Fandom: Detective Conan
Pacchetto: Rinascita
Era di nuovo quel periodo dell’anno.
Dicembre, e
più nello
specifico: Natale. La festa, d’origine europea, aveva ben
poco a che fare con
il Giappone, eppure aveva lentamente ma inesorabilmente preso piede
anche nella
nazione del Sol Levante.
Svuotata del suo
significato originale, Natale era semplicemente una ricorrenza in cui
addobbare
l’albero, appendere le lucine, comprare regali –
passare una giornata con la
propria famiglia.
Solo che Shiho
non l’aveva
più, una famiglia.
Certo,
c’era il dottor
Agasa, ma non era la stessa cosa. Per quanto bene volesse
all’uomo che l’aveva
accolta come una figlia, ogni anno dicembre la rimetteva davanti alla
realtà
dei fatti: una famiglia vera lei
non
l’aveva, aveva perso tutti coloro che avrebbe potuto
considerare tali.
Non si trattava solo di questo, tuttavia,
quell’anno
dicembre l’aveva colta d’umore molto più
nero del solito. Un malessere che si
trascinava da ottobre, esploso sotto la pressione
dell’atmosfera natalizia.
A ottobre
c’era stato
il matrimonio.
Se si fermava a
pensarci, Shiho considerava – razionalmente – che
era arrivato anche troppo
tardi; dopo aver finalmente riottenuto il suo corpo e quando
l’organizzazione
non era più stata una minaccia, Shinichi aveva dovuto
faticare non poco per
riconquistarsi la fiducia di Ran. La ragazza dell’agenzia non
aveva reagito
affatto bene alla scoperta di tutte le bugie che le avevano propinato
per mesi,
il loro rapporto aveva corso il serio rischio di spezzarsi per sempre
– così
non era stato. Il tempo aveva guarito la frattura, Ran era infine
riuscita a
perdonare il detective bugiardo. Shiho era stata felice per lui, si era detta di esserlo. Aveva
volontariamente ignorato la sgradevole sensazione che aveva avvertito
alla
notizia, il senso di vuoto nel petto che era andato gradualmente
allargandosi
in una voragine.
Era
lì, mentre
pronunciavano i voti nuziali, era lì a sorridere come la
brava amica che era,
che ci si aspettava che fosse. Era
lì
a osservare la realtà familiare che si era faticosamente
costruita in quegli
anni sfuggirle dalle mani e frantumarsi sotto il suo sguardo impotente.
Aveva
festeggiato il
Natale tre volte, da quando era tornata a essere Shiho Miyano.
Ripensando ai
genitori che non aveva davvero conosciuto e ad Akemi si era adombrata,
ma a
lenire il suo senso di perdita c’erano stati il dottore e Shinichi. Shinichi, che senza davvero
capirlo l’aveva fatta
sentire a suo agio, al suo posto – Shinichi che da
quell’anno avrebbe
festeggiato con la sua nuova famiglia,
una a cui lei non apparteneva. Shinichi che l’aveva lasciata
nuovamente sola.
Ora, alla soglia
del
Natale, Shiho lo era realmente, “sola”: una
settimana prima aveva rassicurato
il dottore di non preoccuparsi e partire per la mostra
d’elettronica di New
York. Era stato invitato dalla signora Fusae, con tanto di biglietto
omaggio.
Shiho non avrebbe mai potuto, né tantomeno voluto, fargli
perdere una simile
occasione: aveva affermato di avere già un impegno per il
venticinque e aveva
intimato al dottore di andare e rimediarle una borsetta firmata,
altrimenti non
l’avrebbe mai perdonato. L’uomo, inizialmente
restio, si era infine lasciato
convincere. Da quando era partito, era scivolata nell’apatia.
Si alzava, andava
a lavoro e vi si immergeva, tornava a casa e si fiondava tra le coperte
con un
libro di anatomia in mano. Spesso, però, ne sfogliava solo
un paio di pagine
prima di posarlo. In laboratorio faceva ciò che doveva, ma
per qualsiasi extra
le mancavano totalmente le energie; la cosa grave, tuttavia, era che
non se
accorgeva realmente. Assorta da grigi pensieri, Shiho non aveva idea di
come
apparisse la sua routine vista dall’esterno, né se
ne curava. Semplicemente,
andava avanti.
