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Autore: Giuf8    25/12/2018    4 recensioni
Perdersi è fin troppo semplice. Ritrovarsi è la parte difficile. Spesso da soli nemmeno ci si riesce.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un mese dopo quella sera pareva essere così lontana.
Alec aveva respirato l’aria pura e per un po’ aveva pensato di essere guarito, ma poi lentamente aveva ricominciato a colare a picco.
Non aveva più sentito Magnus dalla sera del loro incontro.
Voleva farlo all’inizio.
Lui gli aveva lasciato il suo numero che lo fissava minaccioso dalla rubrica del suo telefono, ma per qualche motivo Alec non lo aveva mai cercato. Era stato semplice trovarlo su face-book usando il profilo della sorella, lui non aveva social. Come immaginava di Magnus non ne esistevano molti e Magnus Bane era inconfondibile. Ma Alec era spaventato, spaventato dai sentimenti che aveva provato quella sera, che ancora provava a rivedere una sua foto. Spaventato di non essere all’altezza della situazione. Spaventato di fare il primo passo. Spaventato che quel sorriso su quella magnifica foto profilo potesse scomparire per colpa sua, perché aveva paura di far sprofondare anche lui nell’abisso. Era stato in guerra, ma non aveva mai provato così tanta paura come ora.
Sospiro nell’aria fredda. Era arrivato dicembre e con lui le case e le strade si erano riempite di luci colorate e addobbi. Da bambino adorava il Natale, ora non più. Non gli piaceva da quando aveva saltato quella cena importante anni fa. Da quel momento suo padre, Robert, non lo aveva più invitato.
Natale è un periodo strano. Se hai famiglia, amici e tutto il resto è uno dei momenti più felici di tutto l’anno. Ma se sei triste e solo il Natale di farà sentire ancora più triste e solo. Gli sembrava perfino di ricordare di aver letto da qualche parte che il tasso di suicidi salisse in queste feste. Non ne dubitava. In tutto questo Alec era una via di mezzo, aveva una famiglia che, nonostante tutto, amava con tutto se stesso, eppure era irrimediabilmente solo.
Si appoggiò a una balaustra che delimitava la zona ghiacciata dove persone che non avevano mai visto dei pattini si esibivano in piroette artistiche sperando di non rompersi l’osso del collo. Si accese una sigaretta e osservò il fumo che saliva lento verso il cielo che si scuriva. La nicotina che gli entrava lentamente nel sangue mentre gli avvelenava i polmoni. Il pensiero gli corse a sua sorella Izzy e a suo fratello Max che ora probabilmente sedevano a un lussuoso tavolo aspettando che iniziasse ad essere servita la cena di Natale. Negli ultimi cinque anni Alec era sempre stato invitato a casa di Jace, ma quell’anno il suo amico avrebbe trascorso il Natale con la sua ragazza, Clary. Così lui si era trovato a girovagare senza meta tra le strade di New York chiedendosi se quella sarebbe diventata la sua nuova tradizione natalizia.
Chissà che cosa farà lui.
Scosse la testa cercando di scacciare quel pensiero impertinente che aveva più volte soffocato durante tutto la giornata, ma ora lì, perso nel freddo di quella sera di Natale, lo aggrediva con tutte le sue forze.
Lui. Non aveva nemmeno il coraggio di chiamarlo per nome. Farlo significava dargli troppa importanza e non poteva farlo. Nessuno doveva sapere che, nei giorni più difficili se lo immaginava a letto con lui che lo abbraccia stretto. Nessuno doveva sapere quanto spesso chiedesse gli occhi e si portasse una mano alle labbra cercando di ricordare quanto fossero morbide le sue. Nessuno doveva sapere che quando si concentrava riusciva ancora a sentire il suo profumo. Nessuno doveva sapere quante volte aprisse face-book durante il giorno solo per vedere la sua foto profilo, per costringersi a scrivergli. Nessuno doveva sapere quante volte aveva richiuso il sito sospirando. Nessuno doveva sapere come cercasse il suo volto tra le facce degli sconosciuti. Lo avrebbe voluto dimenticare perfino lui, ma non gli era possibile.
Quella sera in discoteca era cambiato. Se n’era accorto solo qualche settimana dopo quando era ritornato nella stessa discoteca e non aveva avvertito il bisogno di rimorchiare qualcuno per poterselo scopare nel bagno. Quello era stato il momento in cui aveva aperto gli occhi, di lì a qualche giorno aveva perfino avuto una vera conversazione con suo padre e, era riuscito a leggerlo negli occhi del genitore, ne rimase sorpreso perfino Robert. La vita che conduceva che, per qualche strano motivo sembrava essersi incrinata anni fa, si stava lentamente rimettendo insieme. Certo era ancora un lavoro grossolano, come se qualcuno cercasse di riparare un bicchiere di cristallo con dello scotch, ma era il primo segnale verso una riconciliazione da…beh, da praticamente sempre.
