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Autore: Spoocky    24/12/2018    7 recensioni
L'indomani del Trattato di Gent, un ufficiale della Royal Navy visita il suo amico più caro, ricoverato in ospedale dopo essere stato ferito in battaglia.
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Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Napoleonico
- Questa storia fa parte della serie 'HMS Valiant'
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Questa storia è opera di fantasia, ogni riferimento a fatti o persone reali - esclusi quelli storicamente riconoscibili - è puramente casuale.

Warning:
 pensieri suicidi, tematiche delicate 

Buona Lettura  ^.^

L’ora più scura della notte è quella che precede l’alba.

Tobias Habencroft non sapeva se quella diceria fosse vera, ma si ritrovò a pensarci mentre attraversava silenzioso il giardino dello Stonehouse.
Era una fredda mattina di dicembre, il sole tardava ad affacciarsi all’orizzonte e la luna era tramontata da un pezzo, solo qualche stella solitaria faceva capolino nel cupo manto del cielo.
Non aveva incontrato nessuno nel tragitto dalla locanda all’ospedale, tutta Plymouth sembrava dormire ancora.
Le ali dell’edificio intorno a lui erano insolitamente quiete, come se anche agli infermi che accoglievano fosse stata concessa una tregua dalla sofferenza, in quel giorno particolare.
Tobias volle illudersi che davvero fosse stato così mentre varcava la soglia del padiglione dov’era ricoverato il suo migliore amico, James Altham.
Di norma non erano permesse visite a quell’ora e solo una generosa mancia al portiere gli permise di entrare. Come gli altri ufficiali a mezza paga[1], Habencroft doveva mettere da parte anche gli spiccioli ma avrebbe sperperato volentieri tutto il suo magro salario per poter stare accanto all’amico.

Attraversò il corridoio senza degnare di uno sguardo i relitti umani che lo affollavano, trascinando inconsciamente gli stivali sul pavimento per non turbare il loro sonno.
Di quando in quando un gemito o un lamento strozzato fendevano la pace apparente del reparto e Tobias si costrinse a non prestarvi attenzione, per protrarre il più a lungo possibile l’illusione che James stesse dormendo tranquillo, senza soffrire.
Gli voleva troppo bene per accettare che stesse male senza soffrirne a sua volta.

Si erano conosciuti al loro primo imbarco come allievi e avevano legato subito.
In un primo momento per pura necessità: nessuno dei due proveniva da una famiglia benestante e avevano capito subito di doversi spalleggiare a vicenda perché non avrebbero avuto altro appoggio se si fossero trovati in difficoltà.  Da quella collaborazione forzata era sbocciata una solida amicizia e i due avevano fatto di tutto per trovarsi sulla stessa nave, dopo aver passato gli esami come ufficiali.
Tobias era il più esuberante dei due, molto emotivo, ed un’incorreggibile procrastinatore. Altham invece era sempre pacato, scrupoloso fin nel midollo, e costantemente impegnato a trattenere l’amico dal cacciarsi in guai evitabilissimi.
Pur amandolo come un fratello ed ammirandolo profondamente, Habencroft a volte non riusciva a soffrirlo e lo prendeva a male parole.  Ma quando le cose andavano male sapeva che James lo avrebbe accolto a braccia conserte e scuotendo il capo, però sempre con un sorriso in volto e pronto ad aiutarlo a trovare una soluzione.
Tra i due era forse il più resiliente.

Gli fece quindi una certa impressione vederlo immobile nel letto, con solo una tenda lurida a separarlo dal vicino.
Qualche buon’anima gli aveva lasciato una candela accesa al capezzale e la luce gli accarezzava il volto, stemperandone il pallore ma evidenziando le occhiaie e le rughe provocate dai lunghi giorni di sofferenza. Respirava lentamente e ogni tanto rabbrividiva, scosso da un tremito convulso.
Aveva gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto e Tobias sperò con tutto il cuore stesse dormendo, che gli avessero dato del laudano, o del rum, o qualunque cosa potesse alleviare il suo dolore.

In punta di piedi, il giovane si accostò al giaciglio dell’amico, che frustrò immediatamente ogni sua illusione: “Se sei venuto per dirmi ‘Buon Natale’, giuro che ti do fuoco.” Grugnì a denti stretti, senza disturbarsi ad aprire gli occhi.
Habencroft non trattenne una risatina: “Con che cosa?”
“Vai avanti così e vedrai che qualcosa lo trovo… quella candela lì, per esempio, va già bene.” Una smorfia gli attraversò il volto “Non stare impalato come uno stoccafisso, mettiti pure comodo.”
Tobias prese ogni precauzione nel sedersi sul materasso accanto al ferito, ma non riuscì ad evitare di provocargli dolore nel farlo: “Perdonami.”
L’altro scosse la testa rassegnato: “Non puoi farci nulla: mi fa male anche se qualcuno si appoggia al letto.”
“Non ti hanno dato niente?”
“Ieri sera, per ‘aiutarmi a dormire’. Dovrebbero passare di nuovo tra qualche ora. Non lo so: è difficile tenere il conto e la campana mi confonde.”
“Quella della chiesa? Ma se suona tutte le ore!”
“Appunto: otto colpi due volte al giorno[2] , che diavolo significa?”
Tobias per poco non rotolò giù dal letto, tanto rideva: “Batte il numero delle ore, idiota! Otto, nove, dieci…”
“Ah! Non ci avevo badato. E il colpo singolo?”
“Quella è la mezza.”
“Beh, lo saprai tu che sei figlio di un pastore.”

