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Autore: Mari Lace    25/12/2018    5 recensioni
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«Ti prego, dimmi che non è Sherry». Dopo l’affermazione secca di Shiho, il silenzio si era dilatato per qualche attimo; l’affermazione divertita di Rei l’interruppe di nuovo, accompagnata da un gesto verso il bicchiere della ragazza.
«No» rispose lei, colta di sorpresa, abbassando lo sguardo sul liquido ambrato a cui non aveva realmente prestato attenzione fino a quel momento. «Non credo. Non so cosa sia, a dirla tutta».
«È buono, almeno?»
Si spostò di due passi per poggiare il bicchiere sul tavolo. «Ha importanza?» domandò seccata. Non avrebbe saputo dirlo.
«Allora… Natale» esordì nuovamente Rei, portandosi alle sue spalle. «La festa perfetta per te, non trovi?»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Rei Furuya
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Nickname: Mari Lace
Fandom: Detective Conan
Pacchetto: Rinascita



Revive





Era di nuovo quel periodo dell’anno.

Dicembre, e più nello specifico: Natale. La festa, d’origine europea, aveva ben poco a che fare con il Giappone, eppure aveva lentamente ma inesorabilmente preso piede anche nella nazione del Sol Levante.

Svuotata del suo significato originale, Natale era semplicemente una ricorrenza in cui addobbare l’albero, appendere le lucine, comprare regali – passare una giornata con la propria famiglia.

Solo che Shiho non l’aveva più, una famiglia.

Certo, c’era il dottor Agasa, ma non era la stessa cosa. Per quanto bene volesse all’uomo che l’aveva accolta come una figlia, ogni anno dicembre la rimetteva davanti alla realtà dei fatti: una famiglia vera lei non l’aveva, aveva perso tutti coloro che avrebbe potuto considerare tali.

Non si trattava solo di questo, tuttavia, quell’anno dicembre l’aveva colta d’umore molto più nero del solito. Un malessere che si trascinava da ottobre, esploso sotto la pressione dell’atmosfera natalizia.

A ottobre c’era stato il matrimonio.

Se si fermava a pensarci, Shiho considerava – razionalmente – che era arrivato anche troppo tardi; dopo aver finalmente riottenuto il suo corpo e quando l’organizzazione non era più stata una minaccia, Shinichi aveva dovuto faticare non poco per riconquistarsi la fiducia di Ran. La ragazza dell’agenzia non aveva reagito affatto bene alla scoperta di tutte le bugie che le avevano propinato per mesi, il loro rapporto aveva corso il serio rischio di spezzarsi per sempre – così non era stato. Il tempo aveva guarito la frattura, Ran era infine riuscita a perdonare il detective bugiardo. Shiho era stata felice per lui, si era detta di esserlo. Aveva volontariamente ignorato la sgradevole sensazione che aveva avvertito alla notizia, il senso di vuoto nel petto che era andato gradualmente allargandosi in una voragine.

Era lì, mentre pronunciavano i voti nuziali, era lì a sorridere come la brava amica che era, che ci si aspettava che fosse. Era lì a osservare la realtà familiare che si era faticosamente costruita in quegli anni sfuggirle dalle mani e frantumarsi sotto il suo sguardo impotente.

Aveva festeggiato il Natale tre volte, da quando era tornata a essere Shiho Miyano. Ripensando ai genitori che non aveva davvero conosciuto e ad Akemi si era adombrata, ma a lenire il suo senso di perdita c’erano stati il dottore e Shinichi. Shinichi, che senza davvero capirlo l’aveva fatta sentire a suo agio, al suo posto – Shinichi che da quell’anno avrebbe festeggiato con la sua nuova famiglia, una a cui lei non apparteneva. Shinichi che l’aveva lasciata nuovamente sola.