E ci ho solo ballato.
I pensieri di Alec lo riportarono a quella notte, al calore, all’emozione che gli aveva fatto capire di essere ancora vivo, di poter ancora provare qualcosa. Aveva capito che in fondo non era troppo tardi. Ma più passava il tempo più il suo ricordo sembrava sbiadire. Come un malato di Alzheimer che sa che presto perderà tutti i suoi ricordi Alec cercava di riviverli più volte che potesse. Ma talvolta si dimenticava la sfumatura della sua voce, talvolta il modo in cui gli teneva la mano, ormai non era più nemmeno certo di che colore fosse la maglia che indossasse e, cosa più terribile, dimenticava il colore dei suoi occhi. Le foto su face-book non gli rendevano giustizia, non riuscivano a far trasparire quanto fossero vivi e limpidi.
Chiuse gli occhi riportando alla mente quello sguardo intenso che gli guardava l’anima prima di avvicinarsi per baciarlo. Sospirò una nuvola di vapore.
“Davvero? Il Rockefeller Center? Non è un terribile cliché dopo Mamma ho riperso l’aereo?”
Alec si sentì il sangue gelare nelle vene, si girò piano, come se a fare un movimento brusco la fonte di quella voce potesse andarsene via. Ed eccoli, quegli occhi stupendi che si inchiodarono ai suoi.
“Magnus…”
“Ah, allora ti ricordi di me?” chiese appoggiandosi con la schiena alla balaustra accanto ad Alec.
Oh, se solo sapessi… se solo sapessi quanto mi è stato impossibile dimenticarti.
“Sì, io…”
“Non hai chiamato” disse l’altro e non era una domanda. Il tono ferreo di Magnus gli fece abbassare lo sguardo ai suoi piedi.
“Già.”
“Ci hai provato, vero?” gli chiese semplicemente dopo qualche minuto socchiudendo gli occhi in modo indagatore “Ma non ce l’hai fatta.”
Ed ecco la barriera impenetrabile di Alec accartocciata e buttata in un angolo come se fosse un foglietto di carta.
“Allora… che ci fai qui?”
Alec, suo malgrado, sorrise. Già si era accorto quella sera di ormai un mese fa di quel dono di Magnus, sapeva fare domande scomode, ma era come se riuscisse a capire la risposta senza che Alec aprisse bocca ed allora passava alla domanda seguente.
“Giravo e mi sono ritrovato qui.”
“Stai attento a dire certe cose, potresti incontrare qualcuno che creda nella magia del Natale e ti dica che era destino ritrovarsi davanti a questo albero.”
Alec sbuffò dal naso e l’aria si condensò immediatamente.
“E tu? Che ci fai qui?” domandò.
“Io?” Magnus fece spallucce guardandosi intorno prima di riportare lo sguardo su di lui e sorridere. Di nuovo quel dannato sorriso che era tutto occhi e niente labbra. Alec non sapeva sorridere così, non più.
 “Io sono qui per cercare te.”
Alec non capì se quella fosse una battuta o la cruda verità, perché Magnus lo disse senza scomporsi, come si afferma una legge universale nota a tutti. Si morse le labbra finché non sentì quasi gli incisivi andare a ledere la carne.
Per cercare te… Me. Per cercare me. Perché mai qualcuno dovrebbe cercarmi?
Alec non capiva se l’altro avesse intuito il turbinio di emozioni che aveva provocato con quella frase. Lui non si era mai sentito così speciale e nemmeno aveva mai sperato di poterlo essere.  Forse quella era solo una battuta e non voleva significare nulla, ma per Alec, anche se detta per scherzo era importantissima.
Magnus gli si fece vicino facendo arrestare il respiro di Alec che ancora si stava chiedendo cosa ci fosse di vero nelle sue parole, lui sembrò rispondere ai suoi pensieri.
“Fiorellino” disse dolce mentre col pollice gelido gli accarezzava il labbro inferiore togliendolo finalmente alla morsa dei denti “Non so chi ti abbia fatto credere il contrario, ma sei il regalo di Natale più bello che si possa ricevere.”
Gli occhi di Alec si fecero lucidi nella notte gelida riflettendo le luci dell’albero di Natale. Rimasero un secondo fermi fissi in quelli verde-dorati di Magnus, poi non riuscì a reggere oltre e si voltò veloce verso la pista di pattinaggio alle sue spalle. Dagli occhi socchiusi vedeva le luci farsi lunghe e acquose, tirò su col naso cercando di deglutire il nodo che aveva in gola con scarsi risultati.
Dopo un poco avvertì il corpo di Magnus premersi contro la sua schiena e avvolgerlo quasi per intero. Le morbide labbra ambrate gli baciarono dolcemente una guancia per poi andare a sussurrargli all’orecchio:”Che ne dici? Facciamo un giro?”
“Sui pattini?” chiese Alec voltandosi appena, felice del cambio di argomento.
 