Altham si lasciò sprofondare sul cuscino: per quanto breve la conversazione lo aveva stremato, lasciandolo senza fiato e ancora più pallido di prima.
Senza dire una parola, Tobias si sfilò un fazzoletto dal taschino e cominciò ad asciugare il sudore dalla fronte contratta dell’amico, che sibilò e scoprì i denti per il dolore.
Ebbe improvvisamente voglia piangere nel vederlo tanto provato, e non poté trattenersi dal chiedere: “Ti sto facendo male?”
“No.” Sussurrò l’altro con il poco fiato che aveva “Solo... cerca di non muoverti troppo, per favore.”
“Vuoi che vada via?”
“No, ti prego.” James spalancò gli occhi di colpo ed il verde delle sue iridi si fissò in quelle castane di Tobias “Per favore, resta. Almeno per un po’.”
“Sicuro?”
“Sì, sì.”

Di nuovo senza respiro, il giovane richiuse gli occhi, abbandonandosi completamente alle cure caritatevoli dell’amico. Cercò di concentrarsi sulla sensazione del tessuto sulla pelle e sul calore della mano che si era intrecciata con la sua. La strinse forte, sentì ricambiare la stretta e per la prima volta dopo due giorni di agonia provò sollievo, non dal dolore che lo straziava, ma dall’angoscia della solitudine che lo accompagnava.
Non capiva come un gesto tanto piccolo potesse essere di tanto conforto.
Senza rendersene conto, Tobias aveva iniziato ad accarezzare la mano dell’amico con il pollice e rimase sorpreso quando l’altro non ci fece caso.
Il dolore doveva essere tanto forte da soffocare ogni altra sensazione, immaginò, e decise di raccontare a James la notizia del momento, per cercare di distrarlo: “Hanno firmato un trattato con gli Yankee[3], ieri. Lo hai saputo?”
Inaspettatamente, l’altro annuì: “Ti prego, non ricordarmelo. Se solo ci fossero arrivati prima!”

Due giorni.
Sarebbero bastati due giorni.
Il 23 dicembre l’ HMS Valiant, al rientro da una ricognizione nell’Atlantico, era rimasta coinvolta in uno scontro a fuoco con l’ USS Andromeda, di classe superiore e meglio equipaggiata, all’imboccatura della Manica. Dopo mezza giornata di cannoneggiamenti erano riusciti a sfuggirle ma non prima che una bordata spaccasse in due l’albero di trinchetto, che si era abbattuto sul secondo tenente Altham, spezzandogli le gambe.
Il chirurgo avrebbe dovuto amputarle ma vista la giovane età del suo paziente – Altham non aveva ancora trent’anni – e le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare se congedato dalla Marina, all’ultimo decise di non procedere. Si limitò a riposizionare le ossa rotte e a sostenere gli arti fratturati con delle stecche, nella speranza che non sopraggiungesse un’infezione.
Ricoverato nell’ospedale militare di Plymouth, il tenente aveva trascorso i primi giorni di convalescenza nell’agonia causata dalle fratture, preda di un dolore tanto profondo da renderlo incoerente.
I medici non erano ancora certi che il rischio dell’amputazione fosse scongiurato, sebbene non avesse febbre e le ossa sembrassero guarire bene.
Molto probabilmente avrebbe zoppicato per il resto dei suoi giorni, sempre ammesso che una volta guarito fosse ancora in grado di camminare.


Sotto lo sguardo impotente del suo amico, James iniziò a tremare e piangere.
Non singhiozzò e non tirò su con il naso; semplicemente le lacrime iniziarono a scorrere sulle sue guance incavate e pallide. Il dolore, l’ansia, e la debilitazione gli avevano tanto logorato i nervi da rendere impossibile trattenerle.
Era una reazione del tutto giustificata dalle condizioni in cui versava e non avrebbe scandalizzato nessuno ma lui la visse come la disfatta finale della sua dignità. Aveva versato altre lacrime, nel corso di quei giorni infernali, ma di nascosto, nel cuore della notte, quando la solitudine e la paura esacerbavano la sua sofferenza.
Il fatto che qualcuno lo vedesse, fosse anche l’amico più caro, il fratello con cui era cresciuto, gli era inaccettabile.

