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Autore: MaryS5    24/12/2018    4 recensioni
“Quanto ci vuole per cambiare la vita di una persona?
Un anno?
No. Molto meno.
Un minuto?
Basta anche un secondo e tutto si capovolge, tutto si distrugge. Niente potrà mai tornare indietro. Gli errori non possono essere ricuciti, e la colpa non potrà essere lavata via.”
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gunderson Pidge/Holt Katie, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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 Una Piccola premessa: nonostante non sia proprio il periodo adatto questa non è una storia natalizia, l’avevo scritta molto tempo fa, ma solo adesso ho avuto il coraggio di pubblicare poiché si tratta della mia prima creazione su questo fandom, spero vi piaccia. Buona lettura.

Questa storia si svolge verso la fine della sesta serie, in una specie di quasi-finale alternativo. Lotor è ancora alleato con i ragazzi, ma non si trova nel castello dei leoni. I paladini sono soli, Keith è tornato prima del previsto e li aiuta a tenere a bada i Galra ribelli (Ovviamente non sa niente del doppio gioco del “ fidanzatino di Allura”). Questi dopo la salita al trono del principe tramano degli attacchi spesso rivolti a Voltron stesso. In uno di questi, i ribelli verso il principe, riescono a entrare al castello.



Si sentì un’esplosione causata forse da uno sparo. Keith e Lance saltarono fuori dalla nube di fumo e polvere correndo dalla parte opposta. Dovevano fare in fretta a sconfiggere gli invasori o rischiavano che questi potessero impossessarsi della nave.
Gli altri paladini si stavano occupando di liberare i corridoi rimanenti. Coran si era dimostrato sorpreso e contrariato dall’intrusione, come avevano fatto a non accorgersene? Erano anche riusciti a mettere fuori uso telecamere e ricetrasmittenti. I nemici erano stati scaltri. Non dovevano essere sottovalutati.

Dopo che ebbero girato l’angolo, senza rallentare, Lance scoppiò a ridere. Stringeva l’arma tra le dita e sogghignava senza ritegno. Anche Keith lo seguì. << Era da tanto tempo che non lo facevamo! >> ricordò colpendo con noncuranza un altro robot alieno. L’altro annuì.
Era stato via da quelle persone troppo a lungo, anche se tutta l’allegria era dovuta per la gran parte all’adrenalina che girava loro in corpo, lui sapeva che gli erano mancati. << Keith! Attento! >> grazie all’avvertimento riuscì ad accorgersi di un attacco a sorpresa, schivarlo e contrattaccare con successo.
Si fermarono un attimo per riprendere fiato con le mani sulle ginocchia. << Non sembrano molto furbi >> li canzonò Lance dando un calcio ad un elmo abbandonato. << Coran ha detto che non dobbiamo abbassare la guardia >> lo ammonì severo ritornando in posizione da combattimento. << Se, seh ma dovremmo anch… >>. Keith lo zittì con un cenno della mano.
Alzarono il mento allo stesso momento. Non si sentiva alcun rumore. << Mhh …è strano … >> disse tra se e se il moro abbassandosi per tastare il terreno con la mano. Nonostante Lance trovasse quel comportamento alquanto divertente e insolito rimase immobile, con un sorrisetto sarcastico, ad osservarlo.
<< Di là! >> urlò l’altro spingendo il compagno a fare marcia indietro.

Dopo alcuni metri di corsa raggiunsero un angusto spiazzale in cui si stava tenendo un combattimento. Al centro della rissa c’era la piccola Pidge circondata da cinque guardie armate e qualche carcassa di robot a terra. Combatteva bene, ma era sola e in minoranza.
<< Andiamo! >> Lance si unì al Paladino Verde senza che l’altro potesse obiettare per l’evidente mancanza di un piano. Impugnò il suo Beyard che si trasformò in un fucile laser. Con una precisione senza eguali riuscì a colpirne due che finirono fuori combattimento, così si aprì strada verso la ragazza e corse mettendosi alle sue spalle. Doveva coprirla da dietro.
Keith non si fece attendere oltre, estrasse la sua arma raggiungendoli. Pidge era veloce, schivava tutti gli attacchi e colpiva il suo nemico con la frusta. Il paladino Blu si era allontanato per tentare di proteggersi da un colpo alla testa, una delle guardie messe KO poco prima si riprese e si fiondò sulla più piccola. Per fortuna il paladino Rosso invocò lo scudo e bloccò il colpo, sorprendendo il nemico con il suo coltello Galra. << Grazie Keith! >> ricambiò lei con un sorriso. Lance li interruppe cadendo vicino a loro. << Non volete proprio arrendervi, eh? >> mormorò a denti stretti. << Va bene allora! >>, l’arma si trasformò in una spada, così si lanciò urlando.
<< Pidge! Dov’è Hunk? Siete stati assegnati insieme! >> riprese mentre si occupava del suo avversario << Sì, è andato avanti per distrarre i soldati! Deve tenerli impegnati, non devono avvicinarsi al cristallo o prenderanno il possesso della nave ! >>, il ragazzo riuscì ad atterrare quello con un tonfo metallico << Va da lui! Ci pensiamo noi qui! >>. La ragazza annuì.
Keith saltò addosso all’avversario dell’amica tentando di bloccargli le braccia. In un Tik fu fuori dalla mischia.

Il corvino sentiva che stava per perdere la presa, quello si muoveva troppo, tuttavia non poteva colpirlo o avrebbe perso l’equilibrio esponendosi ulteriormente. << Portalo qui! >> urlò Lance nella sua direzione. Guardò dalla sua parte, stava contrastando la lama del robot con la sua, ma il ragazzo sembrava essere molto più debole, non avrebbe retto a lungo.
Seguendo il consiglio si sbilanciò verso sinistra facendo muovere il Galra che scivolò verso gli altri due. Com’era prevedibile l’impatto lo fece scendere a terra. Approfittando della confusione si diede la spinta sul pavimento e sfoderò l’arma verso l’altro soldato, caduto rovinosamente a terra. Nello stesso tempo Lance aveva trasformato il Beyard in una pistola colpendo il Galra che gli era venuto addosso e anche l’altro, giusto per sicurezza.
Il silenzio tornò a regnare sovrano, si sentì solo il suono dell’arma che ritornava alla forma base. Entrambi cercavano di riprendere fiato. << Ottimo lavoro! >> si congratulò il castano allungando una mano verso l’altro. Quello non aveva intenzione di incitarlo, ma era meglio avere un Lance positivo ed energico dalla sua parte che un brontolone insopportabile. Gli diede il cinque ridendo. << Che stiamo aspettando? >> il paladino Blu fece per correre nella direzione in cui era sparita l’amica, ma Keith lo fermò. << Sapranno cavarsela da soli, noi abbiamo un altro compito. Dobbiamo controllare quest’area del castello >> << Ma l’abbiamo già girata tutta! Non c’è nessuno! >> si lagnò. << Ti sbagli. Ci mancano ancora un paio di corridoi. Qualcuno potrebbe essersi nascosto da quelle parti >>. Lance sbuffò, ma lo seguì senza obiettare.
Camminarono in silenzio l’uno accanto all’altro. Non c’era alcun movimento sospetto, niente rumori, luci o esplosioni. I ragazzi si limitavano a ripercorrere quei corridoi bui, quasi come se si fossero persi, controllando ogni angolo.
Lance non riusciva a nascondere il suo disappunto, di tanto in tanto sbuffava o cominciava a mormorare cose incomprensibili. Ovviamente Keith faceva finta di non sentirlo, nonostante quel compito si stesse rivelando noioso era stato assegnato loro e avrebbero dovuto eseguirlo completamente.

