'avrebbe fatto.

Era difficile da capire per loro, ma lui aveva giurato a se stesso di proteggerla, di non permettere alla sua natura di ferirla e quando questo era avvenuto, lui aveva agito nell'unico modo che ormai conosceva: tornare un fantasma.

Era ben consapevole di averla distrutta, perché lui stesso aveva sofferto terribilmente la lontananza.

Forse sarebbe stato meglio mantenere quella distanza, lasciare che crescesse, che si rifacesse una vita lontano da lui, ma il solo pensiero lo fece star male, no lui l'amava e sarebbe rimasto al suo fianco finché lei glielo avrebbe concesso.

Un altro lamento lo strappò dai suoi pensieri e la sua mano corse dolcemente sulla sua fronte aggrottata nella speranza di acquietarla.

Sharon invece spalancò gli occhi spaventata dall'incubo e inquietata dal tocco, che a causa dell'agitazione e della stanchezza non aveva riconosciuto. Reagendo ad un impulso naturale, tipico dei soldati ben addestrati, scattò verso James credendolo un nemico, estrasse contemporaneamente il pugnale da sotto il cuscino e lo atterrò alzando la lama con il respiro affannoso e lo sguardo sgranato.

«Sharon... sh... sono io» sussurrò Bucky con le mani aperte e tese innocenti verso di lei.

La donna lo mise a fuoco, la lama si abbassò di colpo mentre il suo braccio perse subito forza. Si portò l'altra mano alle labbra;

«Io credevo... che... che tu...»

«Qualsiasi cosa fosse ora è passata» mormorò pacato. Quella frase fece scattare qualcosa in Sharon: ogni resistenza cessò, qualsiasi tipo di reticenza scomparve, si piegò su di lui e poggiò il capo nell'incavo tra la spalla e il collo.

«Ti supplico abbracciami» bisbigliò con voce rotta e James non attese oltre: accolse quella richiesta come una benedizione e la strinse a sé con forza.

«Sharon – strinse i denti come fosse in lotta con se stesso – mi dispiace tanto amore» disse desolato;

«Lo so. Lo so. Dispiace anche a me».

Bucky lasciò che si tranquillizzasse poi la riportò fra le lenzuola, mettendosi accanto a lei.

«Resti?»

«Sì. È questo il mio posto».

Sharon parve finalmente rilassarsi e poggiò il capo sul cuscino, mentre James fece lo stesso, gli sguardi incatenati e nulla... Restarono così, in silenzio, l'uno perso e al tempo stesso cullato dallo sguardo dell'altra, cercando di trovare piccole differenze o nuove cicatrici nate in quei mesi di distanza. Riscoprirsi, conoscersi ancora una volta, far rifiorire sentimenti costretti al silenzio.

Questa volta” si disse Bucky totalmente stregato da lei “Questa volta farò le cose per bene”.

Sharon l'aveva finalmente accettato, l'aveva nuovamente con sé, era al suo fianco com'era giusto che fosse.


Fu istinto, sesto senso o semplicemente una sensazione a far fermare la giovane Alexandra davanti la porta di Sharon, o forse era semplicemente la mancanza di Bucky sopito contro il muro a braccia e gambe incrociate a farla insospettire; anche se non sempre restava lì fino a tarda mattina. Eppure...

Eppure, facendo estrema attenzione aprì leggermente la porta e sbirciò dentro: non seppe mai come fece a non scoppiare ad urlare di felicità.

«Che stai facendo?»

Alexandra si voltò di scatto, ma invece di essere sorpresa – riconosceva i passi di Jace fin troppo nitidamente – lo osservò stizzita e gli fece cenno di abbassare la voce e di guardare dentro.

Jace, alzatosi da troppo poco per riuscire a ribattere, fece come richiesto e i suoi occhi ebbero un guizzo: Sharon e Bucky che riposavano pacifici, l'una stretta fra le braccia dell'altro.

«Cazzo» bisbigliò incredulo.

Non dovettero nemmeno guardarsi, si precipitarono in soggiorno sperando vivamente di trovare qualcuno.

Le loro speranze vennero esaudite.

Natasha era appoggiata ai piedi del divano accarezzando delicatamente il capo di Steve abbandonato sulle sue gambe, occhi chiusi e il resto del possente corpo disteso sul soffice tappeto, e il piccolo Jamie sonnecchiante sul suo petto, stretto in un abbraccio protettivo.