“Sono terribilmente antiestetici” si stava lamentando Magnus indossando gli scarponi blu dei pattini da ghiaccio.
Alec lo osservava armeggiare con i lacci, lui i suoi se li era già sistemati da tempo.
“Vuoi una mano?” chiese esitante.
“Oh si ti prego!” esclamò Magnus spostando una gamba con il pattino ancora slacciato e posandola sulle cosce di Alec che diventò praticamente a tempo record color ciliegia.
Invidiava l’altro da morire era così spontaneo, così a suo agio nel suo corpo e così sicuro di sé che se anche non avesse avuto quell’aspetto sarebbe stato al centro dell’attenzione di chiunque. Ma ovviamente Magnus Bane non poteva avere i capelli arruffati, il naso storto e i brufoli, no, lui doveva far morire di desiderio Alec ad ogni sguardo, ad ogni gesto. Perfino ora nello spogliatoio della pista da pattinaggio.
 
Alec si avvicinò alla balaustra per poter finalmente accedere alla pista, Magnus che lo seguiva sorridente. Era disarmante quanto bastasse poco per farlo felice, aveva quasi del ridicolo, era come andare in giro con un cane scodinzolante e lui non poteva fare a meno, anche se in piccola parte, di esserne contagiato.
Fece un passo esitante sul ghiaccio e subito sentì la lama aderire alla superficie e dargli sicurezza, diede una spinta debole e si girò verso Magnus giusto in tempo per afferrarlo un istante prima che precipitasse a terra.
“Mamma mia! Me la son vista brutta!” quasi urlò senza permettere a nulla di sciupare il suo sorriso.
Alec ripartì con due spinte decise per poi accorgersi di non avere nessuno al suo fianco, si voltò e vide Magnus fermo nel punto in cui lo aveva lasciato.
“Che fai lì?” gli chiese.
“Pattino” rispose quello come se fosse uno scemo per non averlo capito.
“Magnus… non ti sei mosso di un millimetro” gli fece notare.
“Ah perché bisogna pure muoversi?”
Alec si portò una mano al volto e gli si avvicinò piano, si mise di fronte a lui e gli tese le mani. Magnus lo guardò negli occhi e gli sorrise, fu un sorriso diverso rispetto al solito, un sorriso dolce, un ringraziamento a fior di labbra. Le loro mani si ritrovarono dopo tutto quel tempo e si strinsero come se non volessero lasciarsi mai più, Alec ringraziò mentalmente se stesso di aver dimenticato i guanti a casa così poteva godersi la sensazione della pelle a contatto con quella dell’altro.
“Ora piano, un piede dopo l’altro.”
Andò bene, per circa due metri, andò tutto davvero bene poi Magnus incespicò in qualcosa di invisibile e ruzzolò tra le braccia di Alec. Il loro nasi si toccavano, i respiri si mischiavano, l’uno poteva quasi sentire il battito delle ciglia dell’altro.
“Scusa” fece Magnus tirandosi indietro.
Alec non mollò la presa, tenne l’altro stretto a sé, il cuore che galoppava a una velocità folle tanto che gli pareva assurdo che nessuno, eccetto lui potesse sentirlo.
“Assolutamente no, credo che ti dovrai scusare per questo.”
Cos’era quella? Dell’ironia? Non era più nemmeno certo di sapere come si usasse, ed eccola che rispuntava fuori dopo… quanto? Anni?
Un lampo divertito passò negli occhi verdi-dorati prima che le palpebre andassero a coprirli mentre Magnus si protendeva in avanti, le labbra che cercavano bramose quelle di Alec e per una volta non importava se fossero in pubblico, se quella non fosse una discoteca ma quanto di più simile Alec avesse mai avuto a un appuntamento sdolcinato, anche lui ricambiò il bacio. Dio, quanto lo aveva desiderato? Magnus era diventato all’istante il suo gusto preferito, come col gelato, possono esistere tutti i sapori del mondo ma la tua fedeltà va sempre al solito. Magnus era quello per lui. Una dipendenza formato persona.
Avvertì la lingua di Magnus percorrere velocemente il suo labbro inferiore prima di ritrarsi mentre sorrideva come un ebete.
Pattinarono praticamente abbracciati per quelle che potevano essere ore, ma che per loro non sarebbero state mai abbastanza.
“Posso farti una domanda?” chiese Alec ad un tratto.
“Certo” rispose l’altro tranquillo, le testa posata sulla sua spalla.
“Perché scegliere la pista di pattinaggio se non sai pattinare?”
“Non ti è mai venuto in mente che forse sono un pattinatore provetto ma faccio finta solo per poter star così?” gli domandò stringendoselo di più a sé e lasciandogli un bacio umido sulla guancia.
Alec lo guardò di scatto “Ah è così eh?” chiese e si sciolse dall’abbraccio per avanzare velocemente di qualche metro.
“No! No! Sei matto?! Cosa fai?! Torna qui! Ti prego!”
Alec guardò la faccia disperata di Magnus mentre si protendeva verso di lui nel tentativo di afferrarlo senza però muoversi di un centimetro coi pattini e… rise. Nemmeno si ricordava più come fosse il suono della sua risata e, non appena lo sentì, si accorse che gli era mancato da morire.
Si avvicinò a Magnus, gli prese le mani e se le portò intorno al collo, si guardò intorno, la pista semivuota, delle coppie passeggiavano al di là della balaustra, chinò il capo e lo baciò dolcemente, come se il proprietario della pista non stesse urlando loro di uscire perché ormai era notte fonda e doveva chiudere. Lo baciò come se fosse l’unico bacio che potesse dargli. Lo baciò come se volesse promettergli che lo avrebbe baciato così molte altre volte. Quel bacio voleva dire “Io so che siamo qui ora, al freddo su questa pista di pattinaggio, ma questa volta cercherò di esserci per te sempre.”
 Si staccò a corto di fiato, ma non aveva mai respirato così bene.
 
