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Autore: Kuro Nekomiya    26/12/2018    5 recensioni
«Che diavolo stai cercando di fare?» Tuonò la ragazza dagli occhi di fuoco, tenendolo d’occhio.
Kisshu non disse nulla e, in risposta, si lanciò su di lei come un felino, cogliendola di sorpresa.
La fece arretrare di pochi passi fino a farla scivolare sul letto alle sue spalle, immobilizzandole prontamente i polsi.
Lei grugnì, fissandolo con astio. Ogni scusa era buona per metterle le mani addosso...
«Che faccio? Fraternizzo con te...» Mormorò l'alieno, con voce che a Suguri parve a tratti arrogante. «...ormai siamo complici, no?» Le chiese allusivo, puntando gli occhi nei suoi.
«Che cosa intendi dire?» Soffiò la ragazza, sorpresa.
Lui ridacchiò divertito a quella domanda.
«Che ne dici...ti va di far parte del terribile duo
**Storia soggetta a cambio di rating**
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisshu Ikisatashi/Ghish, Nuovo Personaggio
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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IX.
Where I Belong.






 
V come vulcano
E mille altre cose,
Come la volontà di camminare vicino al fuoco...
E capire se è vero questo cuore che pulsa
Se senti sul serio, oppure è vanità?

V come vulcano
E mille altre cose,
Come il volume che si alza e contiene il mare...
E capire se vale scottarsi davvero
O non fare sul serio, fare sul serio?

V come vulcano
E mille altre cose,
La paura di vagare per troppo tempo a vuoto...
E capire se è vivo questo cuore che vibra
Può viaggiare davvero, viaggiare davvero?


Francesca Michelin – Vulcano







Un’insegna morbida e sinuosa, color rosso ciliegia, troneggiava sopra la porta d’entrata del castello al centro del Parco Inohara, disegnando una manciata di chiare lettere scritte in alfabeto occidentale.
Caffé Mew Mew.
Esattamente come la ricordava...
Era proprio nei pressi di quell’edificio che si era verificato quell’improvviso terremoto, s’era propagato quello strano fascio di luce e lei era caduta in un sonno profondo di pochi minuti.
Stando alle parole di Kisshu, altre ragazze erano incappate nel medesimo destino ed il loro corpo aveva subito una metamorfosi.  
Il fatto che quel locale fosse spuntato dal nulla, così come i suoi misteriosi poteri... era una coincidenza decisamente peculiare.
Subito dopo averlo saputo, s’era messa in testa di andare a farci una capatina.
Aveva liquidato Kisshu e le sue chiacchiere in due minuti netti e se n’era andata via, non prima di averlo sentito gridare che "sarebbe tornato a prenderla".
Suguri sospirò, cercando di scacciare quel pensiero.
S’avvicinò di soppiatto alla finestra a forma di cuore del locale e vi sbirciò silenziosamente all’interno. Scorse immediatamente piccoli gruppetti di studentesse ridere e chiacchierare tra loro, sorseggiando un tè o mangiandosi una fetta di torta.
Pochi secondi dopo, un uomo alto e snello dai capelli castani raccolti in un codino sbucò da chissà dove, sorreggendo tra le mani un paio di vassoi.
L’osservò con attenzione mentre si fermava di fronte ad uno dei tavolini già gremiti per servire delle giovani clienti.
Avrebbe davvero trovato quello che cercava, lì dentro?
Le sembrava il posto meno adatto dove parlare di combattimenti all’ultimo sangue, creature aliene e mutamenti genetici...
Anche se ormai non riusciva a stupirsi più di nulla.
S’acquattò contro la parete esterna rosa confetto e vi ci appoggiò la schiena, meditando in silenzio.
Da quando aveva ottenuto i suoi poteri non ricordava un singolo momento noioso.
La piatta, prevedibile normalità era stata brutalmente spazzata via da tutta una serie di piacevoli sorprese.
Piccoli eventi ed emozioni a cui non voleva rinunciare.
Ma cosa l’aspettava d’ora in poi?
Cos’erano davvero quei poteri? Era tutto frutto di una scelta oppure di una casualità? Era stata realmente modificata geneticamente?
Questo avrebbe portato ad effetti dannosi sul suo corpo?
Aveva riflettuto a lungo, senza cavarci un ragno dal buco.
Tuttavia, di una cosa era certa.
Nessuno ti dà nulla gratis.
Nemmeno dei poteri potenzialmente pericolosi e distruttivi.
Dal canto suo, aveva un paio di ipotesi che potessero spiegare l’arrivo di una tale manna dal cielo, ed erano tutto fuorché piacevoli.
Prima ipotesi: i poteri le erano stati donati per uno scopo.
Tale scopo era combattere una guerra contro dei presunti alieni.
Risultato: lei era carne da macello.
Seconda ipotesi: i poteri le erano stati donati per sbaglio.
In tal caso sarebbe una cavia vivente, vittima di un esperimento genetico non desiderato e probabilmente sperimentale.
Risultato: lei era carne da macello*.
«Tsk!» Mormorò, scuotendo energicamente la testa e così i lunghi capelli corvini.
Non poteva accettare nessuna di queste due possibilità.
Strinse la mano destra nel pugno, sentendo le unghie aguzze pungolare sulla pelle dei palmi.
Una sensazione a cui s’era ormai abituata.
Una percezione soltanto sua...
Nessuno poteva distorcerla o rubarla.
Non ce la faceva davvero più a stare lì, ferma ed inconsapevole, in balia di un destino controllato da altri.
Ruotò le iridi rosso ciliegia in direzione della porta d’entrata e rimase immobile per un’altra manciata di secondi, prima di scattare via dal muro e spingere con forza una delle ante di legno verso l’interno.