“Tobias?” chiamò, con la voce rotta dal pianto.
“Sono qui.”
“Non ce la faccio più! Ti prego: abbi pietà di me... aiutami a farla finita.”
“Shh, non dire così.” Habencroft rimase completamente spiazzato dalle parole dell’amico e cominciò a balbettare, non sapendo cosa dire per confortarlo “E’... è solo un brutto momento. V- vedrai che si sistemerà tutto.”
“Come? Anche se non dovessero tagliarmi le gambe, che destino avrei? Resterò un povero storpio e mi manderanno in congedo.”
“Potrebbero assegnarti un incarico d’ufficio...”
“A fare la muffa rinchiuso tra quattro pareti mentre gli altri risolvono tutto? Non potrei sopportarlo, Tobias, lo sai.” Rabbrividì di nuovo e singhiozzò “No, piuttosto uccidimi ora e liberami da questo tormento. So di chiederti molto, ma non ho la forza di farlo da solo. Non riesco... non posso andare avanti così.”
“Al diavolo il tuo fottuto orgoglio!” Una rabbia improvvisa ed incontenibile pervase Habencroft, suggerendogli le parole giuste: “Mi dispiace: non posso farlo. E ti giuro che veglierò giorno e notte finché non ti sarai levato dalla testa questo... insano proposito. Dovessi legarti al letto per il resto dei tuoi giorni! Tu mi sei sempre stato accanto quando ho avuto bisogno, ora lascia che mi prenda cura di te. Se ti congederanno mi ritirerò: la tua vita è più preziosa della mia carriera in Marina.”
“Non puoi...”
“Posso e voglio, amico mio.” La voce di Tobias si addolcì di nuovo e prese a scostare i capelli dal viso dell’altro “Adesso sei molto stanco e probabilmente ancora stordito dal laudano: devi riposare. Quando starai meglio, se vorrai, ne riparleremo. Insieme troveremo un modo per tirarcene fuori, lo abbiamo sempre fatto. Ti prometto che andrà tutto bene ma dovrai fidarti di me.” 
“Allora stiamo freschi.”
“Questo è lo spirito giusto!”

Cercando di non far pesare troppo a James lo stato di debolezza in cui si trovava, gli asciugò le lacrime dal viso e gli sorresse la testa mentre gli accostava alle labbra, ancora tremanti, un bicchiere d’acqua.
Poi lo adagiò sul guanciale, gli rimboccò le coperte, e riprese a stringergli la mano: “Ti senti meglio?”
“Un po’.” Rispose l’altro con un filo di voce.
“Almeno sei riuscito a sfogarti.“ Gli stese la mano libera sulla fronte “Adesso però cerca di dormire: sei sfinito. Sarò ancora qui quando ti sveglierai.”
“Grazie.”

Con quell’ultima parola, sospirata a fil di labbra, Altham cedette alla stanchezza e crollò in un sonno esausto.
Muovendosi il meno possibile, Habencroft si mise comodo sul materasso.

Accarezzando la mano dell’amico tra le sue, guardò fuori dalla finestra accanto alla testata del suo letto e vide le prime luci dell’alba fare capolino all’orizzonte.
La mattina di Natale.
Con il nuovo giorno sentì nascere in lui la speranza e la fiducia nel futuro. Non sapeva ancora come, non sapeva ancora quando ma era certo che le cose si sarebbero sistemate, in qualche modo.
Provò un improvviso moto di tenerezza per il giovane uomo che giaceva addormentato accanto a lui e gli bisbigliò con un sorriso: “Buon Natale, fratello.”
- The End -
 
Note:
[1] Quando non arruolati su una nave, gli ufficiali della Royal Navy a partire dal grado di tenente ricevevano mezzo stipendio.
[2] Sulle navi della Marina il tempo era scandito dalla campana. Otto colpi segnalavano la fine di una guardia e l’inizio della successiva, di norma sei volte al giorno. https://www.navy.mil/navydata/questions/bells.html
[3] https://www.britannica.com/event/Treaty-of-Ghent Firmato il 24 dicembre 1814 sancì la fine della “Guerra del 1812” tra Stati Uniti  e Impero Britannico, iniziata principalmente a causa di dispute sulla spartizione delle colonie. Il trattato per lo più ripristinò e consolidò le posizioni precedenti all’inizio del conflitto, rendendolo di fatto inutile.
 
Buon Natale anche a tutti voi che leggete e avete letto le mie storie, supportando con infinita pazienza i miei deliri con recensioni e consigli.
Questo racconto è per voi.

E, come disse il piccolo Tim: "Che Dio benedica tutti noi!"

 
  
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