Magnus era perso in quel bacio. Aveva avuto molte esperienze, ma mai nessuno lo aveva baciato così. Come se fosse una questione di vita o di morte, come se lo stesse ringraziando per una cosa troppo grande perché Magnus potesse davvero capire.
Lui glielo avrebbe voluto dire prima, quando aveva riso con quegli occhi blu che facevano impallidire la notte, glielo avrebbe voluto dire che si era innamorato di quella risata e che avrebbe fatto di tutto per farlo ridere ancora, ancora e ancora. Ma sapeva che così facendo lo avrebbe spaventato, era rimasto zitto, per una volta, tenendosi dentro la grandezza di quei sentimenti e godendosi semplicemente quel bacio che di semplice non aveva nulla. Quando si staccò si perse a guardarlo negli occhi così blu, così perfetti e, ancora ansante, gli disse:”Credo sia il Natale più bello di sempre.”
Alec gli sorrise e seppe che lo era davvero.
 
Robert e Maryse camminavano a braccetto nel freddo della sera. Erano appena usciti dalla cena di gala che avevano tenuto quell’anno e avevano deciso di fare due passi. Si erano trovati così davanti al Rockfeller Center e, presi dalla nostalgia di quando Alexander era piccolo e lo portavano ogni sera di Natale a pattinare davanti all’albero illuminato a festa, si diressero con passo calmo verso la pista di pattinaggio. Era tardi e la pista era ormai semivuota per questo gli fu così semplice scorgere Alec. Stava abbracciato ad un altro uomo che aveva tutta l’aria di aver bisogno di tutto l’aiuto di loro figlio per stare in piedi. Ad un tratto Alec si scostò dalla presa dell’altro che gli urlò qualcosa che non riuscirono a cogliere. Alec rise.
I loro cuori di fermarono per un secondo. Non si erano resi conto di quanto tempo fosse passato da quando lo avevano sentito ridere l’ultima volta, ne quanto gli fosse mancato.
Maryse si voltò verso Robert che non riusciva a distogliere lo sguardo dal figlio e lo guardava come se fosse un regalo meraviglioso.
Alec si avvicinò all’uomo e lo baciò, un bacio che fece trasalire Maryse, non perché il suo bambino stesse baciando un uomo, no, non per quello, ma perché nessuno mai l’aveva baciata con così tanto amore, nessuno le aveva mai detto così tanto con un bacio, nemmeno Robert.
Si voltò verso il marito che, sentendosi osservato, ricambiò il suo sguardo con gli occhi lucidi.
“Oh, Maryse… Sono stato così stupido.”
 
 
Fine
 
 
 
 
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Lo so, lo so, lo so… a questa storia manca solo il “e vissero felici e contenti” ma ragazzi è Natale! Un lieto fine in grande stile è d’obbligo!
A parte questo vi è piaciuto?
Spero di sì, spero che lo vediate come un regalo di Natale in piena regola. Non importa se a tratti troppo…  boh… zuccheroso? Ogni tanto ci vuole.
Quindi ragazzi, che altro posso dirvi? (A parte che mi affeziono da morire ai miei personaggi e che lasciarli andare è sempre un trauma? E se è così anche per voi mi fate davvero commuovere)
Buon Natale a tutti!
Un abbraccio, ci vediamo alla prossima storia
Giuf8
   
 
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