I passi ritmati rimbombavano, alternati dal suono della lama che il paladino Rosso sfoderava ad intervalli regolari, giusto per essere pronto in caso di pericolo. Camminava da solo ormai, l’altro era rimasto indietro di qualche passo. Non gli dispiaceva granché, odiava sentirlo gracchiare e lamentarsi.
<< Ehy >> Keith si girò pensando che quello avesse trovato qualcosa, ma rimase deluso quando lo vide camminare tranquillamente verso la sua figura, presumibilmente con la testa fra le nuvole. << Stavo pensando … >> << Smettila di pensare e concentrati . >> Lo ammonì stizzito.
Il castano simulò dei colpi di tosse contrariati e l’altro gli lanciò un’occhiata acida. << Dicevo… … adesso che hai ritrovato tua madre, cosa pensi di fare? >> Quella domanda lo colse alla sprovvista. << Che vuoi dire? >> Gli rivolse solo uno sguardo, poi ricominciò a camminare.
<< Pensi di ritornare sulla Terra? Tornerete nella vostra vecchia casa? Forse vi piacerebbe mettervi a girare il mondo? Oppure continuerete a orbitare senza meta nell’universo? … >>. Gli lasciò tempo per rispondere. Keith però non ci aveva mai pensato. Non sapeva cosa dire. Non era nemmeno sicuro di volerne parlare con la madre. Insomma qualche tempo prima nemmeno sapeva di averla una mamma!

<< … Io per esempio tornerò a casa. La mia famiglia mi sta aspettando e non vedo l’ora di riabbracciarli tutti! >> continuò Lance. << … Se vuoi potreste venire con me. Mia madre sa cucinare divinamente, magari potrebbero fare amicizia. Te le immagini a scambiarsi le ricette? >> sogghignò felice. << Mhh… Non credo che mia madre sia una tipa da cucina, probabilmente preferirebbe cacciare… >> si unì alla conversazione.
<< Allora potrei presentargli mio zio! Beh … in realtà non è mio zio, ma lo chiamiamo tutti così perché… >> << Zitto! >>. Lance si infastidì di quella interruzione, credeva che la storia di suo zio sarebbe stata molto interessante, e a tratti un po’ comica.
<< L’hai sentito anche tu? >> Chiese Keith guardandosi in giro. << No … L’unica cosa che ho sentito è la tua maleducazione che mi interrompeva … credo che tu stia diventando paranoico, lo dico per te … >> << Shhh! >> Lo zittì ancora.
<< Keith, non c’è nessuno qui >> lo disse tradendo una certa esitazione.
Il ragazzo alzò le spalle. << Ci manca ancora qualche metro, andiamo a controllare, poi facciamo rapporto e vediamo come sono messi gli altri >>. Il paladino Blu annuì, ma non si azzardò ad aprire bocca. Improvvisamente aveva una strana sensazione. Sentiva dei brividi gelati che gli partivano dalla schiena. Tuttavia l’altro sembrava tranquillo, quindi si convinse fosse solo un’impressione.
Camminarono ancora a lungo. Quel luogo sembrava tutto uguale, nonostante ciò i paladini si erano destreggiati all’interno di quelle mura per così tanto che adesso riuscivano a riconoscere ogni cunicolo. Sbucarono in una biforcazione. Keith fece segno a Lance di andare a sinistra. Di norma non si sarebbero dovuti dividere, ma entrambi sapevano che la strada a sinistra non continuava, interrompendosi dopo pochi passi, mentre attraverso quella di destra sarebbero potuti tornare al punto di partenza e quindi riunirsi con gli altri.
Il paladino Rosso si fece avanti camminando vicino alla parete lentamente, in modo che l’altro avesse potuto raggiungerlo in fretta. Nonostante desiderasse stare vigile e attento per tutta la durata del compito, si era stancato. Avevano girato tanto, ed erano affamati, assetati, la stanchezza ormai gli impediva di controllare gli sbadigli. Si sorprese quando se ne lasciò sfuggire un terzo. Irritato pensò a come la presenza di Lance lo stesse cambiando in peggio, lui non era mai stato tanto negligente. Infondo non era stato proprio un bene vivere fianco a fianco con quei ragazzi. Tuttavia un pensiero più dolce degli altri lo raggiunse. I paladini, Allura e Coran erano stati per lui la famiglia che non aveva mai avuto e, anche se non l’avrebbe confessato ad anima viva, si sentiva fortunato ad averli trovati, o meglio che loro lo avessero trovato.
Un clangore lo riscosse. Alla sua sinistra era caduto qualcosa, ma non riusciva a vedere bene per via del buio. Si avvicinò piano, abbassandosi appena. Era un oggetto piccolo, allungato, inusuale. Appena l’ebbe inquadrato meglio ebbe la sensazione che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Era fuori posto, strappato al suo proprietario. Lo sfiorò con il dito riconoscendolo all’istante. Era un Beyard, il Beyard rosso.
<< KEITH!! >> un urlo verso la sua direzione.
Ebbe appena il tempo di alzarsi. Di girarsi. E in un flash qualcosa lo investì.
In quell’attimo il tempo sembrò fermarsi per pochissimo. Lance gli si tuffò addosso. Vide appena il suo viso. Aveva un’espressione strana, spaventata, ma in un certo senso consapevole. Vide il buio alle sue spalle. Poi una luce veloce, sottile. Un volto scuro, di un essere mai conosciuto. Mai visto. Di un nemico. Quello aveva dipinto uno sguardo terribile, da pazzo. Gli occhi fuori dalle orbite. La bocca spalancata. Il viso di qualcuno che ha perso tutto.
Poi sentì dolore. Un bruciore acuto appena sotto il petto. Urlò forte. Non tanto per il dolore, ma per paura. Anche se ancora non si era reso conto di ciò che era accaduto.
Lance gli si abbandonò tra le braccia. Lui sentiva qualcosa di caldo scivolargli sul collo, verso la schiena, imbrattargli il lato sinistro della faccia. Non badò a niente. A nessuna di quelle orribili sensazioni. Al contrario, come impossessato da un demone agì senza pensare, con una rabbia feroce a graffiargli i polmoni. Accompagnò il corpo di Lance sul pavimento, velocemente, ma senza fargli del male, mentre vedeva quell’essere correre via da loro.
Balzò afferrando il Beyard che in pochi passi si tramutò in un’arma. Prontamente prese posizione e sparò. Uno, due, tre colpi. Ardeva di tanto odio mentre premeva il grilletto da non riuscire a prendere bene la mira. Perse il conto dei colpi. Non si fermò. Poco prima che il nemico voltasse l’angolo uno dei suoi attacchi infuocati lo colpì. Probabilmente alla testa. Quello cadde a terra con un tonfo e una sostanza violacea prese a macchiare il pavimento. Non attese oltre. Voleva finirlo con le sue mani, avrebbe sparato ancora, magari più da vicino. Sarebbe stato sicuro di averlo ucciso.
Fece per correre dalla sua vittima, l’arma rossa ancora tra le sue mani da assassino, ma un singulto e dei colpi di tosse lo bloccarono. Si girò verso Lance e si impietrì agghiacciato.
Non era sicuro di aver compreso bene ciò che stava vedendo, ma una parte di sé gli urlava malignamente che era così. Il ragazzo era di spalle, abbandonato a terra. Tuttavia da quella posizione riusciva a vedere distintamente l’impugnatura di una spada risaltare sotto le scapole di quello. Alcune gocce di sangue vi scivolavano sopra. Intravedeva anche la punta dell’arma colorata di scarlatto che emergeva dal petto di lui e si muoveva seguendo i suoi singulti.
Un brivido lo percosse violentemente, seguito poi dal tremolio di braccia e gambe. Era incredulo, non riusciva a capire. Fece un passo avanti, ma si fermò.
Come era possibile tutto questo? Un attimo prima stava camminando, stava sbadigliando e adesso … Cosa era successo? Era terrorizzato.