Ora, alla soglia del Natale, Shiho lo era realmente, “sola”: una settimana prima aveva rassicurato il dottore di non preoccuparsi e partire per la mostra d’elettronica di New York. Era stato invitato dalla signora Fusae, con tanto di biglietto omaggio. Shiho non avrebbe mai potuto, né tantomeno voluto, fargli perdere una simile occasione: aveva affermato di avere già un impegno per il venticinque e aveva intimato al dottore di andare e rimediarle una borsetta firmata, altrimenti non l’avrebbe mai perdonato. L’uomo, inizialmente restio, si era infine lasciato convincere. Da quando era partito, era scivolata nell’apatia. Si alzava, andava a lavoro e vi si immergeva, tornava a casa e si fiondava tra le coperte con un libro di anatomia in mano. Spesso, però, ne sfogliava solo un paio di pagine prima di posarlo. In laboratorio faceva ciò che doveva, ma per qualsiasi extra le mancavano totalmente le energie; la cosa grave, tuttavia, era che non se accorgeva realmente. Assorta da grigi pensieri, Shiho non aveva idea di come apparisse la sua routine vista dall’esterno, né se ne curava. Semplicemente, andava avanti.

I suoi piani per Natale erano piuttosto semplici: chiudersi in casa con il telefono staccato, guardando un film – qualcosa d’azione, magari – o addirittura coricandosi prima del solito. Tutto ciò l’aveva deciso nel momento in cui aveva visto partire l’aereo del dottore, in circa mezzo secondo; dopo, non era tornata a rifletterci su.

Almeno, non lo fece finché non si imbatté in un solerte agente che vedeva fin troppo spesso al laboratorio, uno decisamente troppo perspicace per i suoi gusti. Il prototipo del perfetto impiccione.

«Agente Furuya».

«Shiho» la salutò, totalmente e inconcepibilmente informale, il giovane, con il sorriso smagliante che a parere della ragazza esibiva davvero troppo spesso. «Questi giorni sei più irreperibile del solito, sempre chiusa nel laboratorio. Sono felice di averti incontrata ora».

Lei lo squadrò torva. In piedi a pochi passi dalla sua moto, non sembrava davvero una coincidenza che l’avesse incrociata mentre usciva. Se si fosse trattato di qualcun altro avrebbe anche potuto crederci, ma di Bourbon non si fidava, non avrebbe mai potuto farlo del tutto. Nonostante tutto quel che aveva scoperto sul suo passato.

«Mi sfugge il perché».

«Volevo assicurarmi che venissi domani» fu la risposta, rapida e innocente, che le rifilò Rei. «Sicuramente sai della festa del dipartimento».

«Oh. Non ci sarò» tagliò corto Shiho. «Ho altri piani».

«Davvero?» Lo vide inarcare un sopracciglio. «Esci con le amiche? Con Shinichi, magari?»

Serrò la presa sulla borsa in un gesto automatico, mentre il detective di fronte a lei assumeva un’espressione a metà tra il sorpreso e il dispiaciuto e proseguiva: «Ah no, lui si è sposato, giusto? Con Ran».

«Shinichi non c’entra».

«Non c’entra con domani o con il tuo essere diventata praticamente un fantasma negli ultimi due mesi?»

Il cambio d’argomento fu talmente repentino che Shiho, incapace di reagire prontamente, s’irrigidì e rimase in silenzio. Sentì montare la rabbia, in un impeto che non provava da molto; confusamente, in mezzo al disagio e all’irritazione che la sfrontatezza di Furuya le suscitava, si sentì viva. Fu una strana sensazione.

Rei cercò, e trovò, il suo sguardo. «Non mentirmi, Shiho: sappiamo entrambi che non hai alcun programma per domani sera. Nessuno serio, comunque».

Fu troppo. «Conoscevi mia madre» esordì Shiho, ricambiando feroce l’occhiata, «ma questo non ti dà il diritto di metter bocca sulla mia vita».

«Certo, hai ragione» concesse Rei annuendo – il suo sorriso perfetto non si incrinò, anzi se possibile si allargò –, «ammesso che tu ce l’abbia ancora, una vita. Devo dire» – le labbra si piegarono in un ghigno – «che questa reazione è già un bel cambiamento».

La verità di quelle parole – non gentili, non indorate, solo schiette – la colpì come uno schiaffo. Per la prima volta in due mesi, Shiho rifletté su come passava le sue giornate, nei momenti senza il dottore soprattutto. Poteva davvero considerarlo vivere?

Iniziò a tremare. «Parli come se sapessi tutto», sibilò con rabbia.

«Oh, no. Tutto no. So più di quel che pensi, però».