Sull'altro divano Tony sembrava ancora incapace di formulare un solo pensiero coerente e la tazza di caffè precaria fra le sue mani; Sam invece sorrideva in direzione di Natasha.

«E' successo!» proruppe Sasha con la sua voce alta e cristallina.

Tutti si voltarono straniti, cerca Jace e Alex non dovevano avere le espressioni più sane e calme del loro repertorio.

«Sharon e Bucky hanno finalmente fatto pace» cercò di spiegarsi meglio il quindicenne.

Natasha ridacchiò leggera e si scambiò uno sguardo complice con Steve, che sorrise consapevole che la sua dolce metà ci aveva visto giusto anche stavolta.

«Non mi dire!» Sam era decisamente euforico, guardava Tony che boccheggiante si rivolse ai due ragazzi;

«Momento momento momento! Da cosa lo supponete?»

«Dal fatto che stanno dormendo abbracciati?» replicò Sasha con un sopracciglio alzato.

«Merda» borbottò il miliardario frugandosi nelle tasche.

«Oh oh paga vecchio mio!» gongolò Falcon «Aspetta che lo dica a Clint!».


*


'Cause there's madness on my brain

so I gotta make it back, but my home ain't on the map

gotta follow what I'm feeling to discover where it's at

I need the memory

To give me the strength to look the devil in the face and make it home safe”

~ “Home”, Machine Gun Kelly, Bebe Rexha & X Ambassadors


«Nat, ah sei qui?».

Sharon entrò nella camera del piccolo James e ci trovò Natasha intenta a cambiarlo, mentre Miss Jenkins si adoperava per sistemare l'armadio.

«Ok è definitivamente troppo carino, Steve impazzirà» continuò guardando la tutina che l'amica aveva appena scelto per il figlio: una tutina mooolto patriottica a tema bandiera americana.

Vedova sorrise diabolica;

«Oh lo so, è proprio per questo che lo facciamo no?» disse in direzione del bambino, che per risposta si mosse scoordinato.

Lo prese in braccio e lo baciò sul nasino mentre lo sguardo di Jamie si accese.

«Ecco qui Natasha cara il berretto che avevi chiesto.» si intromise gentilmente Florence aiutando la madre a coprire per bene il capo del piccolo.

«Molto bene» replicò la russa accarezzando ancora una volta il figlio e poi passandolo alle braccia esperte della tata.

«Mamma torna presto» sussurrò prima di uscire accompagnata da Sharon.

«Andiamo?».


Il viaggio fino alla struttura dello S.H.I.E.L.D. non fu lungo, anzi fu piuttosto divertente per Natasha mentre osservava la faccia di Sharon farsi porpora, dopo averle chiesto se lei e Bucky avessero finalmente fatto pace a dovere.

«Come diamine fai a sapere sempre tutto?» celiò la bionda mettendosi una mano davanti al volto.

«Ho le mie fonti!».

Dopo essere entrate si misero d'accordo su come procedere e Natasha entrò da sola.

La Winter Soldier stava semidistesa ma ancora legata al letto per evitare che aggredisse qualcuno o si ferisse, i medici avevano iniziato subito il trattamento per cercare di contrastare il condizionamento e quando fosse stata abbastanza stabile avrebbero ricorso allo psychotron.

Non appena la soldatessa la vide si animò;

«Dovete lasciarmi andare!» strepitò stizzita.

La russa vide che era ancora abbastanza agitata, ma il suo aspetto era molto più sano rispetto a quando si erano scontrate, l'incarnato era più roseo, i capelli erano lucidi e meno sfibrati e, le avevano comunicato i medici (che le fornivano sempre un rapporto giornaliero) mangiava poco ma regolarmente.

«Perchè?» ecco ancora una volta Natasha le aveva posto quella domanda e ancora una volta K si zittì.

La spia sospirò;

«Ascolta per l'ennesima volta è vero sei nostra prigioniera, ma non abbiamo intenzione di trattarti come tale» ci aveva riflettuto a lungo, voleva essere liberata ma non per tornare tra le fila dell'HYDRA, no, non era quello l'atteggiamento, al contrario di Niall lei sembrava molto meno plagiata... Era come se il condizionamento avesse iniziato a perdere effetto su di lei, come quando James... E le venne un'illuminazione.

«Devi tornare da qualcuno vero?» le chiese a bruciapelo.