Lance tossì ancora, con più veemenza. Seguì il suono di un rigurgito che fece venire la nausea a Keith.
In un attimo l’adrenalina gli salì dai piedi e comprese che avrebbe dovuto fare qualcosa. Corse dal Paladino Blu inginocchiandosi al suo fianco. Quello sputava sangue. Impallidì mentre lanciava uno sguardo alla ferita, ma lo spostò quando la bile gli salì in gola.
Cosa doveva fare? Come avrebbe potuto aiutarlo? Gli mise una mano sulla spalla per girarlo appena.
Lance respirava affannosamente e teneva gli occhi fissi a terra, ma appena riuscì a spostarlo, puntò gli occhi nei suoi. Ci mise qualche secondo ad inquadrarlo, a riconoscerlo, quando lo fece, sorrise. Sorrise.
Un sorriso stanco, debole, macchiato di sangue. Il corvino sentì un tremendo colpo allo stomaco. “ Non sta succedendo. Non sta succedendo.” Continuava a ripetersi in mente. Non riusciva a far altro se non osservare disperato la sua espressione che, via via, si addolciva lentamente.
Il Paladino Blu lo guardò ancora, le lacrime che gli bagnavano gli angoli degli occhi, tuttavia il sorriso non lo abbandonava.

Dopo poco il suo sguardo si abbassò seguendo la figura di Keith fermandosi poco prima della cintura. Allungò una mano, lentamente e gli sfiorò il corpo. Il ragazzo sentì un bruciore simile ad una scarica diffondersi da quel punto. Anche lui era stato ferito. La spada aveva trafitto anche lui.
Stupido, stupido Lance. Persino in una situazione del genere si metteva a pensare agli altri, mai una volta che considerasse se stesso. Keith sentì le lacrime bruciargli gli occhi e scivolare incontrollabili. Doveva fare qualcosa. Doveva sbrigarsi.
Il corpo di Lance fu percorso da potenti spasmi. Keith saltò in aria per la sorpresa e provò a tenerlo fermo. Il sangue continuava a uscirgli dalla bocca producendo terrificanti gorgoglii. Non riusciva a vedere le pupille, riversate dietro la testa. << Lance! >> urlò finalmente quando un soffio di voce gli bagnò le corde vocali.
Quello si rigirò di fianco e vomitò altro sangue tossendo. Il paladino Rosso vide in sudore bagnargli le tempie. Forse si era ripreso da quel terribile attacco. Provava a riprendere fiato, come se fosse stato sott’acqua per troppo tempo. Annaspava, sembrava non riuscisse a saziarsi dell’aria che inalava.
Keith fece per chiamarlo ancora, ma quello si rigirò e lo afferrò per il colletto. Forte. Rigido. Lo guardò serio, terrorizzato anche lui, mentre l’altro lo reggeva vicino a sé. Schiuse le labbra insanguinate un paio di volte prima di riuscire a sussurrare qualcosa. << … Keith … … >> Non poteva dire altro. Non poteva continuare. Ma non era necessario, il ragazzo penetrò il suo sguardo, riuscì a leggerlo.
Dentro vi riponeva un’immane paura, ma anche una speranza, una richiesta. “Portami da loro … … portami da loro … portami dalla mia famiglia … la mia famiglia”. E riuscì a vederli, attraverso i suoi occhi. Vide il viso della madre, del padre, dei fratelli, dei nipoti, prendere posto l’uno dopo l’altro. Poi il viso di un ragazzetto venne sostituito da quello soffice e sorridente di Hunk. C’era Pidge, Shiro, Coran, Allura e Keith. Rivide se stesso dentro i suoi occhi, la sua immagine. Ma non era come pensava che fosse in quel momento. Quell’immagine, quel volto, si presentava in modo più solare, felice, luminoso, pulito, tuttavia cominciò a divenire più scuro, più spaventato e sporco.
La sua espressione si rispecchiò negli occhi del ragazzo. Era disperato.

Lentamente lo sguardo di Lance cominciò a spegnersi, a farsi sempre più buio. L’azzurro dei suoi occhi si inscurì diventando blu, viola, quasi nero. E le palpebre si fecero più pesanti, il respiro più leggero. Sembrò che la sua attenzione venisse catturata da qualcosa, come da un suono, forse una voce che lo chiamava. Chiuse gli occhi espirando. Una smorfia delicata a dipingergli il volto. Il corpo di Lance si fece più pesante, di molto poco, però lui riuscì a sentire la differenza.
Con gli occhi spalancati continuava ad osservarlo in attesa di una risposta. Non poteva essere successo veramente. Era assurdo! Probabilmente aveva solo perso i sensi. Doveva portarlo via da lì. No, doveva chiamare gli altri in qualche modo, ma prima di tutto avrebbe dovuto svegliarlo o le cose si sarebbero fatte serie.
Si asciugò le lacrime con il pugno, poi prese a scuotere il paladino Blu. Doveva svegliarsi. Doveva assolutamente aprire gli occhi. << Lance avanti! Resta con me! Apri gli occhi! … gli altri stanno arrivando, manca poco! >> Mentì. Le lacrime presero a bagnargli le guance e gli si mozzò il respiro. << Lance … t-ti prego … >> Sussurrò tra i singhiozzi. Non stava facendo niente. Non riusciva ad aiutarlo. Quello continuava a restare inerme, disteso sul pavimento sporco.

Si lasciò scappare un sobbalzo quando un suono molto forte si propagò per i corridoi facendo tremare il pavimento. Alzò la testa tentando di riconoscerlo, ci mise un po’. Era Blue. Il leone stava ruggendo con vigore, ma non con il solito tono combattivo, sembrava distrutto. Qualche secondo di silenzio e se ne sentì un altro.
Questa volta Keith lo riconobbe subito: Red. Aveva passato tanto tempo con lui da stringere un legame intenso, da riuscire a comprenderlo e a comunicare con lui. Contemplò il suo pianto.
Al leone Rosso si unirono i ruggiti del Black lion, del Green lion e del Yellow lion. Sembrava stessero intonando uno strano canto funereo. Keith deglutì rumorosamente e abbassò lo sguardo sul suo compagno. Quei ruggiti erano per lui, i leoni l’avevano sentito. Lui era … non poteva nemmeno pensarci tanto gli faceva male.
Lo girò appena verso di sé, mentre le lacrime tornavano a fargli visita. Voleva dirgli qualcosa, chiamarlo, agire in qualche modo, tuttavia sapeva che ormai era tardi. E lui non aveva fatto nulla. Gli sfiorò il viso con le dita, lentamente, per spostare una ciocca di capelli scuri.
Lance era morto e lui non aveva fatto niente. Ed era colpa sua. Era solo colpa sua. Un singhiozzo lo costrinse a cercare di riprendere fiato. Lo fece con tanta veemenza da sembrare un naufrago che tenta di salvarsi bramando un goccio d’acqua dolce.
Che cosa aveva fatto? Doveva portarlo via. Doveva portarlo dagli altri. Non l’avrebbe fatto stare accanto a quel sudicio bastardo che l’aveva ucciso.

Prese ancora un respiro profondo e lo voltò verso sinistra, in modo che il manico dell’arma gli fosse più vicino. Lo impugnò, la mano che gli tremava come una foglia frustata dal vento invernale. Adesso doveva essere forte, doveva agire con fermezza. Doveva farlo per lui. La spada era posizionata obliquamente, poiché aveva seguito la traiettoria ordinata da quel verme, quindi doveva essere veloce o gli avrebbe fatto male.
Si bloccò, il viso bagnato. Non avrebbe potuto fargli male. Lance era morto. Strinse ancor di più l’impugnatura, chiuse gli occhi e tirò verso di sé. Urlò. La voce che gli lacerava la gola. La testa appena reclinata all’indietro, il busto in avanti, i muscoli in tensione. Gridò più forte di quanto avesse mai fatto in vita sua. Forse per coprire il suono viscido che produceva quella dannata spada mentre strideva nella carne del ragazzo, oppure per nascondere i gemiti che avrebbe dovuto emettere, o ancora per tentare di spazzare via il dolore, il senso di colpa, la rabbia, il disgusto … Era stata solo colpa sua.
Nell’istante in cui riuscì nel suo intento tornò a guardare la sua espressione, sperando in qualche smorfia sofferente o in un minimo movimento. Non ci fu niente, se non il sangue che prese a colare dalla sua bocca lungo il mento appuntito. Le lacrime tornarono a tradirlo e Keith si appoggiò alla spalla di Lance stringendogli forte il braccio.
Era vero, era tutto vero. Lui era morto. Lance era morto. Non sarebbe più tornato. Ed era inutile che continuava a comportarsi in quel modo, che si ostinava a strattonarlo, a stringerlo come a volerlo richiamare dal regno dei morti. Lance non c’era più.