Il cicalino di una campanella l’accompagnò nel suo primo, deciso passo oltre l’uscio. Si lasciò la porta alle spalle e piantò con decisione i piedi a terra, guardandosi con curiosità attorno.
Davanti ai suoi occhi s’aprì l’interno ampio ed accogliente che aveva adocchiato poco prima dalla finestra. Pareti dai colori eccentrici e vivaci delimitavano una sala tonda ed ariosa, sormontata da un soffitto molto più alto di quello che si poteva immaginare dall’esterno. Sugurì tirò la punta del naso all’insù, dando un’occhiata alla cupola superiore, decorata da un affresco di fumose nuvole color pastello e astri stilizzati.
Il chiacchiericcio dei clienti, seduti a graziosi tavoli bianchi e rossi, e un ottimo odore di dolci appena sfornati, impregnavano completamente l’ambiente.
Si trattava di un maid café in piena regola, smisuratamente femminile...
La mora si coprì la bocca con la mano all’ultimo istante, in tempo per nascondere una smorfia decisamente disgustata.
Tutto quel rosa ad ogni angolo le provocava strani scompensi...
Solo in seguito il suo sguardo si posò sulla ragazza che le si stava avvicinando, una cameriera occhialuta dai capelli verde lattuga e il sorriso timido.
«B..benvenuta! Prego, posso aiutarti?» Balbettò, rivolgendosi a lei.
Suguri le lanciò un’occhiata, rimanendo in silenzio.
Era evidentemente incerta, nonostante stesse cercando di assumere l’aria più gentile e cordiale che potesse offrire.
Indossava una divisa da cameriera nel tipico stile sweet lolita.
«Emh, il proprietario di questo locale...potrei parlarci?» Chiese di getto la mora, senza troppi giri di parole.
Non era certo venuta fin lì per fare il carico di calorie e zuccheri...e non aveva nulla da spartire con le impiegate. L’intuito le suggeriva insistentemente che se ci fosse stato davvero qualcuno che avrebbe potuto rispondere alle sue domande, quello non poteva che essere il responsabile di tutto lo stabile...il capo della baracca.  
Chissà di che tipo si trattava...non riusciva proprio ad immaginarsi la faccia del genetista pazzo che le aveva donato i poteri.
«Parli di Shirogane-san? In realtà lui non...» Riprese impacciata la cameriera, prima di bloccarsi senza sapere cosa dire.
Suguri aggrottò le sopracciglia e la guardò più minacciosamente, nel tentativo di intimorirla. Non aveva nessuna voglia di sentirsi raccontare delle scuse.
«Si, ho bisogno urgente di parlare con questo Shirogane-san.» Precisò la giovane dai capelli corvini, digrignando i denti e inasprendo il tono di voce quasi senza rendersene conto.
Cosa le stava succedendo?
Quella faccenda la stava decisamente agitando, facendole vorticare la testa e ribollire il sangue nelle vene.
Voleva sapere tutto subito.
Sentiva quell’urgenza così impellente, come se non riuscisse a pensare ad altro...
La cameriera del caffè si sistemò gli occhiali sul naso e diventò paonazza a seguito delle sue parole, lo sguardo incollato in un punto alla sua sinistra.
«Shirogane-san!» Esclamò, raddrizzando la schiena e tirando un sospiro di sollievo, quasi come se il nuovo arrivato l’avesse letteralmente salvata da una brutta fine.
La Mew tigre si voltò incuriosita, e i suoi occhi incrociarono la figura del ragazzo appena sbucato dal corridoio sul retro.
Con la sua corporatura alta e snella, i biondi capelli perfettamente in ordine sulla fronte e i luminosi occhi azzurri, poteva farsi quasi passare per modello. L’espressione sul suo viso era rilassata così come le spalle, lasciate morbide oltre il collo. Le mani, invece, erano infilate nelle tasche di un paio di pantaloni chiari, abbinati ad una canotta scura.
Il ragazzo fece qualche passo nella sua direzione prima di fermarsi a fissarla intensamente, senza dire una parola.
Suguri, dal canto suo, fece lo stesso, limitandosi a squadrarlo da capo a piedi.
Che fosse davvero lui il proprietario, Shirogane?
Quei lineamenti ancora così acerbi, e il viso glabro...
Era estremamente giovane, praticamente un suo coetaneo.
Che cosa tremendamente sospetta
«Sono Shirogane, piacere. Potrei gentilmente sapere invece chi mi cerca?» Domandò, rivolgendosi a lei, senza tradire stupore dal suo tono di voce.
Sembrava un tipo diretto e parecchio sicuro di sé...
Lei non si tirò indietro, sostenendo senza timore le sue limpide iridi azzurre.
Sorrise di scherno.
«Credo proprio che tu lo sappia, Shirogane...» Incalzò la mora, alzando un braccio ed afferrando un lembo della manica della divisa. «...o mi sbaglio?» Aggiunse poi,  scoprendo il polso sinistro di fronte a lui.
Shirogane abbassò lo sguardo su di esso e sgranò gli occhi non appena riconobbe la voglia rossastra sulla sua pelle.
Suguri gongolò in silenzio, gustandosi l’espressione incredula sul volto del ragazzo.
Il suo intuito aveva visto giusto.
Anche la cameriera accanto a lui, l’occhialuta dalla divisa verde lattuga, si lasciò scappare un’espressione di sorpresa e si portò entrambe le mani alla bocca.
«Allora? Sei rimasto ammutolito, Shirogane?» Sibilò, accentuando la pronuncia del suo nome con tono piuttosto canzonatorio.
Non gli spettava quella reazione di stupore...proprio lui, che l’aveva creata?
«Quindi sei una di noi! È fantastico, non è vero Shirogane-san?» Mormorò entusiasta la ragazza con le trecce, con voce pacata e gentile.
«Voi...Mew Mew, intendi?» Le chiese sorniona Suguri, tornando a guardarla.