I suoi piani per
Natale
erano piuttosto semplici: chiudersi in casa con il telefono staccato,
guardando
un film – qualcosa d’azione, magari – o
addirittura coricandosi prima del
solito. Tutto ciò l’aveva deciso nel momento in
cui aveva visto partire l’aereo
del dottore, in circa mezzo secondo; dopo, non era tornata a
rifletterci su.
Almeno, non lo
fece
finché non si imbatté in un solerte agente che
vedeva fin troppo spesso al
laboratorio, uno decisamente troppo perspicace per i suoi gusti. Il
prototipo
del perfetto impiccione.
«Agente
Furuya».
«Shiho»
la salutò,
totalmente e inconcepibilmente informale, il giovane, con il sorriso
smagliante
che a parere della ragazza esibiva davvero
troppo spesso. «Questi giorni sei più
irreperibile del solito, sempre
chiusa nel laboratorio. Sono felice di averti incontrata ora».
Lei lo
squadrò torva.
In piedi a pochi passi dalla sua moto, non sembrava davvero una
coincidenza che
l’avesse incrociata mentre usciva. Se si fosse trattato di
qualcun altro
avrebbe anche potuto crederci, ma di Bourbon
non si fidava, non avrebbe mai potuto farlo del tutto. Nonostante tutto
quel
che aveva scoperto sul suo passato.
«Mi
sfugge il perché».
«Volevo
assicurarmi che
venissi domani» fu la risposta, rapida e innocente, che le
rifilò Rei.
«Sicuramente sai della festa del dipartimento».
«Oh.
Non ci sarò»
tagliò corto Shiho. «Ho altri piani».
«Davvero?»
Lo vide
inarcare un sopracciglio. «Esci con le amiche? Con Shinichi,
magari?»
Serrò
la presa sulla
borsa in un gesto automatico, mentre il detective di fronte a lei
assumeva un’espressione
a metà tra il sorpreso e il dispiaciuto e proseguiva:
«Ah no, lui si è sposato,
giusto? Con Ran».
«Shinichi
non c’entra».
«Non
c’entra con domani
o con il tuo essere diventata praticamente un fantasma negli ultimi due
mesi?»
Il cambio
d’argomento
fu talmente repentino che Shiho, incapace di reagire prontamente,
s’irrigidì e
rimase in silenzio. Sentì montare la rabbia, in un impeto
che non provava da
molto; confusamente, in mezzo al disagio e all’irritazione
che la sfrontatezza
di Furuya le suscitava, si sentì viva.
Fu una strana sensazione.
Rei
cercò, e trovò, il
suo sguardo. «Non mentirmi, Shiho: sappiamo entrambi che non
hai alcun
programma per domani sera. Nessuno serio,
comunque».
Fu troppo.
«Conoscevi
mia madre» esordì Shiho, ricambiando feroce
l’occhiata, «ma questo non ti dà il
diritto di metter bocca sulla mia vita».
«Certo,
hai ragione»
concesse Rei annuendo – il suo sorriso perfetto non si
incrinò, anzi se
possibile si allargò –, «ammesso che tu
ce l’abbia ancora, una vita. Devo dire»
– le labbra si piegarono in un ghigno –
«che questa reazione è già un bel
cambiamento».
La
verità di quelle
parole – non gentili, non indorate, solo schiette –
la colpì come uno schiaffo.
Per la prima volta in due mesi, Shiho rifletté su come
passava le sue giornate,
nei momenti senza il dottore soprattutto. Poteva
davvero considerarlo vivere?
Iniziò
a tremare.
«Parli come se sapessi tutto», sibilò
con rabbia.
«Oh,
no. Tutto no. So
più di quel che pensi, però».
L’occhiata
astiosa di
Shiho l’avrebbe trafitto, se avesse potuto. Rei la sostenne
senza particolari
reazioni, ma il suo sorriso affabile – e
falso
– era ormai sparito.
«So,
ad esempio» disse,
«cosa si prova a vedere quelli che amiamo sparire sotto i
nostri occhi.
Andarsene per sempre. So cosa vuol
dire credersi soli, sentirsi come se nulla di ciò che
facciamo possa avere
importanza».
Shiho non
rispose, lo
superò e posò la borsa sotto al sedile della
moto. Rei non si mosse, non diede
segno di volerla fermare.