Pianse per un po’, abbracciato a quel corpo tanto familiare. Immobile, accucciato vicino la sua schiena lacerata. Ma le sue lacrime non avrebbero lavato via il crimine che sapeva di aver commesso, quel pianto non avrebbe nascosto il senso di colpa che lo attanagliava. Era lui il responsabile, solo lui. Quando la mano che continuava a reggere quella spada insanguinata cominciò a dolergli decise che era il momento di andare. Asciugò le lacrime, anche se in questo modo si macchiò ancor di più il volto del sangue di Lance. Non gli importava.
Lanciò uno sguardo alla ferita del ragazzo. Era rivoltante, non riuscì a guardarla per più di qualche secondo. Il sangue stava diventando più scuro, era formato da grossi grumi cremisi, ma c’era qualcos’altro che si intravedeva, forse la pelle brutalmente staccata dal proprio posto, oppure erano dei pezzi di visceri che non distingueva. Comunque non voleva sapere, non voleva vedere. Quella ferita era la firma del suo peccato.
Tornò a studiare il suo viso, così tranquillo nonostante quel rivolo rosso. Provò a pulirlo come poteva, poi si alzò in piedi.
Percepiva le gambe tremare e i singhiozzi non lo abbandonavano un attimo. Si sentiva come un ragazzino smarrito in una foresta buia, da solo.

Determinato come sempre tornò ad accucciarsi al suo fianco e, con molta delicatezza lo tirò su. Gli alzò piano il busto reggendo la testa alla bene e meglio. Poi gli allargò le gambe e, sempre tenendolo su per le braccia, gli si inginocchiò davanti, dandogli le spalle. Fece passare le braccia sopra le sue spalle, dopo di ché lo tirò su. Reggendolo in equilibrio sulla schiena gli circondò le cosce con le braccia issandolo sul suo corpo una volta in piedi. Sentiva il sangue di lui premergli sul dorso, e la ferita bruciare con più insistenza, ma non gli importava. Non gli importava più niente. Era ora di ripagare il suo debito, doveva portare avanti quel peso. Prima di muoversi prese a guardare la spada che ancora stringeva forte; nella lama il sangue si stava incrostando con lentezza, non solo quello di Lance, ma anche il suo.
Entrambi si univano tra loro, si mischiavano diventando un tutt’uno, indistinguibili.


Prese a camminare con lentezza, pesando ogni movimento. La testa di Lance che gli sfiorava l’orecchio, le mani che ciondolavano nel vuoto davanti a sé, e poi c’era lui che non riusciva a smettere di piangere. Il nodo alla gola però non sembrava avesse intensione di sciogliersi. Singhiozzava forte mentre si ripeteva quell’impossibile verità che non riusciva ad accettare: Lance era morto.
Sapeva perfettamente che era solo colpa sua, lo ricordava in continuazione. Un bruciore improvviso lo fece fermare.
Quella dannata ferita non lo lasciava in pace, non era molto profonda, ma stava sanguinando e faceva male. Tuttavia non gli importava, nulla era al pari di ciò che era appena successo. Lance era morto. Keith riprese a camminare, le gambe instabili, gli occhi umidi e la mano che stringeva sempre più forte l’arma. La odiava con tutto il suo essere, ma ancor di più odiava quell’assassino che aveva fatto crollare il suo mondo, o forse odiava solo se stesso.
Mentre un passo seguiva l’altro le lacrime gli scivolavano dal viso al mento, cadendo nel vuoto e bagnando il pavimento così da lasciare una traccia. Come se non ce ne fossero state già abbastanza. Ogni parte del castello gli ricordava Lance, ogni cosa gli faceva venire in mente i momenti trascorsi insieme, quei ricordi che ora erano spettri , spettri pronti a tormentarlo.

“Hey”
Serrò gli occhi e strinse i denti quando un fitta, che non dipendeva dalla ferita, lo colpì.
“Stavo pensando …”
Sentiva la sua voce rimbombargli nelle orecchie. Soffice. Lieve.
“Smettila di pensare e concentrati .”…. … … Perché?
Un altro singulto seguito dall’ennesimo passo.
“Se vuoi potreste venire con me.”
Il suo sguardo, il suo sorriso.
“magari potrebbero fare amicizia”
Risentì la sua risata, era come un eco nella sua mente.
“La mia famiglia mi sta aspettando”
Le sue speranze … i suoi sogni … tutto fumo.
“…credo che tu stia diventando paranoico…” Una risata amara seguita da nuovi singhiozzi.
Che cosa aveva fatto? Aveva distrutto tutto.
Si fermò.
Nonostante avesse ordinato a se stesso che avrebbe dovuto continuare a camminare, anche senza una meta, anche se il fisico urlava pietà, il corpo di Lance stava diventando troppo pesante. Avvicinò la testa verso destra per toccare quella del ragazzo.
“ …Keith …” la sua ultima parola, il suo ultimo sussurro.
Aveva chiamato lui, aveva parlato con lui, aveva guardato lui. Non lo meritava, non dopo ciò che aveva fatto.
Si avvinghiò alla presa; alla spada e alle gambe del castano. Piangeva, ferito da un male oscuro, malvagio.

Spalancò gli occhi fissando l’angolo di fronte a se. Dei passi veloci, pesanti, correvano verso di loro. No. Non dovevano avvicinarsi. Non ancora. Rimase immobile, i piedi incollati a terra. Stavano arrivando, probabilmente volevano uccidere anche lui.
Un sorriso spento gli macchiò il volto. Sarebbe morto. Era pronto. Ma non avrebbe combattuto. Non lo avrebbe lasciato. Sapeva che era solo una scusa, per non prendersi le sue responsabilità, per non ammettere ancora che era colpa sua, che aveva ucciso Lance. Era solo una scorciatoia per sfuggire alla strada più buia che mai avrebbe pensato di dover percorrere. Era pronto anche ad ammetterlo; era un vigliacco, e non aveva paura di prendere la strada più corta, la più facile. Strinse le palpebre preparandosi al peggio. Sarebbe morto. Sì, sarebbe morto, ma andava bene così.

<< Keith! >> Puntò gli occhi sorpresi e ricolmi di lacrime sulla figura dell’uomo che più gli era familiare.
Shiro lo guardava ansimando per la corsa. Vide lo stupore sul suo viso, le domande affollarsi nella sua mente. Abbassò la testa serrando gli occhi che ripresero a liberare lacrime salate. Non poteva osservare lo sguardo dell’amico iniziare a prendere consapevolezza.
Fece un passo indietro mugugnando di dolore mentre quello si avvicinava.
<< Che cosa è successo? >> chiese flebilmente. Lo sentì accostarsi a lui. Aprì gli occhi, ma non lo guardò in faccia. << M-mi dispiace … mi d-dispiace … >> sussurrò stringendo i denti e rinforzando la presa.
Vide con la coda dell’occhio Shiro che puntava lo sguardo sul Paladino Blu, che avvicinava una mano alla testa del ragazzo, forse per scostargli i capelli, per fargli una carezza, o per accertarsi che i suoi dubbi erano fondati. Lo sentì sospirare, avvicinare la fronte a quella del ragazzo mentre gli premeva la mano sul collo. Lo stava salutando. Gli stava dicendo addio. Aveva capito che era troppo tardi.