La ragazza annuì semplicemente, stringendo le labbra, come se avesse paura di rivolgerle la parola.
«Questo già lo so. Veniamo alle questioni importanti...» Sibilò nuovamente, lanciando un’occhiata in tralice al ragazzo alla sua sinistra. «Sarò chiara, biondino...» Mormorò, riabbassando il braccio lungo il fianco, «Non mi interessa sapere perché hai modificato il mio corpo...»
Suguri cacciò aria dalle narici a quell’affermazione.
Quella era una bugia.
Le sarebbe piaciuto conoscere i motivi per cui era stata trasformata a quel modo, ma...
Era irrequieta, seccata...e aveva voglia di spaccare tutto.
E quella verità perdeva via via d’importanza, ogni secondo di più.
Come se stesse volando lontano...
Voleva qualcosa di meglio.
Qualcosa che quella combriccola di sciocchi non poteva darle.
Ma cosa?
Convinta da quelle nuove, esplosive sensazioni, puntò con decisione l’indice sul petto del ragazzo, premurandosi di fargli sentire i suoi artigli**.
Lui sussultò impercettibilmente.
«Io non sono tua.» Scandì lapidaria.
Shirogane si limitò a guardarla, fissandola con iridi di ghiaccio.
C’era un’atmosfera piuttosto elettrica tra loro, come tra due rivali pronti a sfidarsi...ma nessuno dei due sembrava voler fare la prima mossa.  
«Cosa succede qui? Retasu, Shirogane!» Chiese improvvisamente una voce femminile fuori campo, accompagnata da uno scalpiccio incalzante che s’avvicinava in sua direzione.
Suguri sbuffò, alzando gli occhi al soffito: non c’era verso di conversare senza essere interrotti, in quel caffè.
Si voltò verso la sorgente di quel suono e, con sua grande sorpresa, i suoi occhi incrociarono quelli color cioccolato di Ichigo Momomiya.
Accanto a lei, una ragazza un po’ più bassa di statura e dai capelli blu notte la scrutava insistentemente, con sguardo a metà tra lo scocciato e l’inquieto.
Poteva scommettere che era stata lei ad irrompere con le sue domande.
Entrambe indossavano la stessa divisa da cameriera della ragazza occhialuta, che da quello che aveva capito pareva chiamarsi Retasu.
La loro presenza lì non era casuale…
Esattamente quanto la sua.
Quella scena era già stata prevista, già annunciata allo scoccare del primo atto di quell’assurda, pruriginosa pantomima…
Pantomima nella quale lei sembrava ricoprire, insieme alle altre ragazze, la parte della stupida inconsapevole, assoldata agli ordini dello stratega/genetista pazzo, occasionalmente supermodello dei poveri. Il biondo imperturbabile che le stava di fronte, che non faceva altro che ribattere alle sue accuse con l’atteggiamento tipico del passivo-aggressivo.
Ryou Shirogane.
E lei non aveva nessuna voglia di attenersi alla sceneggiatura prestabilita…
Dedicò alle sue compagne di sventura solo una fugace occhiata, prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione al ragazzo.  
Non si rese del tutto conto del fatto che stesse ormai ringhiando tra i denti.
Voleva proprio sentirlo uscire dalla bocca di quello lì.
«Quali sono le tue vere intenzioni, Shirogane?» Cominciò. «Cosa pensi di fare con noi Mew Mew? Pensi di comandarci tutte a bacchetta?» Continuò in seguito, in preda ad un fiume in piena di parole che non aveva nessuna voglia di fermare.
La sola idea la faceva uscire di testa.
Lei non era sotto il controllo di nessuno.
«Moriyami-san!» La richiamò Ichigo, ignorando le parole che aveva appena rivolto a Shirogane. L’espressione sul suo viso dimostrava tutto il suo stupore. «Anche tu hai il Mew Mark?» Domandò. Dalla sua voce e dai suoi occhi color cioccolato trapelavano un miscuglio di emozioni: curiosità, agitazione, apprensione...
Le si leggeva proprio tutto in faccia...
Suguri però non disse nulla, limitandosi ad ammorbidire lo sguardo.
«Vedi di darti una calmata...» Commentò Ryou, rivolgendosi a lei, telegrafico e pungente. Suguri lesse nella sua voce un tono di supponenza che la fece solo innervosire di più. Lo guardò con occhi di fuoco e aprì la bocca per parlare, ma solo per farvi uscire un suono muto.
«Moriyami-san...giusto? Se hai il Mew Mark, significa che sei una di noi, una
Mew Mew.» Prese a parlare la ragazza bassina con i capelli acconciati in due chignon ai lati della testa, interrompendola. «...e il nostro compito è combattere contro la minaccia aliena che sta per invadere il pianeta.» Concluse, incrociando le braccia.
Suguri fece passare lo sguardo su di lei e poi nuovamente su Ichigo, la quale non sembrò obbiettare le parole pronunciate dall’amica.
Si fece pensierosa.
Un’invasione aliena, dei poteri magici...sembrava la trama di un film fantascientifico tragicomico. Quello che le uscì dalla bocca a quelle constatazioni fu soltanto un grugnito strozzato.
«Quindi le cose stanno così. Beh te lo ripeto, Shirogane...» Riprese lei, «...questi poteri ormai appartengono a me. Spetta a me farne quello che voglio!» Asserì, rincarando la dose, battendosi una mano sul petto.
Le sue parole vibrarono sotto il suo respiro rabbioso.  
Il ragazzo americano la osservò soltanto, lo sguardo freddo come un monolite di ghiaccio. Sembrava non avere nulla da dire al riguardo.
Suguri si mordicchiò il labbro.
Quell’indifferenza la faceva talmente incazzare...
Eppure era lui che l’aveva trasformata in una tigre.
Come poteva fregarsene a tal punto?!