K si irrigidì immediatamente, e Natasha capì di aver fatto centro;

«Dovete lasciarmi subito andare, devo tornare indietro altrimenti...»

«Altrimenti?»

«Non provare ad entrare nella mia testa, stronza!» la reguardì K velenosa. Natasha non si fece impressionare, anzi decise che era il momento per andarci giù pesante.

«Altrimenti cosa mi fai Ekaterina?».

La Winter Soldier smise di agitarsi di colpo e guardò Vedova Nera come fosse un'apparizione divina.

«Come mi hai chiamato?»

«Il tuo nome, il tuo vero nome è Ekaterina Mikahailvna Rostova sei nata a Mosca ed eri una ballerina del Bol'soj, anche piuttosto brava stando a quanto c'è scritto qui – il tono di Natasha si smorzò – eri fidanzata con un boss della mafia russa, ti vendette all'HYDRA per pagare i suoi debiti... Ma non bastò.»

«Katia» articolò a fatica.

Natasha capì perfettamente la sua reazione, quel momento in cui perfino la percezione di te stessa si capovolge, tutto perde senso e ne acquista un altro ma non è abbastanza perché tu non ti riconosci: leggi di questa persona e non hai idea di chi sia, ti appare come una persona distante da te e la senti come una lontana parente che non vedi da moltissimo tempo che perfino i suoi connotati ti appaiono fumosi e distorti.

Serviva una forza di volontà fuori dal comune per riuscire a sopportare tutto ciò.

«Come può tutto questo aiutarmi?» mormorò desolata K «Come può aiutarmi sapere questo?» continuò però con rabbia.

Natasha però fu ferma, le afferrò con durezza il polso ma senza farle male e la sua voce uscì chiara ma non severa;

«E' un punto da cui ripartire, è qualcosa di vero su cui poggiarti, non puoi pretendere di salvare qualcuno se prima non sai chi sei tu. Non puoi salvare altri se prima non impari a salvare te stessa».

K la osservò per la prima volta con reale interesse e quasi ammirazione.

«K... Sei davvero tu?» la voce pacata e leggermente tremula la distolse dalla contemplazione di quella donna e il respiro le si bloccò in gola.

«N?»

«Sono Niall, ora. Niente più N per favore» replicò con dolcezza il ragazzo entrato in quel momento insieme a Sharon.

Niall ormai era sempre più padrone di se stesso, grazie a Sharon e anche al dottor Banner e il suo psychotron; si avvicinò alla ragazza e le accarezzò piano il capo.

«So che è tutto confuso, so che hai paura e non sai più cosa sia vero e cosa no. Ma io sono reale, e loro possono aiutarti, Ekaterina per favore...».

K a quel punto fu sopraffatta e crollò.

«N- Niall... D, Didi è rimasta sola con L. Io non posso lasciarla sola... Devo proteggerla per favore» ribatté fra le lacrime, cercando di allungarsi verso di lui per quanto le permettessero le manette.

«D è il terzo Winter Soldier, giusto?» chiese Sharon e Niall annuì compito.

Natasha osservò ancora un attimo la soldatessa disperata, mentre il ragazzo cercava di consolarla come poteva, poi guardò fra le cartelle che aveva in grembo e cercò il suo nome.

«Dominil» disse, poi il suo sguardo accarezzò morbido quello di K.

«Dominil» ripeté lei un po' più calma.

«Sì. Aiutaci ad aiutarti e ti prometto che andremo a salvarla».

_____________________________________________________________________Asia's Corner

Buona Vigilia a voi tutti! Ed eccomi qui a farvi gli auguri di Natale con un capitolo, che credo farà felici molti di voi, nettamente in contrasto con l'asprezza e la spietatezza del capitolo scorso, volevo che questo capitolo fosse più dolce e creasse un momento di distensione per tutti.
Non mi dilungo molto, perché ho la cena della Vigilia che attende il mio apporto per essere preparata e messa in tavola. Auguro a tutti voi buone feste! E colgo l'occasione per ringraziarvi del sostegno! 

Sono sicura che il prossimo capitolo arriverà verso fine gennaio, spero di non metterci troppo, ma abbiate pazienza!
Prometto che cercherò di recuperare con le risposte alle vostre recensioni prima di fine anno (mi metto d'impegno eh!)

Buon Natale, un abbraccio forte

Asia Dreamcatcher

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Asia Dreamcatcher