Keith scostò la testa puntando lo sguardo nell’attaccatura tra muro e pavimento. Era colpa sua, continuava a ripetersi, era solo colpa sua. L’uomo gli si mise dietro. Il ragazzo non poteva vedere che stava facendo, ma sentì le braccia di Lance scivolare dalle sue spalle e il peso di quel corpo farsi più leggero.
Si girò sorpreso. Il paladino aveva preso il l’amico per le spalle e lo stava reggendo su di sé. Non lo lasciò tornando a puntare gli occhi a terra. << Keith, lascialo. >> disse con un sussurrò appena udibile. Il ragazzo prese a scuotere la testa con veemenza. << NO! >> era colpa sua, era unicamente colpa sua, doveva portare quel peso da solo.
<< Lascialo … >> ripeté quello mentre lui agitava sempre meno il capo in un debole segno di dissenso. Era colpa sua, ma qualcosa gli diceva che era il momento di lasciarlo, che aveva fatto il possibile, che non c’era più speranza. Forse avrebbe dovuto ascoltarlo, ma era così confuso. Non aveva mai visto tanto sangue in vita sua. Il ricordo gli annebbiava la mente.
<< … Keith. >> Shiro aveva capito. Shiro era paziente. Lui era l’unico che poteva comprendere. Si lasciò convincere. Allargò piano le braccia così che lui avesse potuto rinsaldare la presa e accoglierlo bene.
Quando il corpo gli scivolò dalla schiena si sentì più leggero, ma non era una bella sensazione. Era come se la gravità non fosse abbastanza per lui, si sentiva perso. Si voltò immediatamente non curandosi di asciugare le lacrime.
L’uomo teneva Lance in braccio, come se fosse stato un bambino addormentato. E sembrava proprio così; addormentato. Ma il Paladino Rosso sapeva benissimo che sarebbe stato impossibile svegliarlo, dormiva troppo profondamente.
Shiro si fece avanti e prese a camminare senza esitare, mentre le gambe e le braccia di quello rimbalzavano mollemente. Keith attese un attimo. Abbassò lo sguardo sorprendendosi di vedere ancora la spada insanguinata, l’aveva tenuta tanto a lungo che non si rendeva conto di averla tuttora in mano. Non se ne curò più di tanto e prese a seguire l’uomo, a pochi passi di distanza, così vicino al muro da graffiarlo appena con l’arma.

Non percorsero molti corridoi. Il ragazzo quasi si dimenticò del motivo per cui stava piangendo, se teneva gli occhi puntati a terra poteva fingere che non fosse accaduto nulla, ma ogni volta che disgraziatamente pizzicava Shiro con lo sguardo la consapevolezza di ciò che era avvenuto gli ruzzolava addosso.
Il suo viso si era quasi asciugato quando dei passi svelti lo costrinsero a prestare attenzione alla strada davanti a sé. Guardò preoccupato l’uomo che non mostrò un cenno continuando per la sua via. Appena la figura responsabile di tanto chiasso si presentò Shiro si fermò e lui si sentì mancare.
Hunk correva verso di loro, sorridente come sempre. Keith lo vide: il sorriso che si spegneva lentamente, il volto che si incupiva, lui che rallentava sconcertato.
Come se il destino non ne avesse abbastanza Pidge sbucò dallo stesso punto, molto più lontano, correndo anche lei. Il corvino si rese conto solo in quel momento che tutto quel rumore non poteva certo provenire da una sola persona. << Hey Shiro! Finalmente ti abbiamo trovato! Siamo riusciti a liberare tutti i corridoi e anche a riattivare telecamere, ricetrasm… >> la sua vocetta si bloccò come mozzata da un colpo alla gola.
Hunk si era già fermato, le lacrime che affioravano sul suo viso, ma la ragazza comprese dopo, protetta dalla grande figura del Paladino Giallo. La vide fermarsi e appoggiarsi alla parete, improvvisamente senza forse. La gioia che si tramutava in terrore. Keith sentì la bile salirgli in gola. Non abbassò lo sguardo, ormai appannato dalle lacrime.
<< Shiro … c-cosa …? Cos’è successo? >> ebbe la forza di domandare mentre l’attenzione dei due era attirata inevitabilmente su quel corpo. L’interpellato non rispose. << No … >> le lacrime presero a solcare velocemente il viso dolce di lei, al momento contorto da una smorfia addolorata. << D-ditemi che non è vero … vi prego … … devo saperlo! >> prese a lanciare sguardi a tutti, compreso Keith che fino a quel momento si era considerato invisibile.
Non ricevendo risposta la piccola si appoggiò al muro scivolando piano a terra mentre piangeva scossa dai primi singhiozzi. Gli occhiali le si stavano appannando. Nessuno fece niente e i singulti di Pidge furono l’unico suono a risuonare nel corridoio per un po’.
Poi Hunk si fece avanti riempiendo quei pochi passi che lo dividevano da Shiro. Keih lo vide accostare le braccia verso quello. << Dallo a me >> un bisbiglio basso, ma il corvino lo sentì. Era certo che Shiro gli dicesse di no, lo dava quasi per scontato. Il movimento dell’uomo lo stupì. Si era avvicinato al Paldino Giallo e aveva lasciato che Lance scivolasse sulle sue braccia robuste.
Il modo in cui Hunk guardò il viso rilassato di Lance gli fece venire un colpo allo stomaco. “ È colpa mia” ricordò a se stesso, perché non era affatto vero che non fosse successo nulla. Lance era appena morto. Hunk si girò e prese a camminare piano, serio, devastato. Shiro lo seguì, ma si fermò davanti alla figura del Paladino Verde. Keith lo vide avvicinarsi a lei, forse le stava dicendo qualcosa. Lei fece un segno impercettibile e l’uomo continuò seguendo l’altro.
Il corvino ingoiò a vuoto sperando che quel grosso nodo alla gola, probabilmente provocato dalle lacrime, e quel saporaccio acido lo abbandonassero. Poi abbassò lo sguardo e prese a camminare, mentre avvertiva distrattamente i movimenti di Pidge. Lei si era alzata e scostata dal muro, ma non si mosse lasciando che il ragazzo la superasse.
Stava procedendo lentamente, quando si bloccò sentendosi tirare per la manica. La piccola lo aveva afferrato per il braccio libero e con l’altra mano, chiusa a pugno, tentava invano di asciugare le lacrime tirando su col naso. Keith la guardò sorpreso. Un sentimento diverso da tutto il dolore e la rabbia che aveva provato, gli si insinuò dentro. Provava tenerezza per quella giovane ragazza costretta a comportarsi come una donna, costretta ad assumersi responsabilità tremende. Anche lei lo guardò e quello si costrinse a rivolgerle un sorriso, seppur angosciato.
Lasciò che scorresse la mano lungo il polso e la insinuasse nella sua, poi gliela strinse forte riprendendo a camminare e tornando ad abbassare il volto bagnato. La mano piccola di Pidge era fredda, nonostante i guanti. Probabilmente gliela stava macchiando del sangue di cui lui stesso si era impregnato, ma non si preoccupò di controllare. Non aveva una stretta decisa, tuttavia Keith trovò in quel timido gesto un supporto solido. Sorrise ancora, il viso cosparso di sangue.
Stupido Lance … era stato lui ad insegnargli l’importanza di certi gesti, la meraviglia delle piccole cose. Che stupido che era, anche dopo essere andato via da questo universo continuava ad essere un maestro di vita, un punto fermo, un amico.