«Ma chi ti credi di essere?» Commentò la ragazza con gli chignon, l’espressione piccata in volto.
Suguri le rivolse un’occhiata torva.
«Qualche problema?» La freddò lei.
Minto sgranò gli occhi sorpresa, ma non ebbe il tempo di reagire.
«Adesso basta, voi due…!» Borbottò Ichigo, mettendosi in mezzo. «Dovremmo andare d’accordo, non litigare!»
Retasu s’avvicinò titubante, seguendola in coro.
«Moriyami-san! Ichigo-san ha ragione, non essere così furiosa con Shirogane-san!» L’intero gruppo rimase fossilizzato per qualche secondo, lasciando spazio ad un'atmosfera terribilmente tesa, dove nessuno dei presenti sembrava avere il coraggio di ribattere.
La Mew nera non poté credere alla reazione delle ragazze.
Possibile che non avessero un briciolo d’amor proprio?
Dopo un po’ fu Minto a sbuffare, rompendo il silenzio per prima.
Prese Ichigo per il polso, con stretta parecchio nervosa. Era chiaro a ciechi e sordi che fosse sull’orlo di sbottare.
«Avanti Ichigo, torniamo al lavoro. Assistere a questa scena mi dà il voltastomaco!*» Sputò forte e chiaro, squadrando la Mew tigre per una seconda volta.
Non aggiunse null’altro mentre s’allontanava da lì, trascinando Ichigo con sé.
Suguri rimase sola con Shirogane e Retasu, la quale si limitò a farsi piccola piccola senza proferire parola.
Si portò una mano su fianchi e pestò un piede a terra, visibilmente irritata.
Non voleva stare lì un minuto di più.
Sarebbe stata solo una perdita di tempo...
«Bah...non ho altro da dirvi.» Asserì in un sospiro, come se volesse raffreddare i bollenti spiriti. «Vi saluto!» Esclamò infine, con un teatrale cenno della mano, prima di lanciarsi verso l’uscita senza guardarsi indietro.
Spinse la porta con forza e se ne andò, facendo sbattere malamente le ante alle sue spalle.
Retasu fissò imbambolata la porta d’ingresso, come se si aspettasse che da un momento all’altro quella ragazza potesse tornare sui suoi passi, mettesse da parte la rabbia e accettasse di essere un membro della squadra.
Attese per un minuto buono in religioso silenzio, in preda a speranzosi pensieri e congetture.
Ma non accadde nulla.
Si voltò timidamente verso Shirogane, alla ricerca di qualche piccola consolazione.
«Shirogane-san...la cosa ti va bene così?» Bisbigliò lei, preoccupata.
Lui le lanciò un’occhiata fugace ed ansiosa, prima di fare lo stesso con Ichigo e Minto dall’altra parte della sala.
La prima s’era rimessa al lavoro più distratta di prima, e fingeva di non far caso alla scaramuccia appena avvenuta. La seconda, invece, se ne stava seduta al suo solito tavolino, a sorseggiare del tè con fare piuttosto nervoso.
Ad occhio e croce, doveva trattarsi della peggior ora del tè della sua vita.   
Lo sguardo di Ryou s’incupì all’improvviso.
Quella Suguri...sapeva bene chi era.
L’ennesima vittima dei suoi esperimenti.  
In un angolo del suo cuore, sapeva bene di non poterla biasimare…
Solo per quel motivo s’era bloccato davanti alla sua furia.
Aveva tutto il diritto di provare quel genere di sentimenti per lui...
Ma d’altro canto, non poteva permettersi rimorsi o ripensamenti.
Il Mew Project era ormai avviato, e da lì in avanti la battaglia non avrebbe potuto che farsi solo più serrata e difficile.
«A quanto pare, convincerla sarà uno dei vostri compiti...» Mormorò, aprendo appena le labbra e tirando un sospiro mesto.
Fece cadere la sua posa e richiuse le spalle su loro stesse, lasciando andare la tensione. Infine, ripercorse i passi di poco prima, tornando al piano di sopra senz’aggiungere nient’altro.
Retasu l’osservò a testa bassa, abbattuta, finché non lo vide scomparire oltre l’angolo del corridoio.


 


***




Varcò speditamente il cancelletto del parco con passo marziale, il corpo tutto teso in avanti, come se volesse allontanarsi il più possibile da una forza che invece la tratteneva indietro.
Percorse pochi metri ancora e si bloccò all’improvviso in mezzo al vialetto ciottolato che disegnava il percorso lungo l’area verde, nel tentativo di darsi una seria calmata.
Sciolse le dita, strette nervosamente nel pugno, ed inspirò profondamente e lentamente ossigeno, per cercare di porre fine a quel respiro affannoso ed asmatico che l’aveva tormentata da quando era uscita dal Caffé Mew Mew.
Sbatté gli occhi, concentrandosi in maniera quasi ossessiva sulle fessure sinuose ed irregolari delle piastrelle di pietra del sentiero sotto ai suoi piedi, come se volesse trovare in esse il senso della vita.
La realtà era che stava cercando un qualsiasi appiglio che le permettesse di riacquistare lucidità e rimanere coi piedi per terra. Per motivi a lei del tutto illogici, la testa le vorticava in modo feroce e quella sensazione ottundeva i suoi sensi, annebbiandole quasi completamente il cervello.
Si portò una mano alla fronte, mandida di sudore.
Aveva sottovalutato la situazione.
L’incontro faccia a faccia con le altre Mew Mew e con colui che aveva creato il suo alter ego animale l’aveva turbata in un modo che non voleva ammettere a sé stessa.
S’era talmente sorpresa di vedere Ichigo di nuovo, invischiata in tutta quella storia, per non parlare della reazione piatta ed apatica di quello Shirogane…
Non era quello che s’aspettava.
Era scombussolata...aveva bisogno di rifletterci con più calma.