L’occhiata astiosa di Shiho l’avrebbe trafitto, se avesse potuto. Rei la sostenne senza particolari reazioni, ma il suo sorriso affabile – e falso – era ormai sparito.

«So, ad esempio» disse, «cosa si prova a vedere quelli che amiamo sparire sotto i nostri occhi. Andarsene per sempre. So cosa vuol dire credersi soli, sentirsi come se nulla di ciò che facciamo possa avere importanza».

Shiho non rispose, lo superò e posò la borsa sotto al sedile della moto. Rei non si mosse, non diede segno di volerla fermare.

Quando si sedette alla guida, tuttavia, parlò nuovamente. «Vieni, Shiho. Domani. Vieni e prova a vedere cosa c’è fuori dalle mura che hai eretto tu stessa».

Dopodiché, il rimbombo del motore fu l’unica cosa che avvertì nelle orecchie.

~

Non avrebbe saputo spiegarsi nemmeno lei perché fosse andata alla festa. L’unica cosa che sapeva era che la conversazione con Rei l’aveva scombussolata, aveva messo in moto qualcosa dentro di lei. L’aveva risvegliata dal torpore che l’aveva tenuta in ostaggio negli ultimi giorni – negli ultimi mesi. L’aveva spinta a reagire e ora era lì, a una stupida festa con persone che incrociava tutti i giorni senza conoscerle davvero, che di lei sapevano forse il nome. A disagio, con un drink in mano, a osservare gli altri ballare da un angolo.

Un gran passo avanti, Shiho, davvero.

Era lì da mezz’ora e di Rei non c’era traccia. Era irritata: per quanto seccante fosse ammetterlo, era andata lì per lui, dando per scontata la sua presenza. Dando per scontato che l’interesse dimostratole dal ragazzo significasse che avrebbe passato la serata con lei.

Per la verità, non si era aspettata niente di particolare: solo, Furuya era stato la prima luce dopo molto tempo. Aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi, e lui aveva ricoperto quel ruolo – patetico, in effetti.

Si girò verso la porta, chiedendosi se fosse il caso di andarsene – già ti arrendi? Grandioso, Shiho, bravissima – e, mentre si perdeva in simili ragionamenti e rimproveri, Rei entrò. La notò subito e le rivolse il suo solito sorriso – fattore che proprio non l’aiutò a sentirsi meno stupida.

«Sei venuta».

«Già».

«Ti prego, dimmi che non è Sherry». Dopo l’affermazione secca di Shiho, il silenzio si era dilatato per qualche attimo; l’affermazione divertita di Rei l’interruppe di nuovo, accompagnata da un gesto verso il bicchiere della ragazza.

«No» rispose lei, colta di sorpresa, abbassando lo sguardo sul liquido ambrato a cui non aveva realmente prestato attenzione fino a quel momento. «Non credo. Non so cosa sia, a dirla tutta».

«È buono, almeno?»

Si spostò di due passi per poggiare il bicchiere sul tavolo. «Ha importanza?» domandò seccata. Non avrebbe saputo dirlo.

«Allora… Natale» esordì nuovamente Rei, portandosi alle sue spalle. «La festa perfetta per te, non trovi?»

Shiho si voltò a guardarlo scettica. «Il contrario, semmai» replicò, chiedendosi se la stesse prendendo in giro. «È una festa per famigliole felici. Con me non c’entra nulla» sentenziò fredda.

Rei rise, scuotendo la testa. «Per famiglie? Sai almeno cosa si festeggia, a Natale? In origine, dico. Come nasce».

Shiho lo fissò, incerta su dove volesse andare a parare. «È una festa cristiana» mormorò, ripescando i suoi ricordi al riguardo.

L’agente annuì, apparentemente compiaciuto. «I cristiani festeggiano la nascita di Cristo, il Salvatore. Colui che duemila anni fa è nato in un’umile grotta, inviato da Dio per cambiare tutto».

«E dunque?» Senza volerlo, si era fatta catturare. La sua curiosità era completamente assorbita da Rei, ciò che avevano intorno – tavoli, colleghi danzanti, bevande e stuzzichini, la sala stessa – era sparito.

«Quindi» continuò Furuya, incurante dell’effetto che aveva suscitato, «quel giorno è cambiato tutto. Con lui è venuta una nuova legge. Capisci cosa voglio dire?»