Ci misero molto poco a raggiungere la sala medica. Coran e Allura li stavano aspettando dentro, lui un po’ più vicino, lei dal fondo della stanza. Entrambi non li guardavano, sembravano rimpicciolire ad ogni loro passo.
Keith era sicuro che avessero visto tutto, che li avessero sentiti grazie alle telecamere ristabilite. In un certo senso era sollevato, non avrebbe sopportato un'altra scena come quella di poco prima. Notò che Allura stava piangendo nonostante cercasse di non darlo a vedere. L’altro invece aveva comunque il viso bagnato, ma non singhiozzava moderandosi con un certo rispetto.
Quando entrarono tutti Hunk si fermò e Coran si avvicinò a lui. Senza dire una parola Lance fu messo tra le braccia dell’Alteano che, con qualche accenno di fatica, lo avvicinò alla principessa.
Il Paladino Rosso in un flash riuscì a comprendere il motivo di quei gesti; nonostante la colpa fosse sua, nonostante fosse lui il responsabile, tutti si sentivano coinvolti, tutti percepivano l’enorme peso del peccato. La ragazza gli accarezzò il capo chiudendo gli occhi. Keith fece un passo avanti sorpreso quando lei venne inondata di una strana luce. Il ragazzo fece scorrere lo sguardo incredulo su tutti, compresa Pidge che continuava a stringergli la mano, tuttavia nessuno si dimostrò entusiasta e speranzoso come lui. Forse c’era ancora una possibilità, forse Allura avrebbe potuto salvarlo. Tuttavia ognuno in quella stanza conosceva la verità. Ormai non c’era niente da fare, quel colpo era stato troppo violento, quella ferita era impossibile da rimarginare.
Lance non venne illuminato a sua volta da quella luce magica e l’Alteana dovette arrendersi, ormai sfinita. Lo accarezzò ancora, le guance imporporate e solcate da grandi lacrimoni. Poi avvicinò il viso e gli lasciò un bacio soffice sulla fronte, sfiorando con le labbra qualche ciocca di capelli ramati. Keith si trovò a sorridere; Lance aveva sempre desiderato ricevere un bacio da quell’elegante Alteana, e alla fine era riuscito nel suo intento, peccato che adesso non avrebbe potuto balzare in aria a vantarsi con ognuno del suo traguardo.
Coran la oltrepassò e lo posizionò con cura in un medical-pod. Prima di allontanarsi fece un gesto strano, disegnò con l’anulare di entrambe le mani una x sul petto del ragazzo, l’altra sembrò fare lo stesso.
Appena la macchina si chiuse Allura si girò e parlò loro: << Mi dispiace, ho tentato, ma … non … … scusatemi … >> Keith avrebbe voluto intervenire, dirle che non era colpa sua, tuttavia non riuscì nemmeno a schiudere le labbra, sembrava un movimento difficilissimo. Adesso che l’adrenalina e la paura si stavano lentamente dissolvendo lui si sentiva stanco, il suo corpo era troppo pesante. << … Ma dobbiamo continuare … p-più tardi potremmo pensare a l-lui >> faceva un grande sforzo per non interrompersi e cercare di essere chiara. << Adesso paladini liberiamo il castello da questa spazzatura aliena … >> se voleva essere una battuta nessuno rise. Forse Keith stava cominciando a fraintendere le sue parole. Non si sentiva molto bene, gli girava la testa. Lasciò la mano di Pidge e si diresse al lato della stanza per potersi appoggiare alla parete. Liberò un sospiro mentre la principessa continuava: << … Tuttavia, q-questa volta … … >> inspirò prima di continuare, forse per trovare l’ultima briciola di coraggio << … Restiamo uniti >>.
Keith la vide percorrere la stanza a grandi falcate, senza guardare nessuno. Uscì seguita da Pidge, Hunk e Shiro. Quest’ultimo però sembrò ripensarci e si fermò lanciando un’occhiata al Paladino Rosso. Gli si fece vicino mettendosi di fronte al suo viso. Quello alzò il capo e lo vide sorridergli mestamente. Poi tese il palmo verso il ragazzo. Keith era perplesso, cosa voleva? L’uomo sembrò comprendere la sua confusione. Gli fece un cenno.
L’altro serrò la spada con più forza. Non voleva separarsene, non voleva dargliela. Non poteva spiegare a Shiro cosa significasse per lui. Lacrime infide presero a solcargli le guance << Ti prego, n-non chiedermi questo … >> sussurrò sommessamente. << Lo vedi quel tavolo? Quello lì vicino? >> Keith annuì seguendo con lo sguardo ciò che stava indicando. << La metterò lì, ok? Qui vicino. Nessuno la toccherà a parte te … >> Alzò la voce sull’ultima parte come a voler far sentire ogni cosa agli altri << … Ti va bene? >>. Lui non disse nulla, tornando a puntare gli occhi sul pavimento. << Keith … >> richiamò la sua attenzione dolcemente << … Adesso lasciala >>.
Un sussulto.
Sconfitto allungò la mano sopra quella dell’uomo e fece per lasciargli l’arma, ma qualcosa non andava. Le sue dita non rispondevano ai comandi. Riprovò ancora riuscendo a rivelare dei piccoli tremolii impacciati. La mano era troppo intorpidita, non la sentiva e allo stesso modo non poteva muovere un muscolo.
Shiro, forse intuendo la sua difficoltà, portò le mani sulla sua e lo aiutò a dischiudere le dita. L’arma scivolò via prima che potesse accorgersene. Sentì subito un ondata di dolore travolgerlo, ma il tocco gentile dell’uomo che gli massaggiò velocemente la mano intirizzita lo aiutò a rilassarsi un attimo. Lo studiò scrupolosamente mentre quello si allontanava e poggiava la spada dove aveva detto, guardandolo poi per dimostrargli che non lo aveva preso in giro.
Subito dopo sparì oltre la porta e Keith si concesse di scivolare lungo il muro per finire seduto a terra. Era sfinito, la ferita bruciava insistentemente.
Mentre vagava con lo sguardo per la stanza si accorse che Coran era ancora in piedi davanti al medical-pod occupato e lo guardava rapito, come se fosse stata un’opera d’arte. Probabilmente era rimasto lì tutto il tempo. Fece una smorfia, una fitta gli aveva mozzato il respiro. Chissà come, dopo tutta la fatica a cui si era sottoposto, sentiva puro dolore solo in quel momento.
<< Sai …? >> una voce lo fece sussultare. << … Noi Alteani abbiamo delle tradizioni, dei modi di fare precisi … in questi casi … >> Coran si voltò a guardarlo, aveva gli occhi umidi << … Per onorare un lutto ci vestiamo di rosa … è questo il colore dei caduti. Crediamo esista uno spirito all’interno di ognuno, quando si muore questo esce dal corpo volando il più lontano possibile per esplodere e divenire una stella … >> Keith si voltò dall’altra parte. Non voleva sentire nulla di tutte quelle scemenze, era accaduto un fatto molto serio, terribile, non dovevano parlarne in questo modo.
<< … Quel segno che ho fatto prima, e che ha fatto anche Allura, serve per arrestare il processo di qualche giorno, in base ai desideri dello spirito. Secondo la nostra cultura è necessario, così che ogni familiare possa venire a salutarlo … >> lo sentì sospirare. << Dopo che sono stati costruiti i leoni, dopo che Voltron ha iniziato a proteggere l’universo, quando ancora ogni paladino stava al suo posto, se succedeva che un soldato morisse in battaglia, compiendo il suo dovere, venivano riuniti i leoni, questo veniva messo al centro e … >> << NO! >> Keith balzò in piedi ruggendo dalla rabbia.
<< Ti sbagli! Tutto quello che dici è assurdo! LANCE NON È UN GUERRIERO! Nessuno di noi lo è!! Non era il suo dovere! Lui c’è capitato qui!! Se non fosse venuto sarebbe stato al sicuro, con la sua famiglia, nella sua casa! È stata colpa mia! Siamo solo dei ragazzini che si sono persi in una cosa troppo grande!! Questa guerra non ci appartiene! >> si passò un braccio sugli occhi, i denti serrati.
<< Non sarebbe dovuto succedere niente di tutto questo! Lance è morto, lo capisci?! Ed è solo colpa mia! Non ho potuto fare niente, i-io, io sono rimasto immobile e lo sai perché?! >> non attese alcun tipo di risposta << Perché sono solo un ragazzino! Lo siamo tutti! Siamo qui solo per caso!!! >> Si fermò abbassando il capo << … solo perché … perché ci siamo persi … >> sussurrò pianissimo. Stava piangendo, ma sentì il peso sul cuore alleggerirsi appena.