Rimase in silenzio ed abbassò il capo, respirando l’aria attorno a sé.
Odore di terra ed erba affondò nelle sue narici, più intenso di quanto ricordasse.
Abbozzò un sorriso.
Già...ormai era una mezza tigre, il suo olfatto era quello di un animale.
Ricordandosi dell’istinto primordiale insito nel suo nuovo codice genetico, si riempì i polmoni e ruggì con tutte le forze, nel tentativo di scrollarsi di dosso la tensione e qualunque altro sentimento che ritenesse d’ostacolo.
Si coprì il viso con le mani.
Era stata troppo aggressiva? S’era infuriata troppo?
Che...razza di reazione avrebbe dovuto avere?
Più ci pensava, più non ne aveva idea...
Spostò le mani dagli occhi e rimase in silenzio a fissare un punto davanti a sé, mentre un peso le montava su per lo stomaco.
Inghiottì, ricacciandolo giù.
No...non si sarebbe sentita in colpa.
Non si sarebbe sentita sbagliata...ancora una volta.
Non voleva tornare a quei giorni.
Mai più.
...
Proprio mentre era persa nei suoi pensieri, un paio di braccia diafane circondarono il suo collo con delicatezza, spingendola all’indietro.
Lei sobbalzò dallo spavento, prima di sentir risuonare una voce familiare nelle sue orecchie ed irrigidire il suo corpo.
«A che pensi?»
Parole in un soffio lieve, come un sottile alito di vento.
E invece era...
«Kisshu...» Sbuffò sorpresa, sbattendo gli occhi.
Ogni volta che voleva restare per conto suo quell’alieno sbucava da chissà dove, come se potesse leggerle nel pensiero.
Quell’eventualità la fece rabbrividire.
Si liberò facilmente della sua presa e si voltò per guardarlo in faccia, pronta a difendersi.
Non si stupì quando trovò stampata sul suo volto l’espressione di sempre.
«Quello a cui penso non sono affari tuoi...» Replicò, con una nota di stizza.
Cacciò le mani nella tasca della gonna della divisa e mise il muso, senza aggiungere nient’altro.
Non era esattamente di buon umore, in quel momento.
Tuttavia, l’alieno dai capelli verdi sorrise imperterrito e si limitò a galleggiare per aria, ignorando il suo tono scontroso.
Allungò le braccia in sua direzione, premendo le dita sui suoi avambracci, sotto i gomiti. La costrinse a estrarre le mani dalle tasche in cui le aveva appena infilate e la tirò a sé di qualche centimetro, stringendole i polsi senza farle male.
A quel gesto, lei gli volse i suoi occhi.
Finalmente riusciva ad attirare la sua attenzione.
Cercò immediatamente il contatto visivo con lei, immergendo lo sguardo nelle sue iridi rosso ciliegia.
«Sono venuto a prenderti, Tigrotta...non accetterò un no come risposta.» Mormorò assertivo, inclinando impercettibilmente le sopracciglia.
Il suo tono di voce era più gentile di quanto ricordasse...
Non sarà stata tutta colpa del...miscuglio di emozioni che le rimbalzavano in testa?    
La Mew Mew rimase a guardarlo per un attimo, senza rispondere subito.
«Ancora con questa storia...» Rimbrottò, lamentandosi, lanciandogli un’occhiataccia. «Non ho nessuna intenzione di seguire un tizio che evade continuamente le domande.» Affermò seccamente.
Kisshu si fece serio per un istante.
«Di che parli?» Domandò incuriosito.
«Tsé...» Grugnì la giovane, «Non fingere...lo sai a cosa mi riferisco.» Replicò convinta. Poi sciolse la presa sulle sopracciglia aggrottate, rilassando la muscolatura.
«...Cos’hai da offrirmi?» Sospirò, quasi arresa.
Non aveva proprio le forze per discutere con lui.
Gli occhi dorati di Kisshu s’illuminarono di colpo, a quella domanda.
Sembrava non vedesse l’ora di risponderle.
«Perché accontentarsi di sconfiggere i miei Chimeri quando potresti avere di meglio?» Rispose, con una discreta sicurezza nella voce.
Lei fece una smorfia poco convinta, ma tese l’orecchio.
«Libertà, divertimento, potere*...non c’è bisogno di scegliere. Posso darti tutto.» Bisbigliò stringendo gli occhi, due iridi luminose come ambra lucida.  
Suguri si morse il labbro ed ebbe un fremito, che tentò di nascondere come meglio poteva.
Certo sapeva essere persuasivo, mannaggia a lui..
L’offerta era allettante. Tanto.
Tutto quello che desiderava, a portata di mano...
«Libertà, divertimento e potere...eh?» Ripeté lei, con voce incerta.
Le erano bastate quelle semplici parole per lasciare che la sua immaginazione volasse lontana, verso scenari inebrianti.
Kisshu inclinò le labbra e sfilò la mano destra dal suo polso per appoggiarla sulla sua vita. La tirò per l’ennesima volta a sé, ma questa volta Suguri non si sottrasse.
Circondò il suo collo con le braccia e gli lanciò uno sguardo sornione.
Perché far reggere il gioco solo a lui?
Non sarebbe rimasta a guardare…
Approfittare della sua offerta...aveva molti più vantaggi che limitarsi ad accettarla.
Che fossero i suoi geni? La confusione di poco prima?
Non riusciva a spiegarselo...ma l’adrenalina le pulsava nelle vene come linfa dolce e dirompente, cibo del suo spirito selvaggio e privo d’inibizioni.
Non poteva resistere alla tentazione di cedervi...
«Se accettassi, dove mi porteresti?» Chiese lei, canzonatoria e sfacciata.
I loro corpi aderivano ormai l’uno all’altro.
«Ti porterei in un’altra dimensione...» Sibilò lui, a voce bassissima. «...La mia….»