Quando si
sedette alla
guida, tuttavia, parlò nuovamente. «Vieni, Shiho.
Domani. Vieni e prova a
vedere cosa c’è fuori dalle mura che hai eretto tu
stessa».
Dopodiché,
il rimbombo
del motore fu l’unica cosa che avvertì nelle
orecchie.
~
Non avrebbe
saputo
spiegarsi nemmeno lei perché fosse
andata alla festa. L’unica cosa che sapeva era che la
conversazione con Rei l’aveva
scombussolata, aveva messo in moto qualcosa dentro di lei.
L’aveva risvegliata
dal torpore che l’aveva tenuta in ostaggio negli ultimi
giorni – negli ultimi mesi.
L’aveva spinta a
reagire e ora era lì, a una stupida festa con
persone che incrociava tutti
i giorni senza conoscerle davvero, che di lei sapevano forse il nome. A
disagio, con un drink in mano, a osservare gli altri ballare da un
angolo.
Un
gran passo avanti, Shiho, davvero.
Era
lì da mezz’ora e di
Rei non c’era traccia. Era irritata: per quanto seccante
fosse ammetterlo, era
andata lì per lui, dando per scontata la sua presenza. Dando
per scontato che l’interesse
dimostratole dal ragazzo significasse che avrebbe passato la serata con
lei.
Per la
verità, non si
era aspettata niente di particolare: solo, Furuya era stato la prima
luce dopo
molto tempo. Aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi, e lui aveva
ricoperto
quel ruolo – patetico, in effetti.
Si
girò verso la porta,
chiedendosi se fosse il caso di andarsene – già ti
arrendi? Grandioso, Shiho,
bravissima – e, mentre si perdeva in simili ragionamenti e
rimproveri, Rei
entrò. La notò subito e le rivolse il suo solito
sorriso – fattore che proprio non
l’aiutò a sentirsi meno stupida.
«Sei
venuta».
«Già».
«Ti
prego, dimmi che
non è Sherry». Dopo l’affermazione secca
di Shiho, il silenzio si era dilatato
per qualche attimo; l’affermazione divertita di Rei
l’interruppe di nuovo,
accompagnata da un gesto verso il bicchiere della ragazza.
«No»
rispose lei, colta
di sorpresa, abbassando lo sguardo sul liquido ambrato a cui non aveva
realmente prestato attenzione fino a quel momento. «Non
credo. Non so cosa sia,
a dirla tutta».
«È
buono, almeno?»
Si
spostò di due passi
per poggiare il bicchiere sul tavolo. «Ha
importanza?» domandò seccata. Non
avrebbe saputo dirlo.
«Allora…
Natale» esordì
nuovamente Rei, portandosi alle sue spalle. «La festa
perfetta per te, non
trovi?»
Shiho si
voltò a
guardarlo scettica. «Il contrario, semmai»
replicò, chiedendosi se la stesse
prendendo in giro. «È una festa per famigliole
felici. Con me non c’entra
nulla» sentenziò fredda.
Rei rise,
scuotendo la
testa. «Per famiglie? Sai almeno cosa si festeggia, a Natale?
In origine, dico.
Come nasce».
Shiho lo
fissò, incerta
su dove volesse andare a parare. «È una festa
cristiana» mormorò, ripescando i
suoi ricordi al riguardo.
L’agente
annuì,
apparentemente compiaciuto. «I cristiani festeggiano la
nascita di Cristo, il
Salvatore. Colui che duemila anni fa è nato in
un’umile grotta, inviato da Dio
per cambiare tutto».
«E
dunque?» Senza volerlo,
si era fatta catturare. La sua curiosità era completamente
assorbita da Rei,
ciò che avevano intorno – tavoli, colleghi
danzanti, bevande e stuzzichini, la
sala stessa – era sparito.
«Quindi»
continuò
Furuya, incurante dell’effetto che aveva suscitato,
«quel giorno è cambiato
tutto. Con lui è venuta una nuova legge. Capisci cosa voglio
dire?»
«Sinceramente,
no – è un
modo originale per dirmi che ti sei convertito al
cristianesimo?»