L’Alteano lo guardava scosso, quando il paladino si fu calmato sorrise amaramente scuotendo il capo. << Purtroppo non è così. Lance non è capitato qui per caso; è stato scelto. È stato scelto da Blue tra tantissime persone perché aveva le abilità, il coraggio … >> Keith deglutì mentre il battito accelerava esponenzialmente << … per riuscire. Lance era … … è un paladino di Voltron. Questo non potrà mai cambiare. Era l’unico a poter conquistare questo posto, l’unico tra tutti >>. Altre lacrime gli scivolarono via, ma non disse niente. Nonostante non lo avrebbe mai ammesso Coran aveva ragione; Lance aveva scelto di combattere, Lance aveva scelto di morire. L’aveva fatto per salvare lui.

Improvvisamente si sentì troppo stanco e non poté evitare di scivolare a terra un’altra volta. Respirava con difficoltà e sentiva delle gocce scivolargli sulla fronte. << Lascia che ti aiuti >> lo pregò l’Alteano. Keith aprì gli occhi colto alla sprovvista dalla voce più vicina.
Quello gli stava davanti porgendogli una mano. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Coran lo aiutò a ripulire superficialmente la ferita e la fasciò precariamente mandandolo poi a fare una doccia. Necessitava di una pulita prima che potesse continuare a chiudere il tessuto. Keith si sentì in parte sollevato dal fatto di potersi togliere quei vestiti sporchi, di liberarsi dal sangue ormai incrostato sulla pelle.
Fu difficile e non solo per il bruciore all’addome.

Quando ebbe terminato permise al rosso di curargli le ferite. Anche se non voleva sentire ragioni fu costretto dagli altri a chiudersi nella sua camera per riposare, questo avrebbe dato loro il tempo per sciacquarsi a loro volta. “Quando sarà il momento ti chiameremo” gli aveva detto Shiro. A Keith non sembrava una buona idea, tuttavia non aveva la forza di ribattere
. Come aveva ipotizzato appena arrivò al corridoio fece l’unica cosa che avrebbe dovuto evitare; lanciò uno sguardo all’ultima stanza, quella di Lance. Era solo una stupida abitudine che aveva preso, ma in quel momento sentì il peso di ciò che era appena successo crollargli addosso. E si ricordò nuovamente che Lance era morto. Che non avrebbe più potuto occupare quella stanza, che non avrebbe potuto correre ai leoni o salutarlo assonnato la mattina presto, quando si incontravano lì, proprio in quel corridoio. La fatica lo aveva aiutato a dimenticare, nonostante ciò non poteva proteggerlo per sempre. Si sentì schiacciare.
Un conato lo colse tanto in fretta da farlo tentennare. Ricordò la lama, il sangue, i singhiozzi, i suoi occhi senza vita. Ebbe appena il tempo di correre in bagno che prese a vomitare. Non aveva proprio niente nello stomaco quindi rigettò acido mischiato a saliva.
Continuava a sudare, eppure stava tremando. La gola gli bruciava a seguito di un tale sforzo, così come la ferita, che non smetteva di farsi sentire. Rimase dentro il bagno della sua stanza per tutto il tempo, con la schiena appoggiata a muro, una mano sui capelli madidi, lo sguardo nel vuoto a riavvolgere costantemente quella scena.

A interrompere quel ciclo infernale fu Hunk che fece capolino nella sua stanza. Non si scomodò a spostarsi e lasciò che lui lo trovasse esattamente com’era. << Hey … >> sembrò ignorare il suo aspetto. Effettivamente nemmeno il Paladino Giallo aveva una bella cera. << … S-se vuoi s-stiamo per … >> ingoiò a vuoto cercando le parole adatte << … D-dobbiamo sistemare L-Lance. Shiro ha d-detto che volevi esserci >>. Keith annuì piano.
<< Dammi un minuto >> la voce gli uscì più ferma di quanto fosse in realtà. Prima di andare si sciacquò la faccia velocemente, non indugiò nemmeno davanti allo specchio, non aveva intenzione di vedere la sua faccia, la sua espressione. Si sentiva un assassino.
Quando uscì non si voltò, non guardò nulla. Si diresse in fretta nella stanza medica dove Hunk, Shiro e Coran lo aspettavano. Lance fu adagiato su un luogo tavolo per poi essere spogliato e lavato con delicatezza, come se quelle attenzioni avessero potuto nuocergli in qualche modo.
Keith e Hunk si occuparono di passare una spugna morbida su viso e spalle, per lavare via il sangue, ma non ebbero il coraggio di andare oltre. Fecero un lavoro molto accurato passando la spugna calda in ogni centimetro di pelle morbida: sulle guance, le labbra macchiate, le palpebre, la fronte, il collo.
Fu compito degli altri due occuparsi del livello della ferita. Il Paladino Rosso non riusciva a guardare in quella direzione e si limitava a fissare l’espressione serena del castano, quasi sorridente. Non lo faceva sentire meglio tuttavia non aveva molta scelta.
Ad un certo punto Hunk fu costretto a correre fuori dalla stanza, il corvino intuì che dovesse vomitare, notando i suoi movimenti impacciati. Tornò quando Coran e Shiro finirono di fasciare la carne lacerata. Poi tutti lo rivestirono, non di rosa, come aveva caldamente suggerito Coran, ma della sua armatura blu, una nuova, lucida. Era così pulita da illuminargli il viso. Senza quell’evidente coltellata sembrava essere ancora vivo, sembrava stare bene. Keith non doveva dimenticare che non era così.
Al momento di riporlo nel Medical-pod si presentarono anche le altre due. Ognuno si schierò lì davanti. Pidge scoppiò a piangere colta forse dagli stessi pensieri di Keith. Allura la abbracciò piano. Il corvino se ne sorprese appena, era una scena insolita.
Sfogliò il viso di ognuno. Stavano piangendo tutti.
<< Va bene … >> sentì la voce appena soffocata della principessa che, nel frattempo, accarezzava maternamente i capelli della ragazza. << … Per oggi va bene così ... >> alzò lo sguardo davanti a se, con fierezza. << … Oggi possiamo piangere, oggi possiamo disperarci … oggi possiamo, anche se tutto continua a scorrere, i pianeti continuano a crescere … domani non sarà così, ma oggi … oggi possiamo >>.








Delle scarpe scalciano via il selciato irregolare mentre vanno avanti. L’aria è leggera, c’è una brezza delicata che alleggerisce i raggi del sole. Si sente un profumo fresco di salsedine, e delle onde in lontananza. Non ci mette molto ad arrivare.
Sospira e varca il vecchio cancello di legno spalancato, probabilmente nessuno si disturba più ad aprirlo da anni. Prosegue per il vialetto senza rallentare, i piedi sembrano seguire un percorso tutto loro. Appena raggiunge la porta però si ferma e torna ad ispirare.
L’odore del mare lo affascina, prima non ci aveva mai prestato attenzione, ma adesso si è scoperto totalmente sedotto dal movimento della corrente.
Stringe più forte l’oggetto che tiene avvolto in un grande tessuto. Non è un regalo, forse non ha nemmeno intenzione di mostrarlo a qualcuno, ma gli serve per dargli forza, per andare avanti, per ricordare. Chiude gli occhi e bussa un paio di volte, debolmente.
Desidera quasi che non venga nessuno ad aprirgli, ma è stato lui ad insistere tanto per trovarsi lì, personalmente, da solo.