Aggiunse poi, chinando il viso verso il suo e socchiudendo gli occhi dorati.
La Mew Mew sospirò piano, imitandolo.
Che la stesse...baciando?

Prima che potesse farlo, Suguri frappose una mano tra loro con gesto mellifluo e lento. Kisshu, in reazione, risollevò le palpebre, incrociando immediatamente il suo sguardo. Restarono così per lunghi, muti secondi, fino a quando l’alieno non fece passare la bocca sulle sue dita, schioccando baci lievissimi sulle sue falangi.
Suguri strinse le labbra e tremò.
«Davvero? Portamici...» Sussurrò lei di rimando, imitando il suo tono di voce. «Voglio vederla...» Affermò, le iridi purpuree colme d’eccitazione.
Kisshu si leccò le labbra e sorrise. Strinse più saldamente la presa su di lei, poggiando interamente il palmo sul suo fianco e afferrò il polso della sua mano destra con decisione.
«Ai suoi ordini...» Asserì con un gesto del capo, facendola sparire nel nulla con lui.




 
***  
 



Ricomparvero in un luogo dall’atmosfera decisamente spettrale.
Un cielo uniforme, dagli aspri toni verde acido, s’espandeva a vista d’occhio in qualunque direzione posasse lo sguardo.
Fissarlo a lungo le faceva venire la nausea.
Tutt’attorno a loro, rovine di edifici sconosciuti se ne stavano sospese a mezz’aria in maniera del tutto innaturale, andando a costituire le uniche basi d’appoggio in quella dimensione desolata e claustrofobica.
Templi, colonnati e arcate ormai distrutte ed erose dal tempo erano gli unici compagni in quel cupo, irreale silenzio.
Suguri vi ci soffermò per un po’, seguendo con lo sguardo i resti di pitture colorate sui frontoni e i motivi bizzarri dei colonnati.
Sembravano provenire da mondi sconosciuti e lontani...alieni.
Non aveva mai visto niente del genere.
«Che roba...» Balbettò la Mew Mew. «Sarebbe questa la tua dimensione?*» Domandò.
Kisshu ridacchiò prima di rispondere. Era peculiare vederla così interessata a qualcosa che lo riguardasse da vicino.
«Già. Non so quali siano le sue origini, ma la mia astronave è finita dritta qui poco dopo aver varcato la vostra atmosfera...un po’ come se avesse captato la mia presenza.» Commentò dubbioso, tamburellando con le dita sul mento.
Che si trattasse, in effetti, di un qualche retaggio del passato?
«Me ne rendo conto, non è granché...ma mi torna utile. Qui dentro sono schermato, non è possibile che voi mi intercettiate.»  Disse infine.
Suguri l’ascoltò attentamente, guardandolo fisso per alcuni secondi. Poi si liberò bruscamente della sua presa con fare piuttosto impaziente, e la vide puntare lo sguardo sulla sua nave spaziale, parcheggiata sulla base di un’enorme sezione colonnata a breve distanza da loro.
Sorrise non appena vide la Mew Mew corrervi incontro con l’entusiasmo di una bambina. La raggiunse grazie ad una manciata di agili balzi e vi si bloccò di fronte, indugiandovisi con sguardo avido e curioso.
Le dimensioni della fusoliera e della coda s’aggiravano attorno ai sedici metri di lunghezza e, nella parte centrale, a circa quattro metri d’altezza, per poi abbassarsi progressivamente in direzione del muso, sinuoso ed aerodinamico, dotato di un ampio parabrezza.
Ali strabilianti s’aprivano verso l’esterno, incurvandosi leggermente lungo la linea del velivolo. Ricoperte di una scocca color bianco lucente, con alettoni e rinforzi nero pece nella parte posteriore, parevano essere piuttosto resistenti.
Il posteriore della nave, al di sotto delle ali e del portellone, presentava quella che sembrava una serie di propulsori ad alta potenza.  
Suguri vi girò attorno un paio di volte con occhi spalancati, concentrandosi su ogni minimo particolare senza proferire parola. Optò poi per oltrepassare il portellone aperto, e sgusciare all’interno della nave.
Mise un piede sul ponte di volo, guardandosi attentamente attorno.
Lucide piastrelle di materiale sconosciuto alternavano il bianco e nero sul pavimento e sulle pareti. Uno stretto corridoio conduceva dritto alla postazione comandi, davanti alla quale troneggiava una poltrona dallo schienale alto e ed ergonomico. La ragazza dai capelli corvini oltrepassò il locale bagno e gli stretti armadietti a scomparsa posti a sinistra, così come il piccolo divanetto sulla destra, per affacciarsi direttamente sull’oblò centrale.
Appoggiò il peso del corpo alla solida poltrona posta di fronte al pannello e restò a guardare, meravigliata.
Soffermò gli occhi sui ogni pulsante, levetta, monitor e strumentazione di guida e, infine, lanciò curiosa lo sguardo oltre il parabrezza, esaminando la porzione di dimensione aliena visibile dal vetro.
Inclinò leggermente la testa, come a rilassarsi meglio, entrambe le braccia a farle da supporto sul lato superiore della poltrona. L’accarezzò piano con le dita e sospirò in silenzio, facendo vagare a lungo la fantasia.
Non mosse un muscolo nemmeno quando percepì i passi di Kisshu raggiungerla alle spalle.
«Ti piace?» Le domandò lui, con tono di voce visibilmente disteso e compiaciuto.
Lei schiuse le labbra, ma ci mise un pochino a rispondere.
«È una figata...» Commentò elettrizzata la ragazza. «Roba da farci un giro...» Mormorò in seguito, facendo un risolino all’idea.
A quell’affermazione Kisshu rise di rimando, facendo rigirare le dita nelle tasche dei pantaloni.
«Allora ce lo faremo...» Replicò.