«Sinceramente, no – è un modo originale per dirmi che ti sei convertito al cristianesimo?»

«Noto che non hai perso la tua verve» fu il commento di risposta. Rei scosse lievemente la testa, prima di rispondere – pareva divertito. «Natale significa rinascita, Shiho. È perfetta per chi ha perso tutto: grida loro di non arrendersi, perché è sempre possibile ricominciare».

«La fai facile, tu» le scappò.

L’ormai familiare ghigno gli increspò le labbra. «È più semplice di quel che credi», insisté. «La vita è breve».

«Questo sì che è incoraggiante» replicò Shiho. Gli si accostò ulteriormente, sfidandolo. «Cosa dovrei fare allora per sfruttare questa breve vita, agente? Qualche consiglio?» lo provocò.

«Rompi le regole» sussurrò lui avvicinandosi a sua volta, contro quel che aveva supposto lei. «Perdona in fretta», proseguì a un centimetro dal suo orecchio. «Bacia lentamente. Ama veramente. Ridi incontrollabilmente, e–»

«–e non pentirti di niente che ti abbia fatto sorridere», riuscì a dire Shiho, concludendo la frase. Fingendo un autocontrollo che in quel momento non aveva, gli piazzò il palmo sul petto e lo spinse indietro. «Avevo quasi creduto fosse farina del tuo sacco, per un secondo. Invece è una di quelle frasi motivazionali – si fa per dire – che girano sui forum».

«Veramente stavo citando Doisneau» ribatté Rei con un’alzata di spalle. «Frequenti forum motivazionali, quindi? Interessante».

Il ghigno che si fece strada sul suo volto non le piacque per niente.

«No!», negò cercando – invano – di suonare convinta. «Ci sarò capitata una volta, per sbaglio».

«La frase la ricordavi bene».

«Serve un’ottima memoria nel mio lavoro, agente».

Furuya sospirò teatralmente. «Potresti chiamarmi Rei, sai. Akemi lo faceva».

Shiho raggelò. «Non tirare in ballo mia sorella».

«Non puoi cancellare il passato, Shiho».

«Non lo faccio».

Dopo attimi che, stando alla sua percezione, avrebbero anche potuto essere minuti, rilassò le spalle. «Ogni volta che parliamo» cominciò, «ti comporti come se mi conoscessi da sempre. È strano; per me non è così».

«Se vuoi conoscermi meglio hai solo da chiedere», affermò Rei fissandola con curiosità.

Shiho distolse lo sguardo, puntandolo su un’interessantissima piastrella ocra. «Forse».

«Non ho sentito».

Shiho rialzò gli occhi e glieli puntò addosso. «Dovresti farti visitare, agente – alla tua età, e con il tuo mestiere, avere problemi d’udito potrebbe essere piuttosto grave».

Rei si schermì alzando le mani. «Fortunatamente, sento ancora piuttosto bene».

«Non si è mai troppo sicuri» sentenziò Shiho con un’alzata di spalle. Assunse un’espressione pensosa, facendo mostra di studiarlo. «Potrei controllare io. Non sono una professionista, ma una visita di base non dovrebbe essere un problema. Domani, alle tre, da me» stabilì.

Il giovane fece tanto d’occhi, spiazzato per un istante. Si riprese presto. «È un appuntamento?» indagò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. «Lo sembra».

«Una visita, nient’altro» replicò Shiho, le labbra increspate. «Se sarai un bravo paziente, potresti meritarti anche un tè» azzardò.

«Addirittura!» esclamò Rei ridendo. Si abbassò, portando gli occhi alla sua altezza; Shiho fece del suo meglio per non tentennare. «Non credo di poter rifiutare un’offerta così cortese».

«Naturalmente no». Si voltò verso la sala, come se avesse d’un tratto ricordato dove si trovavano. «Ora», proruppe, porgendogli un braccio, «sarà meglio che questa festa aumenti le attrattive, o potrei semplicemente andarmene».

Rei le prese la mano e accennò un inchino, il ghigno immancabilmente riapparso sulle sue labbra. «Mi concede questo ballo, signorina?»

«Sì» sussurrò lei, lasciandosi trascinare in pista, «ma solo questo».

Sapevano entrambi che era una bugia.

  
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