<< Chi è? >> una voce soffice gli prova che qualcuno ha sentito la sua presenza. Non risponde. Sente la serratura scattare e la maniglia allontanarsi dallo stipite. Subito la faccetta curiosa di una ragazza lo raggiunge. << Ciao … >> mormora aspettando una risposta, ma il suo visitatore non si muove.
Rimane bloccato in un sospiro doloroso. Il suo viso… la sua pelle … i suoi occhi … i suoi capelli … sono così simili …
<< Cosa ti serve? Hai bisogno di aiuto? >> Prova a schiudere le labbra, a parlare. Accidenti, era stato lui ad insistere. Doveva essere lui a farlo. << Ti senti bene? >> chiede notando il suo colorito pallido.
Keith torna a stringere la spada oltre il tessuto. Lei lo vede. << Vuoi darmi qualcosa? Oppure …? >> tenta aspettando una spiegazione. Il ragazzo riesce appena a guardarla in faccia. Poi lo sguardo di lei viene catturato da qualcosa aldilà delle sue spalle.
<< Hey! Ma io quello lo conosco. L’ho già visto da qualche parte, ma non riesco proprio a ricordare dove … … Accidenti! Eppure sono brava in queste cose >> Keith ingoia a vuoto girandosi appena per scoprire la figura lontana di Hunk che, scoperto, torna indietro velocemente.
<< Lui è con te? >> Sente le lacrime tornare a fargli visita.
“ Non adesso. Non adesso” sussurra a se stesso tentando di recuperare un po’ di autocontrollo.
<< Senti, non voglio essere sgarbata, ma avrei altro da fare, quindi potresti spiegarmi perché sei qui? >> Keih abbassa il capo mentre il viso si bagna inevitabilmente. Non ci è riuscito, sapeva che non avrebbe potuto farcela. Come può continuare? Deve solo spiegarle il motivo della sua visita … magari fosse stato così semplice …
<< Ti senti male? >> è sconcertata dalle sue lacrime improvvise.
<< Tesoro! Chi è alla porta? >>, la voce di una donna. “No …” un sussulto al cuore, forte. << Non so mamma, è un ragazzo, ma non lo conosco >> la informa. “ … mamma”. La donna li raggiunge. Keith riesce a guardarla solo un secondo poi torna a puntare gli occhi terrorizzati a terra. Doveva aspettarselo, sapeva che ci sarebbe stata anche lei.
<< Ti serve qualcosa? >> chiede gentilmente. Keith alza lo sguardo e vede l’espressione di lei cambiare. Appena i loro occhi si incatenano lei sembra leggergli dentro, senza cattiveria, senza presunzione. Forse capisce chi è quel ragazzo pallido e minuto, forse sa perché è venuto a casa loro. Il corvino fa un passo indietro quando la donna si affaccia per cogliere finalmente la grande figura lontana del leone blu.
Poi un sorriso amaro le dipinge il volto. Torna a guardarlo. Lui è sorpreso, vuole dirle qualcosa, spiegarle, non desidera che si creino incomprensioni. << Aspetta un momento!! >> la ragazza torna nel campo visivo del paladino << Sì! Ora ricordo! Quello è un cadetto della Garrison, vero?! >> chiede, certa della sua supposizione. << Mi ricordo che una volta Lance ha mandato una sua foto! Sono amici? >> torna a rimuginare, mentre l’altra sposta lo sguardo a terra. << Ma se lui è qui … dov’è Lance? >> Keith sbarra gli occhi.
Non sa cosa dire, non si aspettava un risvolto del genere. << Tu sai dove si trova? Sei venuto qui per questo? >> continua con insistenza. Il ragazzo sente gli occhi inumidirsi. Doveva lasciare che qualcun altro lo accompagnasse.
<< Dove - è - mio - fratello? >> scandisce bene insicura che lui capisca la sua lingua. Il corvino avvinghia la presa e guarda di sottecchi il leone. Da un lato spera che capiscano, dall’altro spera che la voce torni a sostenerlo. << Capisci quello che dicooo? >> è esasperata.
<< Basta! >> la madre la interrompe severa. << Torna dentro. Adesso >> ordina con un tono che non vuole sentire repliche. Lei si allontana rimanendo comunque nei paraggi. Keith si sente invogliato ad iniziare, ma non sa come fare, non è mai stato bravo con le parole, nemmeno in casi come questo in cui i discorsi vengono sottovalutati, il dolore che si ha dentro non viene ascoltato completamente.
Si sente colpevole, non merita di stare al loro cospetto, di comunicare quella terribile notizia. << Mi dispiace … >> sussurra così piano che la sua voce può benissimo essere scambiata per un soffio di vento. È stato lui a portarli fino a questo punto. È colpa sua se Lance non potrà tonare a riabbracciare sua madre, la sua famiglia. È stato lui a distruggere le loro flebili speranze.
<< … mi dispiace … >> ripete afflitto mentre i singhiozzi cominciano a percuoterlo.
Perché ha deciso di venire? Perché si è ritenuto degno di quel compito? Non lo merita, lui non merita nulla. È solo un assassino. È lì solo per uno stupido errore, una distrazione che ha portato quella famiglia a dover sopportare una perdita del genere. E l’errore è stato suo. Se non fosse stato tanto idiota da lasciarsi sopraffare a quest’ora avrebbe un bel sorriso stampato sul volto e un ragazzo coraggioso al suo fianco. È colpa sua.
Alza gli occhi quando due mani delicate, ma allo stesso tempo ruvide, gli accarezzano le guance. La donna lo sta guardando con tenerezza. Si avvicina a lui e gli regala un bacio sulla fronte. Quello rimane sorpreso mentre lei lo abbraccia, proprio come un figlio.
<< Non è il momento >> gli sussurra passando il palmo sui capelli neri. << Più tardi ci dirai ciò che devi >> le lacrime cominciano a levigare anche il suo viso dolce.
<< Come ti chiami? >> chiede ancora avvinghiata al suo corpo, forse per non doverlo guardare negli occhi. Il paladino sospira per darsi coraggio. << Keith >>, lei sorride ancora allontanandosi appena. I loro sorrisi sono così simili. Si somigliano così tanto.
<< Keith, vieni con me … >> lo invita prendendolo per mano. I suoi occhi sono spenti, le lacrime li fanno risaltare tra le rughe sottili.
<< … ti faccio conoscere la sua famiglia >>.









Angolo dell'autrice: Salve a tutti! Sono stata cattiva? Può essere. Mi dispiace? Forse un pochino, ma dovevo farlo. Prima che possiate fraintendere e cominciare a insultarmi, lasciate che mi spieghi. Ho scritto questa storia subito dopo la morte di qualcuno che amavo molto, sentivo di dover riportare le mie emozioni da qualche parte e, magari in modo più indiretto della mia persona. Non sono totalmente fiera di questa creazione e mi chiedo se mai lo sarò di qualcosa, forse un giorno potrò migliorare tanto da piacermi. Dopo tempo mi sono decisa a pubblicare, forse come tributo per il mio piccolo angelo. Come si può ben notare mi sono volutamente basata sul punto di vista di un solo personaggio, tuttavia è evidente la sofferenza di ognuno. Ci tengo a sottolineare e dimostrare che ognuno vive un lutto, o ogni tipo di situazione in modo diverso, magari facendosi forza o scoppiando a piangere. Dal punto di vista di Keith non è stato molto evidente, visto che lui già soffriva per conto suo e non poteva mettersi ad analizzare nel dettaglio il comportamento di tutti. Comunque, nonostante questa lunga spiegazione spero vi sia piaciuta e che l'abbiate interpretata come meglio crediate. L'immagine che ho riportato è una tra le tante che mi hanno colpita particolarmente, mentre la prima è stata realizzata interamente da me. Mi piaceva specificarlo perché ci ho messo molto tempo e, essendo un dei miei primi disegni in digitale, concentrazione. Grazie per aver letto fino a questo punto, se desiderate lasciarmi qualsiasi tipo di pensiero, parere o consiglio sarei felicissima di ascoltarlo. Una buona giornata a tutti voi e Buon Natale!
  
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