La ragazza sussultò e si voltò di scatto, rivolgendogli uno sguardo indagatore.
«Giura.» Mormorò, incrociando le braccia.
Kisshu le si avvicinò e appoggiò le mani sullo schienale della poltrona, chiudendola nello spazio compreso tre le sue braccia.
La guardò dall’alto in basso con l’aria di uno che se la credeva parecchio.
«Vai sul sicuro con me...» Le soffiò sul naso, facendole un sorrisino sghembo.
Lei incurvò le labbra in una smorfia e non aggiunse nulla, affrettandosi a sfuggire da lui sgattaiolando da sotto la sua presa.
Indietreggiò fin quasi al portellone, ma prima di varcarlo virò alla sua destra,  infilandosi nello stretto ascensore tubolare posto vicino all’ingresso.
Pigiò con frenesia il bottone rosso posto su uno dei bordi esterni e il vetro prese a richiudersi su sé stesso, facendo un lieve stridio elettrico. L’ascensore cominciò a scendere lentamente e Suguri s’appoggiò alla parete trasparente alle sue spalle, incrociando le braccia. Esultò compiaciuta non appena incrociò lo sguardo dell’alieno rimasto vicino al quadro comandi. La sua espressione divertita tentava di nascondere la lieve punta di fastidio visibile sua fronte, impercettibilmente aggrottata poco sopra le sopracciglia scure.
«Tanto so che nascondi qualcosa qua sotto!» Esclamò, approdando nel sottocoperta della nave. Non v’erano che un giaciglio smontabile e un’altra serie di armadietti grandi e piccoli, tutti a scomparsa come i precedenti ed addossati lungo le pareti laterali della stanza.
La ragazza lasciò che la porta s’aprisse prima di avanzare di qualche passo nella stretta cameretta dell’alieno ed avvicinarsi al bordo del suo letto.
L’osservò per qualche secondo, sfiorandolo col la punta delle dita. Sopra il materasso vi erano una coperta sfatta e un paio di cuscini buttati in maniera disordinata, ma nonostante tutto sembrava essere piuttosto comodo e spazioso.
Trattenne un risolino quando immaginò Kisshu dormirci sopra a gambe all’aria o a testa in giù.
Lanciò uno sguardo oltre la testata del letto e s’accorse di come l’oblò frontale continuasse dal piano superiore, restituendo un angolo sbieco della dimensione aliena e una sezione della colonna sulla quale era parcheggiata l’astronave.
Suguri vi si attardò con lo sguardo per una buona manciata di secondi e sospirò, immaginando di come, durante il viaggio, fosse possibile addormentarsi lì sopra ammirando la volta stellata.
Solo in seguito ruotò il collo alla sua destra, incuriosita dall’oggetto che vedeva nella coda dell’occhio da un po’, ma che non riusciva ad identificare.
Accanto alla porta dell’ascensore tubolare, su una delle poche porzioni di parete lasciata libera da altri impedimenti, giacevano infatti i tridenti di Kisshu, ordinatamente incrociati su di un sopporto incassato nel muro.  
Suguri si bloccò ad osservarli per un attimo e una scarica elettrica le salì su per la spina dorsale.  
Deglutì, sentendosi improvvisamente irrequieta.
Avvertiva un’energia prorompente provenire da quelle spade, come se fossero…
Vive
Si mordicchiò piano il labbro inferiore, cercando inutilmente di trattenere la fortissima tentazione di toccarle.
Allungò subito la mano destra verso la parete con la decisa intenzione di prenderne una tra le mani. Stava quasi per afferrarne l’elsa, ma non appena la sfiorò con le dita un’intensa scossa la colpì, facendola saltare con veemenza all’indietro.
Si spaventò quando si ritrovò Kisshu alle sue spalle, pronto ad acciuffarla e ad evitarle uno sbilanciamento che avrebbe potuto farla cadere a terra.
Da quanto era lì?
Non l’aveva sentito arrivare…
Gli volse gli occhi confusa, accarezzandosi la mano ancora dolorante.
Kisshu invece rise, abbassandosi a riprendere il tridente caduto a terra.
«Su su, dolcezza! È così che si accolgono gli ospiti?» Esclamò affabile, afferrandolo tra le dita.
Suguri lo guardò, ancora sconvolta, mentre lui si rialzava in posizione eretta e rivolgeva i suoi occhi al suo sai, sorridendo.
Stava senza dubbi parlando con l’arma...
In quello che parve un istante, Kisshu la circondò da dietro con le braccia, chiudendola in un abbraccio.
Suguri strinse le labbra e trattenne il respiro al contatto con il suo corpo, ma non seppe dire il perché.
Il ragazzo agguantò le sue mani con delicatezza e le unì, prima di riconsegnarle il tridente. Lei abbassò gli occhi su di esso per guardarlo più da vicino.
Contrariamente a prima, l’arma non le provocò nessun dolore.
Vi fece passare sopra lo sguardo, concentrandosi per lunghi secondi sui riflessi di luce proiettati sulla lama e sulla gemma verde al centro della coccia**.
«Vedi, i miei sai sono armi rituali***...» Cominciò lui, sussurrando, avvicinandosi al suo orecchio destro. «...vale a dire, che sono stati forgiati con il mio sangue...» Disse poi in un sibilo.
A quelle parole, Suguri percepì ogni minima vibrazione della sua voce e sussultò piano. Kisshu chiuse le mani sopra le sue e guidò delicatamente i suoi movimenti, facendola giocherellare con il tridente.
Sospirò, senza opporre resistenza.
Sembrava ricolmo di un’energia aliena che non riusciva a comprendere.
Esattamente come le carezze delle sue mani sulle sue dita…
Così lente e piacevoli…come se volesse ipnotizzarla, annebbiarle la mente.
Socchiuse gli occhi.
Forse ci stava riuscendo davvero...