«Noto
che non hai perso
la tua verve» fu il commento di risposta. Rei scosse
lievemente la testa, prima
di rispondere – pareva divertito. «Natale significa
rinascita, Shiho. È
perfetta per chi ha perso tutto: grida loro di non arrendersi,
perché è sempre
possibile ricominciare».
«La
fai facile, tu» le
scappò.
L’ormai
familiare
ghigno gli increspò le labbra. «È
più semplice di quel che credi»,
insisté. «La
vita è breve».
«Questo
sì che è
incoraggiante» replicò Shiho. Gli si
accostò ulteriormente, sfidandolo. «Cosa
dovrei fare allora per sfruttare questa breve
vita, agente? Qualche consiglio?» lo
provocò.
«Rompi
le regole»
sussurrò lui avvicinandosi a sua volta, contro quel che
aveva supposto lei.
«Perdona in fretta», proseguì a un
centimetro dal suo orecchio. «Bacia
lentamente. Ama veramente. Ridi incontrollabilmente,
e–»
«–e
non pentirti di
niente che ti abbia fatto sorridere», riuscì a
dire Shiho, concludendo la frase.
Fingendo un autocontrollo che in quel momento non aveva, gli
piazzò il palmo
sul petto e lo spinse indietro. «Avevo quasi creduto fosse
farina del tuo sacco,
per un secondo. Invece è una di quelle frasi motivazionali
– si fa per dire –
che girano sui forum».
«Veramente
stavo
citando Doisneau» ribatté Rei con
un’alzata di spalle. «Frequenti forum
motivazionali, quindi? Interessante».
Il ghigno che si
fece
strada sul suo volto non le piacque per niente.
«No!»,
negò cercando –
invano – di suonare convinta. «Ci sarò
capitata una volta, per sbaglio».
«La
frase la ricordavi
bene».
«Serve
un’ottima
memoria nel mio lavoro, agente».
Furuya
sospirò
teatralmente. «Potresti chiamarmi Rei, sai. Akemi lo
faceva».
Shiho
raggelò. «Non
tirare in ballo mia sorella».
«Non
puoi cancellare il
passato, Shiho».
«Non
lo faccio».
Dopo attimi che,
stando
alla sua percezione, avrebbero anche potuto essere minuti,
rilassò le spalle.
«Ogni volta che parliamo» cominciò,
«ti comporti come se mi conoscessi da
sempre. È strano; per me non è
così».
«Se
vuoi conoscermi
meglio hai solo da chiedere», affermò Rei
fissandola con curiosità.
Shiho distolse
lo
sguardo, puntandolo su un’interessantissima piastrella ocra.
«Forse».
«Non
ho sentito».
Shiho
rialzò gli occhi
e glieli puntò addosso. «Dovresti farti visitare,
agente – alla tua età, e con
il tuo mestiere, avere problemi d’udito potrebbe essere
piuttosto grave».
Rei si
schermì alzando
le mani. «Fortunatamente, sento ancora piuttosto
bene».
«Non
si è mai troppo
sicuri» sentenziò Shiho con un’alzata di
spalle. Assunse un’espressione
pensosa, facendo mostra di studiarlo. «Potrei controllare io. Non sono
una professionista, ma una visita di base non dovrebbe essere un
problema.
Domani, alle tre, da me» stabilì.
Il giovane fece
tanto d’occhi,
spiazzato per un istante. Si riprese presto. «È un
appuntamento?» indagò,
lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. «Lo
sembra».
«Una
visita, nient’altro»
replicò Shiho, le labbra increspate. «Se sarai un
bravo paziente, potresti
meritarti anche un tè» azzardò.
«Addirittura!»
esclamò
Rei ridendo. Si abbassò, portando gli occhi alla sua altezza; Shiho fece del
suo meglio per non tentennare. «Non credo di poter rifiutare
un’offerta così
cortese».
«Naturalmente
no». Si
voltò verso la sala, come se avesse d’un tratto
ricordato dove si trovavano.
«Ora», proruppe, porgendogli un braccio,
«sarà meglio che questa festa aumenti
le attrattive, o potrei semplicemente andarmene».
Rei le prese la
mano e
accennò un inchino, il ghigno immancabilmente riapparso sulle sue
labbra. «Mi concede
questo ballo, signorina?»
«Sì»
sussurrò lei,
lasciandosi trascinare in pista, «ma solo questo».
Sapevano
entrambi che
era una bugia.