«Questo significa che solo io posso usarle, a meno che non conceda a qualcun altro di toccarle...» Sibilò ancora, incrinando la voce, ora melliflua e suadente.
Suguri deglutì.
A che gioco stava giocando?
Sentiva di essere sempre più in balia di un mare sconosciuto, alla mercé…
Di quell’alieno intrigante, pericoloso...
«Dunque non ti ritieni privilegiata...Suguri?» La canzonò ancora, alzando l’avambraccio sinistro e facendo scorrere il dorso delle dita sulla clavicola della ragazza, risalendo fino al collo.
A quel gesto, lei ebbe un guizzo e si levò di scatto.
Si voltò con decisione verso di lui e lo spintonò via per allontanarlo da sé, il tridente ancora tra le mani.
«Che diavolo stai cercando di fare?» Tuonò la ragazza con iridi di fuoco, tenendolo d’occhio.
Kisshu non disse nulla e la guardò.
Pochi istanti e si lanciò su di lei come un felino. Suguri, colta di sorpresa, perse la presa sul suo sai e lo fece ruzzolare a terra.
Lui, invece, la fece arretrare fino a farla scivolare sul letto alle sue spalle, immobilizzandola sotto il peso del suo corpo.
Lei grugnì, lanciandogli un’occhiata al vetriolo.  
Ogni scusa era buona per metterle le mani addosso…
«Che faccio? Fraternizzo con te...» Mormorò l’alieno, con voce che a Suguri parve a tratti arrogante. «...ormai siamo complici, no?» Le chiese, senza staccare lo sguardo dal suo. Due gocce dorate che parevano volerla trafiggere, leggerle la mente...  
La ragazza strinse gli occhi, una punta di sospetto nelle iridi purpuree.
«Che cosa intendi dire?» Soffiò lei, sorpresa.
Non voleva darlo a vedere, ma era nervosa.
Quel Kisshu era imprevedibile, un tipo del quale ed era difficile comprendere le reali intenzioni.
Proprio per quella ragione l’attraeva a sé…
E lui lo sapeva.
Quella vena di follia che leggeva nei suoi gesti, nelle sue insinuazioni…
Era stuzzicante...
«Che ne dici...ti va di far parte del terribile duo?» Domandò allora, euforico.
Lei lo fissò per alcuni secondi prima di soffocare una risata e allentare le sopracciglia, aggrottate sotto la frangetta scura.
«Il terribile duo?» Ripeté lei, divertita.
Kisshu rise di gusto alla sua reazione e la lasciò andare improvvisamente, puntellando tutto il peso sulle ginocchia. Suguri ne approfittò per sfilare le gambe dalle sue e rimettersi più comodamente a sedere, prima di volgergli uno sguardo di morbosa curiosità.
Kisshu la guardò e increspò le labbra in un grande sorriso beffardo.
«Guarda qui.» Le suggerì lui, aprendo la mano sinistra e facendo comparire dal nulla una minuscola medusa trasparente, identica a quella che la ragazza aveva visto uscire dal Chimero lucertola qualche giorno prima.
Due, tre, quattro...cinque medusette si materializzarono una dietro l’altra, seguendo la prima. L’alieno strinse gli occhi dorati e li puntò nuovamente nei suoi, le pupille strette in due fessure.
«Sai che fa adesso il terribile duo?» La stuzzicò, schioccando la lingua.
Lei ammorbidì la schiena e sorrise sorniona, trattenendo un brivido.
«Casino?» Tirò ad indovinare, in preda all’eccitazione.
Aveva i nervi a fior di pelle...e non riusciva a calmarsi.
Non voleva calmarsi...
Voleva altra benzina sul fuoco...
«Esatto, Dolcezza...andiamo a fare casino.» Completò infine, agguantandola a sé, prima di teletrasportarsi con lei fuori dalla dimensione aliena.








 
***

* E la cosa figa è che entrambe sono vere. xD
** Questo è un appello del telefono azzurro.
È ormai il secondo caso di aggressione e minacce verbali e fisiche perpetrate ai danni di Ryou Shirogane da feroci belve feline di sesso femminile.
Se volete preservare il povero Shirogane dagli abusi di artigli vaganti e potenzialmente pericolosi, esprimete la vostra solidarietà mandando una mail a salvateilsoldatoRyan@associazioniumanitariedallaseriareputazione.it.
Gli operatori si occuperanno della corrispondenza e dell’esplicazione di tutte le procedure atte alla donazione.
Avete l’occasione di fare una buona azione nella vostra vita.
Non rinunciate per pigrizia, scrivete ORA.  
* «Far stare sulle balle la tua OC alla tua Mew preferita: challenge accepted.» nd Autrice che si infila un paio di occhiali neri
** «Libertà, divertimento, potere...ma soprattutto SESSO! S-E-S-S-O! Diciamolo chiaramente, porca la putt...!!» nd Kisshu esaltato prima che l’Autrice gli tappi la bocca con le mani
«Sta zitto, razza di cretino ingestibile che non sei altro!» nd Kuro
* «Ahahah..praticamente l’ha portata a casuccia sua...che tenerezza! :°)» nd Kuro
«Un giorno ti ucciderò...maledetta…-_-» nd Kisshu
** La coccia è la parte del corpo della spada che sta dopo l’elsa e prima della lama, in parole povere, dove si trovano le pietre smeraldine dei tridenti di Kisshu :)
*** Le armi rituali sono oggetti che servono ad invocare, assorbire ed elaborare energia, oppure hanno valori simbolici specifici. Per quanto riguarda i sai di Kisshu, mi sono sbizzarrita e ho voluto infondervi due forze distinte che credo lo definiscano al meglio: la libertà e il fuoco interiore. Sono proprio queste due cose che Suguri percepisce :)
Ps. Un giorno mi divertirò a raccontare la storia della nascita dei suoi tridenti :)  
  
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